Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile SOVRAFFOLLATO, IN RISTRUTTURAZIONE DAL 2008, SENZA DIRETTORE DA 20 ANNI… LO STORICO CAPPELLANO, DON RIGOLDI, DENUNCIAVA: “C’È IL CAOS, O IL MINISTERO SI MUOVE O CI SCAPPA IL MORTO”
“Il Beccaria era un carcere modello. Lo era nel passato, in un passato
ormai remoto”. Nelle parole del sindaco di Milano Beppe Sala, che dopo l’evasione di sette detenuti e la rivolta avvenuta nel giorno di Natale è tornato a invocare l’intervento del governo, c’è tutta l’amarezza per la parabola discendente di un istituto minorile ritenuto in passato un fiore all’occhiello del sistema penitenziario milanese e non solo. Un esempio di come, grazie anche al ‘dialogo’ tra dentro e fuori, tra il carcere e la città, fosse possibile davvero dare un futuro alle vite spezzate dei ragazzi. Oggi, è un focolaio di problemi mai risolti negli anni, di questioni che si trascinano da tempo
Il carcere Beccaria di Milano e il cantiere infinito
Come tutte le carceri italiane, anche il Beccaria è malato di sovraffollamento. Attualmente sono 44 i detenuti, contro una capienza massima di 36 posti. Ma questo è solo uno dei problemi che si va a sommare a criticità ormai diventate croniche. Su tutte, la vicenda del cantiere infinito dell’istituto.
§La ristrutturazione dell’edificio, in particolare dell’ex padiglione femminile, è iniziata nel 2008: i lavori sarebbero dovuti durare tre anni, ma non sono ancora terminati tra ostacoli e un iter, quello dell’appalto, rallentato. Risultato: un’intera ala è chiusa, con il conseguente dimezzamento dei posti disponibili e il trasferimento del reparto femminile altrove.
Il carcere Beccaria senza una guida
Senza contare che da tempo nell’ormai ex istituto penitenziario modello, che sorge in un quartiere periferico di Milano ma in grande espansione urbanistica come Bisceglie, manca una guida unica e dedicata. Come ricordano ancora Sala e don Gino Rigoldi, lo storico cappellano dei ragazzi, “da quasi vent’anni non c’è un direttore, e ce la si è cavata con dei ‘facente funzione””.
Non solo. I sindacati segnalano come tante tensioni al Beccaria nascano dalla convivenza tra minorenni e maggiorenni. Come dice il segretario del Sappe Lombardia Alfonso Greco: “La legge lo prevede ma è assurdo e non ha senso tenere 25enni con ragazzini di 14 anni. I fatti si commentano da soli”.
Le tensioni e i disordini al Beccaria, l’allarme inascoltato di don Rigoldi
I segnali di tensione e disordini all’interno della struttura minorile erano emersi anche negli ultimi anni. Già nel 2018, dopo un’altra, l’ennesima, rivolta con materassi e coperte dati alle fiamme dai ragazzi, don Gino Rigoldi aveva lanciato l’allarme: “Sono molto preoccupato, molto. La situazione al Beccaria è al limite e nessuno fa niente. Non so se bisogna aspettare che ci scappi il morto, perché il ministero si muova”. Parole cadute nel vuoto.
La storia del Beccaria, da Vallanzasca a Erika De Nardo
L’istituto rappresenta un pezzo di storia della giustizia minorile in Italia. Nato nel 1950, il Beccaria ospitava inizialmente un riformatorio o casa di rieducazione per ragazzi “disadattati, irregolari nella condotta e nel carattere” secondo la definizione del tempo. Nei primi anni ’70 l’istituto assunse l’attuale destinazione di carcere penale minorile.
Qui, negli anni, sono stati tanti gli ospiti. Da un giovanissimo Renato Vallanzasca, l’ex bandito della Comasina, che a soli otto anni trascorse 48 ore al Beccaria dopo aver cercato di far uscire da una gabbia la tigre di un circo che aveva piantato il tendone proprio vicino a casa sua. A Erika De Nardo che, nel 2011, a 16 anni, con il fidanzato Omar Favaro, 17, uccise la madre Susy e il fratellino di 12 anni, Gianluca e che al Beccaria ha trascorso quattro anni, conseguendo anche il diploma di geometra. Fino alle ultimissime vicende di cronaca e ai trapper arrestati tra accuse di sparatorie e furti come Baby Gang o Simba La Rue.
(da La Repubblica)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile I SALVADANAI, DOPO QUASI TRE ANNI DI CRESCITA, FANNO SEGNARE UNA RIDUZIONE DI OLTRE 50 MILIARDI DI EURO… A LUGLIO L’AMMONTARE DELLE RISERVE DELLE FAMIGLIE E DELLE IMPRESE DEPOSITATE NELLE BANCHE DEL PAESE ERA A QUOTA 2.097 MILIARDI. A OTTOBRE È CALATO A 2.047 MILIARDI
L’onda lunga della crisi economica causata dalla pandemia e, soprattutto, l’aumento delle bollette energetiche si fanno sentire sui risparmi di aziende e cittadini.
Così i salvadanai degli italiani, dopo quasi tre anni di crescita costante, invertono questa tendenza e fanno segnare una riduzione di oltre 50 miliardi di euro.
Si tratta di una diminuzione del 2,4% in appena tre mesi: a luglio, infatti, l’ammontare delle riserve delle famiglie e delle imprese depositate nelle banche del Paese era a quota 2.097 miliardi, mentre a ottobre è calato a 2.047 miliardi.
È quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale il deflusso improvviso potrebbe avere qualche ripercussione sulla raccolta degli istituti di credito. “Quella che abbiamo sotto gli occhi è la fotografia di una situazione drammatica che noi, purtroppo, avevamo prospettato da tempo”, commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara, sottolineando come “stanno venendo meno le forze e la liquidità, sia per le famiglie sia per le imprese, specie quelle più piccole. I costi sono insostenibili, le bollette energetiche non più gestibili. Ecco perché, chi ha la possibilità attinge alle proprie riserve. Al governo riconosciamo l’impresa di aver confezionato una legge di bilancio comunque positiva e in tempi brevissimi, tuttavia segnaliamo l’urgenza di avviare un piano straordinario di interventi pubblici e di sostegni a partire da gennaio”.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato i dati della Banca d’Italia, il totale delle riserve delle famiglie e delle imprese, si è attestato a 2.047 miliardi di euro a ottobre scorso, in calo di 50 miliardi (-2,4%) rispetto ai 2.097 miliardi di luglio. Fino a quel momento, da oltre due anni si era registrata una crescita costante: 1.823 miliardi a dicembre 2019, 1.956 miliardi a dicembre 2020, 2.050 miliardi a ottobre 2021, 2.075 miliardi a dicembre 2021. Una tendenza all’accumulo che è proseguita per tutto l’anno in corso, salvo invertire la rotta da agosto in poi.
Sono soprattutto i conti correnti la forma di accumulo più utilizzata da aziende e cittadini, sia durante la fase di risparmio sia come fonte a cui attingere in caso di liquidità necessaria in tempi rapidi: il saldo totale era pari a 1.182 miliardi a fine 2019, a 1.349 miliardi a fine 2020, a 1.449 miliardi a ottobre 2021 e a 1.480 miliardi a dicembre 2021, e ancora in aumento fino a 1.497 miliardi fino a luglio 2022. Poi la discesa di 45 miliardi (-3,0%) a 1.452 miliardi toccati a ottobre scorso. Più lineare l’andamento delle altre forme di deposito e accumulo di liquidità, come i depositi con durata prestabilita, i depositi rimborsabili con preavviso, i pronti contro termine.
(da Ansa)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile LE SUE TECNICHE DI RECLUTAMENTO DEGLI AGENTI INFILTRATI IN OCCIDENTE, LA CREAZIONE DEL SUO ATTUALE “CERCHIO MAGICO”, L’ATTIVITÀ DI CONTRABBANDO
“Lehrjahre”, gli anni di apprendistato di Vladimir Putin, contrariamente a
quelli del Wilhelm Meister creato da Goethe, non sono stati anni di svago o di passione per il teatro. Quando Putin arriva nel 1985 a Dresda per la sua prima missione all’estero come agente del Kgb, ha trentatré anni ed è sposato con Ljudmila Skrebneva da due: ha una figlia, un’altra in arrivo e da dieci anni è stato arruolato dai servizi segreti sovietici.
In quella fase cruciale della sua vita verrà promosso a capo della sede, importante, delle spie sovietiche nella vecchia Germania Est. Da lì assisterà in prima fila alla “rivoluzione pacifica” che abbatterà il Muro di Berlino. Putin è infatti ancora in Germania quando finisce il “Secolo breve”: in tutto ci passerà cinque anni, fino al ritorno precipitoso in un’Unione sovietica che si sta sciogliendo come neve al sole. Un periodo di intenso lavoro che ha contribuito a rendere il futuro presidente russo quello che è oggi.
Ottanta infiltrati
Il “metodo Putin”, le sue tecniche di reclutamento degli agenti infiltrati in Occidente, la creazione del suo attuale “cerchio magico”, la sua attività di contrabbando intorno alla Robotron, la grande azienda di Stato produttrice di elettronica: tutti questi segreti sono contenuti nei testi e nelle fotografie custoditi all’archivio federale di Dresda. L’archivio raccoglie i documenti della Stasi, i servizi segreti della vecchia Germania Est, ed è stato scandagliato dall’ex direttore degli archivi della Stasi di Berlino-Hohenschoenhausen, Hubertus Knabe, che negli ultimi mesi, e alla luce della guerra in Ucraina, ha riesaminato 500 pagine di documenti e foto su Putin.
In un intervento poche settimane fa sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Knabe ha spiegato come da quelle carte emergano dettagli che lasciano intuire la traiettoria futura dell’autocrate che ha fatto ripiombare l’Europa nell’incubo della guerra. “I materiali non sono inediti, ma Knabe ha approfondito alcuni aspetti di Putin che ora sembrano più interessanti”, argomenta Gianluca Falanga, storico italiano che ha lavorato a lungo negli archivi della Stasi ed è tra i maggiori esperti italiani di Germania Est, autore di Il ministero della paranoia. Storia della Stasi (Carocci), un viaggio dentro i famigerati servizi segreti della Germania Est.
Falanga spiega che negli anni in cui Putin era a Dresda, tra i tedeschi dell’Est e il Kgb c’era l’accordo che dalla loro base in Germania i sovietici avrebbero evitato di condurre operazioni nella Ddr e che si sarebbero concentrati sull’Occidente. Non a caso a Dresda era stato rinvenuto un elenco di circa 90 pagine con i nomi di spie sovietiche in Occidente gestite da Putin. “Oggi quasi tutte quelle pagine sono andate perse. Ma si è scoperto che su ognuna figuravano un’ottantina di infiltrati. Li moltiplichi per novanta. Sarebbe stato un tesoro prezioso”, osserva lo studioso. Un tesoro concentrato nelle mani dell’uomo che un giorno avrebbe guidato la Russia.
Quando cade il Muro
Una delle mansioni principali di Putin era quella “di individuare persone, di studiarne il profilo prima di avvicinarle e ottenerne la collaborazione”, prosegue lo storico. Lo scopo era soprattutto spiare obiettivi militari Nato e americani. Ma le attività dell’ufficio di Dresda e dei suoi agenti potevano spaziare: dai documenti risulta che nel 1986, l’allora capo del Kgb di Dresda partecipò a un piano segreto del capo della Stasi, Erich Mielke, che avrebbe dovuto garantire sostegno finanziario e operativo a un nucleo di agenti, qualora la Germania Est fosse collassata.
Tuttavia, Putin lavorava principalmente su altro: “Ingaggiare un agente non è una cosa che si fa in due mesi. Ci si lavora un periodo lunghissimo. Bisogna avere un’enorme pazienza e cura nell’osservare le persone in modo distanziato, nell’ombra. Bisogna diventare maestri nel tatticismo. Putin imparò a trovare il momento e il modo giusto per convincere, manipolare, raggirare. Una tecnica tipica di un cekista (uomo del Kgb, ndr) come lui era lanciare una provocazione e vedere come la persona reagiva. Un po’ come fa adesso con la minaccia nucleare”.
Il “metodo Putin”, insomma, nasce anche a Dresda. Quando cadde il Muro di Berlino, novembre del 1989, anche nella sede periferica di Dresda la Stasi e il Kgb vissero momenti di panico. Gli agenti cominciarono a bruciare e ad annientare i loro archivi. Ma la risposta non si fece attendere: i cittadini dell’Est assaltarono le sedi della Stasi per scongiurare la distruzione dei documenti che attestavano quarant’anni di persecuzione. E la rabbia arrivò fino alle porte della sede del Kgb. Qui Putin affrontò la folla inferocita e la minacciò. “Se non vi fermate, darò l’ordine di sparare”. Così, i manifestanti arretrarono.
I documenti a Mosca
Knabe, rileggendo i documenti di Dresda, sostiene che Putin sia rimasto in realtà scioccato dalla caduta del Muro, e che neanche il Kgb fosse preparato alla fine della Ddr. Falanga però non ne è convinto. “Putin e il Kgb reagirono molto rapidamente alla crisi di novembre del 1989. Credo che abbiano in qualche modo capito in tempo che la situazione era grave. E che abbiano riflettuto su come salvare dei pezzi della rete di infiltrati che avevano in Occidente. Ovviamente ciò non vuol dire che alcuni episodi drammatici non lo abbiano segnato”.
Ad esempio, suggerisce lo storico, il suicidio del capo della Stasi di Dresda, Horst Boehm. Qualcuno sostiene che il disprezzo per le piazze che Putin ostenta da anni con la repressione di ogni dissidenza interna, sia nato proprio in quelle settimane.
È legittimo chiedersi anche che fine abbiano fatto le spie reclutate da Putin in Occidente. Falanga ritiene “improbabile” che, anche dopo il crollo dell’Unione sovietica, quelle reti siano state del tutto smantellate. Perché se è vero che la Stasi e l’ufficio di Dresda del Kgb si misero ” freneticamente” a bruciare e a distruggere documenti, lo storico è “abbastanza sicuro che una parte siano stati portati via”. Di più: “So per certo che una parte dei documenti della Stasi è stata portata a Mosca”.
Cerchio magico
Quel che è certo è che alcuni attuali fedelissimi di Putin provengono dal periodo tedesco: il suo “cerchio magico” nasce a Dresda. Falanga ne elenca alcuni componenti. “Ci sono già Nikolaj Tokarev e Sergej Cemezov. Ma quello che emerge è soprattutto un metodo. Putin imparò come legarli a sé, a manovrarli. E più tardi divennero tutti capitani d’industria, top manager, uomini potenti. Oligarchi. Si scrive che Putin non controlli più una parte dei suoi oligarchi. Io non lo penso: credo che lui influenzi ancora notevolmente le persone che gli stanno intorno”.
Un altro compito importante svolto da Putin a Dresda era di natura industriale. La città era la sede di Robotron, una grande azienda di computer e informatica: “lui si occupava di recuperare tecnologie occidentali aggirando l’embargo”.
Guai in famiglia
Nei documenti ci sono anche i rapidi progressi nella carriera di agente segreto, registrati da Putin in quegli anni. Ma c’è anche molta vita privata, il matrimonio con Ljudmila, le due figlie. “Putin è ancora molto legato agli anni di Dresda” racconta Falanga “e vi è tornato spesso. Qui approfondì anche il suo tedesco insieme alla moglie. E ormai si sa, dall’interprete di Ljudmila, Lena S. che era in realtà spia dei servizi della Germania Ovest, che il loro matrimonio non era affatto idilliaco.
Lena era riuscita a diventare amica della moglie di Putin, e lei le confidò che la tradiva, che alzava anche le mani contro di lei, che lavorava come un ossesso”. Infine, le fotografie. Quelle contenute nell’archivio mostrano un Putin “molto poco eccentrico, che si faceva notare poco, che aveva sempre un’aria concentrata e assorta”. Nelle immagini lo si vede bere succhi di frutta mentre gli altri brindano a spumante, come a ostentare lucidità. E un assoluto controllo di sé.
(da agenzie)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile “HANNO PAURA DEL NOSTRO LAVORO”
Il Ministero degli affari interni russo ha inserito nella lista dei ricercati il giornalista investigativo Christo Grozev, che scrive per la testata d’inchiesta Bellingcat. A darne notizia è l’agenzia russa Ria Novosti, che riferisce dell’apertura di un caso nell’ambito di una diffusione di «notizie false» sulle forze armate russe. Ma, in linea con le precedenti liste di ricercati, il ministero non ha in realtà specificato di quale reato Grozev sia sospettato.
Lo scorso luglio, l’Fsb – il servizio di sicurezza federale della Russia – aveva riferito che il reporter Grozev sarebbe stato coinvolto in un’operazione di intelligence militare ucraina – poi sventata – che tentava di dirottare le forze aerospaziali di Mosca.
Successivamente, Kiev – stando sempre alle accuse dell’Fsb – avrebbe cercato di reclutare piloti russi con lo stesso compito. Il giornalista ha sempre negato le accuse dei servizi sostenendo che avrebbero «falsificato le prove». Grozev è stato a lungo una spina nel fianco del Cremlino. «Non ho idea su quali basi il Cremlino mi abbia inserito nella sua “lista dei ricercati”, quindi non posso fornire alcun commento in questo momento. In un certo senso non mi importa: per anni hanno fatto capire che hanno paura del nostro lavoro e che non si fermerebbe davanti a nulla per farlo fuori», ha twittato il reporter.
Chi è Christo Grozev
Christo Grozev è un giornalista investigativo di origini bulgare. Nella bio della testata per cui scrive, Bellingcat, è definito come il principale investigatore russo che si occupa di minacce alla sicurezza, operazioni clandestine extraterritoriali e armamento delle informazioni. Ha vinto diversi riconoscimenti nel mondo dell’informazione, tra cui il Premio europeo per il giornalismo investigativo ricevuto nel 2019. Scrive per Bellingcat dal 2015 e da subito si è specializzato nell’utilizzo di inchieste tramite strumenti open-source e social media.
Una delle indagini più rilevanti riguarda il caso dell’avvelenamenti di Sergei e Yulia Skripal. Quest’ultimo risale al 4 marzo 2018 quando un ex ufficiale militare russo e doppio agente delle agenzie di intelligence britanniche e sua figlia sono stati avvelenati a Salisbury, in Inghilterra. Allora il governo britannico aveva accusato Mosca di omicidio. E Bellingcat, grazie alla firma di Grozev, ebbe un ruolo fondamentale nelle indagini perché riuscì a dentificare il secondo sospettato responsabile dell’avvelenamento degli Skripal.
(da Open)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile L’INCENDIO, LE IMPALCATURE, LA FUGA CON IL LENZUOLO: LA DINAMICA DELL’EVASIONE
I sette che, nel giorno di Natale, hanno trovato il modo di evadere dal
carcere minorile Beccaria di Milano sono cinque italiani, un ecuadoriano e un marocchino, in carcere per furti e rapine. Tre di loro sono già tornati nella struttura. Secondo la prima ricostruzione della dinamica della fuga, i 7 detenuti avrebbero approfittato dei lavori – in corso nell’istituto da lungo tempo – per rompere una protezione in legno già cedevole. Sei di loro sono saliti sulle impalcature per poi calarsi da un muro più basso rispetto a quello che circonda l’istituto, un altro avrebbe invece utilizzato un lenzuolo per scavalcare la recinzione e allontanarsi.
Appresa la notizia, è scattata la protesta: alcuni dei detenuti hanno appiccato il fuoco ad alcuni materassi, rendendo necessario l’intervento di diverse squadre dei vigili del fuoco. Nella concitazione, quattro agenti sono rimasti intossicati nell’incendio.
Dei due evasi rientrati nella notte, entrambi maggiorenni, il primo è stato scovato grazie alla segnalazione della nonna, dal quale lui si era rifugiato, il secondo è stato convinto dalla sorella a presentarsi davanti al carcere. Il terzo, questa mattina, avrebbe invece ascoltato il consiglio dei genitori.
«Un’evasione annunciata»
In una nota diffusa in serata il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) ha definito quella di ieri “un’evasione annunciata”: «Adesso è prioritario catturare gli evasi – afferma Donato Capece, segretario generale del sindacato – ma la grave vicenda porta alla luce le priorità della sicurezza (spesso trascurate) con cui quotidianamente hanno a che fare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria del Beccaria. «Da troppo tempo arrivano segnali preoccupanti dall’universo penitenziario minorile», denuncia Capece. «Beccaria, Casal del Marmo a Roma, Nisida, Bologna, Airola. Abbiamo registrato e registriamo, infatti, con preoccupante frequenza e cadenza, il ripetersi di gravi eventi critici negli istituti penitenziari per minori d’Italia. È da sottolineare, infatti, che nell’ultimo periodo diversi detenuti delle carceri minorili provocano i poliziotti penitenziari, creando sempre situazioni di grande tensione».
«Giornalisti di m…»
Nella notte pattuglie delle forze dell’ordine hanno continuato a presiedere l’area senza consentire l’accesso a nessuno. Alcuni agenti sono rimasti intossicati dal fumo dell’incendio. Un posto di blocco si trova tra via Giovanni Spagliardi e via Ferruccio Parri. Il fuoco appiccato in alcune celle è stato spento dai vigili del fuoco. Attimi di tensione di sono registrati quando i cronisti si sono avvicinati al perimetro dell’istituto penitenziario, e alcuni detenuti hanno gridato «giornalisti di m…» dalle finestre.
La legge consente la detenzione di ristretti adulti fino ai 25 anni di età nelle strutture per minori. Rientrati in servizio tutti gli agenti reperibili. Domani sono in arrivo, mandati dal ministero di via Arenula, i vertici del Dipartimento della giustizia minorile, tra i quali il direttore generale Giuseppe Cacciapuoti. Il leader della Lega Matteo Salvini si è detto «sconcertato» per questa fuga. «Siamo vicini, speriamo di esserlo, alla cattura anche degli altri soggetti che sono fuggiti», ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, dopo una visita nell’istituto minorile Beccaria, «le indagini sono in corso. Contiamo presto di avere delle notizie positive».
Quanti sono i detenuti nelle carceri per minori italiani
L’agenzia di stampa Agi fa sapere che sono 400 attualmente i detenuti negli istituti penali per minorenni. Si tratta di 390 uomini e dieci donne. 27 hanno tra 14 e 15 anni, 179 tra 16 e 17 anni, 135 tra 18 e 20 anni e 59 tra 21 e 24 anni. 199 sono italiani e 201 stranieri. Il ministero della Giustizia conta anche i cosiddetti «giovani adulti» – ragazzi tra i 18 e i 24 anni compiuti – la cui presenza negli istituti per minori «ha assunto nel tempo un’importanza crescente». Il maggior numero di detenuti (50) si trova al Nisida; 45 sono sia a Bologna che a Roma, 42 a Milano, 37 ad Airola (Benevento), 35 a Torino e 29 a Catania. Gli ingressi sono stati 1.459 dal primo gennaio 2022, 381,6 le presenze medie giornaliere.
I reati
Su 2.121 reati contestati il 61,2% riguarda quelli contro il patrimonio, ovvero furti, rapine, estorsioni e ricettazioni. Poi ci sono i reati contro la persona: 18,9%, per lo più lesioni volontarie. E quelli contro l’incolumità pubblica (7,3%). Frequenti anche le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti. Sempre al 15 dicembre scorso, 21 minorenni erano presenti nelle comunità ministeriali e 908 in quelle private: complessivamente, risultano in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni (Issm) 14.221 ragazzi. Quattro poliziotti sono rimasti intossicati durante l’incendio. Gli agenti hanno 25, 26, 27 e 34 anni e sono tutti stati portati tutti all’ospedale San Carlo. Nessuno è in condizioni gravi. In tutta la zona sono ancora attivi posti di blocco nella convinzione che qualcuno possa non essere riuscito ad allontanarsi troppo da quando è scattato l’allarme. I controlli sono in corso in tutta la città e nelle zone in cui gli evasi vivevano.
(da La Repubblica)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile “LE AMMINISTRAZIONI DIANO AIUTO CONCRETO”
Un parcheggio come casa. La loro auto il letto dove dormire insieme a due bambine di 7 e 8 anni e un neonato. È la storia di indigenza e povertà che arriva da Legnano, dove dallo scorso maggio, Ignazio e Milena non hanno più un posto caldo dove stare. Il piccolo Ethan, nato lo scorso 6 dicembre, dalla giovane coppia è al momento ricoverato in un ospedale di Milano per una serie di complicanze mediche sorte dopo il parto.
La madre Milena e gli altri tre componenti della famiglia hanno vissuto l’intera gravidanza prima dormendo in un magazzino, poi in macchina. Lei con il reddito di cittadinanza, lui manovale con un contratto a termine scaduto ad aprile, hanno cominciato ad avere grossi problemi per pagare affitto e bollette nell’abitazione in cui vivevano.
E così nel giro di poche settimane si sono ritrovati fuori casa, senza un’alternativa stabile se non quel vecchio magazzino con un materasso gonfiabile messo a disposizione da un amico, e poi in auto, in un parcheggio, luogo dove la famiglia si trova tuttora.
La donna ha trascorso tutta la gravidanza vivendo e dormendo sui sedili posteriori della propria auto. Il 6 dicembre Ethan è venuto alla luce con una paralisi alle corde vocali, immediatamente trasferito nella terapia intensiva di un ospedale milanese.
Nei mesi difficili di gravidanza Ignazio ha pensato di registrare un video mai diffuso per chiedere aiuto: «Da mesi vivo in questa situazione e nessuno fa niente. Mia moglie è incinta e dormo in macchina con le mie due bambine piccole. Io lavoro, non rubo».
L’uomo racconta i momenti più difficili dei suoi ultimi mesi di vita, quando ha dovuto spiegare alle sue bambine il perché si trovassero a vivere in una macchina: «Ho detto loro che era come quando andavamo in campeggio e dormivamo in tenda. La piccola però, che è quella più birichina delle due, non ci ha mai creduto». Poi la speranze vane: «Pensavo che questa situazione sarebbe durata pochi giorni, ma ad oggi siamo ancora senza un tetto sulla testa e mio figlio sta lottando per uscire dall’ospedale».
«In anni di volontariato mai vista una situazione così grave»
Ad accorgersi di questa famiglia è stata l’associazione Il Sole nel Cuore di Legnano: «Appena abbiamo saputo della situazione drammatica in cui era costretta a vivere la famiglia ci siamo attivati per dar loro aiuto», spiegano. «Li abbiamo trovati una notte in un parcheggio, con le bambine al fianco della mamma incinta e completamente rannicchiata. In tanti anni di volontariato e aiuto a famiglie in difficoltà non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere». ha detto Valeria Vanossi, presidentessa dell’associazione. Da parte dell’amministrazione comunale invece l’impegno finora è stato minimo. Sindaco e assistenti sociali hanno provato a intervenire ma senza proposte di collocazione concrete se non quella di un housing sociale che permetterebbe alla donna e ai figli di avere un alloggio, escludendo però papà Ignazio. L’associazione Il Sole nel Cuore attualmente ha deciso di pagare alla famiglia un albergo: «Non volevamo passassero le feste e il Natale senza una casa», spiega ancora Vanossi, «ora però anche per noi diventa difficile continuare a sostenere questa spesa, per questo chiediamo un intervento all’amministrazione per dare definitivamente alla famiglia di Ignazio una casa».
(da agenzie)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile “VIVIAMO IN STRADA, COME FAREBBE A SOPRAVVIVERE?”
A pochi giorni dalle feste natalizie, Sabrina e Michael hanno deciso di
non riconoscere il proprio figlio, nato lo scorso 2 dicembre nell’ospedale di Melegnano (Milano). Perché vivendo in strada non hanno la possibilità di farlo crescere in modo dignitoso.
«Mi hanno dato dieci giorni di tempo per riconoscere mio figlio dopo il parto. Ma come farebbe a sopravvivere con me al gelo?», ha dichiarato la madre. Si tratta di una ragazza di 23 anni, originaria di Cagliari, mentre il padre è un 29enne. La coppia vive in strada. In passato avevano trascorso un periodo di vita in Germania per poi tornare in Italia, ma senza documenti. «Abbiamo dormito con meno 19 gradi in Germania, al gelo. Riusciremo a resistere a Milano», hanno sottolineato.
«Resta l’amarezza». Come sta il bambino
Lui, un tempo, aveva un lavoro come pizzaiolo, ma poi lo ha perso, riporta Il Messaggero. E sarebbe proprio quel momento l’inizio del loro calvario, che li ha portati a tentare di vivere in più città all’estero. Dopo la Germania, sono stati ad Amsterdam. Successivamente a Chiasso e, infine, ad aprile sono arrivati a Milano. Attualmente, vivono in una tenda vicino alla stazione di San Donato, nel milanese, e non ne vogliono sapere di dormitori perché hanno il timore di essere separati. «I genitori in queste condizioni disagiate non sarebbero stati in grado di tenere con sé il bambino dopo il parto e credo che la loro scelta sia stata in qualche maniera la più responsabile», ha spiegato il procuratore capo del Tribunale per i minorenni di Milano, Ciro Cascone, a Il Giorno. Sabrina ha, inoltre, problemi di salute. «Rimane l’amarezza – aggiunge Cascone – per la situazione di emarginazione dei giovani genitori. Non sarà purtroppo il primo né l’ultimo caso di ragazzi che si perdono, senza che nessuno faccia niente per accompagnarli verso un progetto di vita accettabile». Il piccolo è nato prematuro, e ora è stato affidato alle cure del personale sanitario dell’ospedale che se ne sta prendendo cura, dal quale riferiscono che il bambino si trova in buone condizioni di salute.
(da La Repubblica)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile I DUBBI SUI SOTTOMARINI CHE PRODUCEVA
Il direttore generale di un importante cantiere navale russo, specializzato nella costruzione di sottomarini non nucleari, è morto improvvisamente sabato 24 dicembre. Si tratta di Alexander Buzakov, 66 anni, il cui ruolo principale era quello di tutelare e rafforzare il portafoglio ordini del cantiere per sottomarini moderni non nucleari, navi di superficie e veicoli per acque profonde. Ad annunciarlo è la stata la compagnia di cui era a capo, l’Admiralty Shipyards, con sede nel porto occidentale di San Pietroburgo, secondo quanto riferisce l’agenzia Reuters. Nel 2019, Buzakov dichiarò in un’intervista a Interfax che Admiralty Shipyards aveva in programma di iniziare a produrre sottomarini diesel in grado di lanciare missili da crociera Kalibr, ovvero gli stessi che Mosca sta adottando da diversi mesi contro i civili in Ucraina. Tass aveva poi confermato che il cantiere Shipyards stava costruendo i sottomarini in questione.
Pluripremiato dal governo russo
Con oltre 40 anni di esperienza, Buzakov è stato premiato in più occasioni dal governo russo con grandi riconoscimenti tra cui due medaglie al merito della patria e l’Ordine al merito navale. Il governatore di San Pietroburgo, Alexander Beglov, ricordando il generale, ha sottolineato quanto fosse una figura cruciale per il settore della difesa del paese. «La sua responsabilità personale era grande nell’adempiere agli ordini governativi più importanti, principalmente quelli di difesa», ha detto. «Il fatto che il nostro Paese si sia rivelato preparato al confronto con l’Occidente è una parte significativa del suo lavoro. La Russia ha ora una potente flotta militare e civile», ha aggiunto.
(da agenzie)
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Dicembre 26th, 2022 Riccardo Fucile “TROVO SERIAMENTE PREOCCUPANTE LA TOTALE ASSENZA DI PERCEZIONE MUSICALE NELLA DIREZIONE” – “SFIDO LA VENEZI ALLA CONCERTAZIONE PUBBLICA CON L’ORCHESTRA HAYDN DI UN BRANO SINFONICO DEL SECONDO 900. A SUA SCELTA”
Assistendo alla replica su YouTube del concerto natalizio offerto dalla
presidenza del Senato al popolo italiano che vedeva l’Orchestra Haydn di Bolzano sotto la guida di Beatrice Venezi ho avuto la conferma di quello che ho sempre più pensato guardando le tante esibizioni in rete di questa musicista.
A parte il cattivo gusto di presentarsi a capo di un’orchestra proprio lei, neoeletta consigliera per la musica del ministro, la cosa che trovo seriamente preoccupante, che intendo sottolineare, è la totale assenza di percezione musicale nella direzione e quindi di talento musicale necessario per muovere e rendere espressivi nell’aria i suoni di quella meravigliosa macchina terrestre che è una orchestra sinfonica.
La sconcertante – è proprio il caso di dirlo – esibizione induce e favorisce l’ottundimento del gusto musicale e veicola un livello d’ascolto paurosamente basso confondendo e intimidendo chi, pur amando la musica, non ne possiede sufficiente competenza nel giudizio. Decisamente di pessimo livello gli arrangiamenti delle belle canzoni di Battisti, senza un minimo progetto né capacità interpretativa e con un’orchestrazione insensata e sciatta.
Un tristissimo e cupo regalo di Natale che afferma soltanto il basso livello e la concezione musicale che si fa circolare con incuranza e irresponsabilità spacciandola per “grande arte”.
Questo mio giudizio personale non è un partito preso verso la Venezi, ma il giudizio di un musicista che ha alle spalle 50 anni di vissuto musicale come compositore e ha avuto la fortuna di avere Maestri come Armando Renzi, Nino Rota e Franco Ferrara. E a tutt’oggi ha composto le musiche per 160 film e una cinquantina di spettacoli teatrali, oltre a una cospicua produzione di musica assoluta.
Ed è di fronte al dilagare dell’incompetenza e della più pericolosa sottocultura il motivo di questa mia lettera invettiva, contro chi dallo scranno del potere favorisce e promuove eventi del genere. Sfido la Venezi alla concertazione pubblica con l’Orchestra Haydn di un brano sinfonico del secondo 900. A sua scelta, che non sia l’“Adagio per archi” di Barber ma un pezzo mai da lei e da me eseguito prima.
Franco Piersanti
(da “Il Foglio”)
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