Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
POCHI MARGINI AD INTERPRETAZIONI: “MITO NEO-NAZISTA”. E LOLLOBRIGIDA LO HA FATTO SUO… UNA VOCE DAL SEN FUGGITA… NEI PAESI SERI STASERA SAREBBE GIA’ UN EX MINISTRO
Ha provato a correggere il tiro il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida ribadendo che «l’immigrazione non è la soluzione al calo demografico», dopo che però aveva parlato in un’assemblea sindacale di «sostituzione etnica» scatenando polemiche ferocissime da parte dell’opposizione.
«Solito polverone della sinistra» rincara il ministro, ma la toppa non basta a coprire il varco che ha aperto usando parole che lo stesso sito del governo definisce un «mito neo-nazista».
A Lollobrigida sarebbe bastata un rapido uso dei motori di ricerca per avere chiaro che quei termini proprio non potevano che scatenare un putiferio.
Lo spiega in modo chiaro una scheda nella sezione del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, il prefetto Giuseppe Pecoraro, nominato lo scorso gennaio proprio dalla premier Giorgia Meloni.
Proprio la sua struttura mette nero su bianco che cosa si intenda per «sostituzione etnica» o «Grande sostituzione», classificata tra i pregiudizi antisemiti dei miti neo-nazisti «per cui i “bianchi” vengono sostituiti dai “non bianchi”. Un gruppo misterioso (spesso gli ebrei) complotta per sostituire l’identità occidentale».
La fonte è l’Osservatorio Antisemitismo Fondazione Cdec, che così spiega cosa intenda la teoria della «sostituzione etnica» “scappata” dalla bocca del ministro.
La definizione di “Grande sostituzione” sul sito del governo
La teoria della sostituzione è un mito neonazista secondo il quale i bianchi vengono sostituiti dai non bianchi. Spesso, come tante teorie cospirative, in ultima analisi gli ebrei vengono indicati come i veri colpevoli. Oggi la grande sostituzione è un mito della cospirazione di estrema destra, diffuso in Europa negli ultimi anni, composto da due fattori. Il primo sostiene che l’identità occidentale sia sotto assedio da parte di massicce ondate d’immigrazione da paesi non europei, portando ad una sostituzione degli europei bianchi sul piano demografico. Il secondo afferma che questa sostituzione sia stata orchestrata da un misterioso gruppo come parte di un loro grande piano per dominare il mondo – cosa che faranno creando una società totalmente omogenea sul piano razziale. Questo gruppo viene spesso identificato con gli ebrei/sionisti.
(da Open)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
LE CONFIDENZE A OPEN DI UNA FONTE DI ALTO LIVELLO CHE SPIEGA LA PRASSI ITALIANA IN CASI COME QUELLO DI ARTEM USS
Artem Uss potrebbe essere stato lasciato volontariamente fuggire dai servizi segreti italiani. Lo sostiene una fonte di alto livello consultata da Open. «La dottrina generale dei servizi», spiega la nostra gola profonda, «condivisa spesso dal ministero degli Esteri, è sempre stata: lasciamoli scappare perché altrimenti dovremmo decidere a chi darli. Siccome la dottrina è sempre stata questa, non ho provato alcuna meraviglia quando è scoppiato il caso Uss».
Il figlio dell’oligarca russo Alexander, assai vicino a Putin , è evaso il 22 marzo scorso dagli arresti domiciliari che gli erano stati concessi nell’ex cascina Vione a Basiglio, in provincia di Milano ed ora quella fuga avvenuta con alcuni complici che lo hanno fatto passare dai Balcani per rientrare in Russia è sotto inchiesta della magistratura milanese.
«Nel 2019 invece scoppiò la grana», spiega la gola profonda consultata da Open, «perché un cittadino russo- il magnate Andrey Smyshlyaev- era stato arrestato dall’Interpol nella sua villa sul lago di Como, e l’allora ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, dovette decidere se consegnarlo ai russi che erano all’origine di quel mandato di cattura o agli americani che lo volevano interrogare. Fu consegnato ai russi dopo lungo tergiversare, e gli americani si infuriarono davvero con Bonafede».
Quello fu un caso isolato, continua la nostra fonte, «perché la dottrina dei servizi è sempre stata quella: mettiamolo ai domiciliari e facciamolo scappare, che la cosa finisce lì. Sicuramente ci prendiamo il vaffa, ma non dobbiamo prendere decisioni. Naturalmente dopo avere prima capito dagli americani se quella preda è irrinunciabile o meno. Se non lo è, il resto è solo copione scontato. Si è sempre proceduto così…».
Intanto dall’inchiesta milanese si sono scoperti più di venti allarmi lanciati dal braccialetto elettronico di Artem Uss durante i tre mesi di domiciliari. Gli inquirenti sospettavano fossero prove generali dell’evasione sfuggite al controllo delle autorità che vigilavano sui domiciliari, ma questa tesi è stata smontata dai tecnici di Fastweb ascoltati dai magistrati: gli allarmi erano in realtà mancate connessioni, perché il wifi di casa Uss non funzionava un granché.
(da Open)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
GLI ALLARMI IGNORATI DEGLI USA SULLA NECESSITA’ DI TENERE IL RUSSO IN CARCERE
Più si va avanti e più la storia della fuga di Artem Uss assomiglia a un campionario di “italianità”: scaricabarili, ritardi, mezze verità, errori e sottovalutazioni.
L’ultima questione ha riguardato la trasmissione della nota americana con la quale gli Stati Uniti chiedevano all’Italia di non mandare ai domiciliari Uss perché sarebbe potuto fuggire, come effettivamente poi è accaduto. Washington l’ha mandata al ministero della Giustizia il 29 novembre, quando la Corte d’Appello di Milano aveva già deciso, ma non depositato, per gli arresti domiciliari.
Il ministro Carlo Nordio aveva detto a Palazzo Chigi di averla trasmessa immediatamente in tribunale a Milano. La Corte di Appello di non averla ricevuta. la nota del Dipartimento di giustizia americana è stata infatti inviata alla Corte come dice Nordio. Ma soltanto il 19 e il 23 dicembre: venti giorni dopo la ricezione da Washington, quando i giochi erano chiusi. Ma c’è di più: la trasmissione avviene non autonomamente, ma in seguito a una richiesta degli avvocati di Uss, Vinicio Nardo e Fabio de Matteis.
La rogatoria in ritardo a Milano
L’invio differito a Milano della nota americana non è il solo ritardo in questa storia. Un caso è il mancato sequestro dei due cellulari (e delle carte di credito) di Uss. Il perché è da leggersi, secondo i magistrati, nella non tempestiva trasmissione della rogatoria arrivata da Washington da parte del ministero.
Nel mirino era finita la Procura, accusata di aver agito in ritardo. Ma, leggendo le date, le cose sarebbero andate diversamente. Una prima richiesta di sequestrare i telefoni arriva, infatti, il 19 ottobre dopo l’arresto […] La questione cambia il 2 dicembre quando va ai domiciliari. Gli Usa chiedono nuovamente all’Italia il sequestro delle carte e del telefono. Che non avviene. Perché nessuno informa la procura della nuova rogatoria. La lettera finisce infatti sul tavolo della procura di Milano due mesi dopo, il 17 febbraio. A quel punto i pm chiedono gli atti alla Corte d’Appello e delegano la Finanza a eseguire il provvedimento. Siamo arrivati al 13 marzo. Troppo tardi.
Cellulari liberi
Uss ha così potuto utilizzare liberamente i suoi cellulari per oltre tre mesi senza che mai sia stata estratta quella che tecnicamente si chiama “una copia forense”, cioè un backup da mettere a disposizione degli investigatori. Dopo l’arresto a Malpensa del 17 ottobre, i suoi dispositivi sono stati presi in custodia al momento dell’ingresso in carcere. Sarebbero stati fotografati senza estrarre i numeri Imei che identificano l’apparecchio.
Poi gli vengono restituiti e Uss nella casa di Basiglio ha potuto non solo usarli, ma teoricamente anche formattare cancellandone dati, contatti e conversazioni via mail e chat. Nelle settimane ai domiciliari, Uss è stato autorizzato a incontrare una dozzina di persone, tra cui il padre e la moglie a Mosca.
La procura generale, che aveva depositato parere negativo ai domiciliari per le disponibilità economiche e la rete di relazioni di Uss, aveva dato parere contrario anche a un paio di contatti, poi invece autorizzati dalla Corte. E anche il ritardo nell’inoltrare a Milano la rogatoria ha così dato ampio spazio a Uss di organizzare quella che si è rivelata finora una fuga perfetta. Grazie anche al fatto che la sua abitazione non fosse sorvegliata con presidi speciali: da via Arenula c’è che dice che il Viminale fosse a conoscenza degli alert americani su una possibile evasione, ma dagli Interni smentiscono.
Certo è che il 22 marzo, il giorno dopo la concessione dell’estradizione, Uss spacca il braccialetto elettronico e scompare in un’auto che lo conduce in Slovenia. Alla guida c’è un croato Il segnale gps del braccialetto smette di dare segnali alle 13.52 del 22 marzo. Scatta subito l’allarme, con il comandante in servizio della centrale operativa di Milano comunica alla compagnia di Corsico la necessità di un intervento immediato I carabinieri corrono sul posto, dove erano stati già due ore prima la fuga per uno dei controlli quotidiani intorno all’abitazione del russo. Ma Uss è già lontano.
(da La Repubblica)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
HA AVUTO PIU’ DI TRE MESI PER ORGANIZZARE IN MODO INDISTURBATO LA SUA FUGA… LA ROGATORIA ARRIVATA AI PM DI MILANO CON DUE MESI DI RITARDO, NESSUNO HA REALIZZATO UNA “COPIA FORENSE” DEI TELEFONI DI USS (BYE BYE CONTATTI, MESSAGGI E MAIL)
Sul caso di Artem Uss si apre l’ennesimo scontro sotterraneo tra magistrati e ministero della Giustizia. Dopo l’alert degli Usa, ora la questione si sposta sui due cellulari dell’imprenditore russo, figlio di un governatore della Siberia molto vicino a Putin. Telefonini, che stando al mandato di cattura internazionale eseguito il 17 ottobre dovevano essere sequestrati in quella data. Ma così non è stato.
I cellulari saranno sequestrati dalla Procura di Milano solo il 13 marzo scorso, nove giorni prima della sua fuga dalla villa di Basiglio avvenuta dopo il via libera della Corte d’appello alla sua estradizione negli Stati Uniti dove è accusato di traffico di materiale bellico, di petrolio, frode e riciclaggio. Il sequestro tardivo avviene in base a una rogatoria americana, inviata parallelamente a quella più complessa sull’estradizione.
Secondo quanto risulta al Fatto il documento Usa redatto dal Dipartimento di giustizia presso l’Ambasciata di Roma atterra sul tavolo del ministero in dicembre. Rispetto a questo, gli uffici di via Arenula non spiegano che la rogatoria americana fu solo un sollecito rispetto al mancato sequestro di ottobre. Allora il fermo, era il 17 ottobre, fu eseguito dalla Polaria. Come per l’alert americano rispetto al pericolo di fuga, quindi siamo di nuovo nel rimbalzo delle responsabilità.
In ogni modo, la rogatoria di dicembre resta ferma al ministero fino al 17 febbraio, quando viene ricevuta dalla Procura di Milano e dall’aggiunto Fabio De Pasquale, che il 20 iscrive il procedimento chiedendo gli atti alla Corte d’appello. La Guardia di finanza dà esecuzione il 27 febbraio, studiando le carte
Il 13 marzo vi sarà il sequestro. I cellulari al momento sono a Milano, ma gli americani, in un incontro in Procura hanno fatto richiesta di averne una copia. Ma perchè il ministero, consapevole che il sequestro doveva avvenire già a ottobre (cosa che la polizia non fa), invia la rogatoria a Milano solo a febbraio?
Il risultato è che dal 2 dicembre, quando va ai domiciliari, Uss ha di nuovo in mano i due cellulari che gli erano stati tolti il 17 ottobre. Per oltre tre mesi potrà disporne (al momento non risultano intercettazioni), così come per oltre tre mesi riceverà le visite autorizzate dalla Corte, come quella dei legali o del console russo a Milano, Alexander Nurizade, visita quest’ultima definita in Procura di routine.
E che gli americani, dopo il mancato sequestro di ottobre, abbiano agito velocemente nelle comunicazioni con il nostro governo, lo dimostra il fatto che già il 29 novembre, quattro giorni dopo l’ok ai domiciliari, inviano una nota a Nordio in cui si legge: “Dato l’altissimo rischio di fuga che Uss presenta esortiamo le autorità italiane a prendere tutte le misure possibili per disporre nei confronti di Uss la misura della custodia cautelare”.
Questa nota arriva alla V sezione della Corte d’Appello di Milano il 19 dicembre (lo dimostra il timbro), 20 giorni dopo l’invio dagli Usa al Dipartimento per gli affari di giustizia. Che risponde il 6 dicembre 2022 spiegando che è l’autorità giudiziaria a decidere sulle misure cautelari e che “nell’ordinamento giuridico italiano la misura cautelare degli arresti domiciliari (…) è in tutto equiparata alla misura cautelare della custodia in carcere”.
Dal timbro si vede che la Corte d’Appello di Milano riceve questa nota di risposta il 9 dicembre scorso. Ora Giorgia Meloni parla di “anomalie” e punta il dito contro i giudici che hanno deciso per gli arresti domiciliari. Eppure il suo ministro Nordio, tramite gli uffici, nella risposta agli americani non critica questa misura e successivamente non ne chiede una differente, come pure era in suo potere.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
VERGOGNOSO CHE UN LEADER POLITICO SNOCCIOLI CIFRE COMPETAMENTE INVENTATE… ECCO LE CIFRE UFFICIALI E REALI
Il vicepremier leghista Matteo Salvini fa confusione con le cifre dei permessi di soggiorno per protezione speciale, la forma di protezione di durata biennale, rinnovabile, che il governo Meloni ora vuole cancellare, e che viene rilasciata dopo una valutazione dei casi da parte della Commissione Territoriale a coloro che non hanno le caratteristiche per ottenere lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria.
Il ministro sostiene che “dal 2020 ad oggi meno del 6% dei permessi speciali rilasciati si sono trasformati in lavoro, regalando oltre 40mila persone all’illegalità e alle mangiatoie”.
Ieri aveva fornito tra l’altro numeri lievemente diversi, dicendo che in tre anni “sono stati concessi più di 46.000 permessi, per cercare lavoro, e solo 2.600 sono stati convertiti in contratti, appena il 5%”, per cui, dice, la protezione speciale non ha funzionato e quindi è giusto toglierla.
Ma andiamo ai dati reali.
Nel 2022 (fonte Eurostat) sono stati 10.865 gli stranieri beneficiari di protezione speciale, il numero più alto tra le tre tipologie di protezione, cioè status di rifugiato e protezione sussidiaria. Le domande accolte per questa tipologia sono salite del 5% rispetto al 2021. Lo status di rifugiato è stato concesso a 6.161 persone, la protezione sussidiaria è stata assegnata ad altre 6.770.
I due canali previsti per il rilascio della protezione speciale
Il permesso di soggiorno per protezione speciale è stato introdotto dalla legge 132/2018, il decreto Sicurezza di Salvini (che ha cancellato la protezione umanitaria) e successivamente, durante il governo giallo-rosso, il governo Conte 2, è stato modificato dal dl 130/2020 (decreto Lamorgese), emanato nel mese di ottobre, che ha ampliato notevolmente i presupposti per il suo rilascio. Oltre al canale di accesso dei richiedenti asilo, il permesso per protezione speciale può essere chiesto dai cittadini stranieri direttamente alla Questura, anche al di fuori delle procedure previste per il riconoscimento della protezione internazionale.
Dopo un lungo contenzioso infatti la Commissione Nazionale sul diritto di asilo, con la circolare del 19 luglio 2021, ha chiarito che il permesso per protezione speciale può essere ottenuto dallo straniero tramite due diversi procedimenti. Il primo coincide con quello delineato dall’art. 32 coma 3 del d.lgs 25/2008, e prevede la concessione della protezione al cittadino straniero richiedente asilo attraverso la trasmissione degli atti al questore da parte della Commissione Territoriale, che ha ravvisato motivi per non respingere lo straniero; il secondo permette appunto allo straniero di rivolgersi direttamente al Questore per ottenere il permesso (che sarà comunque rilasciato previa acquisizione del parere della Commissione Territoriale, che accerterà la presenza di tutti i requisiti).
Altro che flop: perché Salvini mente sulla protezione speciale
Questo è un primo passaggio fondamentale per comprendere quanto Matteo Salvini manipoli le cifre a suo piacimento: nella quota complessiva dei 10.865 beneficiari di protezione speciale l’anno scorso, e nella quota 46.000 in tre anni di cui parla Salvini, non è possibile distinguere i due canali. Del secondo procedimento non è possibile al momento reperire stime ufficiali.
Salvini snocciola i numeri dei permessi concessi negli ultimi “tre anni”, ma come si vede non sono ancora trascorsi tre anni da quando è stato esplicitamente stabilito che la domanda per i permessi per protezione speciale può essere fatta dallo straniero in Questura, cosa che è stata chiarita come abbiamo visto solo luglio 2021.
La durata della protezione speciale poi è di due anni, per cui in molti casi, ammesso che la procedura sia stata completata, i permessi non sono ancora scaduti, e quindi lo straniero, che nel frattempo magari ha trovato un’occupazione, potrebbe non aver fatto ancora domanda per convertire la protezione speciale in permesso in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro (subordinato o autonomo).
Le questure però come sappiamo sono ingolfate e procedono a rilento: in molti casi non è ancora arrivata a definizione la domanda per ottenere la protezione speciale, e per la stessa procedura di conversione a volte possono servire anche più di due anni.
“Quando uno straniero si reca in questura con il suo permesso di soggiorni in scadenza, e chiede il rinnovo o la conversione, soprattutto nelle grandi città, come Roma o Milano, ci impiegano anche più di due anni, cioè un tempo più lungo della stessa durata del permesso di soggiorno. Salvini probabilmente sta contando solo quei pochi che sono già riusciti ad avere il permesso di soggiorno è l’hanno già convertito. Cosa che magari può essere successa nelle piccole province, dove le questure hanno poche richieste. I numeri che dà il ministro non ci dicono assolutamente nulla”, ha detto a Fanpage.it Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci.
“Il ministero dell’Interno non fornisce i dati, ma è un fatto che fino a luglio 2021 il Viminale non accettava le domande dirette al questore. Per quanto riguarda questo canale, le domande che sono arrivate a definizione sono molto poche, perché i tempi delle questure e delle Commissioni Territoriali sono molto lunghi: nella migliore delle ipotesi ci vuole un anno, è questo il vero scandalo. Per esempio la scorsa settimane ho depositato un ricorso contro un diniego di protezione speciale per una domanda presentata a giugno 2021, per la quale è arrivata la notifica solo 30 giorni fa – ha spiegato l’avvocata Nazarena Zorzella (Asgi) – Nella maggior parte dei casi le domande di protezione speciale devono ancora essere definite e la conversione, con l’eventuale trasformazione in permesso di lavoro, può essere fatta solo alla scadenza. I dati che sta dicendo Salvini sono delle emerite bugie, non si capisce da dove li tragga. Il ministro non sa di cosa parla”.
Impossibile quindi considerare questo strumento un fallimento, senza avere in mano delle cifre reali e aggiornate.
Il tempo insomma sembra contraddire totalmente la tesi di Salvini. Quando il ministro afferma infatti che su 46.000 permessi rilasciati in tre anni, solo 2.600 sono stati convertiti in contratti, sta dicendo una falsità: intanto perché non sono ancora passati tre anni da luglio 2021, ma appena un anno e mezzo, e poi perché in ogni caso numeri ufficiali sulle domande che gli stranieri fanno autonomamente in Questura non ce ne sono.
E anche se ce ne fossero, è ancora presto per fare un bilancio, perché la maggior parte dei permessi rilasciati è ancora valido, e non c’è stato il tempo materiale per eventualmente trasformarli in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Altro che flop.
(da Fanpage)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA: L’ORSA VIVRA’ IN 12 MQ CON PARETI IN CEMENTO E IMBOTTITA DI PSICOFARMACI… LA GIUNTA REGIONALE SOVRANISTA DELLA VERGOGNA, SPUTTANATA IN TUTTO IL MONDO CIVILE
E così l’hanno presa, l’orsa JJ4 – e a quanto pare avevano pure preso i cuccioli, che poi hanno rilasciato al loro destino, senza la mamma
Triste la vicenda, ovviamente, con la morte di un povero giovane, che non ha alcuna colpa, sia chiaro. Ma con questa vicenda si palesano le grandi criticità della gestione del progetto Life Ursus.
Un progetto che prevedeva, oltre al ripopolamento degli orsi – che, ricordo, sono sempre esistiti in Trentino, ma all’epoca erano in pochissime unità; ebbene, a parte l’immissione di una decina di esemplari, nel 1999, tutti gli altri attuali sono nati e cresciuti proprio qui in Trentino.
Ma le carenze sono evidenziate dalla mancata attivazione del resto del progetto:
1. Creazione di corridoi faunistici che avrebbero permesso alla popolazione ursina di espandersi su tutto l’arco alpino, riducendo così la densità e di conseguenza la probabilità di incontro con l’uomo;
2. Attivazione di un approfondito sistema di monitoraggio della popolazione ursina, con radiocollari e sistemi di controllo che avrebbero determinato una corretta e approfondita conoscenza di come e dove si muovono gli orsi;
3. Revisione del piano di gestione dei rifiuti, specie quelli organici, con il posizionamento di opportuni bidoni anti-orso per evitare l’avvicinamento degli animali ai centri abitati vicini al bosco;
4. Opportuna campagna informativa per chi va nel bosco, con brochure e cartelli di rilievo per segnalare presenza e modi di comportamento;
5. Programma di formazione nelle scuole, di ogni ordine e grado, per abituare alla convivenza consapevole con l’orso.
Sapete quante di queste cose sono state fatte? Praticamente nulla; ne è testimonianza un video girato proprio in questi giorni, per documentare la situazione gestionale, proprio nel paese della tragedia.
E l’orsa appena catturata è stata portata al Casteller, poco sopra la città di Trento, a soli due chilometri da dove vi sto scrivendo e dove vivo.
Ma sapete cos’è il “Centro Vivaistico” del Casteller?
Dunque, ve lo spiego. Casteller è la località sopra la città di Trento dove si trova, oltre al parco pubblico “Bosco della Città”, proprio il lager dove vengono rinchiusi gli orsi catturati. E’ un luogo che ha una recinzione esterna tradizionale, che delimita il bosco, ma entrando si trova un’ulteriore recinzione alta oltre tre metri, fatta di cemento liscio; all’interno di questa un’ulteriore recinzione elettrificata per impedire agli orsi di uscire; e qui dentro, vi è un piccolo spazio dove, a seconda di quanti orsi sono presenti, a rotazione questi vengono fatti uscire dalle gabbie; le gabbie, appunto: dodici metri quadrati per orso, in cemento e senza alcuna possibilità di uscire, tranne qualche ora a rotazione, nel piazzale antistante; a rotazione, perché gli orsi non si affrontino tra loro se messi insieme.
E lì, JJ4, privata dei suoi cuccioli, impazzirà dal dolore di tale privazione e subirà la limitazione enormedi quella libertà che la portava a fare anche 50-60 chilometri al giorno.
E per evitare che stia male, come era stato per M49, noto come Papillon, tuttora ospite del lager, sarà inevitabilmente sottoposta a trattamento con psicofarmaci? Eppure il Cites nella sua ispezione per M49 aveva evidenziato che simili trattamenti erano inidonei alla vita di un orso.
Dunque si ripete la storia: in Trentino si preferisce abbattere o imprigionare gli orsi invece che creare progetti e proposte per cercare di conviverci consapevolmente. Intanto un presidente furioso vuole, a tutti i costi e contro le leggi di tutela degli animali in via di estinzione, programmare abbattimenti a tutto spiano e addirittura esportare 50-60 orsi.
Nel frattempo partono le iniziative per tentare di arginare la furia persecutrice di un presidente che ne ha fatto una battaglia personale; qui una petizione per tentare di salvare quest’orsa da una prigionia o dalla morte, perché seppure vi sia stata una tragedia immane non è certo così che si risolvono i problemi.
La campagna elettorale in Trentino è partita (elezioni il 22 ottobre 2023) e il presidente Fugatti ha promesso di risolvere la questione orsi con i metodi dell’abbattimento o della deportazione; ma sarà sicuro di poter mantenere tali assurde promesse? Come farà a deportare 50-60 orsi senza andare contro le leggi dello Stato e contro le direttive europee sulla tutela degli animali in via di estinzione?
(da il Fatto Quotidiano)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEGLI ANIMALISTI E LA RELAZIONE DEI CARABINIERI SUL SITO DOVE VENGONO DETENUTI GLI ORSI CATTURATI
Adesso l’orsa JJ4 attende il suo destino, ovvero a quello che decideranno i giudici della sezione unica del Tribunale Amministrativo di Trento nell’udienza prevista l’11 maggio prossimo. L’orsa JJ4 è stata catturata alle ore 23 di ieri sera
In “attesa di giudizio” e forse di abbattimento l’orsa JJ4 si trova presso il centro faunistico del Casteller a Trento Sud dove già si trova’M49, l’esemplare ‘globetrotter’, autore di fughe e soprannominato Papillon dall’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa. L’orsa JJ4, 17 anni, è figlia di Joze e Jurka, esemplari portati in Trentino dalla Slovenia nei primi anni 2000.
Il Casteller è una struttura da sempre criticata dagli animalisti che l’hanno definita un “lager”, tanto che per protesta alcuni gruppi nel febbraio del 2021 tagliarono le recinzioni dell’area. E filmarono con un video denuncia le gravi condizioni in cui vivevano gli orsi, secondo gli animalisti, “inaccettabili”.
Dopo il trasferimento in Germania e in Ungheria nei mesi scorsi di altri due esemplari reclusi al Casteller, oggi nella struttura sono rimasti soltanto Papillon e l’orso M62. L’arrivo a Casteller anche dell’orsa che ha ucciso il runner Andrea Papi, dicono gli attivisti trentini che hanno lanciato la petizione “StopCasteller”, potrebbe sconvolgere il già delicato equilibrio di Papillon e M62. “Significa mettere i tre orsi in un vero e proprio lager, una struttura orrenda”, ha affermato Francesca Manzini di “StopCasteller”.
Significa “obbligarli a condizioni di vita difficilissime, come documentano i video dei nostri attivisti, che hanno mostrato come le gabbie di vetro e cemento siano troppo piccole per contenere gli orsi”, che sarebbero costretti ad immobilità e convivenza forzata. Mentre i plantigradi sono animali abituati a muoversi e a camminare per ampie distanze.
Le condizioni critiche di Casteller erano state documentate anche nel 2020 da un’indagine dei carabinieri di Cites, nella quale si affermava che gli orsi vivevano “una situazione di stress psico-fisico molto severo” dovuta alla convivenza forzata in spazi ristretti dei tre esemplari allora presenti.
“Condividiamo la rabbia per la morte di Papi, che è legittima, ma con l’orso non può essere occhio per occhio dente per dente”, dicono gli attivisti di “StopCasteller” annunciando una giornata di protesta davanti al centro faunistico il 23 aprile prossimo.
In una nota gli animalisti precisano: “Abbattere e deportare 70 individui non risolve il problema legato alla convivenza. Educazione e misure preventive, spray al peperoncino, corridoi faunistici, non vengono neppure citate a dimostrazione che non c’è vera volontà di cambiamento o di proteggere la sicurezza delle persone ma solo interessi politici e di propaganda. Questa amministrazione non conosce la materia di cui parla. Sono pericolosi per gli orsi e per le persone”.
(da La Repubblica)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE LANCIA L’ALLARME: “SENZA I MIGRANTI TRA 20 ANNI SALTANO I CONTI DELL’INPS”
L’Italia ha bisogno di migranti, per tutta una serie di ragioni. L’ultimo tassello l’ha aggiunto questa mattina il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, lanciando un allarme molto chiaro: nei prossimi vent’anni i conti dell’ente previdenziale andranno in crisi, l’unico fattore che può salvare la situazione è l’immigrazione. E non è un caso che le parole di Tridico arrivino dopo settimane in cui si è riparlato diffusamente della questione: prima perché le aziende hanno lamentato il numero insufficiente di quote nel decreto Flussi del governo – poco più di 80mila i posti, oltre 240mila le domande registrate in un’ora di click day – poi per via del passaggio del Def in cui viene evidenziato che il debito pubblico si può ridurre aumentando i flussi migratori. E soprattutto che continuando così, o peggio diminuendo gli ingressi, la situazione peggiorerà sensibilmente.
Il presidente dell’Inps, intervistato dalla Stampa, pone invece l’attenzione sulla questione delle pensioni. È innegabile che in un Paese in costante calo demografico e con un processo di invecchiamento generale in corso da tempo, i migranti rappresentano un’opportunità dal punto di vista lavorativo, ma anche contributivo: “Senza i migranti, tra 20 anni i conti Inps saranno critici – ha risposto secco Tridico – e cambiare la legge Fornero peggiorerebbe ancora il quadro delle pensioni”. Il minimo storico di nascite “è un numero molto pericoloso per la sostenibilità delle pensioni”. Secondo il presidente dell’Inps si arriverà ad avere “lo stesso numero di persone che vanno in pensione e che entrano nel mercato del lavoro”.
“Le economie ricche hanno tutte molti migranti – ha insistito ancora Tridico – Anche noi abbiamo l’esigenza di coprire la domanda di lavori medio bassi da Nord a Sud con gli stranieri”. Perciò la soluzione “non può che essere l’accesso di un’immigrazione regolare e fluida”. Le motivazioni le ha spiegate ancora il presidente dell’Inps: “Il saldo con i lavoratori stranieri è decisamente positivo – ha aggiunto – Chi arriva in Italia in larga maggioranza è giovane. Laddove lavora in chiaro, contribuisce in modo positivo al welfare italiano”.
(da Fanpage)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
AFFIDARE ALLA PROTEZIONE CIVILE LA GESTIONE DEL SISTEMA DI ACCOGLIENZA E’ AMMETTERE LA PROPRIA INCAPACITA’
Il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza nazionale per sei mesi in materia di immigrazione, alla luce dell’incremento degli arrivi negli ultimi mesi, o meglio, usando una “formula tecnica” di emergenza in assenza comunque di una “emergenza atecnica”, per citare il ministro Piantedosi. La presidente Meloni ha spiegato che la decisione arriva “per dare risposte più efficaci e tempestive alla gestione dei flussi”. Questa scelta, però, ha diverse implicazioni, che lasciano intravedere, da un lato, la certificazione del fallimento del governo nell’affrontare la situazione e, dall’altro, un approccio emergenziale che si adatta da sempre alla propaganda della destra.
L’Emergenza Nord Africa con il governo Berlusconi
Non è la prima volta che un governo delibera lo stato di emergenza per gestire flussi migratori. L’ultimo caso risale al 2011 e, anche in quell’occasione, si trattava di un esecutivo di destra: il 6 aprile 2011 il governo Berlusconi dichiarò l’emergenza Nord Africa, che fu poi prorogata dal governo Monti in diverse occasioni fino alla sua conclusione, nel 2013.
Un decennio dopo, i giudizi su quell’operazione sono tutt’altro che positivi. L’approccio emergenziale può infatti impedire una gestione politica lungimirante di fenomeni sociali come l’immigrazione: l’arrivo di migranti e profughi all’indomani delle Primavere Arabe (e delle repressioni e restaurazioni che ne seguirono) fu gestito in maniera differente, su base quasi casuale, con persone inserite nel sistema di accoglienza e altre invece abbandonate senza alcun percorso di integrazione. Questi problemi, oltre che sui diritti delle persone e sul benessere della comunità, hanno anche risvolti politici ed economici, come fatto notare al tempo da diversi studiosi.
La gestione emergenziale dell’immigrazione sottrae infatti importanti risorse economiche al controllo contabile, o, per meglio dire, rende più difficile la ricostruzione e la trasparenza delle spese. La cosa più grave è che sottrae tali spese ad una normale programmazione statale di risorse ed interventi.
Per lo stato di emergenza deliberato dal governo Meloni sono già stati stanziati cinque milioni di euro, in attesa delle valutazioni finanziarie sulle effettive esigenze di spesa.
Dall’opposizione al governo: emergenza e protezione civile
Se dovessimo basarci sulle parole pronunciate da Giorgia Meloni quand’era all’opposizione, dovremmo preoccuparci della “deriva liberticida” del governo: nel 2020, in piena pandemia, di fronte alla proroga dello stato di emergenza, la leader di Fratelli d’Italia accusava infatti il governo Conte-bis di usare “poteri speciali”, richiesti “con la scusa del coronavirus”. Era davvero così? No.
Lo stato di emergenza è previsto dal Codice della Protezione civile e riguarda, per l’appunto, i poteri della protezione civile nella gestione di emergenze locali o nazionali derivanti da eventi calamitosi. Quindi, ad esempio, durante l’emergenza, al capo del dipartimento di protezione civile è conferito un potere di ordinanza, anche in deroga alla legge, purché nel rispetto dei principi dell’ordinamento e nei limiti degli stanziamenti previsti.
La dichiarazione dello stato di emergenza non riguarda quindi né il Parlamento né il Governo: il procedimento di formazione e approvazione delle leggi resta invariato, nessuno riceve “pieni poteri”, né Conte a suo tempo, né Meloni ora.
Questo non significa, però, che la scelta di dichiarare lo stato di emergenza sia giusta, né tanto meno innocua.
Lo stile governativo e i rischi di forzature istituzionali
La dichiarazione, apparentemente confusa, di Matteo Piantedosi è piuttosto rivelatoria: rispondendo alle critiche, il ministro ha confermato che la deliberazione governativa è solo una “formula tecnica”, ma che non c’è un “allarme immigrazione”. Demandando alla protezione civile la gestione dei flussi migratori, però, il governo sta implicitamente ammettendo di non essere in grado di gestire un sistema di accoglienza, che dovrebbe dipendere dalla programmazione del Viminale, e che risponde a leggi scritte e varate dalla destra.
Quindi, delle due l’una: o c’è un allarme immigrazione, e allora è sensato deliberare lo stato di emergenza, confidando sulla struttura organizzativa della protezione civile, ma quindi il ministro Piantedosi mente, oppure non c’è un’emergenza in materia, ma allora significa il governo Meloni è incapace di programmare e gestire il fenomeno con gli strumenti ordinari.
In ogni caso, anche se, come si è visto, la deliberazione dello stato di emergenza non assegna poteri al governo intero, ma solo al dipartimento di protezione civile, è anche vero che una dichiarazione simile può legittimare ancor più l’uso, già frequente e incisivo, della decretazione d’urgenza da parte dell’esecutivo, esautorando ancora una volta il Parlamento dal suo ruolo legislativo.
Tra stato di eccezione e shock economy: la percezione dell’immigrazione
Ma i rischi, oltre che istituzionali, sono politici e culturali. La percezione dei fenomeni è infatti spesso condizionata dal modo in cui questi vengono raccontati: secondo le statistiche Ipsos sugli errori di percezione, l’Italia è tra le prime nazioni per misperception index, cioè per la distanza tra la percezione dei fenomeni e i dati reali. Interviste e questionari, somministrati in 38 paesi, riguardano diversi temi sociali, e le rappresentazioni errate sono piuttosto frequenti, e profonde: tra queste c’è anche il modo in cui è percepita l’immigrazione.
Se poi, alle personali impressioni sfalsate, si aggiunge la prassi di affrontare un fenomeno sempre in ottica securitaria ed emergenziale, le possibilità di elaborazione culturale si riducono ulteriormente. Come teorizzato da Naomi Klein, infatti, il senso continuo di insicurezza e di stress psicologico può rendere accettabili decisioni politiche ed economiche che sarebbero altrimenti contestate.
Pur escludendo che il governo voglia imporre politiche criminali in materia, l’uso dei meccanismi emergenziali impedisce comunque, anche al più onesto degli amministratori pubblici, di gestire i flussi migratori con lungimiranza: l’immigrazione è infatti un fenomeno umano e sociale, storicamente attestato in qualunque epoca e per diverse ragioni, e tutelato dall’affermazione di due diritti umani, quello alla protezione, con il diritto di asilo, e quello alla libertà di movimento, che va quindi gestito tenendo conto della complessità di diritti, doveri e interessi che sono coinvolti dalla (libera) circolazione umana.
In caso di calamità, con un inaspettato e ingente arrivo di persone, deliberare lo stato di emergenza può certo essere una soluzione temporanea, per il periodo necessario a chiarire dimensioni ed esigenze, demandando l’organizzazione di soccorso e assistenza alla protezione civile (che è nata proprio per coordinare interventi d’urgenza). Ma gli interventi d’urgenza raramente sono adatti per affrontare la complessità, per offrire soluzioni strutturali, di sistema, mentre appaiono perfetti per rafforzare certi tipi di propaganda.
La propaganda vittimistica dei nuovi patrioti di governo
L’impressione, infatti, è che l’approccio emergenziale faccia comodo al governo e alle forze politiche che lo sostengono. Da un lato, infatti, si certifica una difficoltà, uno scenario tanto arduo da gestire da dover richiedere la deliberazione dello stato di emergenza: il vittimismo di Giorgia Meloni, sul punto, era emerso già nel discorso per la fiducia alle Camere, in cui definiva complicato il contesto in cui ci troviamo, “forse il più difficile dal dopoguerra”, un’affermazione che ha ripreso anche il mese scorso, spiegando che “si trova a guidare una Nazione come l’Italia, forse nel suo momento più complesso dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale”.
Dipingendo lo scenario in questo modo, si drammatizza la realtà, spesso attizzando gli istinti più bassi, di paura e di rabbia. Nel contempo, però, ci si costruisce un alibi efficace: le promesse mancate e il benessere ridotto non vengono attribuiti all’incapacità politica di analizzare e gestire i propri poteri, ma dal contesto difficile.
Ed è proprio l’elemento della responsabilità che il vittimismo riesce a plasmare. Il governo Meloni è composto di esponenti e forze politiche che hanno spesso, se non sempre, avuto ruoli esecutivi: la Lega ha sostenuto due dei tre governi della scorsa legislatura, il ministro Piantedosi ha da anni funzioni al Viminale, Giorgia Meloni è stata al governo tre anni, da ministra più giovane della storia d’Italia, e vanta una militanza politica di decenni, che dovrebbero averle garantito almeno una capacità di analisi della realtà e di elaborazione di soluzioni che non sembra mostrare in quest’approccio di governo che, quando non cerca un nemico qualunque, sta a metà tra il vittimismo deresponsabilizzante e l’interventismo emergenziale.
E mentre lo stato di emergenza certifica l’inadeguatezza di questa destra nella programmazione di interventi complessi, la drammatizzazione del contesto permette di esaltare qualunque azione il governo compia, anche se gli interventi in materia di immigrazione sono stati finora quanto meno discutibili, dalla creazione del nuovo reato contro gli scafisti alla criminalizzazione delle Ong e del soccorso in mare, arrivando perfino alla prospettiva di cancellare la protezione speciale, spingendo ancora le persone nell’invisibilità.
Una volta costruita una cornice narrativa di emergenza, insomma, ogni azione di governo può essere dipinta come provvidenziale, svolta da novelli salvatori della patria, anche se i wannabe-patrioti di governo, al momento di gestire la questione migratoria (cioè proprio il tema che hanno cavalcato per ottenere consenso), non hanno soluzioni migliori del coinvolgimento della protezione civile.
Le conseguenze della gestione emergenziale
Ma davvero la deliberazione dello stato di emergenza è, come sembra, la certificazione dell’incapacità di gestire i flussi migratori? Sul serio, dopo le criticità emerse con l’Emergenza Nord Africa, i membri del governo Meloni sono convinti di poter affrontare una questione sociale con interventi d’urgenza da parte della protezione civile? L’alternativa all’inadeguatezza politica è ancor più inquietante, perché perfettamente in linea con la propaganda della destra, ed è la piena consapevolezza che gli strumenti di emergenza non sono idonei, ma possono anzi essere dannosi, per garantire soluzioni di sistema.
La gestione emergenziale è una soluzione tampone per eventi inaspettati, e dovrebbe essere temporanea, in attesa della risoluzione del problema o della gestione sistematica di una questone. Quando invece fenomeni sociali come l’immigrazione vengono gestiti in questo modo, si rischia di innescare un circolo vizioso: la protezione civile, addestrata alla logistica d’emergenza, funzionale a trarre in salvo le persone dando assistenza e soccorso immediati, non ha le competenze per garantire il funzionamento di un sistema di accoglienza, che coinvolga tanto le comunità locali quanto le persone immigrate. Il risultato è la segregazione di chi arriva, l’aumento delle difficoltà di integrazione e inclusione, con il rischio di incancrenire i conflitti sociali e le disuguaglianze. A banchettare su questo scenario sarà chi potrà poi lamentarsi di un contesto complicato, forse il più difficile dal secondo dopoguerra (cit.), e proporre soluzioni di emergenza, che non risolvono i problemi, ma nutrono la propaganda e portano voti.
(da Fanpage)
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