Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
LA GUERRA ALLE ONG PORTERA’ SOLO PIU’ MORTI IN MARE… LA TIPICA IPOCRISIA DI CHI VUOLE EVITARE LO SPUTTANAMENTO IN EUROPA
Il varo del primo decreto-immigrazione del governo Meloni, in sostanza
un provvedimento che mira a limitare l’operatività in mare delle Ong, non è stato di facile elaborazione.
Una lunga riunione tecnica, prima del Cdm, ha portato ad attenuare diverse delle misure previste dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Un lavoro di taglia e cuci, con la regia del sottosegretario Alfredo Mantovano e che si è reso necessario anche per malumori dentro Forza Italia rispetto all’impostazione delle bozze: non è un mistero che la componente che fa riferimento al ministro degli Esteri Antonio Tajani preferisce lavorare sulle migrazioni insieme all’Ue e non con iniziative unilaterali che potrebbero compromettere i rapporti con Bruxelles.
Al netto di alcuni interventi mitigatori, finalizzati anche a prevenire profili di incostituzionalità ed eventuali attriti con il Quirinale, la stretta sulle navi impegnate nel salvataggio in mare delle persone c’è comunque.
Il requisito di base per non incorrere nelle sanzioni del governo resta l’immediata comunicazione delle operazioni di soccorso al Centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo “Stato di bandiera” dell’imbarcazione.
Ma si aggiungono altre condizioni stringenti: nel testo entrato in Cdm, si parla di «requisiti di idoneità tecnico-nautica» tuttavia non specificati, e per i quali non viene indicata l’autorità preposta ai controlli. È, infatti, un nodo ancora aperto anche dopo il varo ufficiale in Cdm.
Così come sembra un nodo ancora aperto anche la seconda condizione imposta alle imbarcazioni delle Ong: nell’ultimo testo disponibile prima della riunione di governo si parla di un’attività di informazione da svolgere a bordo circa la «possibilità di richiedere la protezione internazionale nel territorio dell’Unione Europea e, in caso di interesse, raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità».
Nell’ultima bozza prevista una «attività di informazione a bordo sulla possibilità di chiedere protezione nell’Ue» e il«resoconto dettagliato» dell’azione di soccorso
A sera, era ancora un punto controverso e poco chiaro, comunque diverso – lessicalmente – rispetto all’ipotesi di fare domanda di protezione direttamente a bordo nave.
Le altre prescrizioni invece sembrano fuori discussione dal punto di vista politico: l’imbarcazione deve chiedere il porto di sbarco subito dopo l’azione di soccorso e deve raggiungerlo «senza ritardo». Non viene esplicitamente vietato il cosiddetto soccorso multiplo, ma si prescrive il repentino spostamento verso il porto indicato dalle autorità.
Si gioca, insomma, sul significato delle parole. I responsabili dell’imbarcazione devono inoltre collaborare con le autorità di pubblica sicurezza per fornire informazioni circa l’attività di salvataggio. Di più: offrire una «ricostruzione dettagliata».
Altro requisito, dimostrare che le operazioni di soccorso non hanno arrecato pericolo alle persone a bordo «né impedito – punto questo da chiarire – di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco». Viene inoltre messo nero su bianco il fatto che la permanenza nel mare territoriale italiano è garantito «ai soli fini di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo », fatto salvo quando l’operazione di salvataggio venga considerata “illegale” e quindi da sanzionare. E si arriva appunto alle sanzioni: al comandante della nave che non rispetti le prescrizioni del decreto sono applicate sanzioni amministrative da 10mila a 50mila euro. In solido ne rispondono anche l’armatore e il proprietario della nave. Alla multa si aggiunge il fermo per due mesi dell’imbarcazione. La confisca del mezzo scatta invece in caso di “recidiva”.
La parte sanzionatoria del provvedimento è affidata al prefetto. Un’ulteriore sanzione da 2mila a 10mila euro può essere applicata quando il comandante o l’armatore non collaborano alla richiesta di informazioni da parte delle autorità.
La prima reazione politica al varo del decreto viene dal leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni: «La domanda giusta da farsi, ora, è quanti morti in più ci saranno nel Mediterraneo».
(da Avvenire)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
ANCHE OGGI IL MINISTRO DELLA CULTURA CI REGALA UNA PERLA DELLE SUE
Il principio della difesa della lingua italiana è sacrosanta. D’altronde il nostro vocabolario, che si è evoluto nel corso del tempo, degli eventi e della storia, ha permesso a grandi artisti, narratori e scrittori di scrivere le più importanti pagine della nostra cultura.
Poi, ovviamente, le influenze straniere sono entrate a far parte del gergo nostrano con termini diventati comuni nel gergo quotidiano.
Ma il Ministro Gennaro Sangiuliano, nel tentativo di contestare chi utilizza parole straniere (spesso anglicismi), cade nello stesso clamoroso errore. Rendendo vano tutto il suo discorso in difesa della lingua italiana.
In un passaggio della sua intervista a Il Messaggero, il capo del dicastero della Cultura, si è detto d’accordo con Giorgia Meloni che già in passato ha criticato l’utilizzo di anglicismi (anche a livello istituzionale) nella dialettica italiana (dimenticando, probabilmente, di aver utilizzato il termine “underdog“- sfavorita – nel suo discorso programmatico alla Camera dopo aver ricevuto il mandato dal Presidente della Repubblica). Ma Sangiuliano, in poche parole, riesce a cadere nello stesso errore, utilizzando parole straniere per criticare chi utilizza parole straniere:
“Credo che un certo abuso dei termini anglofoni appartenga a un certo snobismo, molto radical chic, che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana. E anche della sua lingua, che invece è ricca di vocaboli e di sfumature diverse”
“Snobismo”, che deriva da snob. Si tratta di un termine anglossassone che fa riferimento al tentativo di alcune persone di imitare comportamenti tipici di ambienti colti e raffinati. “Radical chic”: chi, per moda o convenienza, professa idee anticonformistiche e tendenze politiche radicali (spiegazione da Vocabolario dell’Enciclopedia Treccani). Dunque, per sintetizzare il suo pensiero contro chi utilizza parole prese in prestito da altre lingue, Gennaro Sangiuliano riesce nell’impresa di utilizzare parole prese in prestito da altre lingue.
(da NextQuotidiano)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
L’ACCUSA ALLA MELONI: “ALLA PRIMA PROVA SERIA DI GOVERNO IL VOSTRO ESECUTIVO HA FALLITO”… “LA SALUTE È LA PRIMA EMERGENZA NAZIONALE. LA MEDIA DELL’INCIDENZA DELLA SPESA SANITARIA SUL PIL IN EUROPA È AL 7,9%, IN ITALIA AL 6,5%. E RINUNCIATE AI 38 MLD DEL MES, È IMMORALE”
In Senato la legge di Bilancio è a un passo dal traguardo che dovrebbe
essere tagliato oggi in tarda mattinata: ieri il governo ha chiesto il voto di fiducia. Nelle dichiarazioni di voto Carlo Calenda ha ricordato il governo precedente: “A Salvini e Berlusconi dico avete mandato via con arroganza e supponenza Mario Draghi a ridosso della sessione di bilancio per fare questa roba qui. Mi verrebbe da dire “aridatece Mario” ha detto il leader di Azione, intervenendo in Aula al Senato nel corso delle dichiarazioni di voto sulla fiducia posta sulla legge di Bilancio.
“La presidente Meloni rivendica giustamente la sua storia di successo, una giovane donna proveniente da una famiglia svantaggiata. Peccato però che per i giovani, per le donne, per le famiglie svantaggiate in questa manovra non ci sia proprio nulla. E alla fine è solo questo quello che conta.Abbiamo dato disponibilità al dialogo ed evitato di fare una opposizione piazzaiola con le nostre proposte, inviato i documenti, più di questo non potevamo fare, per questo ci sentiamo legittimati a votare convintamente contro questa indecorosa legge di bilancio”.
(da Lapresse)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
A PARITÀ DI REDDITO DA 20 MILA EURO LORDI, UN DIPENDENTE PAGA 1.600 EURO DI TASSE, CONTRO QUASI IL DOPPIO (3 MILA EURO) DI UN AUTONOMO IN FLAT TAX
Non è un governo per autonomi. Di certo non a favore di piccole partite Iva, collaboratori, freelance, occasionali. Un vasto mondo di lavoratori non dipendenti e ad alto rischio di povertà, per lo più giovani, con un reddito medio basso e tutele poche se non nulle, dalla maternità agli ammortizzatori, alla pensione.
Stanchi di essere additati come evasori ed elusori, ora escono allo scoperto contro un presunto governo amico. A partire dalla flat tax che pochi di loro useranno.
Lo dice senza mezzi termini Anna Soru, la presidente di Acta, l’Associazione fondata nel 2004 per rappresentare un mondo che lei stessa ora definisce «fantasma, invisibile, ignorato».
Altro che governo vicino alle partite Iva: «La tassa piatta non ci riguarda perché non ci favorisce, anzi il confronto ora è due volte perdente. Con il lavoratore dipendente, beneficiato da una no tax area più alta a 8 mila euro contro i 5.500 euro, dall’ex bonus Renzi di 80 euro e ora pure dal taglio del cuneo fiscale. Ma perdente anche rispetto ai lavoratori autonomi con reddito alto che godono della flat tax al 15% ampliata da 65 a 85 mila euro e della flat tax incrementale».
A spiegare il divario, una tabellina con i calcoli di Acta. A parità di reddito da 20 mila euro lordi, il dipendente post-manovra paga 1.600 euro di tasse, contro quasi il doppio (3 mila euro) di un autonomo in flat tax e 4 mila euro di un autonomo senza flat tax.
Fatturati più robusti, fino a 85 mila euro, riescono invece a trarre maggiore beneficio dal 15% secco.
Sommando una no tax area più ampia, gli 80 euro e il taglio del cuneo, un dipendente fino a 12 mila euro non paga tasse. L’autonomo sì, a partire da 5.500 euro: la scelta è tra il 23% di Irpef con detrazioni e deduzioni o il 15% secco su tutto il reddito, ma senza sconti. Con livelli bassi di fatturato, la tassa piatta sembra da scartare.
«La flat tax gioverà il reale target del governo: artigiani e commercianti e pochi altri, 100 mila persone su 3,7 milioni di contribuenti a partita Iva, con un notevole vantaggio fiscale di 7-8 mila euro», dice Soru.
Ecco che gli autonomi fluidi, piccoli, sfuggenti e ignorati persino dalle statistiche e dai tavoli di concertazione – «il ministero del Lavoro non ci ha mai convocato fin qui», dice Soru – si trovano a vivere una stagione ancora di precarietà e incertezza. Difficile anche quantificarli: ci sono le partite Iva non iscritte alle casse private, i cococo, il lavoro occasionale, quelli senza partita Iva.
Se prendiamo i soli dati, certo non esaustivi, della gestione separata Inps – l’unica attiva – i freelance iscritti nel 2021 erano 434.862, di cui 341.068 in maniera esclusiva (non hanno versato in altre gestioni previdenziali). Il reddito medio pari a 15.701 euro lordi annui. Poco più alto (15.840 euro) per quelli senza altri redditi da lavoro. La metà dei 435 mila ha un reddito inferiore ai 10 mila euro all’anno, un altro 30% tra 10 e 25 mila euro. L’81% ricade cioè nella fascia dei lavoratori dipendenti beneficiata dal taglio di 3 punti del cuneo fiscale deciso dal governo.
(da La Repubblica)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
IL DUALISMO TRA I DUE PONTEFICI ALIMENTATO DALLE TIFOSERIE IN VATICANO
Joseph Ratzinger vive dal ormai nove anni nel monastero Mater Ecclesiae,
dentro la Città del Vaticano. L’ex pontefice si è ritirato dopo la rinuncia al papato che risale all’11 febbraio 2013. Con lui l’arcivescovo Georg Gaenswein e quattro «memores domini», laiche consacrate di Comunione e Liberazione. E da mesi ormai non parla più: a dispetto della sua lucidità, non riesce ad articolare le parole.
Mentre le voci sui suoi problemi respiratori circolano da prima di Natale: per questo ieri Papa Francesco ha invitato a pregare per lui. E ieri è andato in visita al suo capezzale. Ma se le notizie di questi giorni dipingono un papa emerito pronto a concludere il suo «pellegrinaggio verso casa», come scrisse in una lettera di qualche tempo fa, c’è chi ipotizza che la sua dipartita potrebbe portare a un’altra rinuncia al papato. Quella di Jorge Mario Bergoglio.
Il dualismo e le due chiese
Da quando Bergoglio è salito al soglio pontificio infatti si è sempre parlato di un suo dualismo con il Papa emerito. Il Corriere della Sera ricorda oggi che Ratzinger spesso è stato strumentalizzato dagli anti-Bergoglio in seno alla Chiesa. Piano piano si sono formate due tifoserie. Contro la stessa volontà di Francesco e Benedetto. Negli ultimi mesi il conflitto si è in qualche modo spento. Proprio mentre Benedetto XVI perdeva la voce. Ma, spiega oggi Massimo Franco, quando Benedetto morirà potrebbe ravvivarsi. Insieme alle voci di dimissioni di Papa Francesco. Bergoglio ha fatto sapere di averle già preparate in caso di malattia. Ma una volta scomparso il papa emerito anche Francesco potrebbe rinunciare al papato. Non lo ha fatto prima proprio perché due papi dimissionari sarebbero troppo anche per il Vaticano. Ma il suo piano potrebbe avere un’accelerazione proprio in conseguenza della morte di Benedetto XVI.
La sepoltura
Intanto il Papa emerito ha già indicato nel 2020 il luogo dove vuole essere sepolto. L’AdnKronos fa sapere che ha scelto la tomba che fu di Giovanni Paolo II, nella cripta di San Pietro. Tomba che è libera perché l’urna e i resti di Wojtyla sono stati trasferiti in una cappella vicino alla Pietà di Michelangelo dopo la sua canonizzazione. E i funerali? Potrebbe essere lo stesso Bergoglio a presiedeli. Spiega il liturgista don Claudio Magnoli, consultore della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti: «Dal punto di vista liturgico, credo che quando avverranno le esequie verrà utilizzato sostanzialmente il rituale che si prevede per le esequie dei Papi dal momento che con Ratzinger parliamo di un Pontefice. La differenza sostanziale rispetto a quando muore un Papa è che probabilmente potrebbe presiederle il Papa regnante, dunque Bergoglio. Mentre invece quando c’è la morte di un Papa è il decano dei cardinali a presiedere».
(da agenzie)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
LA DIVISIONE TRA PD E M5S REGALERA’ LA VITTORIA A ROCCA CHE PERO’ GIA’ PERDE 8 PUNTI RISPETTO ALLA CANDIDATURA NEGATA DI RAMPELLI
Il primo sondaggio che fotografa la corsa alle regionali ora che i candidati sono tutti in campo, mostra numeri alla mano la disfatta del centrosinistra contro il centrodestra: la rivelazione di Izi realizzata per Repubblica, dà come vincente Francesco Rocca seguito dal dem Alessio D’Amato. In terza posizione il volto televisivo e ambientalista scelto dal M5s, Donatella Bianchi.
Se è chiaro che le divisioni all’interno del campo di centrosinistra non pagano, è vero anche che la coalizione di centrodestra perde punti rispetto alle elezioni politiche del 25 settembre.
La distanza che separa l’assessore alla Sanità dall’ex presidente della Croce Rossa è comunque ampia: quasi 8 punti percentuali (7,8) con Rocca che ottiene il 42,6% dei consensi mentre D’Amato raggiunge il 34,8%. Bianchi si ferma al 18,3% dunque lontanissima sia dal vincitore (24,3 punti di distanza), sia dal candidato del Pd (il 16,5% delle preferenze in meno).
“Continua il suicidio dell’opposizione, centrosinistra e M5s, che si consegnano alla destra anche in Regione Lazio, così come avvenuto alle elezioni politiche e in Parlamento”, commenta Giacomo Spaini, amministratore delegato di Izi Spa.
“La mancata alleanza tra centrosinistra e M5S letteralmente regala la vittoria agli avversari e quindi al candidato della coalizione di centrodestra Francesco Rocca – prosegue Spaini – Senza un’alleanza nell’area di centrosinistra, la coalizione di centrodestra vincerebbe con qualsiasi altro candidato o candidata”.
Se il prescelto ex presidente della Croce Rossa sembra dunque destinato a diventare il prossimo presidente della Regione Lazio, dovrà comunque puntare su una campagna elettorale senza imperfezioni.
Lo stesso dovranno fare i partiti che lo sostengono e in particolare Fratelli d’Italia, anche per dimostrare che la scelta del civico è stata quella giusta. Perché il 42,6% dei consensi rimane un risultato tutto da conquistare e non dà quell’ampio margine di sicurezza che, sempre in base a una rilevazione di Izi pubblicata su questo giornale, avrebbe assicurato il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, dato al 50%.
Dall’altra parte della barricata, se il tentativo del presidente dei pentastellati Giuseppe Conte era quello di rosicchiare voti al Pd così come già accaduto alle elezioni politiche, in questo caso la strategia non funziona. Arrivando terza, infatti, Bianchi non entrerebbe nemmeno in consiglio regionale se non presentandosi anche da capolista. In ogni caso una debacle. Che però permette al M5s di rimanere fedele al suo programma ambientalista e di accreditarsi presso il partito Verde europeo in vista delle prossime elezioni che si terranno nel 2024.
Tornando al sondaggio, che è stato realizzato intervistando 1.012 persone tra il 27 e il 28 dicembre e che dunque precede la campagna elettorale, non voterebbe il 30,3% degli elettori. Un dato che se confermato, sarebbe in controtendenza rispetto alle ultime comunali dove a non esprimersi è stato il 60% degli aventi diritto e più in linea con le elezioni del 25 settembre (36,6% di astenuti nel Lazio).
A quali partiti finirebbe il malloppo di voti? In primis a Fratelli d’Italia che ottiene il 32,4% e cresce di un punto rispetto alle politiche. Calano invece Lega e Forza Italia: erano rispettivamente al 6 e 6,8% mentre secondo Izi alle regionali del 12 e 13 febbraio si fermeranno al 4 e al 5,7%.
Stabile il Pd con il 18,1 mentre il M5s sale di un paio di punti: dal 14,8 ottenuto alle politiche al 16,5% rilevato dal sondaggio.
Veniamo alle coalizioni: i pentastellati potranno contare anche su una lista civica data al 2,8% raggiungendo così il 17,6. Il centrosinistra (Pd, Terzo Polo, Europa Verde, +Europa, Sinistra civica ecologista, Demos e le liste civiche) sale a quota 33,9% mentre il centrodestra si attesta sul 42,7%.
(da agenzie)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
STESSI LIMITI REGISTRATI A GENNAIO 2020, NESSUNO SEMBRA AVER IMPARATO LA LEZIONE
Anche gli Stati Uniti e il Giappone, come l’Italia, hanno stabilito controlli
per chi arriva dalla Cina, ma con tempi e modalità diverse da quelle introdotte prima dalla Regione Lombardia e poi dal ministro della salute Orazio Schillaci.
I due paesi si sono infatti preoccupati di organizzare lo screening, prima di imporlo: il Giappone, come già anticipato, si è dato qualche giorno per predisporre l’esecuzione dei tamponi a chi arriva dalla Cina; i Centri per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (CDC) del governo statunitense hanno annunciato che sarà richiesta l’attestazione di un tampone eseguito prima della partenza, non solo dalla Cina continentale, ma anche da Hong Kong e Macao, ma a partire dal 5 gennaio.
In Italia, invece, la decisione lombarda è stata comunicata il giorno di Natale, con decorrenza “immediata”, dettaglio che fa pensare a una volontà di frenare i contagi, più che di monitorare le varianti. Ma soprattutto, come era possibile pensare di far attuare immediatamente una direttiva calata dall’alto in una giornata di festa?
Provvedimenti pasticciati e contraddittori
A parte la perplessità che suscita tanta attenzione a qualcosa che fino all’altro ieri si sosteneva essere non più di un raffreddore, sorprende soprattutto l’impreparazione che ancora questa vicenda dimostra, dopo tre anni esatti dalla comparsa del coronavirus SARS-CoV-2 in Cina. Negli scorsi mesi non si è fatto che parlare delle lezioni apprese durante la pandemia, anche in vista di una futura emergenza: ecco, l’episodio di questi giorni non rassicura affatto rispetto a quelle che sono emerse come priorità davanti a una crisi di questo tipo.
Prima di tutto la necessità di una risposta coordinata. Negli Stati Uniti la scelta del provvedimento è venuta dai CDC federali, non a livello locale. Qui invece la decisione presa inizialmente da regione Lombardia per l’aeroporto di Malpensa, è stata estesa poi a Fiumicino e solo alla fine a tutta Italia, lasciando intendere che il suo scopo non sia quello di individuare eventuali varianti, quanto di bloccare (come si pensava di fare nel 2020) l’arrivo del virus.
Non c’è ancora un piano
Ancora una volta, non è chiaro chi debba decidere cosa, e perché non sia stato predisposto un piano a livello nazionale, o meglio, europeo. Così a Malpensa le cose sono andate meno lisce di quanto Guido Bertolaso abbia raccontato in conferenza stampa. La lettera del direttore generale del Welfare di Regione Lombardia Giovanni Pavesi all’ATS Insubria, da cui dipende l’aeroporto di Malpensa, è infatti datata, come si è detto, al 25 dicembre, giorno di Natale, per cui è comprensibile che non tutti lo abbiano recepito immediatamente, come richiesto.
La nuova norma è stata poi inoltrata solo alle compagnie con voli diretti dalla Cina, sebbene la responsabile della sanità aerea sottolinei nella sua mail che tale regola “è da intendersi relativa sia agli arrivi diretti che indiretti”. Poi la dottoressa è partita per le ferie, e dall’aeroporto, almeno fino al 28 dicembre, non si riusciva a contattarla. Le compagnie aeree avrebbero invece bisogno di capire come risalire al punto di partenza iniziale del viaggio dei propri passeggeri, imbarcati a Bruxelles, Zurigo o Dubai. Individuare questa “triangolazione”, si è già visto nel 2020, è tutt’altro che facile. In questi tre anni nessuno ha trovato una soluzione davvero efficace.
Il telefono senza fili della catena di comando
Inoltre, come sempre, c’è un problema di comunicazione, talmente plateale da lasciare il sospetto che in realtà non sia il destinatario a non capire cosa legge, ma chi scrive a non avere ben chiaro cosa vuole. Il messaggio di Pavesi infatti dice: “…confermo formalmente l’indicazione di sottoporre a tampone molecolare di screening per Covid-19 tutti i passeggeri/operatori provenienti dalla Cina presso lo Scalo aeroportuale di Malpensa. Il tampone verrà effettuato allo sbarco e il costo dello stesso sarà a carico del passeggero/operatore”.
Si riferisce a “tutti” i passeggeri e operatori, il che fa pensare che si tratti di una misura obbligatoria. Si usa però la parola “indicazione”, non “obbligo”: come deve essere intesa la raccomandazione? Nella mail della sanità aerea alla direzione dell’aeroporto si usano termini più forti, come di una “disposizione cogente”, che in effetti all’obbligo fa pensare.
Dalla regione però partono subito i chiarimenti: guai a usare la parola “obbligo”, che richiama le scelte dei governi precedenti. Immediatamente quindi viene corretto il messaggio che in testa al sito di Malpensa avvisa i viaggiatori, modificandolo in modo che l’esecuzione del tampone non sia più “richiesta”, ma “consigliata”.
Antigenici o molecolari?
Nessuno invece sembra accorgersi che nello stesso avviso c’è un’altra incongruenza: si parla infatti di “tamponi antigenici molecolari” mentre, ormai lo sappiamo tutti, i tamponi sono gli stessi, ma i test sono o antigenici rapidi, oppure sono molecolari, tramite PCR. Non possono essere entrambe le cose. Manca una “o” o forse una “e”, per lo screening immediato e una successiva sequenziazione? La Regione Lombardia parla esplicitamente di molecolari, mentre il ministro di antigenici. Negli aeroporti, intanto, aspettano chiarimenti.
Infine, la domanda fondamentale, che ci si dovrebbe porre sempre prima di mettere in atto una misura: qual è lo scopo che si vuole raggiungere? Se davvero è solo quello di individuare precocemente nuove varianti, come ha dichiarato Bertolaso, questi controlli, anche se non obbligatori e non condotti a tappeto, possono avere un significato.
Ma non li si faccia passare come un modo per bloccare l’ingresso di virus dalla Cina (impresa impossibile) o per impedire agli italiani di rivivere i primi mesi del 2020: stavolta le circostanze in Italia sono davvero diverse, perché la nostra popolazione è vaccinata e/o è venuta una o più volte a contatto con quello stesso virus che i decisori di oggi fino a ieri sottovalutavano. La prospettiva di ritrovarci a quel punto, esclusa fino a ieri dagli stessi che oggi temono il pericolo cinese, potrebbe riaprirsi solo con un nuovo virus. Se invece dovesse davvero emergere una variante capace di aggirare queste difese (cosa che peraltro potrebbe capitare ovunque, non solo in Cina), pensare di fermarla con questi controlli negli aeroporti italiani, con la libera circolazione nel resto di Europa, sarebbe come provare ad arginare con una rete la forza del mare.
Le varianti non sono solo cinesi
Se il tasso di positività riscontrato sui due voli passati al setaccio il 26 dicembre a Malpensa rispecchia la situazione generale, sono migliaia i positivi arrivati in tutta Europa dalla Cina nelle scorse settimane. Molti di loro, val la pena ricordare, non avranno i tratti tipici della popolazione asiatica: saranno manager, studenti, giornalisti europei rientrati per le vacanze di Natale. Se vogliamo cercare nuove varianti, bene, ma evitiamo la caccia al cinese o il boicottaggio dei ristoranti orientali che nel 2020 ci ha fatto sfuggire i primi, italianissimi, casi.
Infine, l’ultima nota stonata della conferenza stampa dell’assessore al welfare della Lombardia. Allo stato attuale delle cose è davvero difficile pensare che la Cina sia nella top ten delle destinazioni per le vacanze invernali. È sembrato quindi decisamente fuori luogo l’appello di Bertolaso a evitare i viaggi verso quel paese, vantando i vantaggi di restare in Italia. Chi parte, è probabile che abbia forti ragioni per farlo proprio adesso. Se si tratta di un’iniziativa di sanità pubblica, non dovrebbe essere presentata come uno spot per il turismo di casa nostra.
(da La Repubblica)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO RUSSO AVEVA DEFINITO “TERRORISTICI” GLI ATTACCHI DI “MAD VLAD” IN UCRAINA E DOPO QUALCHE MESE È VOLATO GIÙ DALLA FINESTRA DEL SUO ALBERGO IN INDIA… DURANTE IL VIAGGIO ANCHE UN SUO AMICO È MORTO INSPIEGABILMENTE
Il volo: in comune con tante storie più o meno eccellenti di prominenti cittadini russi che hanno osato anche timidamente criticare lo zar Vladimir Putin c’è l’ultimo misterioso atto (forse coatto) della loro vita, il volo dalla finestra. Ora è entrato nella lista anche Pavel «Pasha» Antov, ricchissimo deputato di Vladimir (città a 200 km da Mosca) che militava nel partito dello zar omonimo, Russia Unita.
La scorsa estate aveva pubblicamente definito «terroristici» gli attacchi sull’Ucraina, salvo poi fare marcia indietro sui ceci e dichiarare fiducia assoluta nel signore di Mosca. Assoluta e forse tardiva: il corpo senza vita di Antov è stato rinvenuto il giorno di Natale a migliaia di chilometri da casa, sotto la finestra della stanza che occupava al terzo piano di un albergo di Rayagada nello Stato di Orissa, in India.
Psichiatra di formazione con studi a San Pietroburgo, era diventato ricco (nel 2019 la rivista Forbes gli attribuiva un patrimonio di 180 milioni di euro) nella Russia post-sovietica, prima cimentandosi con un banco dei pegni e poi nel campo delle carni e dei salumi. Gioviale e iperattivo, amava molto viaggiare e si trovava in India con quattro amici per celebrare il suo 65esimo compleanno. Poche, rarefatte notizie sono arrivate dall’Orissa, Stato di 43 milioni di abitanti affacciato sul Golfo del Bengala.
La guida che accompagnava i russi avrebbe scoperto Antov a terra in una pozza di sangue, sotto la sua finestra. Due giorni prima, il gruppo aveva già perso Vladimir Budanov, amico (non si sa quanto stretto) di Antov, ritrovato morto nella sua stanza d’albergo.
Secondo gli inquirenti indiani citati dal canale Ndtv, l’industriale di Vladimir potrebbe essersi gettato nel vuoto perché sconvolto dalla scomparsa dell’amico.
Insieme stavano progettando anche un grande allevamento di polli ma il destino (o il Cremlino?) ci avrebbe messo lo zampino, interrompendo il sodalizio di affari e affetti. L’ambasciata russa in India ha subito fatto sapere che la polizia indiana non ha riscontrato elementi sospetti nella morte dei due concittadini: un malore fatale e un suicidio.
L’amicizia è una questione molto seria, e i casi della vita infiniti. Eppure il gioco barbaro delle coincidenze e delle vendette richiama alla memoria i precedenti voli di russi non perfettamente allineati con il capo supremo. A settembre era caduto dal sesto piano di un ospedale di Mosca il presidente del Consiglio di amministrazione di Lukoil, gigante petrolifero: Ravil Maganov aveva 67 anni e nei giorni della sua scomparsa Mash , sito con buone fonti nelle forze dell’ordine russe, aveva sostenuto che il manager fosse in cura per problemi di cuore e che gli fosse stata diagnosticata una forma di depressione.
L’agenzia statale Tass aveva parlato di infarto, spiegando che Maganov avrebbe assunto anti-depressivi. Non sufficienti a impedirgli di gettarsi dalla finestra.
Depressione interiore o pressioni dall’alto (o alle spalle)? Lo scorso marzo il board di Lukoil aveva chiesto «la rapida fine del conflitto armato in Ucraina». A finire rapidamente non è stata la guerra ma la vita di Maganov. La sua storia si è aggiunta a una serie di suicidi e incidenti più o meno oscuri, iniziati già prima dell’invasione di febbraio e poi via via più frequenti. Da Leonid Schulman a Sergey Protasenya, personaggio importante nel settore del gas, trovato morto con la moglie e la figlia in un resort in Spagna.
L’arma del delitto: un’ascia. Il volo dalla finestra è una modalità più complicata e meno credibile di inscenare una strage in famiglia. Più chiara, si fa per dire, è stata la scomparsa di Dan Rapoport, lettone che aveva fatto fortuna in Russia prima di diventare un puntuale critico di Putin: la notte della vigilia di Ferragosto è precipitato da un palazzo di Washington con un cappello in testa, le infradito arancioni e in tasca 2.620 dollari. Il re dei salumi di Vladimir ha seguito una traiettoria simile, volando giù da una finestra nella lontana città indiana di Rayagada, disperato per la morte improvvisa del suo compagno di viaggio. È il destino (o il Cremlino?) che ci ha messo lo zampino.
(da Corriere della Sera)
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Dicembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
IN PARTICOLARE IL 60% DEGLI ELETTORI DI ITALIA VIVA PREFERISCONO IL CENTRODESTRA, SOLO IL 6% IL CENTROSINISTRA… TRA QUELLI DI AZIONE IL 49% VUOLE IL CENTROSINISTRA, SOLO IL 21% IL CENTRODESTRA
Un elettore sul tre, nel Terzo polo, vorrebbe che alle prossime elezioni lo
chieramento di Matteo Renzi e di Carlo Calenda si unisse al centrodestra di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega.
A rivelarlo è un sondaggio svolto da Analisi politica per Libero.
In particolare, per quel che riguarda il futuro delle alleanze, la domanda posta è: “Se il prossimo anno si dovesse andare a votare di nuovo e si dovesse per forza fare una scelta di campo, lei vorrebbe che il Terzo polo si alleasse con…”.
Le risposte, nel complesso, danno una preferenza lieve per il centrodestra: il 33% di chi ha risposto vorrebbe il centrosinistra di Partito democratico, Movimento 5 stelle e Sinistra italiana/Verdi, il 36% sceglierebbe il centrodestra, mentre il restante 31% non sa o non voterebbe.
Se si guarda alla divisione per partiti, però, si nota che il Terzo polo non ha un elettorato del tutto omogeneo.
Tra chi si dice sostenitore di Azione, la maggior parte delle preferenze vanno al centrosinistra: quasi la metà lo sceglierebbe (il 49%), rispetto al 21% che vorrebbe come alleato il centrodestra e al 30% che non voterebbe o non saprebbe scegliere.
Se si considerano, invece, solo gli elettori dichiarati di Matteo Renzi e Italia viva, il confronto è schiacciante: solo l’8% vorrebbe un’alleanza con il centrosinistra, mentre il 60% degli interpellati sceglierebbe il centrodestra di Meloni, Salvini e Berlusconi.
Sia Matteo Renzi che Carlo Calenda hanno avuto un passato nel centrosinistra, in particolare nel Partito democratico, ma alle ultime elezioni solo Calenda aveva impostato un’alleanza con il Pd, prima di rinunciare e scegliere Italia viva, portando così alla nascita del Terzo polo.
Il sondaggio di Analisi politica continua, chiedendo agli elettori cosa vorrebbero per il futuro del governo Meloni. In questo caso, la scelta è tra tre opzioni: che l’esecutivo “cada il prima possibile, in ogni caso”, che “governi il più possibile, in ogni caso”, oppure che “governi il più possibile, ma con alcuni contributi esterni del Terzo polo”.
La scelta degli elettori del Terzo polo è decisamente per la stabilità: tolto il 27% vorrebbe che il governo Meloni cadesse il più possibile, e il 10% che non sa rispondere, il restante 63% (quasi due su tre) vorrebbe vedere il governo restare in carica il più possibile.
Per quanto riguarda i ‘contributi esterni’ di Azione e Italia viva, in media il 31% vorrebbe che non ci fossero, mentre il 32% desidererebbe una partecipazione alle politiche del governo. Anche in questo caso, c’è una differenza tra gli elettori del partito di Calenda e quello di Renzi.
Tra chi sceglie Azione, infatti, il 38% vorrebbe una partecipazione esterna del Terzo polo al governo. Ovvero, preferirebbe che il governo Meloni durasse il più possibile, ma con un contributo dei parlamentari eletti da Italia viva e azione. Gli elettori di Azione che dichiarano di volere che il governo Meloni duri “il più possibile, in ogni caso” sono il 25%.
Per chi sostiene il partito di Matteo Renzi, i numeri si invertono: il 22% vorrebbe che l’esecutivo in carica “governasse il più possibile, ma con alcuni contributi esterni del Terzo polo”, mentre ben il 41% non vuole che Azione e Italia viva contribuiscano al governo, ma neanche vogliono che l’esecutivo cada e si torni a nuove consultazioni, ed eventualmente a elezioni.
(da Fanpage)
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