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LAVORO, CROLLANO I GIOVANI OCCUPATI: – 7,6% IN 10 ANNI

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

VA PEGGIO ALLE DONNE: UNA SU DUE HA UN CONTRATTO PRECARIO… MA AI SOVRANISTI NON FREGA UNA MAZZA

C’è una categoria che più di ogni altra sta pagando le crisi del mercato del lavoro: i giovani.
Nel decennio 2012-2022, gli occupati tra i 15 e i 34 anni d’età sono diminuiti del 7,6%, mentre quelli nella fascia 35-49 anni sono scesi del 14,8%.
Di riflesso, crescono i nuovi occupati tra i più anziani, con i 50-64enni che crescono del 40,8% e gli over-65 che segnano un +68,9%.
A dare una fotografia dell’evoluzione del mercato del lavoro nell’ultimo decennio è il sesto rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, presentato oggi.
Il quadro che emerge è piuttosto chiaro: la forza lavoro in Italia invecchia rapidamente e per i più giovani l’ingresso nel mondo del lavoro resta un passaggio tutt’altro che scontato.
«Si parla troppo poco di lavoro e quando si parla di lavoro, si parla di lavoro precario. Bisogna intervenire, come abbiamo chiesto a questo governo e a quello precedente, sul lavoro precario e povero», ha commentato Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, in occasione della presentazione del rapporto.
La precarietà è giovane e donna
Guardando ai trend più recenti, il rapporto Censis-Eudaimon sembra evidenziare una certa dinamicità del mercato del lavoro. In media, nei primi nove mesi del 2022, 8.500 italiani al giorno si sono dimessi dal proprio lavoro: il 30,1% in più rispetto al 2019, ultimo anno prima della pandemia.
Nello stesso periodo, sono 49.500 gli italiani che ogni giorno (in media) hanno iniziato un nuovo lavoro: il 6,2% in più rispetto al 2019.
A spiegare questo fenomeno potrebbe essere soprattutto un fattore: la precarietà. Più di un lavoratore su quattro, infatti, ha un contratto non standard (tempo determinato, part-time, collaborazioni). Una situazione che riguarda soprattutto le donne.
Il rapporto Censis, infatti, ha stimato che quasi la metà delle giovani lavoratrici (il 46,3%) ha un contratto non standard, mentre il 20,9% ha dovuto accettare un part-time involontario. Oltre che una questione di genere, la precarietà è anche un fenomeno generazionale. Nella fascia 15-34 anni, il 39,3% dei lavoratori dichiara di avere un contratto non standard.
Cambi lavoro chi può
Oltre ai dati su occupati e disoccupati, il rapporto di Censis ed Eudaimon offre qualche spunto anche sulla qualità del lavoro. E il quadro che emerge è piuttosto desolante: quasi la metà degli italiani (il 46,7%), se solo potesse, lascerebbe l’attuale occupazione.
Una percentuale che sale al 50,4% tra i giovani e al 58,6% tra gli operai. Circa due occupati su tre, infatti, dichiarano di lavorare solamente per ricavare i soldi necessari a vivere e fare le attività desiderate. Ma a cosa si deve questa disaffezione?
Secondo il rapporto Censis, ci sono tre ragioni fondamentali. La prima: la difficoltà di fare carriera, segnalata dal 65% degli occupati. La seconda: gli stipendi troppo bassi, soprattutto tra i più giovani (53%). Infine, ritorna il problema della precarietà. Il 46,2% degli occupati, infatti, vive con la paura di poter perdere da un momento all’altro il proprio posto di lavoro.
(da agenzie)

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FORZA ITALIA, MARINA BERLUSCONI LEADER? L’IPOTESI CLAMOROSA

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

SERVE UNA DONNA LEADER DA CONTRAPPORRE A MELONI E SCHLEIN

E’ la stagione delle donne leader. Non ci sono dubbi ormai. Dopo Giorgia Meloni, prima presidente del Consiglio donna d’Italia, è arrivata Elly Schlein alla guida del Pd, la principale forza di opposizione in Parlamento
Anche il Terzo Polo sembra pensare a una donna e, smentita l’ipotesi Mara Carfagna, i rumor raccolti da Affaritaliani.it puntano su Letizia Moratti come leader del nascente partito unico tra Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi.
Considerando che la Lega e il Movimento 5 Stelle sono granitici sulle figure di Matteo Salvini e di Giuseppe Conte, resta tra i partiti medio-grandi Forza Italia.
Silvio Berlusconi, classe 1936, ha bisogno di una leader forte per rilanciare gli azzurri. La “sparata” contro Zelensky al seggio è servita a guadagnare qualche voto, così dicono in Parlamento, ma è ora di pensare al futuro.
Scartata l’ipotesi Licia Ronzulli, troppo “politica” e divisiva e non gradita alla premier e a una parte del partito, nemmeno la ministra Anna Maria Bernini, una prof di professione, sembra essere la persona giusta.
Serve una donna del fare, concreta, di azienda.
Una manager che sappia infilarsi tra la figura della cultura tradizionale di Meloni e quella dei diritti civili di Schlein e che possa recuperare una gran fetta di italiani che ormai non vota e si astiene perché non si sente rappresentata da nessuna delle figure in campo.
Ed è così che in ambienti di Forza Italia sta tornando la voce, non confermata, di una possibile discesa in campo, magari per le Europee del 2024 di Marina Berlusconi leader del partito. Classe 1966, presidente di Fininvest e del gruppo Arnoldo Mondadori Editore, la figlia primogenita dell’ex Cavaliere è stata più volte al centro di rumor sul suo possibile ingresso in politica. Voci poi sempre smentite.
Ma stavolta l’aria è cambiata e serve una donna pragmatica. Appunto, una manager del fare e di successo. Non si tratta di qualcosa che potrebbe accadere domani e nemmeno la settimana prossima, ma di un’ipotesi allo studio, di una possibilità al vaglio.
Per Berlusconi sarebbe perfetto, lui resterebbe come consigliere e padre nobile e il partito potrebbe continuare ad avere nel simbolo la scritta Berlusconi presidente. Però Marina, non Silvio.
(da affaritaliani.it)

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CASE DI RIPOSO IN LOMBARDIA: L’ANZIANO O PAGA O SI ARRANGIA

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

COME SCARICARE I PROBLEMI SULLE FAMIGLIE

È sempre doloroso portare un proprio familiare anziano in una casa di riposo, ma quando non è proprio più possibile gestirlo a casa diventa purtroppo una scelta obbligata.
In questi casi vorremmo non trovarci di fronte a liste di attesa troppo lunghe, essere certi di portarli in un posto dove siano ben assistiti e pagare una retta che non ci tolga il sonno la notte.
Vediamo come funziona in Lombardia che, con quasi 1,2 milioni di over 75, è la Regione con più anziani d’Italia. E grazie alla crescita dell’aspettativa di vita diventeranno 1,3 milioni già nel 2030.
Inoltre, bisogna fare i conti con il potere d’acquisto degli stipendi, sempre più basso. Per comprendere il meccanismo ci aiuta Antonio Sebastiano, alla guida dell’Osservatorio sulle Rsa della Liuc.
Come funziona
In Lombardia le case di riposo sono di due tipi: quelle «a contratto», dove la Regione paga quasi metà della retta, e quelle solo «accreditate», dove paga tutto l’ospite.
I requisiti sono praticamente gli stessi (non consideriamo le Rsa semplicemente autorizzate perché hanno standard differenti e non è corretto metterle sullo stesso piano): 901 minuti minimo di assistenza settimanale per ospite, presenza delle medesime figure professionali (infermieri, medici, fisioterapisti e personale educativo). Sono identiche le regole in materia di tenuta della documentazione sociosanitaria, tra cui la stesura del piano assistenziale individuale (Pai) e la sua rivalutazione periodica.
La differenza tra Rsa «a contratto» e «accreditate» viene introdotta a partire dal primo gennaio 2011 (Dgr 937 del dicembre 2010) per ampliare l’offerta di posti senza fare aumentare la spesa pubblica della Regione.
Va detto che per quel che riguarda il numero di letti la Lombardia è messa meglio rispetto al resto d’Italia, ma in ogni caso non bastano. Dunque il ragionamento è: io Regione ti do la possibilità di andare un po’ a mie spese in determinate Rsa, dopodiché siccome il mio budget è limitato, e di conseguenza i posti che io posso mettere a contratto, ti metto a disposizione altri letti che però ti devi pagare completamente. Un sistema che scarica tutti i problemi sulle famiglie. Ecco perché.
Cosa c’è
Sono 58.355 i posti letto nelle case di riposo dove la Regione si fa carico dei 50 euro al giorno della quota sanitaria (cifra variabile in base alla gravità dell’ospite). Le famiglie pagano in aggiunta la quota alberghiera che va dai 67 ai 77 euro in media al giorno a seconda della città (a Milano si superano i 97 euro), vale a dire almeno 2.100 euro mensili.
Il fabbisogno stimato è di 7 posti ogni 100 over 75, oggi ce ne sono 5,3. Dal 2015 il numero è cresciuto solo di 481 letti, mentre gli over 75 in più sono 110 mila: vuol dire che la disponibilità ogni 100 anziani già risicata non si è mantenuta nel tempo ma è addirittura diminuita (-0,45%). Conseguenza: le famiglie spesso devono attendere a lungo il posto. Nell’ultimo triennio pre-Covid (2017, 2018, 2019) l’attesa media è di oltre 4 mesi e mezzo e c’è la certezza che si tornerà a questi livelli.
Chi riesce a entrare lo fa in condizioni sempre più gravi, tant’è che la degenza media è di 12 mesi. Chi può permetterselo si rivolge alle strutture dove la quota da pagare è completamente a carico dell’ospite: in media 90 euro al giorno, con una spesa mensile di almeno 3.000 euro. Qui di solito non c’è nessuna attesa e i posti a disposizione oggi sono 4.078, quasi raddoppiati rispetto al 2015.
Cosa non va bene
Primo problema: come dimostra un plico di documenti riservati raccolti da Dataroom, e incrociati con numerose testimonianze sul campo, Regione Lombardia non tiene monitorate le richieste di posti nelle case di riposo. Vuol dire che non sa quante persone davvero ci sono in lista di attesa e qual è dunque l’ipotetico fabbisogno di letti.
Dai calcoli di Dataroom è verosimile che pre-Covid ci fossero in lista di attesa almeno 26 mila anziani. Invece a inizio 2023 in un documento ufficiale all’interno di una contesa giudiziaria la Regione conta 103.860 utenti nel 2019 in attesa di un posto.
È un dato costruito sommando le persone in attesa in ogni casa di riposo, senza preoccuparsi di verificare (e quindi eliminare) chi si è messo in lista contemporaneamente in più strutture, o purtroppo nel frattempo è deceduto. In sostanza Regione Lombardia, in un documento ufficiale, ha riportato dei numeri palesemente sbagliati. Questo dimostra che non c’è interesse a capire il problema, e quindi a risolverlo. Risultato: non può fare e non fa nessuna programmazione. E le liste di attesa sono destinate a restare.
Secondo problema: quel che interessa a Regione Lombardia è non fare lievitare la spesa pubblica oggi a quota 960 milioni di euro all’anno. Del resto le risorse non sono infinite e non è possibile pagare tutto a tutti, e dunque un tetto al budget è comprensibile.
Un sistema equo dovrebbe però filtrare le richieste per privilegiare a spese pubbliche chi è in condizioni più gravi. È quello che fa per esempio il Veneto: valuta le condizioni di salute di chi fa domanda per entrare in una casa di riposo e, in presenza di determinati requisiti, gli dà un voucher con il quale l’anziano paga la casa di riposo che si è scelto. Invece Regione Lombardia per pagarti meno di metà della retta ti costringe ad andare solo in determinate Rsa, senza fare alcuna valutazione né certificazione del bisogno dell’anziano.
Terzo problema: in Regione Lombardia le case di riposo «a contratto» sono sempre le stesse da anni e si vedono assicurate un business certo da 2,5 miliardi l’anno senza nessun vantaggio per chi offre servizi di qualità o penalizzazione per chi non lo fa.
Già nel 2012 in un documento ufficiale viene ammesso: «Uno dei limiti principali è rappresentato dal criterio della spesa storica (do gli stessi soldi sempre agli stessi, ndr) e dalla mancanza di considerazione di altri fattori di valutazione come la qualità delle prestazioni e i fabbisogni effettivi del territorio». La riforma regionale del 2015 andava in questa direzione, ma è stata bloccata.
Il coraggio delle scelte
Ora che Attilio Fontana e la sua squadra sono stati rieletti con un mandato forte del 55% di voti e hanno cinque anni davanti c’è da sperare che mettano mano alla questione. Per essere davvero dalla parte di chi ha più bisogno, e per rispettare la legge.
Il Ddl concorrenza dell’agosto infatti 2022 dice: «La selezione (delle strutture private, ndr) deve essere effettuata periodicamente tenuto conto della programmazione sanitaria regionale e sulla base di verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento e, per i soggetti già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta» (articolo 15, comma 1, lettera b).
Domenico Affinito, Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da il corriere.it)

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I MIGRANTI AFFOGATI VENIVANO DA AFGHANISTAN, IRAQ E SIRIA, IN FUGA DA GUERRE IGNORATE

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

PAESI DOVE SI COMBATTE E SI MUORE NEL DISINTERESSE INTERNAZIONALE… ECCIDI E MASSACRI MA PER PIANTEDOSI “FAREBBERO MEGLIO A NON PARTIRE”, COSI’ NON DISTURBANO

Non è un dato di cronaca. E’ un possente atto d’accusa verso la comunità internazionale.
Verso quell’Occidente che ignora colpevolmente le guerre che affliggono il pianeta. Le guerre “ignorate”. I popoli dimenticati. E traditi da quello stesso Occidente che in alcuni di quei Paesi ha portato la guerra in nome di quei “valori” democratici presi a pretesto per scatenare conflitti che con quei valori conclamati, libertà, democrazia, difesa dei diritti umani, non avevano nulla a che fare.
I migranti provenivano da Iraq, Iran, Afghanistan e Siria.
L’Afghanistan tradito. L’Afghanistan, che l’Occidente dopo venti anni di guerra, ha lasciato ignominiosamente in balia dei talebani. Una fuga vigliacca, scellerata, suggello d’infamia di un fallimento politico ancorché militare.
L’Iraq, che ha ancora su di sé le ferite di due guerre volute dagli Usa e che invece della stabilità hanno portato destabilizzazione in Medio Oriente.
Quanto a popoli traditi quello siriano è ai primissimi posti. Tradito da un Occidente che non ha fatto nulla per fermare la mano del “macellaio di Damasco”, il presidente siriano Bashar al-Assad quando decise di fare guerra al “suo” popolo colpevole di essere sceso in strada, sull’onda delle “Primavere arabe”, per chiedere diritti, libere elezioni, giustizia. Un criminale di guerra che l’Occidente ha lasciato libero di usare armi di distruzione di massa contro i civili.
E l’Iran, dove il regime teocratico-militare degli ayatollah e dei pasdaran risponde con la più brutale repressione alla “rivoluzione dei diritti” che da mesi è in atto, nel sostanziale disinteresse della comunità internazionale
Ognuna di queste guerre, ognuno di questi tradimenti produce tragedie umanitarie, costringe una moltitudine di esseri umani alla fuga. Una fuga disperata. Che per molti finisce tragicamente. Come racconta la strage di migranti consumatasi nel Crotonese.
(da Globalist)

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IL CARDINALE MATTEO ZUPPI, PRESIDENTE DEI VESCOVI ITALIANI, FA A FETTE PIANTEDOSI

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

“IL GRANDE PROBLEMA È CHE I MIGRANTI CHE SONO AFFOGATI AL LARGO DELLA CALABRIA AVEVANO DIRITTO AD ESSERE ACCOLTI, SCAPPAVANO DA UNA GUERRA E QUINDI BISOGNA CERCARE CHE I RIFUGIATI SIANO TRATTATI COME TALI”…”L’OSSERVATORE ROMANO” METTE IL CARICO: “CHI LASCIA IL PROPRIO PAESE LO FA PERCHÉ NON HA ALTERNATIVE, PERCHÉ LA SUA STESSA VITA È A RISCHIO”

“Chi lascia il proprio Paese lo fa perché non ha alternative, perché la sua stessa vita è a rischio”. Lo sottolinea l’Osservatore Romano in un editoriale in prima pagina dal titolo: “La marcia indietro dei diritti umani”. Ripercorrendo la denuncia del segretario generale Onu Antonio Guterres, il giornale del Papa parla dell’ “indifferenza nei confronti dei diritti dei migranti che cercano un mondo migliore e trovano, invece, la morte in mare.
Nel loro caso, come ripetuto spesso da Papa Francesco, ad essere violato è anche il ‘diritto a non dover migrare’, ossia ad avere in patria condizioni di pace e sicurezza sociale ed economica, troppe volte messe a rischio da guerre, conflitti e conseguenze del cambiamento climatico”.
“Il grande problema è che quelli che sono affogati avevano diritto, diritto ad essere accolti, scappavano da una guerra, la maggior parte di loro probabilmente erano afgani, e quindi bisogna cercare che i rifugiati siano trattati come tali e quindi hanno il diritto di essere esaminati. Se noi neghiamo di fatto questo diritto, tradiamo tutta la consapevolezza che proveniva dalla Seconda guerra mondiale”. Così il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, in un dibattito sulla Fratelli tutti, al cui centro c’è stato il naufragio di Crotone.
(da agenzie)

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«L’ALLARME DOVEVA DARLO L’ITALIA»

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

L’AEREO DI FRONTEX CHE PER PRIMO HA VISTO IL BARCONE

Sono le 22.26 di sabato 25 febbraio.
Un Beechcraft 200 Super King Air, un velivolo biturboelica, è in perlustrazione sopra il Mar Ionio da ormai tre ore e cinquanta minuti. Lo fa per conto dell’operazione «Themis» di Frontex.
A un certo punto, dopo aver «setacciato» l’area a est della Sicilia e a sud della Puglia, si accorge che c’è un’imbarcazione piena di persone che si sta dirigendo verso le coste calabresi.
Il velivolo fornisce poche informazioni ai radar. Per questo, per esempio, non viene captato dal sito di tracciamento Flightradar24.
Alle 22.27 e 36 secondi inizia ad effettuare un giro attorno a quello che si rivelerà essere un caicco, come dimostrano i tracciati che il Corriere è riuscito a recuperare.
Tra le 22.31 e 41 secondi e le 22.32 e 07 scatta alcune foto da far analizzare. Nelle immagini, spiega via e-mail una portavoce di Frontex, «solo una persona è visibile a bordo», «ma le telecamere termiche (installate sul velivolo, ndr) rilevano una significativa risposta termica dai portelli aperti a prua», e «la barca era sommersa in modo significativo», segno che ci sono altri individui sull’imbarcazione.
Frontex conferma che «come sempre in questi casi, abbiamo immediatamente informato dell’avvistamento il Centro di coordinamento internazionale dell’operazione Themis e le altre autorità italiane competenti, fornendo la posizione dell’imbarcazione, la rotta e la velocità».
Quando si chiede proprio all’agenzia a chi spettava lanciare l’operazione di ricerca e soccorso, quello che avrebbe dispiegato tutti i mezzi per salvare le persone in mare, la portavoce di Frontex è netta: «Secondo il diritto internazionale questa è una responsabilità delle autorità nazionali». Quindi dell’Italia.
(da Il Corriere della Sera)

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ECCO L’ALLARME ADDIRITTURA 23 ORE PRIMA DELLA TRAGEDIA: «TUTTE LE NAVI NELLO IONIO PRESTINO ATTENZIONE»

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

ALLE 5,57 DEL GIORNO PRIMA DELLA STRAGE DI MIGRANTI IL COORDINAMENTO SAR AVEVA MANDATO UNA SEGNALAZIONE UFFICIALE: “IMBARCAZIONE IN DISTRESS, SITUAZIONE DI GRANDE DIFFICOLTA'”

Ecco la segnalazione ufficiale che viene dal Coordinamento Sar (ricerca e soccorso in mare) e che potrebbe riguardare l’imbarcazione naufragata domenica mattina. Il dispaccio viene inviato dall’Imrcc Roma (Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo), alle 5.57 ora italiana (4.57 UTC) di sabato 25 febbraio, quindi circa 23 ore prima del naufragio al largo delle coste calabresi.
Il dispaccio parla un mayday ricevuto via radio, in Italia, e segnala la possibile presenza di una imbarcazione in «distress», cioè una situazione di grande difficoltà, nel Mar Jonio.
La comunicazione non offre nessuna coordinata. Il coordinamento Sar chiede alle imbarcazioni nella zona di «prestare attenzione» e segnalare eventualmente la presenza di un natante in difficoltà o un’altra comunicazione di allarme.
Che cosa poteva fare la Guardia costiera davanti a quel dispaccio? Cosa dicono le regole? Anche su questo si sta cercando di fare chiarezza sia nelle indagini della Procura di Crotone sia negli «approfondimenti» interni della stessa Guardia costiera.
(da il Corriere della Sera)

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DI CHI È LA COLPA DEL NAUFRAGIO? QUANDO, NELLA NOTTE TRA SABATO E DOMENICA, IL COORDINAMENTO SAR E POI FRONTEX HANNO AVVISATO L’ITALIA DELLA PRESENZA DEL BARCONE PIENO DI MIGRANTI AL LARGO DELLE COSTE CALABRESI, È STATA LANCIATA UN’OPERAZIONE DI POLIZIA E NON DI SOCCORSO

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

SONO STATE INVIATE LE VEDETTE DELLA GUARDIA DI FINANZA E NON QUELLE DELLA GUARDIA COSTIERA, PIÙ ADATTE AD AFFRONTARE IL MARE AGITATO DI QUELLA NOTTE. COME MAI?

Il naufragio del barcone al largo delle coste calabresi, che ha causato 67 morti, si poteva evitare? Di sicuro le autorità italiane hanno fatto un pastrocchio: l’allarme è arrivato alla Guardia di Finanza di Crotone, che ha trattato il caso come un’operazione di polizia e non di soccorso.
Per questo, sono partite le motovedette delle Fiamme Gialle e non quelle della Guardia Costiera, che invece sono adatte ad affrontare il mare forza 3-4 e sono uscite dal porto di Reggio Calabria solo a naufragio avvenuto. Le regole di ingaggio prevedono infatti che le operazioni siano condotte dalla Guardia di Finanza, fintanto che l’operazione non sia ufficialmente riconosciuta come “evento SAR” (Search and Rescue).
Frontex ha puntato il dito sull’Italia: l’agenzia europea sostiene infatti che l’allarme era stato lanciato, dopo che un loro aereo, che sorvolava l’area, ha avvistato l’imbarcazione, “pesantemente sovraffollata”, che si dirigeva verso le coste calabresi.
Non solo, 23 ore prima del naufragio, sarebbe arrivato anche un dispaccio del Coordinamento Sar che segnalava la presenza dell’imbarcazione. A chi è arrivata questa comunicazione?
La Guardia costiera ha di fatto ammesso di aver ricevuto la segnalazione di Frontex, ma ha giustificato la mancanza di intervento adducendo il fatto che il barcone stesse “navigando regolarmente” (ricostruzione in parte smentita dalla stessa Frontex).
Le autorità italiane hanno quindi inviato le vedette della Guardia di Finanza per ragioni di law enforcement, cioè di polizia, e non di soccorso. Le navi però sono state costrette a rientrare in porto per le condizioni avverse. Soltanto nelle prime ore di domenica è stata lanciata l’operazione di salvataggio, ma a quel punto era già troppo tardi.
La domanda è: chi ha dato l’ordine? E perché non è stata inviata subito la Guardia costiera?
Sia come sia, l’episodio fa tornare alla mente quel che diceva Giuliano Amato a proposito del profilo ideale da mandare al Viminale. Il ragionamento del “Dottor Sottile”, che stigmatizzava il ricorso eccessivo ai tecnici, era: i prefetti badano solo all’ordine pubblico, ma al ministero degli Interni ci vuole un politico, che sappia distinguere caso per caso e soprattutto valutare l’opportunità delle scelte, indipendentemente dalla mera applicazione della legge.
(da Dagoreport)

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PAPA FRANCESCO: STOP AI PRIVILEGI IMMOBILIARI PER LA CURIA

Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile

AFFITTO SENZA SCONTI PER I CARDINALI, IL RICAVATO A FAVORE DEI BISOGNOSI

Stop ai privilegi di cardinali, presidenti, segretari, sottosegretari e dirigenti della Santa Sede.
Papa Francesco potrebbe presto firmare un provvedimento che abolisce il godimento a tariffe preferenziali degli immobili di proprietà degli enti che fanno riferimento alla Santa Sede per far fronte alla necessità finanziarie del Vaticano, anche nella prospettiva di destinare nuove risorse ai bisognosi.
Non ci sono ancora conferme ufficiali in merito, ma anticipazioni della possibile mossa del Papa sono state pubblicate dal sito Messa in latino.
I privilegi in questione che spettano oggi agli operatori della Curia sono ad esempio l’alloggio gratuito o il cosiddetto «contributo alloggio» che fa compartecipare al canone di locazione o alle spese della stanza o casa. Ora però tutto potrebbe cambiare e i canoni potrebbero diventare al pari di quelli di ogni altro inquilino ospitato.
Nella bozza del testo viene precisato che ogni eventuale eccezione dovrà essere autorizzata dal Pontefice. Si tratterebbe solo dell’ultimo cambiamento avviato da Papa Francesco in ordine di tempo. La scorsa settimana Bergoglio aveva ribadito il suo No – durante l’udienza privata concessa al cardinale Arthur Roche – alla messa in latino, confermando quanto deciso nel suo Traditionis custodes del 2021. La norma era stata decisa da Benedetto XVI nel Summorum pontificum del 2007, e il suo ribaltamento è diventato uno dei provvedimenti più controversi del pontificato di Francesco, tanto da divedere la Chiesa in due scuole di pensiero opposte.
(da agenzie)

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