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INTERVISTA ALL’AMMIRAGLIO VITTORIO ALESSANDRO: “A CUTRO I MIGRANTI POTEVAMO SALVARLI, MA PER LA POLITICA I SOCCORSI SONO L’ULTIMA COSA”

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

L’AMMIRAGLIO IN CONGEDO DELLA GUARDIA COSTIERA: “CON L’ESTATE TEMO ALTRE TRAGEDIE”

«Credo che ci sia il rischio, con la bella stagione e gli arrivi consistenti, che ci possano essere delle risposte orientate sempre di più sul piano del contenimento e sempre meno sul piano dei soccorsi. Siamo reduci da anni in cui, di fatto, il soccorso è diventata l’ultima cosa da fare. Meglio evitarlo. Questo lo hanno capito le navi, lo hanno capito i pescherecci. Gli unici a non capirlo sono i volontari delle ong che continuano a fare i soccorsi e si beccano le bastonate, sanzioni».
Il contrammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce del Comando generale delle Capitanerie di porto adesso in congedo, ha trascorso 31 anni nella Guardia Costiera. Lancia l’allarme su come la politica abbia modificato la mentalità e le procedure applicate al salvataggio dei migranti nel Mediterraneo.
Sono passati giorni dalla tragedia di Cutro e nessuno nel governo è riuscito a spiegare in modo chiaro, puntuale, preciso cosa è successo quella notte e perché qualcuno ha scelto di coinvolgere la Guardia di finanza al posto della Guardia costiera. Cosa ne pensa?
«È evidente che nessuno ha decretato che la barca dovesse schiantarsi sulla spiaggia, è naturale. Ritengo inoltre non sia piacevole vedere un organismo che scarica su un altro le responsabilità. Il problema è vedere esattamente quale meccanismo si sia innescato. Ossia, perché una barca oggettivamente in pericolo sia stata lasciata al proprio destino, non volendo. Il motivo lo vedo nell’iniziativa intrapresa fin dall’inizio di leggere la vicenda soltanto come una vicenda di polizia. Cioè un’esigenza soltanto di controllo anti-immigrazione. Cose così succedono quando non si ha più l’allentamento all’applicazione del principio di precauzione. Ovvero, in una situazione che potrebbe concludersi felicemente io intravedo anche da lontano elementi che possono farmi pensare al peggio e agisco rischiando di sbagliare per eccesso di prudenza».
Come è sempre stato.
«Come è previsto che sia, perché nelle regole del soccorso (le procedure Sar) c’è una fase – la primissima – che si chiama Alerfa, ed è la fase in cui ancora non è detto che il pericolo sia conclamato – però è una fase del soccorso. Certo può concludersi immediatamente quando si accerta che questo pericolo non c’è».
Esistono degli elementi per attivare questa fase e in questo caso c’erano?
«Nel caso di Cutro c’erano tutti. Nel considerarli vediamo come nel tempo si sia abbassata la soglia di attenzione. Prima di tutto c’era una barca con molte persone a bordo, e questo era stato rilevato dai sensori termici. Era un’imbarcazione con lo scafista, che veniva sulla rotta dei migranti, un caicco, di provenienza turca. Questo è stato rilevato, tanto è vero che il messaggio Frontex è stato rivolto poi a Varsavia e alla Guardia di Finanza. Lì poi è scattata la polizia. Quello è un elemento però che anche sotto il profilo del soccorso ha una sua rilevanza. Perché era una barca con ogni probabilità sovraffollata, e la fotografia che è stata rilevata mostra un bassissimo livello di galleggiamento, quindi c’era del peso. Secondo punto: il mare, che in quel momento poteva non essere molto agitato ma che i bollettini davano in peggioramento, poi è diventato “terribile”. Due motovedette della Guardia di finanza tornano in porto. Punto tre: la barca andava verso terra, non avendo chiamato soccorso, era certo che non sarebbe andata in porto per via degli scafisti. Verso la costa ha trovato le dune di sabbia ed è bastato questo per la tragedia, perché il mare agitato verso costa ha onde ancora più pericolose e agitate. Difficili da gestire. La barca è stata capovolta ed è successo quello che sappiamo. Tutti elementi che avrebbero dovuto indurre a una forte attenzione.»
Meloni ha detto: “Non ci sono arrivate indicazioni di emergenza da Frontex”.
«Bisognerebbe rispondere che purtroppo ormai nella conduzione del soccorso si considera in pericolo l’imbarcazione che, o si è capovolta, o ha il motore spento. Le imbarcazioni che ancora navigano sono lette ormai dai procedimenti ispirati per lo più alla politica del contenimento degli arrivi come fenomeno migratorio e quindi affrontati con procedure di polizia. Per gli arrivi a Lampedusa, per esempio, si parla di imbarcazioni autonome, arrivate fortunosamente a terra, per le quali non si è aperto un evento Sar. Una soglia che non considera la precauzione, quindi quanto accaduto a Cutro poteva succedere a Lampedusa come altrove e potrà succedere ancora una volta».
Fino ad oggi era solo “andata bene”?
«Credo di sì, ma è il momento di correggere il tiro. Adesso è una prassi che antepone all’urgenza del soccorso l’esigenza di polizia».
Va individuato anche il momento politico che ha fatto un po’ da rottura rispetto al passato, ricordiamo che ci sono stati episodi in cui la Guardia costiera si è imposta anche rispetto alla volontà di questo o quel ministro.
«Poi però è successa una cosa importante: con Minniti si è spostato in mare il discorso del contenimento. Restano fuori dal porto anche due motovedette della Guardia costiera, colpevoli di aver salvato persone. Si crea così un precedente psicologico importante. E restano fuori dal porto anche una nave militare che aveva salvato persone e unità mercantili. Per cui a un certo punto il presidente di Confitalia dice in assemblea: “Le navi devono lavorare, ci chiamate, facciamo il soccorso e poi ci fate perdere i soldi davanti al porto con le navi bloccate?”. Si apre così anche un discorso economico che mette in gioco la voce degli armatori.
Resta traumatico che un soccorso non si concludesse con lo sbarco in terra e che persone che si erano impegnate per i salvataggi, persino unità di Stato, venissero incolpate e le navi della Guardia costiera indicate come i taxi del mare. C’è un solco profondo in tutti in quelli che operano in questo campo.
Oggi gli equipaggi della Guardia costiera stanno facendo un grandissimo lavoro a Lampedusa, ma è un lavoro silenzioso e perfino esposto alle critiche. Tutti hanno pensato che l’azione nei confronti delle Ong potesse funzionare solo contro di loro, Ong = pull factor. Oggi ormai sono neutralizzate, in mare restano le motovedette. Ma se domani qualcuno venisse a dire che anche le motovedette sono pull factor? Cosa accadrebbe? Ci abituiamo ai morti; adesso piangiamo ma anche l’indifferenza interviene. Il mare è una dimensione che impone delle riflessioni».
C’è paura di agire. Ma non agire è comunque fare una scelta.
«Esattamente. Credo che la Guardia costiera vada difesa e le vada restituita un’indipendenza nell’azione. Ma non so se il ministro dei Trasporti sia in grado di fare questo».
Come si risolve la situazione?
«La Guardia costiera deve ritrovare la propria autonomia e non sottostare ai meccanismi di super controllo di polizia. Di questo sono sicuro. Temo che sui grandi arrivi che ci aspettano, e probabilmente anche altri lutti, a un certo punto si dica solo: “Fermiamo le partenze”. Le partenze non si fermano dall’oggi al domani e sul fermare quelle in Libia sono perplesso. Siamo riusciti a fermare le partenze dall’Ucraina? E perché dovremmo fermarle? Credo che ci sia il rischio, con la bella stagione e gli arrivi consistenti, che ci possano essere delle risposte orientate sempre di più sul piano del contenimento e sempre meno sul piano dei soccorsi».
Chissà che non vedremo il blocco navale…
«Eh, ci allontanerebbe dalla nostra civiltà giuridica, marinara».
Emergerà la verità sulla vicenda di Cutro?
«Ho dei dubbi. È più facile, anche per i nostri meccanismi italiani e su cui viene portata l’opinione pubblica, che si trovi il capro espiatorio e poi che le cose rimangano come sono».
(da TPI)

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BERLUSCONI SI ERA OPPOSTO ALLA CESSIONE DEL “GIORNALE”, MA PIER SILVIO E MARINA HANNO COSTRETTO IL PADRE A LIBERARSI DELLA ZAVORRA

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

ORA GLI ANGELUCCI (CHE, OLTRE A “LIBERO”, PUNTANO ANCHE A “LA VERITÀ”) POSSONO MONOPOLIZZARE LA STAMPA SOVRANISTA, INFLUENZANDO SALVINI E MELONI… IL RAS DELLA SANITA’ PRIVATA ORA DETTERA’ LA LINEA DEI POTERI FORTI AI LORO SERVI

“Per la vendita del Giornale c’è un accordo ormai consolidato con gli Angelucci”. Ad affermarlo all’Adnkronos è Paolo Berlusconi, che conferma così la chiusura della trattativa che porterà il Giornale nelle mani della famiglia Angelucci, imprenditori nell’ambito delle cliniche private, già editori di ‘Libero’ e ‘Il Tempo’.
Berlusconi vende anche Il Giornale. La famiglia Angelucci compra il 70% e ne acquisisce il controllo. La residua presenza nel capitale con «proporzionale rappresentanza» nel Cda è il contentino alla fazione che si è strenuamente opposta alla capitolazione. Ronzulli in testa. Ma nella sostanza ha vinto la famiglia, Marina in testa. Infatti esce anche la Mondadori.
La foglia di fico del 30% resta in carico al fratello Paolo. Seguiranno due diligence e dettagli in un mese, valutazione dell’Autorità di garanzia delle comunicazioni in un paio di mesi, definitivo passaggio di quote a giugno. Poi nuovo Cda e probabile cambio di direzione. Le fonti dell’universo arcoriano parlano di «minoranza sostanziosa» che resta a Berlusconi. La sostanza è che dopo il Milan e i periodici, Silvio dismette un altro pezzo del suo apparato mediatico e sentimentale.
Angelucci, re della sanità laziale (e non solo) ma anche deputato della Lega dopo esserlo stato in quota Silvio per tre legislature, cova antiche mire espansionistiche. Parallelamente tratta anche per rilevare La Verità. Gli abboccamenti ci sono stati, ma il fondatore Belpietro è disposto a svestire i panni del proprietario, non anche quelli del direttore.
Valuta la creatura 15 milioni e chiede un lungo contratto per sé. Due giorni fa ha smentito i persistenti rumors di intesa. Si vedrà. Nell’attesa, quel che è certo è che Angelucci, aggiungendo Il Giornale al primo amore Libero e al Tempo, punta a diventare il Murdoch italiano. Monopolizzando l’editoria conservatrice fin nelle sfumature: dalle sbiadite liberali alle arrembanti sovraniste. E diventando soggetto politico a capo di una falange mediatica, in grado di influenzare Meloni e Salvini.
Per questo Ronzulli (ma anche Gianni Letta, mentre Confalonieri pareva agnostico) suggerivano a Berlusconi di non abdicare. Un presidio editoriale serve sempre, tanto più ora che gli alleati allungano le grinfie su quel che resta di Forza Italia. Ma le strategie industriali e finanziarie di Marina e Piersilvio hanno prevalso su quelle del partito.
Il Giornale è anche un pezzo pregiato della storia del giornalismo italiano. Fondato da Indro Montanelli nel 1974 dopo la rottura con il Corriere della Sera di Piero Ottone che aveva virato a sinistra, alla fine del decennio fu rilevato (e salvato) da Berlusconi. Silvio ne cedette la proprietà al fratello Paolo nel 1990, sbeffeggiando i limiti antitrust della legge Mammì.
Ma all’inizio del 1994, mentre «scendeva in campo», fu lui in prima persona ad arringare i giornalisti in una drammatica assemblea in via Negri, sconfessando Montanelli e chiedendo fedeltà politica. Indro se ne andò sdegnato, fondando La Voce che ebbe vita breve. Al suo posto arrivò il corsaro Vittorio Feltri, seguito da Belpietro, rifondando Il Giornale e il giornalismo di destra.
(da La Stampa)

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DOPO UNA SECONDA NOTTE DI PROTESTE ANTIPUTIN E FILO UE A TBILISI, IL GOVERNO HA CEDUTO E RITIRATO LA BOZZA DI LEGGE MODELLO-CREMLINO SUGLI AGENTI STRANIERI CHE AVEVA SUSCITATO LA RABBIA DELLA FOLLA PERCHÉ ALLONTANEREBBE LA GEORGIA DALL’EUROPA

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

LACRIMOGENI E CANNONI AD ACQUA SUI MANIFESTANTI. LA REPRESSIONE DELLA PROTESTA E’ DURISSIMA: DECINE GLI ARRESTI

Dopo una seconda notte di proteste gigantesche a Tbilisi, che stavolta hanno coinvolto probabilmente trentamila persone, in Rustaveli avenue e davanti al Parlamento georgiano, contro la legge sugli “agenti stranieri”, il Parlamento e il partito di maggioranza georgiano hanno ceduto e ritirato la bozza di legge modello-Cremlino che aveva suscitato la rabbia della folla – soprattutto giovani e studenti – perché allontanerebbe in modo forse definitivo la Georgia dall’Europa.
Il disegno di legge sugli “agenti stranieri” è stato ritirato in via definitiva, riporta un comunicato del partito Georgian Dream e del movimento pubblico Power of the People, secondo quanto riferisce il media georgiano PaperKartuli.
Nella notte però la repressione aveva cominciato a essere pesante. Uomini dei servizi di sicurezza non identificati – avevano indosso balaclava e senza numeri o divise riconoscibili – avevano sparato gas e cannoni ad acqua, e erano stati usati anche allarmi stordenti per disperdere i manifestanti.
Una stazione della metro a Rustaveli era stata chiusa dall’esterno dalla polizia, e era stato sparato gas all’interno. Mentre cominciano a esserci i primi report e video di possibili vittime.
La notte è stata una battaglia. I manifestanti hanno prima cercato di comunicare con le forze di sicurezza, ma gli ufficiali del ministero dell’Interno hanno reagito iniziando una nuova ondata d fermi e arresti. La dispersione è continuata su Rustaveli Avenue. Lì la polizia ha usato il gas. La gente si è difesa costruendo barricate su Rustaveli Avenue, i manifestanti hanno allineato una recinzione fatta di panchine e mezzi improvvisati nei pressi del Teatro Shota Rustaveli. Poi l’episodio del metrò.
Il Parlamento della Georgia ha revocato la legge sugli agenti stranieri. Lo riferisce Sputnik Georgia. «Da partito responsabile di governo abbiamo preso la decisione di ritirare senza condizioni la proposta di legge che avevamo sostenuto», ha detto il partito Sogno Georgiano, che detiene la maggioranza assoluta in Parlamento.
La decisione fa seguito a due giorni di scontri a Tbilisi, dove migliaia di manifestanti che chiedevano la revoca della legge si erano radunati davanti al Parlamento. Secondo il bilancio fornito dal ministero dell’Interno, la polizia ha fermato 133 persone mentre decine di agenti e civili sono rimasti feriti.
(da agenzie)

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IL PAESE DI JOE FORMAGGIO

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

IL CONSIGLIERE REGIONALE DI FRATELLI D’ITALIA RAPPRESENTA DEGNAMENTE IL SUO ELETTORATO

Joe Formaggio non è reale, fin da quel nome che sembra uscito da un album di fumetti. Il consigliere regionale veneto di Fratelli d’Italia è il parto di un comico, di un radical-chic fazioso che gli ha versato addosso tutti i luoghi comuni sulla destra dei suoi incubi: l’odio per i rom, i gay e i migranti, che lui chiama con nomi ben più coloriti; l’amore per la carne di maiale (in funzione antislamica), le armi, Putin e Mussolini, di cui possiede un mezzobusto di mezzo metro che fa sembrare lillipuziano quello di La Russa; la passione sfrenata per la legittima difesa e per qualche illegittima offesa.
L’ultima sul suo conto è che avrebbe festeggiato l’otto marzo palpeggiando una consigliera leghista, Milena Cecchetto, nel palazzo del Consiglio Regionale, anche se lui sostiene di essersi limitato a darle una cameratesca manata sui fianchi per farla scendere dal bracciolo di un divano: affettuosità tra alleati.
Comunque sia, con l’accusa di molestie il quadro è quasi completo: gli manca di assaltare Montecitorio vestito da Sioux.
Poiché però Joe Formaggio – lo ribadiamo – è palesemente un attore di simpatie progressiste che recita la parte del reazionario becero per alimentare false dicerie sulla presenza nel nostro Paese di parecchia gente che la pensa ancora in un certo modo, resta da capire chi siano, e che cosa pensino, quei mattacchioni che sono riusciti a inserirlo nelle liste di Fratelli d’Italia e quelli, persino più numerosi, che gli hanno poi dato il loro voto.
(da Il Corriere della Sera)

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CROLLA IL MITO DELLA PREMIER FORTE

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

OSSESSIONATA DAL CONSENSO, MELONI E’ DIVENTATA REGINA NELL’ARTE DI IMBOSCARSI

La leader accusata di essere troppo ruvida è diventata morbida, morbidissima. Praticamente un’ombra. Giorgia Meloni ha fatto il pieno di voti in questi ultimi anni alzando la voce, sempre e comunque, inseguendo ossessivamente la sovraesposizione su tutti i temi.
C’è da presumere, senza bisogno di essere fini analisti, che tra i suoi voti abbia covato l’esasperazione di vedere – “finalmente”, hanno pensato i suoi elettori – “qualcuno che dice le cose come stanno”.
Il “finalmente” è la benzina del nuovismo per cui qualsiasi leader mai stato prima al governo gode di un carico di speranza inimmaginabile per chi ci è già passato.
Meloni imperversava sui social urlando contro le accise della benzina. Ci si sarebbe aspettato che nostra signora dell’indignazione avesse preso di petto la questione del prezzo dei carburanti, avrebbe mostrato lo stesso piglio contro la lobby del petrolio oltre a scardinare le maledette accise. Non l’ha fatto (in politica accade di non poter fare cose che si vorrebbero fare o banalmente di non riuscirci) ma soprattutto è scomparsa.
Nascosta dal paravento del suo ruolo istituzionale che – a detta dei suoi – le impone un nuovo senso della misura. Meloni ha lasciato campo ai suoi ministri e ai sottosegretari (preferibilmente del suo partito) talvolta usati come opposizione al suo stesso governo.
Pensateci, anche di fronte alla marea di gente che qualche giorno fa ha manifestato contro il pestaggio di fronte alla scuola di Firenze, nonostante le improvvide uscite del ministro Valditara che ha additato una preside colpevole secondo lui di apologia di antifascismo, la voce chiara e secca di Meloni – quella che ha fatto esultare certe discutibili femministe per l’avvento della “donna forte” – non s’è sentita. In disparte.
Qualcuno la chiama “saggezza” (non ultimo Adriano Celentano in un’intervista al Corriere) ma non si può non ricordare come ai tempi del governo Draghi fosse proprio Meloni a pretendere che l’ex presidente del Consiglio riferisse su tutto ciò che accadeva nel Paese.
Peggio ancora fece nei governi Conte, Gentiloni e Renzi. All’opposizione Giorgia Meloni pretendeva (giustamente o meno) che il presidente del Consiglio si disincagliasse dal suo ruolo istituzionale “per rispondere agli italiani”.
Se fosse così la riforma della giustizia e le dichiarazioni del ministro Nordio non hanno meritato una sua presa di posizione. Pochi comunicati, molto sbiaditi e le diplomatiche risposte che non rispondono a nulla e non prendono posizione. La vicenda Donzelli-Delmastro l’ha sfiorata di passaggio, come se non fosse anche la presidente del loro partito. Un capolavoro di nascondimento è l’atteggiamento tenuto sulla strage di Cutro: un video, guardando fissa in camera, in cui come unico contenuto politico riesce a porre una domanda retorica scandalizzata: “Ma davvero credete che non li avremmo salvati?”. Sì, hanno risposto in molti.
Ma una presidente del Consiglio dovrebbe dare risposte, non porre domande. Giorgia Meloni ha una dichiarazione, una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali. Sarà, c’è da scommetterci, fornita di un’ottima dichiarazione perfettamente equilibrista per la farsa del Consiglio dei ministri di oggi a Cutro.
Riuscirà a non scontentare gli addolorati e a non far sentire traditi gli xenofobi. Sarà una dichiarazione magica, come al solito, che evoca l’idea che gli elettori si sono fatti di lei (non corroborata dai fatti) e che non offre troppi spunti agli oppositori. “Saggezza”, la chiamano. E invece è solo imboscamento.
(da La Notizia)

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CUTRO, PELUCHE E CORI DI “ASSASSINI” ACCOLGONO L’AUTO DI MELONI E SALVINI A CUTRO

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

72 MORTI SULLA COSCIENZA DI CHI NON HA ATTIVATO I SOCCORSI NON SI CANCELLANO

Urla “vergogna”, “assassini”. Poi il lancio di peluche contro le auto di Meloni e dei ministri Salvini e Tajani diretti al Consiglio dei ministri a Cutro, in provincia di Crotone, dopo la strage del naufragio dello scorso 26 febbraio che ha provocato 72 vittime accertate.
Sempre a Cutro sono comparse scritte contro il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, poi subito cancellate.
Ma le contestazioni in piazza proseguono.
La Germania si è detta “pronta a redistribuire i superstiti”. Parigi apre ai cambiamenti delle regole di Dublino, ma chiede all’Italia maggiore impegno.
Intanto, le opposizioni alla Camera hanno abbandonato la commissione Affari costituzionali dove si discuteva la proposta di legge della Lega che vorrebbe ripristinare tutti i decreti sicurezza di Salvini.
Meloni e i suoi ministri sono arrivati a Cutro intorno alle 16 e, ad attenderli, hanno trovato un centinaio di manifestanti, che si sono radunati davanti al municipio intonando slogan contro il governo. Presente anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, finito nel mirino delle opposizioni proprio per la gestione del naufragio e che, secondo il Pd, «dovrebbe essere indagato per strage colposa».
Questa mattina, per le strade di Cutro, sono spuntate scritte anche contro di lui. Sono tre invece i ministri assenti. Si tratta di Guido Crosetto (Difesa) e Eugenia Roccella (Famiglia), mentre il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti è collegato in videoconferenza
Sui cartelli dei manifestanti che si sono radunati oggi a Cutro si leggono frasi inequivocabili, come «Potevano essere salvati» o «Non nel mio nome». «Chiediamo giustizia. A 15 giorni dalla tragedia ancora non emerge la verità. E ieri volevano trasferire le salme. Vogliamo una vera politica di accoglienza», ha urlato uno dei manifestanti durante il presidio in piazza della Scacchiera, davanti al comune che oggi ospiterà il consiglio dei ministri.
«Questa è una terra di emigrati – hanno aggiunto i manifestanti – e sappiamo cosa vuol dire lasciare la propria terra. La nostra è una manifestazione pacifica ma non ci vogliono qui, nonostante il permesso della Questura. Vogliono relegarci in un vicolo ma non ci sposteremo. Dovranno prenderci di peso».
(da agenzie)

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TUTTE LE RISPOSTE CHE PIANTEDOSI NON HA DATO

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

UNA INFORMATIVA CHE FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI TRA ERRORI, INESATTEZZE E MANCATE RISPOSTE

Nove giorni, errori macroscopici, affermazioni false e nessuna risposta alla domanda delle domande: chi, la sera di sabato 25 febbraio, ha deciso che ad uscire in mare per controllare quel barcone segnalato da un aereo di Frontex nel mare Ionio dovessero essere le motovedette della Finanza e non i mezzi specializzati della Guardia costiera?
Chi ha deciso che, per quella che era in tutta evidenza una imbarcazione che trasportava migranti, doveva essere avviata una operazione di polizia e non di soccorso?
Prima alla Camera, poi al Senato, Matteo Piantedosi non chiarisce assolutamente nulla sulla catena di comando che, nelle sei ore antecedenti al naufragio di Cutro, avrebbe potuto cambiare le sorti di quel barcone lasciato nel mare in tempesta con il suo carico di 180 vite, più di metà delle quali andate perdute.
Si autoassolve il ministro dell’Interno, partecipa allo scaricabarile di Stato che fa risalire alla non segnalazione dell’emergenza da parte di Frontex tutte le scelte fatte nelle ore successive. E, soprattutto dà risposte che, oltre ad ignorare prassi consolidate nel soccorso in mare, sono palesemente false.
Addirittura, mostrando di ignorare persino la storia dei soccorsi in mare, fa la conta di 4.745 morti in mare “solo nel 2016, anno in cui era ancora operante l’operazione navale umanitaria Mare Nostrum avviata all’indomani del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 dispiegando un possente dispositivo aereonavale e con la presenza di navi Ong”. Peccato che la missione Mare Nostrum nel 2016 era terminata ormai da due anni.
Improponibile l’autodifesa sul mancato intervento dei mezzi della Guardia Costiera: “L’attivazione di un soccorso – la tesi di Piantedosi – non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza. Solo ed esclusivamente se c’è tale segnalazione, si attiva il dispositivo Sar. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia. È esattamente quanto avvenuto nel caso in questione”.
Ignora evidentemente il ministro dell’Interno non solo le regole del Piano Sar in vigore, ma soprattutto quelle che da anni sono le indiscusse linee guida della Guardia costiera, sancite da innumerevoli sentenze della magistratura: e cioè che tutte le imbarcazioni che trasportano migranti “devono essere considerate subito in distress, in ragione del fatto che sono sovraccariche, inadeguate a percorrere la traversata, prive di strumentazione e di personale competente”.
E il caicco avvistato il 25 febbraio alle 22.26 dall’aereo di Frontex sicuramente come barca di migranti era stata classificata dalle sale operative informate, diversamente non sarebbe stata disposta una operazione di polizia nei confronti di un’imbarcazione sulla quale – pur navigando senza evidenti emergenze – una rilevazione termica segnalava la presenza di numerose persone sottobordo e di un satellitare che interloquiva con una utenza turca.
Invoca “fiducia e rispetto nell’esito degli accertamenti giudiziari” Piantedosi, accolla tutte le responsabilità “agli scafistiche volevano sbarcare evitando i controlli”, rivela che i mezzi della Finanza rientrarono in porto una prima volta con l’intenzione di aspettare il caicco all’ingresso delle acque territoriali.
E nega qualsiasi responsablità dell’Italia in quelle sei ore di buco nei soccorsi, fermando alle 4 del mattino (pochi istanti prima del naufragio) il momento in cui, con una telefonata da bordo al 112, “per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane”. Come se quel mare grosso che costringe la Finanza al rientro in porto non fosse un elemento sufficiente di rischio per un barcone di certo meno attrezzato di un mezzo militare.
Alla fine, suona come una beffa per il governo che prometteva di tenere i migranti lontani dall’Italia la rivendicazione di averne salvati 36.000 in cinque mesi. Anche con le operazioni di polizia perché – dice Piantedosi – “è infondato che le missioni di law enforcement non siano in grado di effettuare anche salvataggi”. Quel che è certo è che la notte del 25 febbraio non sono state in grado di farlo.
(da Il Fatto Quotidiano)

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CUTRO, SCRITTE SUI MURI CONTRO PIANTEDOSI: “IL GOVERNO ARRIVA, I MORTI RIMANGONO”

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

IL GOVERNO MOSTRA GRANDE EFFICIENZA IN QUESTO CASO; SCRITTE SUBITO CANCELLATE

«Cutro non difende Piantedosi»: è questo il testo di una scritta apparsa questa mattina su una parete lungo la strada che collega la Statale 106 a Cutro, dove oggi pomeriggio era in programma la riunione del Consiglio dei ministri in cui il governo Meloni è chiamato a dare risposte sul tema immigrazione, dopo il naufragio del barcone di migranti dello scorso 26 febbraio che ha provocato almeno 72 vittime.
Non è l’unico messaggio al veleno contro l’esecutivo e in particolare il ministro dell’Interno – al centro di infuocate polemiche nell’ultima settimana – apparso alla vigilia del Cdm sulla strada che conduce a Cutro. In un’immagine compare il numero dei decessi, «+72», con una croce e a seguire le parole: «Cutro e la Calabria come Siria e Pakistan abbandonati a se stessi».
E ancora: «Il Governo arriva, i morti rimangono», «Benvenuti in Italia», «Anche Cutro è un comune italiano» e «La loro speranza è uguale alla nostra». Ad accendere una polemica con il governo a poche ore dal Consiglio dei ministri è anche il sindaco di di Crotone Vincenzo Voce. Parlando questa mattina ad Agorà, sulla Rai, Voce ha detto di non essere stato invitato a partecipare alla riunione straordinaria, neppure per un saluto, definendo questo fatto uno sgarbo istituzionale, considerato che «Crotone ha fatto la parte principale in questa tragedia».
(da agenzie)

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“PIANTEDOSI UOMO DI MERDA”: IL MINISTRO DELL’INTERNO FINISCE SOTTO TIRO ANCHE DEI TIFOSI TEDESCHI

Marzo 9th, 2023 Riccardo Fucile

GLI ULTRA’ DEL BAYERN LO INSULTANO IN UNO STRISCIONE DOPO IL DIVIETO DI TRASFERTA IMPOSTO AI TIFOSI DELL’EINTRACHT CHE NON POTRANNO ESSERCI CONTRO IL NAPOLI

Nella curva del Bayern Monaco, nel corso della partita di ieri di Champions contro il Psg, è apparso uno striscione contro il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
L’attacco è riferibile al divieto di trasferta per i tifosi dell’Eintracht deciso dal Viminale in occasione della sfida contro il Napoli di mercoledì 15 marzo.
“No ai divieti dei tifosi! Piantedosi uomo di merda”
La motivazione sarebbe quella di impedire scontri tra le tifoserie considerando la partita una gara ad alto rischio sotto questo pinto di vista, ma in Germania il divieto non è stato visto di buon occhio, considerando che La Faz oggi ha scritto “non ci vuole molta fantasia per dire che i ministeri dell’Interno hanno una certa vicinanza a importanti società calcistiche del loro Paese. Non sarebbe la prima volta che gli interessi politici vengono preferiti alla concorrenza leale”.
(da agenzie)

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