Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
“E’ LA VENDETTA DI UN REGIME DI CRIMINALI SENZA VERGOGNA”… CONDANNATO A 25 ANNI DOPO AVER SUBITO DUE TENTATIVI DI AVVELENAMENTO: QUESTO E’ IL REGIME DI PUTIN
“Il regime russo è una cleptocrazia criminale senza vergogna, e questa è la sua vendetta”, dice l’avvocato. “Viste le condizioni di salute di Vladimir, anche una sentenza di tre anni sarebbe stata di fatto una condanna a morte”.
Per Vladimir Kara-Murza i giudici hanno deciso di dare il massimo, accettando la pena richiesta dalla procura: 25 anni per “alto tradimento” e altre accuse relative alle critiche espresse in pubblico da Kara-Murza all’invasione dell’Ucraina.
Tra queste, il consueto “discredito delle forze armate” ex articolo 207.3 del codice penale, divenuto l’arma più usata dal Cremlino per sbattere in galera gli oppositori.
Il processo si è svolto a porte chiuse in un clima surreale e in barba a conflitti di interesse impensabili in sistemi giudiziari diversi da quello della Russia di Putin.
Il presidente della corte di tre membri, il giudice Sergei Podoprigorov è sottoposto al regime di sanzioni previste dal Magnitsky Act, la legge statunitense che sanziona le violazioni dei diritti umani avvenute in altri Stati, strenuamente sostenuta da Kara-Murza dopo la morte in un carcere russo dell’avvocato Sergei Magnitsky, avvenuta nel 2009.
La legge permette agli Usa e agli altri Stati che l’hanno adottata di congelare i beni dei sanzionati e impedirne l’ingresso sul proprio territorio. L’altro sostenitore russo del Magnitsky Act, il leader dell’opposizione Boris Nemtsov, amico fraterno di Kara-Murza, è stato ucciso nel 2015 a colpi di arma da fuoco a 50 metri dal Cremlino su ordine di mandanti per i quali la magistratura russa non ha mai aperto una vera indagine.
Il giudice Podoprigorov è lo stesso che ordinò di rinchiudere Magnitsky nel famigerato carcere della Butyrka, dove il detenuto morì dopo esser stato sottoposto a torture, secondo quanto emerso dalle indagini di diverse organizzazioni per i diritti umani. Ulteriore paradosso: Podoprigorov, mentre giudicava Kara-Murza, ha inoltrato formale richiesta al governo Usa di essere escluso dalla lista nera del Magnitsky Act.
La commedia dell’assurdo, con tutte le sue tragiche conseguenze, non si ferma qui. L’accusatore “in capo” di Kara-Murza, il numero uno del Comitato investigativo della Russia — che si occupa dei casi giudiziari più rilevanti — è un altro personaggio sanzionato dal Magnitsky Act. E indovinate un po’ chi è il capo dei secondini che oggi sorvegliano il condannato nelle sue prigioni? Avete indovinato: un altro funzionario sottoposto a sanzioni ex legge Magnitsky, Dmitry Komnov. Che poi era anche il capo della guardie carcerarie della Butyrka quando ci rimise la pelle lo stesso Magnitsky.
Non stupisce quindi il pessimismo di Vadim Prokhorov, avvocato di Vladimir Kara-Murza. Non sperava in niente di meno, per il suo assistito. Che nel suo discorso finale davanti ai giudici, prima del verdetto e astenendosi dal chiedere sconti di pena, aveva già chiarito: “questo è il prezzo da pagare se si alza la testa sotto il regime di Putin”. Aggiungendo, in poche righe che probabilmente passeranno alla Storia: “Verrà il giorno in cui le nubi sopra al nostro paese si dissiperanno, quando il nero sarà chiamato nero e il bianco bianco, quando si riconoscerà ufficialmente che due più due fa quattro. E una guerra sarà chiamata guerra”.
“La Russia sarà libera”, ha detto Kara-Murza a testa alta dopo il verdetto. Arrivato il giorno dopo la più grande festività russa. Per la Pasqua ortodossa gli è stato di nuovo impedito di parlare al telefono con i tre figli, ancora piccoli o adolescenti — ha reso noto la moglie Evgenia. “Per non diffondere segreti di Stato”, la spiegazione. Un giorno due più due farà quattro, sostiene Vladimir Kara-Murza.
L’avvocato Prokhorov farà appello. Ma l’unica speranza la ripone in una campagna internazionale in favore del suo cliente. O nella caduta del regime. Il legale, che fino a pochi gironi fa era in Russia, si è rifugiato altrove. “Le cose stavano davvero diventando troppo pericolose per me, in patria”, dice a Fanpage.it, che lo ha raggiunto con una chiamata su Telegram. “Non so se potrò mai tornare. Spero di sì”.
Avvocato Prokhorov, ma è mai possibile che proprio non ci sia stata giustizia, in questo processo? La Russia ha comunque un ordinamento, una costituzione. Non è il regno degli orchi.
Francamente, è tutto molto chiaro. Vladimir Kara-Murza è uno dei principali nemici del regime E per lui è stata predisposta una pena ancor più alta rispetto rispetto a quelle comminate ad altri oppositori. È un autorevole politico dell’opposizione, un famoso giornalista, con una brillante istruzione, laureato a Cambridge, poliglotta. Quindi preoccupa il suo nemico politico: il regime di Putin. E poi, il maggior successo politico di Vladimir è stato l’approvazione, da lui avocata e sostenuta, del Magnitsky Act. I funzionari e gli uomini del regine colpiti dal Magnitsky Act se la sono legata al dito. Quindi, una delle maggiori ragioni dell’attacco contro di lui da parte del regime di Putin é il suo ruolo nell’entrata in vigore del Magnitsky Act.
Che vuol dire? Una specie di vendetta?
È esattamente questo: una vendetta da parte di un’organizzazione criminale che si è fatta Stato, o pretende di essere Stato. Mark Galeotti ha scritto un ottimo libro su questo, sulla derivazione criminale dell’attuale potere politico in Russia (The Vory, Yale, 2018, ndr). Una vendetta contro il mio assistito per il Magnitsky Act e per l’aperta critica del regime russo e dei suoi stupidi passi, come l’aggressione all’Ucraina.
Ma il Magnitsky Act è in primo piano, secondo lei. Ho capito bene?
È surreale che come presidente della Corte giudicante è stato scelto un giudice colpito dalle sanzioni previste dal Magnitsky Act. Un caso di conflitto di interessi senza vergogna. Tutte le nostre proteste in merito sono state rigettate. Una situazione terribile. Che non si verificherebbe in nessuna altro Paese al mondo.
Cose le dice questo del regime russo?
Mi dice che è un regime criminale, una sfacciata plutocrazia. Una delle prove è che si vendicano dei loro nemici, come farebbe una qualsiasi associazione criminale. E lo fanno senza neanche cercar di nasconderlo, senza alcuna vergogna. Non sono mica timidi. La scelta del presidente della corte lo dimostra. Che non si vergognino di niente lo dice poi anche il fatto che il giudice in questione ha addirittura avuto la faccia tosta di inoltrare una richiesta formale al governo statunitense affinché cancellasse la sua inclusione nella lista del Magnitsky Act.
E a proposito dell’accusa di “alto tradimento”, per aver “a lungo collaborato con uno Stato Nato”, quale era la posizione della difesa?
Ma Vladimir ha solo parlato pubblicamente all’estero su invito di istituzioni pubbliche e private, e criticato Putin. L’accusa di alto tradimento non sussiste. È un ritorno all’Unione Sovietica. E non a quella di Brezhnev o di Andropov ma proprio a quella di Stalin. Quando potevi finire sotto accusa e diventare un prigioniero dello Stato per qualsiasi tipo di attività. Senza alcun motivo legale. Tipiche dell era staliniana, anche all’epoca di Brezhnev qualche esempio di accusa per alto tradimento ci fu. Il caso più eclatante, quello di Alexander Solzhenitsyn, nel 1974: accusato di alto tradimento, appunto, lo scrittore fu costretto all’esilio. Un giorno dopo la messa in stato d’accusa. Per sua fortuna. E nel 1978, fu accusato di alto tradimento Natan Sharansky, che dopo una condanna a 13 anni di lavori forzati fu liberato da Gorbachev in seguito a uno scambio di prigionieri con l’Occidente sul Glienicker Brücke, il “ponte delle spie” a Berlino. Anche se era solo un dissidente e non certo una spia. Posso aggiungere che nel 2012 l’articolo 275 del codice penale russo, che prevede il reato di “altro tradimento” è stato emendato e reso radicalmente più severo.
Ivan Safronov, il giornalista condannato a 22 anni nello scorso settembre, ne sa qualcosa.
In pratica ogni contatto con stranieri, se il governo e quindi i nostri magistrati vogliono, può diventare “alto tradimento”.
Qual è la sua speranza dopo il verdetto?
Non ci sono assoluzioni nel sistema penale russo. Solo nello 0,3% dei casi un imputato viene assolto. Tre volte su mille. È davvero difficile da spiegare e capire, ma questa è la situazione. Le sentenze sono politiche. La giustizia non c’entra. Il problema per Vladimir è che la sua salute è compromessa e una lunga sentenza può ucciderlo. Comunque faremo appello. Ma so che lo perderemo. Il sistema russo non lascia speranze. Quindi, quello che dovremo fare è una campagna internazionale per la liberazione di Vladimir. Naturalmente, ogni cambiamento nel regime, o la caduta Putin. potrebbe portare al rilascio dei prigionieri politici.
Pensa che il regime di Putin durerà altri venticinque anni?
Credo di no, ma il problema è che per Vladimir, con la sua salute, anche solo tre anni in una prigione russa rischiano di essere fatali.
Come sta fisicamente Vladimir Kara-Murza?
La sua salute è davvero precaria. È stato avvelenato due volte dai cèkisti di Putin, prima nel 2015 e poi nel 2017. Si salvò per il rotto della cuffia. Risentiva delle conseguenze degli avvelenamenti anche quando era in libertà. Il regime carcerario russo aggrava le sue condizioni. Ogni giorno di più.
(da Fanpage)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELLA PARLAMENTARE PICCOLOTTI DA UMBERTIDE: “PIANTEDOSI ASSICURI UNA SISTEMAZIONE DIGNITOSI A QUESTE FAMIGLIE, SITUAZIONE INTOLLERABILE PER UN PAESE CIVILE”
I riflettori sul terremoto di Umbertide del 9 marzo scorso si sono spenti poche ore dopo il sisma ed è forse anche per questo che, a oltre un mese di distanza da quella scossa di magnitudo 4.6 che “buttò” in strada centinaia di persone, decine di sfollati non hanno trovato ancora una sistemazione dignitosa ma sono alloggiati in una palestra comunale senza riscaldamento, senza la possibilità di usufruire di una cucina, senza privacy neppure nelle docce e dormendo su delle brandine.
A sollevare il caso è la parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra Elisabetta Piccolotti. La deputata, umbra di origine e in passato assessora comunale della vicina città di Foligno, questa mattina si è recata ad Umbertide nella frazione di Pierantonio, tra le più colpite dal sisma di quasi 40 giorni fa.
“Nella palestra comunale – ha fatto sapere – sono ancora alloggiate circa quaranta persone rimaste senza casa da allora. E ho trovato una situazione intollerabile”.
Si dorme al freddo sulle brandine
Nella struttura, nonostante gli sforzi degli operatori, “manca quasi tutto e la sensazione è che la disorganizzazione stia pesando soprattutto sulle spalle dei più fragili. Le persone dormono su brandine, fa freddo perché la palestra è poco riscaldata, la promiscuità è totale, le docce non hanno tende e non c’è nemmeno un bidet, non c’è alcuna privacy, non è stato permesso agli sfollati di utilizzare una cucina presente in una struttura vicina per le più elementari necessità e ci sono anche alcuni bambini. Una di loro è diabetica e deve conservare i medicinali in frigorifero, ma nella palestra non ce ne sono”.
Sebbene la gran parte dei circa 600 sfollati di Umbertide abbia trovato ospitalità da amici e parenti, o affittando altre abitazioni, una quarantina di persone straniere sono rimaste nella palestra comunale.
“Il contributo erogato dopo la concessione dello Stato di emergenza – spiega ancora Piccolotti – è insufficiente. È normale quindi che gli sfollati tutti temano per il futuro: alcuni di loro hanno paura di rimanere senza contributo tra un anno e per di più con mutui ventennali a carico per le case inagibili”.
Piccolotti: “Presto interrogazione parlamentare al ministro Piantedosi”
“Il governo – conclude la parlamentare – dovrebbe dare maggiori rassicurazioni per gli anni a venire, invece tutto sembra nebbioso. Il prezzo più alto, come sempre, lo pagano i più poveri che sono i più preoccupati. Una situazione intollerabile considerato che è passato più di un mese dal terremoto e che in questo tempo si sarebbero potute montare delle casette di legno o reperire delle stanze in albergo. Farò presente tutto questo sia al prefetto di Perugia e al Ministro Piantedosi con un’interrogazione perché si trovi subito una sistemazione dignitosa a queste persone”.
(da Fanpage)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
LA CONFERMA CHE SI TRATTA DI UNA BANDA DI CRIMINALI CAPEGGIATA DA UN ASSASSINO
Due mercenari russi del Gruppo Wagner hanno confessato di aver ucciso oltre 20 bambini e adolescenti ucraini a Bakhmut e Soledar per ordine di capo Yevgeny Prigozhin.
Si tratta di Azamat Uldarov e Alexei Savichev che lo hanno dichiarato a Vladimir Osechkin, fondatore dell’organizzazione russa per i diritti umani a Gulag.net.
«Ho sparato alla testa a una bambina di 5 anni», ha detto Uldarov. «Ho eseguito l’ordine con questa mano, ho ucciso i bambini, compresi i bambini di cinque anni», ha aggiunto.
I due hanno confessato anche dell’esplosione di una fossa con più di 50 prigionieri feriti e la «pulizia» di alcuni edifici residenziali uccidendo tutti i presenti, compresi i bambini. In particolare, a Soledar Prigozhin ha dato ordine di «fucilare in una volta sola, senza una parola, tutti coloro che hanno più di 15 anni».
«I 15enni? Difficilmente li definiamo civili»
Savichev ha riferito che hanno ucciso tra le 20 e le 24 persone, di cui 10 avevano 15 anni. Il fondatore di Gulag.net li ha sollecitati sui civili uccisi in Ucraina nel febbraio di quest’anno e ha risposto che i ragazzi ucraini di 15 anni «difficilmente possono essere definiti civili».
Inoltre, ha sottolineato che tutti i militanti del gruppo Wagner sono stati minacciati di morte se avessero comunicato con i giornalisti.
Nei giorni scorsi il fondatore di Gulag.net Osechkin ha accusato i mercenari di Wagner di essere i responsabili della decapitazione dei soldati ucraini prigionieri mostrata in un video, denunciato anche dall’Onu. Oltre ad aver promesso un premio di 3mila euro per chi riuscisse a fornirgli informazioni utili che gli permettessero di riconoscere i soldati del filmato.
(fda agenzie)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANNO SCORSO SONO STATI 2.853, NEGLI ANNI LA CIFRA NON HA MAI SUPERATO I 5.000… SENZA ACCORDI CON I PAESI DI ORIGINE RESTANO IN ITALIA ANCHE SE GLI TOLGONO LA “PROTEZIONE SPECIALE”, IN PIU’ IN MEZZO A UNA STRADA
L’obiettivo della maggioranza è approvare il dl Cutro sull’immigrazione al Senato entro questa settimana per poi incassare rapidamente il sì anche della Camera. E oggi 17 aprile, alla riapertura dei lavori della commissione Affari costituzionali, il calendario sembrava destinato ad essere rispettato, con l’approdo in aula per domani o al massimo dopodomani, nonostante gli interventi serrati dell’opposizione.
Uno dei temi più controversi della nuova norma, affidato ad un subemendamento a firma Gasparri, Lisei, Pirovano è l’abolizione della cosiddetta “protezione speciale”, un permesso di soggiorno che attualmente affianca l’asilo politico e la protezione umanitaria con una tutela temporanea per motivi di salute, studio, vicinanza ai familiari bisognosi di assistenza, rischio nel proprio paese se si è vittime di tratta o violenze familiari, e che esiste anche in altri paesi europei, sebbene non sia previsto dalle normative comunitarie.
La promessa della maggioranza è che con l’abolizione di questo tipo di permesso, concesso l’anno scorso a circa 10.800 persone, saranno più facilmente rimpatriati nei paesi di origine un maggior numero di irregolari. Tutti gli interventi normativi e di governo recenti, per la verità, sono impostati sulla stessa direttrice.
Gli accordi coi paesi terzi
Anche la dichiarazione di stato di emergenza, cui è seguita l’istituzione di un commissario straordinario (che è poi il capo del Dipartimento immigrazione, Valerio Valenti) punta sull’impegno di costruire nuovi Centri di permanenza e rimpatrio e quindi a lavorare sulle espulsioni.
La messa in pratica sembra essere più complicata.
«Posto che tra il 2015 e il 2016 abbiamo gestito in accoglienza numeri molto maggiori degli arrivi attuali senza ricorrere allo stato di emergenza – spiega Mario Morcone, capo del dipartimento di allora e oggi assessore all’Immigrazione della Regione Campania – per i rimpatri pesano prima di tutto i costi, circa 3.500/4.000 a migrante visto che vanno accompagnati almeno da due agenti ciascuno e l’esistenza di accordi di rimpatrio. Non esistono accordi di questo genere con nessun paese dell’America Latina o con Bangladesh, Pakistan e la maggior parte dei paesi subsahariani, ad eccezione della Nigeria e pochi altri».
I nuovi irregolari
Con l’abolizione della protezione speciale, secondo i calcoli di Arci, i migranti che avrebbero ottenuto quel tipo di permesso di soggiorno e non l’avranno più o che lo vedranno scadere saranno tra un minimo di 20 e un massimo di 40mila, considerando che nel 2022 hanno avuto questo genere di documento meno di 11mila persone e che le domande presentate sono state 77mila.
Questi 20mila, si andranno a sommare ai 506mila irregolari stimati da Ismu Ets per il 2021 con il suo report più aggiornato, ma non ci sono segnali che aumenti altrettanto il numero dei rimpatriati dall’Italia ai paesi di origine. Al momento infatti, per quanto risulta ad Open, il governo non starebbe stringendo nuovi accordi per i rimpatri, o almeno non ci sono intese considerate prossime all’operatività.
I numeri dei rimpatri
Il numero di persone che lasciano l’Italia per tornare nel paese di origine contro la propria volontà è rimasto più o meno costante negli anni, a prescindere dal colore del governo, e non ha mai superato la cifra di 5mila unità.
Il dato più aggiornato è stato stimato dal Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, alla data del 15 ottobre 2022: fino a quel giorno erano state respinte verso il paese di provenienza 2853 persone. Di queste 2356 sono state accompagnate da una scorta internazionale della Polizia di Stato, 1973 con voli charter dedicati e 831 senza scorta, rimpatriati con volo di linea.
Nel 2021, 2589 sono partiti scortati e 831 con volo di linea, nel 2020 2392 scortati e 959 senza scorta.
Sempre secondo i dati del Garante, nel 2022 (fino al 15 ottobre) sono partiti 62 voli charter dedicati verso la Tunisia, 9 verso l’Egitto, 6 verso la Georgia, 2 verso il Gambia, 3 verso la Nigeria e uno verso l’Albania. Tranne quelli verso Nigeria e Albania, gli altri erano voli congiunti organizzati con altri paesi europei. Ad accettare i rimpatri con volo di linea, quindi senza essere scortati, sono stati soprattutto cittadini albanesi (quasi tutti) e marocchini. Gli altri erano su voli speciali scortati dalla polizia, i più difficili da gestire oltre che più costosi. Numeri che sarà difficile far variare in modo significativo, per ragioni internazionali oltre che economiche.
(da Open)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
LA PRIMA VITTORIA DI ELLY SCHLEIN: “GRANDE SODDISFAZIONE”
Il centrosinistra vince a Udine. A spoglio quasi terminato, nel turno di ballottaggio delle elezioni amministrative, il candidato sindaco Alberto Felice De Toni (sostenuto dal centrosinistra, Terzo Polo, M5S e liste civiche), ha ottenuto il 52,8 delle preferenze. Il sindaco uscente, candidato per il centrodestra, Pietro Fontanini, si è fermato al 47,15%.
Pd, Avs, Azione-Iv e M5S strappano così il capoluogo friulano al centrodestra, a due settimane dalla vittoria del centrodestra per le regionali del Friuli Venezia Giulia.
È la prima vittoria di Elly Schlein segretaria del Pd. Ed esulta anche il vincitore De Toni: “Udine ha scelto di cambiare. Non posso dire che ora ci rimboccheremo le maniche per lavorare perché le maniche sono già rimboccate dal primo giorno di questa lunga campagna elettorale”.
De Toni al ballottaggio ha avuto l’appoggio del M5S.
La vittoria rappresenta “un risultato che premia tutte le fatiche che i nostri candidati e le nostre candidate hanno impiegato per raccontare la Udine che vogliamo. Una Udine più bella, viva, attrattiva. In una parola più felice – continua il neo sindaco – Già da domani saremo al lavoro per iniziare a completare la composizione della giunta ed essere immediatamente operativi”.
Esulta la segretaria del Pd, Elly Schlein: “Una bellissima notizia, la vittoria di Alberto Felice De Toni a Udine. Ed è una grande soddisfazione per tutte e tutti quelli che lo hanno accompagnato in questo percorso. Una vittoria costruita grazie a un bel lavoro di squadra. Ad Alberto Felice De Toni vanno gli auguri di buon lavoro da tutta la comunità democratica”.
De Toni ha ringraziato gli elettori e anche la coalizione di Ivano Marchiol, con il quale è stato siglato un accordo per il ballottaggio. Un ringraziamento anche a Fontanini: “È stato un avversario forte e leale di cui ho apprezzato il comportamento in campagna elettorale sempre corretto e rispettoso delle diverse posizioni. Spero ci siano le condizioni per lavorare ora in Consiglio comunale in modo costruttivo per il bene della città”.
I complimenti a Alberto Felice De Toni sono arrivati anche da Stefano Patuanelli, senatore del M5S: “Con bel lavoro di squadra siamo riusciti a ribaltare i pronostici”, commenta. E da Azione: “E adesso al lavoro per aprire una nuova pagina per la città”, si legge sul profilo Twitter del partito di Carlo Calenda.
Il governatore Massimiliano Fedriga, dopo aver ringraziato “Pietro Fontanini per quanto fatto, con impegno e passione, in questi cinque anni alla guida del Comune di Udine” augura “buon lavoro al neoeletto sindaco Alberto Felice De Toni che avrà l’onore di governare la città”.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
ANNUNCIATO UN INTERVENTO CORRETTIVO MAI ARRIVATO
Prima le promesse, poi la retromarcia. Altre promesse, infine il silenzio. La storia dello smantellamento di Opzione donna continua a suscitare la rabbia di decine di migliaia di lavoratrici rimaste al palo, convinte fino a qualche mese fa di poter andare in pensione seppur con un ricalcolo dell’assegno interamente contributivo – e quindi con un taglio importante fino a un terzo dell’importo – poi lasciate fuori per via dell’intervento del governo. Nella manovra l’esecutivo ha deciso di rendere praticamente inaccessibile lo scivolo pensionistico, con una serie di criteri giudicati – in alcuni casi – anche fortemente discriminatori: con la riforma possono lasciare il lavoro solo le donne caregiver, disabili o licenziate.
I partiti al governo hanno promesso, in campagna elettorale, chi di rinnovare la misura (Fratelli d’Italia), chi di volerla rendere addirittura strutturale (Lega). Il risultato è che la rimodulazione della platea ha ridotto a 870 le lavoratrici che possono accedere a Opzione donna. Poi, dall’inizio del 2023, si sono rincorse le voci: si lavora per tornare alla misura originale, almeno per sei mesi, forse per otto, magari più avanti. Poi non se n’è fatto sostanzialmente nulla
Sono 20mila le donne che non possono andare in pensione
Le lavoratrici, riunite sotto il Comitato Opzione Donna, non si danno pace: “Sono 20.000 le donne attonite che, oltre alle reiterate false promesse e propagande elettorali e post elettorali sbandierate da molti esponenti di questo esecutivo, sono state illuse per mesi con il miraggio di una riformulazione di Opzione donna dopo il vergognoso rimaneggiamento della misura – dice a Fanpage.it la fondatrice e amministratrice del comitato, Orietta Armiliato – Una misura che non solo hanno stravolto indegnamente, ma poi hanno anche ammesso di aver sottovalutato l’impatto non prorogandola, assicurando nel breve periodo un aggiustamento”.
“Il breve periodo – racconta Armiliato – è iniziato nei primi giorni dell’anno, assumendo le sembianze di un fantasma che doveva palesarsi all’interno di un fantomatico decreto ad hoc”. Poi la misura sarebbe dovuta passare “attraverso uno sconosciuto e introvabile decreto Lavoro”, che in effetti sta per arrivare in Consiglio dei ministri, ma non riguarda Opzione donna. Infine sarebbe dovuta arrivare “all’interno dei provvedimenti disegnati dal Def”. Il Comitato attacca ancora: “Nulla di tutto questo, solo chiacchiere e promesse – dice Armiliato – Ora le opposizioni stanno producendo una serie di mozioni e interrogazioni parlamentari, ma mi pare quasi ovvio che, a cominciare dalle mancate interlocuzioni con le parti sociali annunciate e mai avvenute, questo governo non abbia voglia di ascoltare nessuno”.
La battaglia del Comitato Opzione Donna continua in piazza
Le donne “indignate” delle promesse tradite “scenderanno in piazza”, promette Armiliato: “Lo abbiamo già fatto e lo rifaremo, al fianco delle organizzazioni sindacali per non chinare il capo alle prepotenze, alle prese in giro e alle ingiustizie”. La fondatrice del comitato, alla fine della nostra conversazione, ci tiene a ribadire un dato su tutti: “La proroga della misura nella sua versione originale sarebbe costata 90 milioni di euro per il primo anno, poi 240 e 300 per il secondo e terzo. Ma nei tre o quattro anni successivi sarebbe stato tutto recuperato, visto che aderendo a Opzione donna le lavoratrici accettano una pensione calcolata interamente con il sistema contributivo”. E conclude: “Qui mi taccio, non mi pare ci sia altro da aggiungere”.
Le mozioni e proteste delle opposizioni su Opzione donna
Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, pur divisi, continuano la loro battaglia parlamentare per il ripristino della versione originale di Opzione donna. Il deputato dem Andrea Orlando, ex ministro del Lavoro, ha annunciato una mozione per impegnare il governo a fare un passo indietro: “È inaccettabile il ridimensionamento di Opzione donna – ha scritto il parlamentare del Pd sui suoi social – Si tratta della conseguenza di scelte incomprensibili e dai dubbi profili di costituzionalità”.
Allo stesso modo si è mossa la deputata del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino. Anche l’ex sindaca di Torino ha presentato una mozione firmata dai colleghi grillini in commissione Lavoro. L’obiettivo è lo stesso: “Impegnare il governo a ripristinare, nel primo provvedimento utile, Opzione donna con i vecchi requisiti”. La deputata pentastellata ha spiegato: “Il governo ha tradito le promesse fatte in campagna elettorale e voltato le spalle alle lavoratrici, ora ammettano l’errore e lo correggano”.
(da Fanpage)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
GLI SCAFISTI PROPONGONO DEI VIAGGI DELLA SPERANZA LOW COST
Verrebbe da chiamarli tour operator, se non fosse che non di vacanze si tratta ma di viaggi della speranza. Viaggi di migranti in fuga dalle bombe della Siria e dai fondamentalisti dell’Afghanistan, dalla fame del Bangladesh e dai conflitti in Pakistan. Ma per il resto viaggi organizzati sono, e di tutto punto, che hanno come hub la Cirenaica, la parte della Libia fuori dal controllo del governo di Tripoli.
C’è l’apertura di questa rotta inedita dietro i maxi sbarchi dei giorni scorsi, dietro i motopescherecci con centinaia di uomini a bordo che hanno impegnato la Guardia costiera italiana in operazioni di salvataggio con decine di vedette, navi e aerei.
Fenomeno così diverso da quello delle barchette fai da te di questi ultimi anni, prima gommoni, poi gusci di legno o resina, oggi di ferro, fragili come oggetti da modellismo. […] Un grande business, non ci vuol molto a moltiplicare 250 per 500, la media di occupazione dei barconi: fa 125 mila euro per un solo viaggio.
Basta guardare la mappa del mondo, per capire i passaggi di questa nuova rotta. E prendere confidenza con il nome di una città di cui finora si è parlato poco: si chiama Tobruk, quasi al confine con l’Egitto. È considerato il migliore porto naturale del Nordafrica, collocato in una profonda insenatura della Marmarica circondata da scarpate, una sorta di fortezza sul mare.
Tobruk, è questo il nuovo hub di questi viaggi organizzati, in quella Cirenaica che – ironia della storia – divenne una provincia del Regno d’Italia nel 1912 e fu dichiarata colonia italiana nel 1919. Mentre il governo Meloni rilancia gli accordi con la Libia di Tripoli, la famigerata Libia dei centri di detenzione, della zona di soccorso che è una tragica barzelletta e della Guardia costiera finanziata dall’Italia che sui migranti ha persino sparato, i flussi si spostano sulla provincia ribelle, su quel pezzo di Libia che vuole l’autonomia.
Gli ultimi salvataggi sono quasi passati sotto silenzio rispetto all’imponenza delle operazioni. Primo sbarco concluso mercoledì scorso, con 1.169 migranti arrivati, 400 dei quali portati a Vibo Valentia e 769 a Catania. La nave Diciotti non ha fatto quasi in tempo a sbarcare i naufraghi ed è stata dirottata sulla seconda operazione Sar (sigla che sta per ricerca e soccorso) rivolta ad altri 1200 migranti su due motopesca, uno con 625 e l’altro con 550 a bordo.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL POLITOLOGO PIERO IGNAZI: “UNA GENIA DI IMPRESENTABILI SI E’ POSATA SULLE POLTRONE, GRAZIE ALLA MELONI”
Tutta la forfora della destra, quella genìa di quasi impresentabili da ricollocare in qualche modo, si è posata sulle poltrone di sottogoverno. Famigli alla ricerca di un impiego, politici di seconda classe già super trombati, esperti più o meno decotti ma con la voglia di una posizione in campo. Secondo il professor Piero Ignazi lo spoil system adottato da Giorgia Meloni ha funzionato al contrario, nel paradosso di un governo che prende – tra gli applausi – decisioni opache.
Compiaciuto e generale apprezzamento per le nomine nelle aziende di Stato. La presidente del Consiglio avrebbe messo da parte – lo spoil system promuovendo quasi tutti gli uscenti. Professor Piero Ignazi, lei è di diverso parere.
Due verità mettiamole in fila. La prima: non è affatto detto che per le funzioni apicali lo spoil system, la nomina cioè di personalità più nettamente connesse alla visione politica dell’esecutivo, sia una cosa in sé cattiva. Anzi, mi pare del tutto legittima.
Ha idea allora che le ragioni di questa scelta così neutra si ritrovano nel nuovo profilo di Giorgia Meloni: americana in politica estera, europeista a Bruxelles, felicemente connessa ai poteri affluenti in economia.
Aspetti che siamo ancora alla seconda verità: non sappiamo se la premier abbia cercato nuovi nomi. Magari non li ha cercati. Magari non li ha trovati. Ricorda al momento di formare l’esecutivo quanti furono i niet di personalità terze alle proposte di coinvolgimento nell’azione di governo
Lei propende per quest’ultima tesi.
È un’ipotesi piuttosto accreditata. Non avendo carte nuove da mettere sul tavolo ha ripreso le carte vecchie.
Applausi.
La cosa singolare è che invece nel sottobosco non ha avuto remore, prudenze. È stato traghettato in porto un gommone zeppo di naufraghi politici: gente che se non fosse stata ricollocata sarebbe sparita dalla scena. Mi sento di dire che questo secondo livello, la nomina cioè dei consiglieri di amministrazione, non doveva essere oggetto di acquisizione politica. Ok per il manager in alto, ma il livello inferiore deve godere solo di un’ottima reputazione pubblica, non ispirare simpatia politica. Io dico che lo spoil system c’è stato eccome, ma nel livello in cui invece doveva affermarsi la responsabilità istituzionale.
Eppure il giudizio complessivo sul governo finora è positivo. Lei non approva?
Sospendo il giudizio, ancora è presto per dirlo. Noterei che non sempre il buongoverno (ammesso che questo lo sia) porta esiti felici. Ricordo Romano Prodi bocciato alle urne nonostante le qualità dimostrate a palazzo Chigi.
Di Meloni lei tende a fidarsi poco.
Considero il generale apprezzamento per le sue retromarce come un’altra delle singolari passioni della nostra classe dirigente verso la destra. Sono passioni inscalfibili. Applausi alla Meloni per le sue mirabolanti conversioni. Ma allora perché i fischi ai Cinquestelle quando hanno cambiato le loro posizioni più radicali? Quelli erano dei voltagabbana, gente che diceva a e poi faceva b. No Tap, sì Tap. No Tav, sì Tav. Siamo ai due pesi e alle due misure.
Beh, la classe dirigente ha amori indiscutibili. Ha visto quanti soldi hanno dato i capitani d’impresa a Calenda e Renzi per il Terzo polo che hanno appena provveduto a sfasciare?
Questi industriali pensano che la realtà si debba adeguare alle proprie fantasie. Non esiste alcuno spazio al centro, e il fatto che abbia vinto l’elezione il partito più estremo di una delle due coalizioni dovrebbe scoraggiare interpretazioni così approssimative.
E il Pd? Elly Schlein sembra ancora ospite del partito che guida. Quasi un’estranea.
Ha bisogno di più tempo e noi abbiamo bisogno di altre sue prove per giudicarla.
Vedendo i sondaggi è stata la scelta migliore che potessero fare.
Per me la scelta migliore sarebbe stata quella di Gianni Cuperlo. Nettamente superiore per visione politica, esperienza organizzativa, capacità analitica.
Cuperlo il più titolato fra tutti i candidati?
Non c’è alcun dubbio.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2023 Riccardo Fucile
I TAGLI AL SISTEMA SANITARIO, CONTINUANO A DIMINUIRE I FONDI
Se la «lista d’attesa» appartenesse a una corporazione, sarebbe certamente più corta. Ma qui si tratta di una lista senza rappresentanza, formata da milioni di cittadini dove ognuno subisce in solitudine il proprio disagio o si arrangia come può. Chi può.
Eppure nessun governo ha mai dichiarato di voler tagliare la spesa sanitaria, al contrario sono sempre stati snocciolati miliardi di investimenti. Per capire se lo Stato ne tira fuori abbastanza gli esperti usano un indicatore: il rapporto tra i finanziamenti pubblici al servizio sanitario nazionale e il Pil.
Se l’incidenza percentuale rispetto al valore di tutti i beni e servizi prodotti nel nostro Paese è bassa, vuole dire che lo Stato non investe a sufficienza per la salute dei propri cittadini.
Con 114,4 miliardi messi nel 2019, l’Italia arriva alla pandemia con un livello di finanziamento rispetto al Pil del 6,4%, contro il 9,8% della Germania, il 9,3% della Francia e il 7,8% del Regno Unito (dati Ocse).
Il 2020 è l’anno della spesa record: 120,5 miliardi, pari al 7,3% del Pil. La grande lezione del Covid è quella dell’impegno solenne: mai più risparmi e tagli sulla sanità. Cosa è successo dopo?
Costi Covid rimasti scoperti
Nel 2021 le Regioni spendono 8,3 miliardi in più per coprire i costi extra: ricoveri in ospedale di chi ha contratto il virus, tamponi, reclutamento di medici, infermieri, e vaccinazioni di massa. Lo Stato a oggi gliene ha rimborsati solo 4,45: vuol dire che le Regioni hanno accumulato un buco da 3,86 miliardi.
Alla Lombardia è stato rimborsato un miliardo in meno di quello che ha speso; al Lazio 442,8 milioni; all’ Emilia-Romagna 436; al Piemonte 288; al Veneto 277; alla Toscana di 239; alla Puglia 205,5; alla Campania 216; all’Abruzzo 61,6; all’Umbria 59,4; alla Sardegna 50; alla Basilicata 13.
Caro energia non rimborsato
Nel 2022 le Regioni continuano a sostenere spese extra legate al Covid: i ricoveri, la sanificazione obbligatoria degli ambienti ospedalieri, le uscite per il personale aggiuntivo, oltre alle visite e gli esami da recuperare. Con la fine dello stato d’emergenza del 31 marzo, però, lo Stato di fatto non riconosce più i finanziamenti aggiuntivi.
In più si sommano 1,4 miliardi di costi per l’impennata delle bollette di luce e gas. Con il decreto del 10 gennaio 2023 il governo Meloni mette 1,6 miliardi alla voce «maggiori costi delle fonti energetiche e per il perdurare della pandemia». I fondi vengono distribuiti in percentuale alla popolazione delle singole regioni.
Risultato: solo in bollette l’Emilia-Romagna spende 188,2 milioni e ne prende 120,9; la Toscana 153 e ne prende 101; l’Umbria 31 e ne prende 23,8; la Basilicata 21, e gliene danno 14,7. E poi: l’Abruzzo va sotto di 19,3 milioni; la Puglia di 2,6; la Sardegna di 3,6; Liguria e Friuli di 2.
I bilanci delle Regioni
La Sanità pesa all’incirca per l’80% sui bilanci delle Regioni, e gli ultimi due anni si fanno tutti sentire. Lo dimostra il confronto tra il 2022 e il 2019: le Regioni che avevano conti in ordine ora sono indebitate. L’Emilia-Romagna è in rosso di 84,9 milioni; il Piemonte di 21; il Lazio di 125,5; la Basilicata di 20,9 milioni; l’Umbria di 69,5 milioni, la Sardegna di 41,7. Mentre Regioni già in negativo come Toscana, Abruzzo e Puglia hanno peggiorato la loro situazione finanziaria. Bilancio in pareggio ma risicatissimo per la Lombardia che chiude con 296 mila euro contro i 6,3 milioni del 2019, e il Veneto a 7 milioni contro i 29,4 del 2029. Ora alle 20 Regioni arriverà 1 miliardo e 85 milioni per il cosiddetto payback: chi negli anni passati ha acquistato dispositivi medici in più rispetto al tetto di spesa fissato recupererà il 50%. In sostanza si distribuiscono un po’ di soldi a tutte le Regioni che hanno sforato su un altro capitolo di spesa, sperando che tappi il buco aperto dai costi Covid e dalle bollette. Difficile.
Sottofinanziamento del Ssn
Del resto, il finanziamento al servizio sanitario cresce solo sulla carta: 123,4 miliardi nel 2021; 125,98 nel 2022; 136 nel 2023; 132,7 nel 2024 e 135 miliardi nel 2025. Ma siccome i soldi si pesano rispetto al Pil, siamo passati dal 6,4% del 2019 al 6,9% del 2021, e poi la curva si inverte: 6,6% nel 2022, 6,7% nel 2023, al 6,3% nel 2024 e 6,2% nel 2025. In pratica stiamo tornando addirittura indietro rispetto al pre-pandemia. Per arrivare ai livelli di Germania e Francia servirebbero all’incirca 40 miliardi in più all’anno, e 20 per raggiungere almeno il Regno Unito.
Rischio n. 1
Quando le risorse sono poche si è costretti a risparmiare, proprio nel momento in cui è necessario investire nelle sfide che ci attendono.
A partire dalle liste d’attesa. Resta da recuperare qualche milione di prestazioni sanitarie perse per il blocco/rallentamento dell’attività sanitaria durante i mesi clou della pandemia. Oltre agli esami e alle visite specialistiche (vedi il Dataroom del 6 febbraio 2023), i dati diffusi da ministero della Salute e Agenas confermano il permanere di criticità anche sui ricoveri: nel caso degli interventi cardiovascolari che devono avere la precedenza per motivi di urgenza (classe A) e che dovrebbero essere eseguiti entro 30 giorni, ben 14 Regioni presentano risultati peggiori di quelli del 2019. Lo stesso vale per i tumori maligni: sono 12 le Regioni che hanno peggiorato le loro performance. Significa che si riduce la percentuale di interventi eseguiti nei tempi definiti per legge.
Rischio n. 2
È stata avviata la riforma dell’assistenza sul territorio disegnata dal Dm 77 del maggio 2022 e prevista dal Pnrr, che prevede la creazione di almeno 1.350 case della comunità, 400 ospedali di comunità, 600 centrali operative territoriali e lo sviluppo della telemedicina in grado di assistere a domicilio almeno 800 mila persone con più di 65 anni. I 7 miliardi per la costruzione degli edifici arrivano dal Pnrr. Ma la riforma necessita di un’adeguata dotazione di personale. Il fabbisogno totale al 2027 di medici è stimato in 42.331 ospedalieri. In un Dataroom dell’ottobre 2022 abbiamo visto che gli specialisti che saranno sfornati per allora dalle Scuole di specialità saranno complessivamente 62.350. Tenuto conto che il 10% non finisce gli studi e il 25% non resta a lavorare nel ssn, vuole dire che per gli ospedali pubblici saranno pronti, sempre al 2027, 42.086 specialisti. Le entrate e le uscite sono quindi in equilibrio. Ma ancora una volta i conti tornano solo sulla carta, perché nella realtà una volta banditi i posti nelle Scuole, le specialità di cui c’è più bisogno, non vengono scelte. In Medicina d’emergenza e urgenza il 57% dei posti non è coperto; in Anestesia e rianimazione il 17%; in Radioterapia il 74%. Uno dei problemi che rimangono sul tavolo è legato agli stipendi: un medico tedesco rispetto a uno italiano guadagna il 93,6% in più.
Rischio n. 3
I primi 9 mesi del 2022 registrano una riduzione della spesa per investimenti di oltre il 13%. Che vuol dire meno soldi per l’acquisto di attrezzature nuove e per la manutenzione dei reparti «al fine di garantire a ciascun cittadino una risposta adeguata alla domanda di salute, sia in termini di prevenzione che di cura delle diverse patologie».
Lo fa presente la Corte dei conti che scrive: «Il programma straordinario degli investimenti pubblici in sanità costituisce un contributo sostanziale al perseguimento della finalità pubblica della tutela della salute (ai sensi dell’art. 32 Cost.) in quanto l’ammodernamento del patrimonio strutturale e tecnologico del servizio sanitario nazionale consente meglio di rispondere con strutture e tecnologie sempre più appropriate, moderne e sicure, alle necessità di salute della comunità e alle aspettative di operatori e utenti del Servizio sanitario nazionale». In conclusione: snocciolare qualche miliardo in più fa sempre una certa impressione, ma rispetto alle necessità sono solo noccioline.
(da Il Corriere della Sera)
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