Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
LA VOCE CHE SI SIA FATTO CATTURARE PER FARSI CURARE IL TUMORE…LA PROCURA DI PALERMO POTREBBE AVER RICEVUTO UN SMS DALLA CLINICA DOVE MESSINA DENARO ERA IN CURA IN CUI IL BOSS CHIEDEVA: “ACCORRETE. HO BISOGNO DI VOI”… L’INQUIETANTE INTERVISTA DI BAIARDO A NOVEMBRE: «È MALATO, TRATTATIVA STATO-MAFIA PER ARRESTARLO»
Matteo Messina Denaro è stato arrestato dopo 30 anni di latitanza. Un epilogo che pochi mesi fa era stato anticipato da Salvatore Baiardo, il gelataio piemontese, oggi 65enne, che per anni ha coperto la latitanza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.
Salvatore Baiardo aveva parlato di Matteo Messina Denaro lo scorso novembre, intervistato nel corso della trasmissione “Non è l’arena” su La7. «Chissà che al nuovo governo non arrivi un regalino… che un Matteo Messina Denaro, che presumiamo sia molto malato, faccia una trattativa lui stesso di consegnarsi per un arresto clamoroso? Così arrestando lui, possa uscire qualcuno che ha ergastolo ostativo senza che si faccia troppo clamore?», aveva detto. «Tutto potrebbe già essere programmato da tempo», ha aggiunto Baiardo.
“Mi auguro di essere il ministro che arresterà Messina Denaro” aveva detto Piantedosi lunedì scorso ad Agrigento dove era andato insieme al capo della Polizia Lamberto Giannini per un vertice sull’immigrazione. Piantedosi aveva parlato di Messina Denaro solo per rispondere ad una domanda dei giornalisti durante la conferenza stampa seguita al vertice. Sapeva qualcosa?
Un tumore che sembra essere l’unica cosa che lo ha messo al tappeto negli ultimi 30 anni dato che la caccia al boss mafioso è stata record, così come la sua latitanza. Messina Denaro ha infatti superati i 23 anni di fuga di Totò Riina mentre sembrano irraggiungibili i 38 di Bernardo Provenzano.
L’inchiesta è stata coordinata dalla Procura di Palermo, dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido, i quali potrebbero aver ricevuto l’sms dalla clinica privata dove era sottoposto a terapie, sotto gli ordini di Messina Denaro.
Testo del messaggio: accorrete che ho bisogno di voi.
Gli accertamenti oncologici sarebbero una farsa: Messina Denaro non aspettava altro che questo momento per farsi catturare e così liberarsi dal tumore con l’aiuto dello Stato.
(da agenzie)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
TUTTI I RISCHI PER I PAZIENTI
Gli errori commessi in vent’anni di politica sanitaria, sono oggi la causa di un fenomeno che, senza contromisure immediate, rischia di paralizzare il servizio sanitario nazionale: la mancanza di specialisti e la conseguente diffusione, senza regole, dei medici a gettone.
Gli ospedali per coprire i buchi di organico appaltano alle cooperative, che i medici invece li hanno perché ingaggiano neolaureati, pensionati, liberi professionisti e chi ha lasciato il servizio sanitario perché stremato e sottopagato.
I gettonisti sono pagati per i turni che svolgono: di solito 12 ore la notte, nei fine settimana e nei festivi.
Dataroom è in grado di quantificarne per la prima volta le dimensioni nelle principali Regioni del Nord Italia: solo nel 2022 i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna superano i 100 mila. Vediamo cosa nasconde questo numero e perché è stata superata la soglia d’allarme.
Dal Pronto soccorso alle Terapie Intensive
In Lombardia, secondo i dati forniti dalla Regione, i turni gestiti dalle cooperative sono oltre 45 mila, così ripartiti: 14.682 in Pronto soccorso; 9.960 coinvolgono gli anestesisti da fare entrare in sala operatoria e per le Terapie intensive; 20.515 in altre specialità tra cui Pediatria, Ginecologia-Ostetricia, Cardiologia, Psichiatria, Radiologia e Ortopedia. Il Fatebenefratelli di Milano con il suo Pronto soccorso di centro città ha appaltato 703 turni; il Ps di Lecco con i presidi di Merate e Bellano 4.674; quello di Varese con i presidi di Tradate, Cittiglio, Luino e Angera 1.800 e quello della Valtellina con i presidi di Sondrio, Sondalo, Chiavenna e Morbegno 1.080. In Veneto mancano 124 medici per i Ps, 75 anestesisti, 28 ginecologi e 20 pediatri: la conseguenza si traduce (sempre secondo i dati forniti dalla Regione) in 42.061 turni appaltati di cui 15.490 in accettazione e Pronto soccorso, 9.990 per gli anestesisti delle sale operatorie e per le Terapie intensive, 3.729 in Ostetricia e Ginecologia e 2.604 in Pediatria. In Piemonte i dati del 2022 riguardano solo il Pronto soccorso e sono 14.400. Il calcolo è della Società italiana di Medicina di Emergenza- Urgenza (Simeu), perché i numeri ufficiali della Regione sulle prestazioni esternalizzate al momento sono aggiornati al 2021 ed erano i seguenti: quasi 25 mila turni di cui il 31% in accettazione e Ps, 20% in Ginecologia e un altro 20% in Pediatria, 12% in Anestesia e Rianimazione e, complessivamente, il 17% tra Medicina interna, Ortopedia e Radiodiagnostica. Nella più virtuosa Emilia-Romagna il fenomeno è meno diffuso, ma comunque presente. Secondo i numeri forniti dall’assessore alla Sanità Raffaele Donini, 225 i turni appaltati al Ps di Ferrara negli scorsi mesi, mentre sono tuttora appaltati: 8 notti al mese al punto di Primo presidio di Santa Sofia (Forlì-Cesena); 60 turni mensili che da gennaio 2023 diventeranno 76 al Pronto soccorso di Carpi e Mirandola (Modena); 36 ai punti nascita di Mirandola; e dal 9 dicembre 30 turni mensili più 10 pronte disponibilità all’Ostetricia e Ginecologia di Carpi. Sempre a Carpi e Mirandola a gennaio è partito un nuovo appalto di un anno da 3,2 milioni per Pronto soccorso e Ginecologia.
Cosa dicono i dati
Da questa fotografia inedita emerge che alla carenza di medici per i turni d’emergenza in Pronto soccorso, in Ostetricia per i parti e in Pediatria per le urgenze dei bambini, si affianca una mancanza di medici che sta via via estendendosi anche alle altre specialità. È la riprova dei danni fatti negli anni dal blocco del turnover, dai continui tagli alla sanità e da una programmazione sbagliata sul numero di medici da formare. Ma non finisce qui. Tra gli ospedali in difficoltà per i buchi di organico spesso ci sono i più piccoli, scarsamente attrattivi per i medici e con pochi pazienti. Nel 2015 il decreto ministeriale 70 dal titolo «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera», voluto dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, prevedeva che i reparti che non hanno un’attività minima devono essere riconvertiti in ambulatori di prima assistenza o chiusi, anche e soprattutto per ragioni di sicurezza: quando si fanno pochi interventi manca l’assistenza in caso di complicazioni. In realtà quel provvedimento è rimasto in larga parte lettera morta (qui il Dataroom dell’aprile 2019).
I rischi per i pazienti
Il problema oggi è la scarsità di garanzia di qualità delle cure ai pazienti poiché la diffusione dell’utilizzo dei medici a gettone non segue nessuna regola. La competenza e la lucidità del turnista dipendono solo ed esclusivamente dal livello di serietà delle cooperative che li selezionano e che vincono appalti: spesso l’unico requisito richiesto è il «minor prezzo». Al di là delle capacità del singolo medico (ci sono turnisti impeccabili), la conferma del rischio di inadeguatezza del servizio offerto arriva da un’indagine dei Nas che, d’intesa con il ministero della Salute, dalla metà di novembre ai primi di dicembre ha svolto verifiche a campione su 1.525 medici delle cooperative. Risultato: sono stati trovati dottori arruolati come ostetrici senza nessuna formazione per fare i parti cesarei, altri in Ps senza avere competenze in Medicina d’Urgenza, oppure già dipendenti di altri ospedali che facevano di nascosto i doppi turni per la cooperativa, altri ancora sopra i 70 anni e dunque fuori per legge dal servizio sanitario. Otto i casi di frode nelle pubbliche forniture in cui «con dolo vengono consegnate cose diverse da quelle pattuite». E in assenza di regole è anche difficile eseguire controlli: com’è possibile, per esempio, scovare il medico che dopo avere smontato il turno di 12 ore in un ospedale, senza osservare le ore di riposo, va a lavorare in un altro per accumulare gettoni, ossia soldi? Allo stato delle cose non è individuabile, eppure nessun paziente vorrebbe farsi curare da un medico in servizio da 24-36 ore. Inoltre sappiamo, da testimonianze dirette, che tra i medici a gettone ci sono molti neolaureati in medicina senza nessuna esperienza che si trovano a eseguire diagnosi.
Stipendi a confronto
Un medico ospedaliero assunto da più di 15 anni guadagna 52 euro lordi all’ora, per 6 ore e 20 minuti al giorno da contratto (che però vengono sempre superate) per 267 giorni l’anno. Il calcolo tiene conto di un giorno di riposo settimanale, 36 di ferie e 10 di festività (qui il contratto). In totale il salario annuo lordo è poco più di 85 mila euro. Gli stessi soldi un medico a gettone li guadagna facendo 84 turni da 12 ore, poiché la paga oraria minima in Ps e in Anestesia è di 87 euro lordi. Certo, a suo carico il gettonista ha ferie e malattia, ma c’è chi arriva a cumulare anche 20 turni al mese con uno stipendio che cresce esponenzialmente.
Stipendi a confronto
Il governo non è ancora intervenuto per regolare il fenomeno, così le Regioni cercano soluzioni in proprio aumentando la paga oraria: da 60 a 100 euro ai medici ospedalieri disponibili a turni extra. Il Veneto lo fa dallo scorso maggio, il Piemonte e l’Emilia-Romagna con la legge di Bilancio dello scorso dicembre. Quest’ultima permette anche agli ospedali di contrattualizzare direttamente liberi professionisti in aggiunta ai dipendenti. Mentre da fine settembre la Lombardia promuove accordi tra ospedali pubblici dove chi ha medici disponibili li manda a fare turni extra dove c’è bisogno sempre a 100 euro l’ora. Attraverso questo incentivo le Regioni puntano a ridurre il ricorso alle cooperative, anche perché trattandosi di somministrazione di pura manodopera, si potrebbe configurare una violazione del Codice civile.
È evidente che queste soluzioni tampone non possono protrarsi nel tempo perché gravano su un personale sanitario già sfiancato da oltre due anni di epidemia e dal recupero di qualche milione di visite ambulatoriali. Il tema è sempre lo stesso: una programmazione sanitaria in grado di formare i medici di cui c’è bisogno e poi pagarli il dovuto per non farli scappare. Ebbene, ancora una volta dalla legge di Bilancio non arriveranno investimenti. Paradossalmente si è discusso di più dell’abbattimento dei cinghiali.
Milena Gabanelli, Simona Ravizza e Giovanni Viafora
(da il Corriere della Sera)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
DALLA GALERA PER SPACCIO PER NON FARE IL BAGNINO AL PALAZZO
Spacciava eroina, in quei tempi ormai lontani, perché non voleva più fare il bagnino se non da miliardario, come nel vecchio film di Elvis Presley che amava e che per lui, nato nel 1965, era già un cult.
Ma il giovane Francesco Rocca disprezzava i drogati: “conigli da erba” e “zecche da siringa”.
A Ostia, in piazza Bettica, le infilzavano ancora rosse di sangue sulla corteccia dei pini, ma la sua estetica lo portava alle botte con i comunisti e al tifo per la Lazio, che era già un mondo di covi, e “dieci, cento, mille Paparelli” era l’estremo oltraggio romanista a Vincenzo Paparelli, tifoso della Lazio ucciso allo stadio nel 1979 da un razzo romanista che gli si conficcò nell’occhio.
Una volta, dopo il derby, fermarono Rocca in via Del Corso e, spavaldo com’era, reagì male quando gli agenti lo presero in giro per l’omonimia con Francesco Rocca, “Kawasaki”, il terzino della Roma.
Perciò lo perquisirono e nel portafogli gli trovarono piegati in quattro i volantini del Fronte della Gioventù: “E questi cosa sono, perché ce li hai?”, chiesero minacciando di portarlo in questura. E lui: “Mi dichiaro prigioniero politico”.
Quando lo arrestarono, cambiò il suo rapporto col tempo che più passa e più leviga il ricordo come l’onda di risacca sui ciotoli di Ostia. Rocca ora dice che noi giornalisti lo inchiodiamo alla macchina del fango, ma è lui che non riesce a non parlarne, nelle interviste, nei convegni, dovunque: “Per fatto personale” comincia. La condanna definitiva è dell’87, tre anni e due mesi: i primi sei li passò a Rebibbia, nella cella di fronte c’era Ali Agca. Poi lo mandarono ai domiciliari perché collaborava: Clement Chukwrak e Patrick Okafor erano gli studenti nigeriani che fornivano la droga e Okafor aveva un rapporto speciale con un funzionario dell’ambasciata. Rocca si legò a uno spacciatore che si chiamava Alessandro Vettese e divenne il “ponte” fra i nigeriani e Ostia, già allora divisa in famiglie.
Con il pentimento comincia l’epopea della resurrezione, da carcerato a candidato. C’era già Fabio Rampelli che lo riportò dentro il Fronte della gioventù che lo aveva espulso, e c’è la laurea in Giurisprudenza, tesi con Delfino Siracusano, “Struttura e funzione dell’udienza preliminare”, voto 105. Esercita la professione nella Caritas e poi con l’avvocata Civita Di Russo difende i pentiti: lei quelli dei Casalesi, lui quelli del clan Santapaola a Siracusa. “Arrivai a difenderne quaranta e tra loro anche il figlio di un boss che accusava il padre”. Lo misero sotto scorta e per lui fu davvero il Sottosopra finale: i pentiti lo cercavano perché anche lui era un pentito.
Non viveva più a Ostia ma a Spinaceto dalla nonna paterna e lì conobbe la sua prima moglie, che abitava al piano di sotto. Ed è sempre rimasto a destra, ma è la destra contaminata: la Roma dei centurioni di Alemanno illuminata dalla Caritas di don Di Liegro, che era “il prete comunista”, “protettore dei carcerati”. Monsignor Luigi protesse pure lui, proprio perché era stato carcerato, un prete di sinistra che, a proposito di contaminazioni e coincidenze, somiglia al prete che si nutriva di latte e di ciliegie raccontato da Adalbert Stifter nel libro preferito da Heidegger: Cristallo di rocca (Marsilio).
“Per me don Luigi fu come un’ambulanza”, ha ricordato Francesco Rocca, che le sorelle Meloni hanno imposto come candidato del centrodestra al governo della Regione Lazio.
Rocca dice di essere ancora di destra “ma come erede del Risorgimento” e qui fa capolino la solita pataccheria storiografica di questa destra romana, quella della Polverini e dell’ex sindaco Alemanno che chiama Rocca “fratello”. Non siamo alla retorica della lupa e al Giulio Cesare di cartapesta ma siamo a Mazzini “l’apostolo sempre vestito di nero” che davvero Giovanni Gentile assimilò al fascismo – Dio, Patria, Nazione – e che Italo Balbo, “il maresciallo dell’aria” addirittura venerava, povero Pippo Mazzini, come guida ideale del “vivere risolutamente”.
Del resto anche Dante è stato “pataccato” a destra da Sangiuliano mentre Boccaccio è, ovviamente, in quota Berlusconi e alla Schlein rimangono solo le chiare fresche e dolci acque di Petrarca, radicalchic.
Ma è solo un momento, perché Rocca non è una macchietta, non è come quel dimenticato mezzo professore che le stesse sorelle Meloni candidarono a sindaco di Roma, quello del “rifamo er Colosseo”.
Rocca è una destra di governo, sperimentata dal 2008, quando portò la croce nera di Colle Oppio nella Croce Rossa, ancora oggi “la più amata dagli italiani”. Ha rifatto lo statuto, non più ente pubblico ma associazione privata, si vanta di averne ridotto i costi da 210 a 60 milioni l’anno, a destra dicono che è bravissimo, a sinistra pensano che non è riuscito a snaturare la Croce Rossa perché nessuno riuscirebbe a snaturare “il meraviglioso mondo dei 150 mila volontari italiani”.
Di sicuro in Croce Rossa, dove fu mandato da Gianni Letta e Gianfranco Fini come commissario straordinario ed è rimasto per 15 anni, in tanti adesso dicono di aver subito “il carattere bipolare del presidente”, dolente e allegro, autoritario ma generoso, tipico della sua Ostia dove “niente è come sembra”.
Già lì, davanti al circolo del tennis, da adolescente, Francesco era per tutti er gaggio, er lello che a Roma è il pischello e a Ostia è il ragazzaccio di casa spavaldo, in quella via dei Promontori che, come nella canzone di Battisti, era “il mondo tutto chiuso in una via”: in una laterale c’era la scuola, il liceo Anco Marzio, dove già insegnava Italiano il professor Luca Serianni, e due passi più in là il Fronte della Gioventù, giusto in faccia al centro sociale Spaziokamino.
E dove tutto finisce con un muro, c’erano le case okkupate, due palazzoni con tanti spazi vuoti per fumare, per drogarsi: “E del sole che trafigge i solai, che ne sai?”.
Dall’altra parte in via Mar Rosso, c’era la casa di papà Arnaldo, tecnico del Tg1, e della mamma maestra elementare, una bella famiglia con tre figli maschi, oltre Francesco c’è Alessandro, che da bagnino ha preso in concessione una spiaggia, è volontario della Croce Rossa e ai giornali racconta che Francesco ha tradito l’ideale fascista, non rispetta la memoria della madre, minaccia rivelazioni. E poi c’è Fernando che lavora in un albergo.
L’identità è il problema di ogni ostiense, il bisogno e lo sforzo di farsi accettare, la furia del marginale. Ostia rifiutò di essere Comune perché voleva restare Roma fuori Roma e a Ostia il Municipio è stato sciolto per mafia.
È il luogo dove Pasolini è stato ucciso da uno dei suoi ragazzi di vita, ed è una città abusiva per due terzi: il “sacco di Ostia” è stato un crimine contro l’umanità. Protagonista di film italiani (Amore tossico, Non essere cattivo) che, forse con troppa generosità la critica considera memorabili, divenne famosa anche per i morti di droga e per i centri sociali. Di sicuro a Ostia si impara a combattere.
E però in quegli anni i neri facevano a botte con gli operai di Casalbernocchi, si picchiavano coi bastoni e le bottiglie, si minacciavano con i coltelli, senza contare i pugni.
A Casalbernocchi i terroristi dei Nar nel 1981 uccisero il capitano dei carabinieri Francesco Straullu e il suo autista Ciriaco Di Roma: “Mercoledì 21 ottobre alle 8.50 abbiamo giustiziato i mercenari torturatori della Digos Straullu e Di Roma. La Giustizia Rivoluzionaria ha seguito il suo corso e ciò resti di monito per gli infami, gli aguzzini, i pennivendoli”. A Ostia nel 1985 fu arrestata Barbara Balzerani che reagì gridando: “Viva le Brigate rosse”.
Oggi Rocca dice che il suo ideale politico, la sua utopia sono le donne che dopo la sanguinosa, orrenda battaglia di Solferino e San Martino si misero a curare anche i nemici: tutti fratelli. Sarebbe nata da lì la Croce Rossa che, adesso che si è candidato, Rocca dovrebbe smettere di raccontare, di usare. Proprio in Croce Rossa gli rimproverano infatti di sfruttare il simbolo che cura e che protegge. Ed è vero, a giudicare dalle fotografie, anche se lui nega l’evidenza della spilletta sulla giacca.
E Rocca non è solo Croce Rossa. È un amministratore della Sanità romana, “quel gran giro de quatrini” che sono le cliniche degli Angelucci di cui, sino alla settimana scorsa, ha pure presieduto una fondazione.
Se chiedi di Rocca ti mandano dossier, ti raccontano storie a mezza bocca… Respingo le offerte, dico che non mi interessa. Ma Rocca ha amministrato e presieduto tutto: le Asl, l’Idi, la Confapi e pure l’ospedale sant’Andrea, dove lo mandò come commissario straordinario Francesco Storace quand’era presidente della Regione e dove conobbe la sua seconda moglie, la nutrizionista e oncologa Debora Rasio che sposò in Campidoglio.
E il celebrante fu proprio Fabio Rampelli, l’attuale vicepresidente della Camera, che pretendeva per sé la candidatura che Meloni ha invece assegnato a Rocca. Rampelli è rimasto disgustato perché fu maestro di entrambi, Giorgia e Rocca, quand’era il supercapo dei mitologici gabbiani di Colle Oppio.
Rampelli è un duro sì, ma è anche pensoso e acuto e dunque ora sostiene e incoraggia Rocca ma compatisce lei, e spiega che c’è il calcolo politico e ci sono le responsabilità etiche, che questo è l’eterno ritorno delle mani sporche, e Machiavelli nel romanesco di Colle Oppio significa che “bisogna essè stronzi in politica: la politica è fatta così”.
E dunque nel cinismo di Giorgia che tradisce il suo passato ci sono Brecht e Bucharin, Castro e Che Guevara, Mussolini e D’Annunzio e perciò “bisogna calmarsi” ha detto alla moglie Gloria Sabatini, una brava giornalista del Secolo d’Italia che, seguace invece della romanissima filosofia “Lillo, se te rode er culo, dillo”, contro la scelta di Giorgia aveva scritto su un tweet: “La facevo più intelligente”. L’ha cancellato, trasformando così uno sfogo nel primo manifesto politico della dissidenza: destra contro destra.
(da La Repubblica)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
PERCHE’ LO STATO HA POCO DA APPLAUDIRE
Anni fa intervistando, in un luogo segreto in Piemonte, il mafioso Vincenzo Calcara, che diceva di aver aveva avuto il compito da Matteo Messina Denaro di uccidere Paolo Borsellino, nel 1991, di là della sua “confidenza”, mi colpì il fatto che Messina Denaro – a sua detta – era tranquillamente in giro in provincia di Trapani e a Palermo. Mi stupì questa dichiarazione perché mi fece pensare al puzzo del compromesso di cui parlava Borsellino.
In queste ore non mancano le dichiarazioni di trionfo degli uomini che governano ora lo Stato ma mi chiedo: perché ora l’hanno preso?
Matteo Messina Denaro, figlio di Francesco Messina Denaro, fratello di Patrizia Messina Denaro e zio di Francesco Guttadauro. Insieme al padre, Messina Denaro ha svolto l’attività di fattore presso le tenute agricole della famiglia D’Alì Staiti, già proprietari della Banca Sicula di Trapani, all’epoca il più importante istituto bancario privato siciliano, e delle saline di Trapani. Non aveva studi alle spalle, non era uno stratega dell’economia, era un manovale della vera mafia, dei colletti bianchi.
La prosopopea di questi giorni mi fa storcere il naso: lo Stato che vince sulla mafia è lo stesso Stato che non permette di raggiungere la verità sulle stragi del 1992?
E’ lo Stato che non svolgerà controlli di eventuali candidabili per le regionali nel Lazio e nella Lombardia, perché la commissione antimafia del Parlamento non è sta ancora costituita.
Oggi ci ritroveremo le parole di ringraziamento allo Stato anche di Marcello Dell’Utri & Company? Ma davvero pensiamo che con l’arresto di Matteo Messina Denaro la mafia sia finita?
Vi posso garantire che in paesi piccolissimi della provincia di Cremona si celano capi clan della ‘ndrangheta che stanno lavorando con il silenzio complice di amministratori e società civile che per paura o omertà non denuncia ma convive.
Matteo Messina Denaro non è uno. Sono tanti. E sono tanti che permettono latitanze. C’è poco da applaudire, oggi.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE UNIVERSITARIO AWAD AL-QARNI È STATO CONDANNATO A MORTE PER AVER CONDIVISO SUI SOCIAL NOTIZIE “OSTILI” AL REGIME DI BIN SALMAN
Un professore di diritto sostenitore delle riforme in Arabia Saudita è stato condannato a morte per una serie di presunti reati, tra cui l’uso di WhatsApp e Twitter per condividere notizie considerate «ostili» al regno. I dettagli delle accuse rivolte al 65enne Awad Al-Qarni sono stati rivelati al quotidiano britannico Guardian dal figlio Nasser, che l’anno scorso è fuggito dal Paese e vive nel Regno Unito, dove ha chiesto asilo. L’arresto del professore, nel settembre 2017, ha segnato l’inizio di un giro di vite contro il dissenso condotto dal principe ereditario Mohammed bin Salman.
Tra le accuse contro Al-Qarni c’è «l’ammissione del professore di diritto di aver utilizzato un account di social media a suo nome (@awadalqarni) e di averlo utilizzato per esprimere le sue opinioni».
L’anno scorso, Salma al-Shehab, dottoranda di Leeds e madre di due figli, ha subito una condanna a 34 anni per un account Twitter e per aver seguito e ritwittato dissidenti e attivisti. Noura al-Qahtani è stata condannata a 45 anni di carcere con gli stessi motivi. Il governo ha però di recente aumentato la sua partecipazione finanziaria nelle piattaforme di social media statunitensi, tra cui Twitter e Facebook.
Il principe Alwaleed bin Talal, un imprenditore saudita, è il secondo più grande investitore in Twitter dopo l’acquisizione della piattaforma di social media da parte di Elon Musk. Lui è stato detenuto per 83 giorni per una cosiddetta «epurazione anti-corruzione» nel 2017: il principe Alwaleed ha detto di essere stato rilasciato dopo aver raggiunto una «intesa» con il regno, «confidenziale e segreta»
(da La Stampa)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
ALLE AUTORITA’ DI OSLO HA DETTO DI ESSERE PRONTO A RACCONTARE TUTTO CIÒ CHE SA SULLE ATTIVITÀ DEI MERCENARI E SUL SUO LEADER YEVGENY PRIGOZHIN
L’ex comandante di plotone del gruppo paramilitare Wagner Andriy Medvedev ha attraversato illegalmente il confine russo-norvegese e ha presentato domanda di asilo a Oslo: in un’intervista ha affermato di essere pronto a raccontare tutto ciò che sa sulle attività dei mercenari di Wagner, e anche sul suo leader Yevgeny Prigozhin.
Ne ha parlato con il progetto russo sui diritti umani “Gulagu.net”, i media ucraini hanno rilanciato l’intervista. Medvedev avrebbe attraversato la frontiera il 12 gennaio, vicino alla città mineraria russa di Nickel, nella regione di Murmansk.
Le guardie di frontiera russe lo hanno notato e hanno aperto il fuoco, ma l’hanno mancato, ha raccontato. Arrivato in territorio norvegese, l’ex mercenario si è rivolto alle forze dell’ordine locali chiedendo asilo politico. Attualmente si trova a Oslo, dove è stato collocato in un centro per trasgressori della legislazione sull’immigrazione. Medvedev è entrato nel gruppo di Wagner lo scorso luglio.
Dopo la fine del contratto di 4 mesi, è stato costretto a prolungare il suo servizio. Quindi ha lasciato arbitrariamente la sua unità ed è tornato in Russia. Poi ha contattato gli attivisti per i diritti umani affermando che la gente di Prigozhin sta cercando di catturarlo. A dicembre, Medvedev ha rilasciato un’intervista ai giornalisti di The Insider, in cui ha parlato delle esecuzioni e delle perdite del reggimento.
(da agenzie)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
MUORE A 95 ANNI LA STAR DEL CINEMA ITALIANO
Se ne va una grande attrice italiana: a 95 anni muore Gina Lollobrigida. Era nata a Subiaco il 4 luglio del 1927.
Protagonista di film indimenticabili, da Pane, amore e fantasia a La donna più bella del mondo, a settembre era stata operata per la frattura di un femore. Già quattro anni la Bersagliera, come affettuosamente era chiamata dai suoi fan, la Lollo era finita in ospedale proprio per un incidente domestico.
L’incidente al femore è avvenuto a due settimane della tornata elettorale del 25 settembre in cui l’attrice era candidata per la lista “Italia sovrana e popolare”, che riunisce Partito comunista, Patria socialista, Azione civile, Ancora Italia e Riconquistare l’Italia.
I successi al cinema
Nella sua lunga carriera di attrice, ha portato a casa sette David di Donatello. Protagonista del nuovo cinema italiano del neorealismo, ha lavorato con i più grandi registi da Pietro Germi (La citta’ si difende) a Carlo Lizzani (Achtung banditi). Il primo successo personale è fuori dai confini: il francese Fanfan la Tulipe con Gerard Philipe nel 1952. Recita per Rene Clair, Alessandro Blasetti, Mario Monicelli e Steno, Mario Soldati. A consacrarla è Pane amore e fantasia di Luigi Comencini (1953), seguito da un fortunato sequel sempre in coppia con Vittorio De Sica.
Le vicende giudiziarie
Negli ultimi anni si era dedicata soprattutto all’arte e alla fotografia, oltreché alla passione politica. I suoi ultimi anni sono stati però segnati anche da vicende giudiziarie. Dal 2021 la diva aveva un amministratore di sostegno nominato dal Tribunale per tutelare il suo patrimonio, così come richiesto nell’azione legale dal figlio Andrea Milko Skofic.
Al centro dell’attività di indagine è l’ex manager dell’attrice, Andrea Piazzolla, rinviato a giudizio con l’accusa di circonvenzione di incapace. Con lui è finito a processo anche Antonio Salvi, che avrebbe svolto il ruolo di intermediario con una casa d’aste per la vendita di circa 350 beni di proprietà dell’attrice.
(da agenzie)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
LA LEGGENDA DELL’ULTIMO BOSS DELLA MAFIA SICILIANA, LATITANTE PER 30 ANNI
Non era all’estero né tantomeno in un bunker, il presunto numero 1 di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro bloccato oggi, a 61 anni e latitante da trent’anni, cioè dall’epoca degli attentati dinamitardi della stagione 1992-93.
Sebbene secondo molti investigatori da anni non avesse più il ruolo di capo dei capi che per alcuni anni gli era stato accreditato, l’arresto di Messina Denaro è fortemente simbolico: rappresenta la chiusura definitiva della stagione iniziata negli anni ’90 con l’uccisione di Falcone e Borsellino e l’attacco alla vita istituzionale e politica del Paese.
Tanti i nomi di copertura: Diabolik, U siccu (il secco) o Alessio, quello con cui firmava i pizzini ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano. Matteo Messina Denaro è ritenuto responsabile di un numero indefinito, ma certamente alto, di omicidi, oltre ad essere uno degli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia (l’obiettivo era costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni fatte sulla strage di Capaci). Nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani, figlio del capo mandamento della zona e suo erede alla guida della cosca locale.
Dalla provincia di Trapani, però, Matteo avrebbe scalato posizioni fino a divenire il principale referente della Sicilia. Prima fedelissimo di Totò Riina, quindi di Bernardo Provenzano, infine col ruolo di erede di entrambi e unica figura simbolica della mafia di allora.
Dopo aver partecipato alla preparazione degli attentati del 92-93 diventa latitante dopo una vacanza a Forte dei Marmi passata con i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Tra i reati che gli sono accreditati associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori.
Da allora, Messina Denaro è rimasto irreperibile fino ad oggi, alimentando la leggenda di un boss temutissimo che, secondo alcune ricostruzioni, si era sottoposto ad interventi chirurgici al viso e ai polpastrelli pur di scomparire nel nulla. A giudicare però dalle prime immagini diffuse dai Carabinieri del Ros, che hanno messo a segno la cattura, Messina Denaro è molto simile alla sua foto segnaletica. Eppure è riuscito a ricoverarsi in una clinica nel cuore di Palermo.
(da Open)
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Gennaio 16th, 2023 Riccardo Fucile
IL BOSS DI CASTELVETRANO SI TROVAVA IN UNA CLINICA PRIVATA DI PALERMO
L’agenzia di stampa Ansa annuncia che è stato arrestato Matteo Messina Denaro. Si trovava nella clinica Maddalena di Palermo. Secondo le prime informazioni era in regime di day hospital.
Il generale di divisione Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros, dice all’agenzia di stampa Agi che «oggi 16 gennaio 2023 i Carabinieri del Ros, del Gis e dei comandi territoriali della Regione Sicilia nell’ambito delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palermo hanno tratto in arresto il latitante Matteo Messina Denaro all’interno di una struttura sanitaria a Palermo dove si era recato per sottoporsi a terapie cliniche».
I Ros dicono che Matteo Messina Denaro non ha opposto resistenza all’arresto. Si trovava in cura nella clinica da oltre un anno. I carabinieri hanno inviato la foto dell’arresto. Messina Denaro, è stato portato nella caserma dei carabinieri San Lorenzo in via Perpignano. Quindi, è stato trasferito all’aeroporto di Boccadifalco dove sarà portato in una struttura carceraria di massima sicurezza, come si era già fatto per Totò Riina, arrestato il 15 gennaio di 30 anni fa. L’agenzia di stampa AdnKronos scrive che Messina Denaro si era presentato in clinica con il nome di Andrea Bonafede.
Il boss di Cosa Nostra era latitante dal 1993. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano (Tp) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Messina Denaro era l’ultimo boss mafioso di «prima grandezza» ancora ricercato.
Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernardo Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni. L’arresto di Matteo Messina Denaro è avvenuto a 30 anni esatti da quello di Riina, che fu preso il 15 gennaio del 1993, sempre a Palermo.
Quel giorno si era appena insediato a capo della Procura di Palermo Giancarlo Caselli, e la notizia arrivò proprio mentre il magistrato stava incontrando i giornalisti a Palazzo di giustizia per un saluto.
Le condanne
Il boss stragista, condannato per Capaci, via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Ha una figlia di venti anni. Oltre che per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito. Di lui si trovarono lettere a Bernardo Provenzano, nel covo di Montagna dei Cavalli: «Qui a Marsala (Trapani, ndr) stanno arrestando pure le sedie». Operato in Spagna all’inizio degli anni Duemila, gli investigatori erano riusciti a ricostruire quale fosse la clinica iberica e a prendere il Dna, in loro possesso e oggi potrebbe essere utilizzato come mezzo per riscontrarne l’identità. Decine gli omicidi per cui è stato condannato, fra questi Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo, che era incinta. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine, d tutte le forze di polizia.
Il momento dell’arresto
Erano tre giorni che i Carabinieri aspettavano l’ultima conferma per procedere all’arresto e i reparti d’assalto del Gis stavano già monitorando la struttura, finché, questa mattina è arrivato l’ok e l’occasione giusta per agire. Fermato all’interno della clinica La Maddalena, Messina Denaro ha inizialmente provato ad allontanarsi dai Carabinieri. Si trovava all’ingresso della struttura, dove stava entrando per sottoporsi ad una seduta di chemioterapia. La clinica è stata circondata da uomini dell’Arma a volto coperto e quando uno di loro gli si è avvicinato chiedendogli “Come ti chiami?” ha risposto: “Sono Matteo Messina Denaro”. Il latitante si recava spesso nella clinica, in regime di day ospital, in seguito all’intervento chirurgico subito un anno fa. Era registrato all’ingresso con il nome di Andrea Bonafede, che però non ha provato a ripetere agli uomini del Gis.
(da agenzie)
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