Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
È FACILE INCOLPARE I RAGAZZI DI NON AVER VOGLIA DI LAVORARE: I MILLENNIAL DEVONO FARE I CONTI CON UN INGIUSTO DIVARIO SALARIALE, CONTRATTI PRECARI E LA RITROSIA DEI PIU’ VECCHI A MOLLARE LA TOLDA DI COMANDO
L’escamotage narrativo della stanza della macchinetta del caffè è perfetto: è il posto negli uffici in cui si incontrano dipendenti baby boomer (i nati fra il 1946 e il 1964) e millennial (1980-1996), e generazioni intermedie e successive.
Abito diverso, preparazione diversa, aspettative diverse e soprattutto stipendio diverso.
In Boomers contro Millennials, 7 bugie sul futuro e come iniziare a cambiare (HarperCollins, 2023), Beniamino Pagliaro parte dai soldi per dimostrare come la sua generazione — quella dei millennial — sia rimasta schiacciata da promesse disattese, narrative pigre e annacquate dal digitale e l’illusione di poter sempre scegliere.
I dati: nel 2018 gli italiani con meno di 34 anni guadagnavano il 21% in meno rispetto alla media degli altri lavoratori. E c’è anche un problema con lo spirito di iniziativa di chi guadagna poco e prova a scardinare lo Sfc: viene considerato controproducente nel dialogo con le altre generazioni. Il tutto inquadrato con finte partite Iva, contrattini e contratti depotenziati.
Aggiungiamoci che a quella macchinetta del caffè la nostra millennial ci è arrivata parlando al telefono con la banca, nel vano tentativo di farsi concedere un mutuo: in Italia l’età media per l’acquisto di una casa per la prima volta è cresciuta fino ai 45 anni.
Verrebbe da passare la giornata a lagnarsi. Pagliaro non lo fa, cerca esempi positivi: trascorre una giornata in Satispay, unicorno italiano fondato da tre coetanei, dove i termini meritocrazia ed efficienza sono di casa, e scopre cosa succede ai millennial se li lasci soli (spoiler: si chiedono cosa voglia dire diventare grandi, normali).
Spoiler numero due: oltre che dei boomer o della mancanza di collaborazione intergenerazionale, la responsabilità è un po’ dei millennial stessi, incapaci di affrontare politicamente e collettivamente quello che gli sta accadendo.
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
COLPA DELLA BUROCRAZIA E DELLA MANCATA COMUNICAZIONE TRA ENTI LOCALI E NAZIONALI. BASTA PENSARE CHE OCCORRONO SEI MESI PER UN DECRETO E DUE PER UN’AUTORIZZAZIONE
«Guardi, ho scritto diverse lettere a enti e ministeri chiedendo semplicemente: ma le gare di appalto per le nostre infrastrutture a che punto sono? Ad oggi non mi ha risposto nessuno. Penso purtroppo che questi soldi non verranno spesi». Giosy Romano, commissario delle aree industriali di Campania e Calabria, allarga le braccia.
Queste due aree, insieme a tutte quelle delle regioni del Sud, sono state inserite nelle Zone economiche speciali (Zes) per accelerare le procedure burocratiche e agevolare nuovi insediamenti: ma restano poco attrattive per le imprese, anche perché in gran parte sono semi abbandonate, con pochi servizi e senza collegamenti con porti e ferrovie.
Ma il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che come missione ha quella di ridurre i divari territoriali nel Paese, doveva essere adesso la manna dal cielo: 630 milioni di euro per realizzare una serie di infrastrutture.
A oggi non è stato speso un euro mentre l’Europa ha fissato l’avvio dei lavori al 31 dicembre, pena il rischio di uno stop definitivo ai finanziamenti. Al momento le gare avviate per aggiudicare gli appalti si contano sulle dita di una mano e ormai quasi certamente la metà della torta, ben 329 milioni che dovevano servire per grandi opere «di interesse nazionale», resteranno nei cassetti.
Perché restano al palo finanziamenti vitali per portare nuove aziende nelle regioni meridionali e un minimo di occupazione nelle aree tra le più povere d’Europa? Dove si è inceppata la macchina? Da queste domande inizia un viaggio nel grande spreco dei fondi del Pnrr per le aree industriali del Sud.
Un viaggio che parte già male, con schede e cifre errate nel documento consegnato a Bruxelles, ma che prosegue anche peggio tra divisioni di competenze tra enti che non si parlano, gare di appalto avviate con iter farraginosi e nessun monitoraggio su quello che sta accadendo.
Il primo obiettivo da rispettare per ottenere la tranche di finanziamenti dalla Commissione europea è quello di arrivare al 31 dicembre 2023 con i cantieri avviati e al 2026 con i lavori consegnati «per almeno 22 interventi per il collegamento dell’”ultimo miglio”, volto a realizzare efficaci collegamenti tra le aree industriali e la rete ferroviaria; almeno altri 15 interventi di digitalizzazione della logistica e lavori di efficientamento energetico e ambientale; almeno altri 4 interventi per il potenziamento della resilienza e della sicurezza dell’infrastruttura connessa all’accesso ai porti», si legge nel Pnrr.
Si tratta di interventi in gran parte inseriti nel cosiddetto allegato 1 che da solo vale 329 milioni di euro e raggruppa le «infrastrutture di interesse nazionale». Questo elenco però non è di competenza diretta dei commissari Zes, che hanno poteri speciali per accelerare le procedure di gara. Ma è stato diviso tra diversi enti: autorità portuali, Anas ed Rete ferroviaria italiana. In questo elenco nessuna gara di appalto per avviare i lavori è stata aggiudicata.
Il motivo? Innanzitutto i commissari si sono trovati in gran parte davanti non dei progetti avviati, come era previsto inizialmente nel Pnrr, ma «delle semplici schede dove non c’era molto altro», dice il commissario della Zona economica speciale Adriatica in Puglia, Manlio Guadagnolo. In altri casi, come in Campania e Calabria, alcune schede avevano importi sbagliati: i grandi enti, non avendo coperture certe per completare le opere, non vogliono quindi avventurarsi in gare di appalto con il rischio di dover poi reperire altri fondi.
Ma c’è di più: commissari ed enti appaltanti non riescono spesso a parlarsi tra di loro. Il commissario della Campania e della Calabria ha scritto ad Anas e Rfi senza avere alcuna risposta: e parliamo di interventi solo per la Zes campana pari a 36 milioni di euro e per quella della Calabria la cifra delle opere in capo ai gradi enti arriva a 111 milioni.
E poi c’è il caso paradossale della Sardegna. Qui per ritardi burocratici, a partire dai sei mesi trascorsi per bollinare il decreto di nomina, il commissario Aldo Cadau si è insediato quando il Pnrr era già stato mandato a Bruxelles: «Quindi non ho nemmeno un euro da gestire e la Sardegna è fuori dai grandi interventi», dice sconsolato.
Insomma del primo elenco dedicato ai grandi interventi per le aree industriali del Sud quasi nessun appalto è stato messo a gara, ad eccezione di alcune opere al porto di Termini Imerese dove si sta realizzando il terminal per i container: qui mancano però i capannoni e l’edificio che dovrebbe ospitare la nautica da diporto.
Non a caso i magistrati della Corte dei conti scrivono parole chiare lanciando l’allarme sugli interventi Pnrr dedicati alle Zes: «Allo stato delle cose il numero degli interventi per i quali si è pervenuti all’aggiudicazione dei lavori è molto esiguo. Per la gran parte di quelli previsti ci si trova ancora in fasi preliminari alla stessa indizione della gara. Addirittura per i progetti relativi alle Zes Calabria e Sardegna non risultano avanzamenti rispetto al primo semestre del 2022. L’obiettivo fissato nel Pnrr per la fine dell’anno in corso risulta arduo. È necessaria una forte accelerazione all’intero processo».
Il problema vero, però, è che nessuno sta monitorando quanto accade. E così le aree industriali del Sud restano in gran parte terreni incolti.
(da La Repubblica)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
SCAMBIO ELETTORALE POLITICO-MAFIOSO E CORRUZIONE
Bufera sul Comune di Melito, popoloso centro dell’area metropolitana nord di Napoli. Un’inchiesta della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, ha portato all’arresto di 18 persone gravemente indiziate, a vario titolo, di scambio elettorale politico mafioso, attentati ai diritti politici del cittadino, associazione di tipo mafioso, corruzione, concorso esterno in associazione mafiosa, tentata estorsione.
Tra i destinatari delle misure cautelari figurano anche l’attuale sindaco di Melito di Napoli, Luciano Mottola, il presidente del consiglio comunale Rocco Marrone, altri due consiglieri comunali, del coordinatore per Melito dell’azienda incaricata del servizio di igiene urbana, padre di un consigliere comunale già candidato sindaco alle elezioni dell’ottobre 2021. Tutti gli indagati avranno modo di poter dimostrare la loro estraneità ai fatti.
Luciano Mottola era stato eletto sindaco nella tornata delle elezioni amministrative del 2021, come candidato di una ampia coalizione composta da liste civiche e da una parte del centrodestra. Mottola ha vinto al ballottaggio contro la sfidante Dominique Pellecchia, candidata, invece, per la coalizione Pd-Movimento Cinque Stelle.
Il provvedimento è stato notificato stamattina da personale della Direzione Investigativa Antimafia, articolazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, che ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 18 soggetti. Il provvedimento è frutto delle indagini svolte dalla DIA di Napoli e coordinate dalla D.D.A a partire dalle notizie inizialmente acquisite sull’interesse della criminalità organizzata ad ingerirsi nelle elezioni del Sindaco e per il rinnovo del Consiglio Comunale di Melito di Napoli.
Il Gip: “Gravi indizi su accordo con clan Amato Pagano”
Il Gip ha ritenuto che, allo stato, dalle indagini siano emersi gravi indizi sull’esistenza di un accordo già per il primo turno di votazioni, svoltosi il 3 e 4 ottobre 2021, tra esponenti della criminalità organizzata operante in quel territorio – clan Amato Pagano – ed alcuni rappresentanti della coalizione a sostegno del candidato sindaco Nunzio Marrone, quest’ultimo non indagato, che avrebbero accettato la promessa, da parte dei referenti dell’organizzazione criminale, di procurare alla coalizione ed allo stesso candidato sindaco i voti degli appartenenti al clan, dei soggetti ad esso legati e dei residenti del rione popolare destinatari di pressioni ed intimidazioni, in cambio dell’erogazione di somme di danaro e di altre utilità nonché della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione camorristica, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento omertoso derivante dall’organizzazione camorristica denominata clan Amato Pagano, anche attraverso l’individuazione di candidati alla carica di consigliere comunale di riferimento del clan.
“Minacciata una candidata al consiglio comunale”
In questa fase, secondo la Procura di Napoli, sarebbe stato persino “impedito l’esercizio dei diritti politici di una candidata al consiglio comunale costretta, con gravi minacce, quali l’allontanamento dall’abitazione o la chiusura dell’esercizio commerciale, a svolgere campagna elettorale non per sé ma per un candidato dell’opposta coalizione gradito al clan”.
Dalle indagini sono emersi gravi indizi sulla circostanza che i rappresentanti della coalizione a sostegno di Mottola, in vista del ballottaggio, riprendevano l’ipotesi di concordare con gli esponenti del clan il sostegno al proprio candidato; già al primo turno, infatti, era stato rilevato il progetto anche da parte di costoro di richiedere sostegno al clan; tale progetto era stato accantonato in ragione della verificata conclusione di un accordo a favore della coalizione avversa guidata da Marrone Nunzio.
Esponenti della coalizione a sostegno di Mottola, quindi, accettavano la promessa, da parte del referente del clan Amato Pagano (successivamente deceduto il 23 gennaio scorso in seguito ad un agguato di stampo camorristico), di procurare, per il ballottaggio, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo, i voti degli appartenenti al clan, dei soggetti ad essi legati e dei residenti del rione popolare destinatari di pressioni ed intimidazioni, in cambio dell’erogazione a ciascuno di loro di somme di danaro ed altre utilità tra le quali la collocazione o la promessa di posti di lavoro.
Nel corso delle indagini sarebbero emersi, per la Procura, anche “episodi di compravendita di voti di consiglieri comunali in occasione delle elezioni (di secondo livello) per gli organi della Città metropolitana svoltesi il 13 marzo 2022. Sono stati, inoltre, individuati gravi indizi su alcuni episodi estorsivi posti in essere dagli affiliati al clan. Il provvedimento eseguito è una misura disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione, e i destinatari di essa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.
(da Fanpage)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL MIO VIAGGIO TRAGICOMICO VERSO SUD BLOCCATO DA UNA FRANA SUI BINARI SENZA ACQUA E SENZA INFORMAZIONI
«Mi dia il numero di un referente della vostra centrale operativa» chiede il poliziotto. «Non sono autorizzato» è la risposta del funzionario di Ferrovie. «Cosa ha detto? Forse non le è chiara una cosa: qui c’è un problema di ordine pubblico».
Stazione di Caserta: il Frecciarossa 9511 partito da Roma Termini alle 10, diretto a Lecce con arrivo previsto alle 15.50, non può proseguire la sua corsa normale. «Causa maltempo la linea tra Caserta e Benevento è interrotta – informano – I passeggeri sono pregati di scendere dal treno, il viaggio proseguirà in pullman».
Proseguirà in pullman solo da Caserta a Benevento? Poi di nuovo tutti sul treno fino a Lecce? Oppure il resto della corsa sarà tutta in autobus? E quando arriveranno? Quanti alla volta? Con quale priorità si faranno salire e ripartire i passeggeri? Intorno agli ufficiali di polizia che incalzano i referenti di Ferrovie, un capannello di cittadini ascolta basito lo scambio.
«Vergognatevi!» è la parola più gettonata. «Ci sono giornalisti qui bloccati, attenti alle risposte che date». Qualche minuto dopo, l’agente di polizia si avvicina: «L’ho riconosciuta – mi dice – mi scusi se l’ho tirata in mezzo ma era per far capire che la situazione è delicata, c’è la stampa che ci osserva».
Prima di essere giornalista sono una cittadina. Figlia del Sud Italia. Per noi, situazioni così, sono la consuetudine. Una volta è il maltempo, un’altra un guasto tecnico alla locomotiva, oppure un problema di ordine pubblico, un gregge che si è bloccato sui binari. Non scherzo. «
Quando c’erano i vecchi treni, i famosi pendolini, (chiamati così perché oscillavano), su questa tratta spesso si restava bloccati. Il treno, oscillando appunto, toccava le rocce e si fermava».
Leonardo Palmisano, scrittore, sociologo, ideatore di Legalitria, importante progetto di lettura contro la devianza e contro la criminalità rivolto alle scuole superiori, mi aspetta a Lecce. Alle 18.30 a Caprarica dovrei incontrare gli studenti e parlare con loro di crisi climatica, inquinamento e salute pubblica.
«Mi scusi sa dirmi più o meno a che ora arriveremo a Lecce?» «No, guardi, non me la sento. Qualsiasi orario le direi non sarebbe veritiero. Non sappiamo quando manderanno i pullman sostitutivi e non è ancora certo che da Benevento potrete continuare in treno o dovrete proseguire in pullman». Grazie. Non c’è dubbio che anche il ruolo del funzionario di Trenitalia in queste occasioni sia davvero sfortunato. Li vedi lì sul piazzale, quasi a nascondersi per l’imbarazzo di non sapere che dire. Persino la polizia li incalza e loro possono solo alzare gli occhi al cielo. Cristo questa volta si è fermato a Caserta. Altre volte si ferma a Potenza. Non scherzo.
Può accadere di tutto quando in treno cerchi di raggiungere il Sud Italia. Ho perso il conto delle volte che nel tentare di arrivare a casa mia (Taranto) sono scesa a Potenza e ho dovuto proseguire il mio viaggio a bordo di un autobus. Decine di fermate nei paesini, anche di montagna, con improbabile accumulo di ritardo. Ieri sul piazzale antistante la stazione di Caserta ad attendere i passeggeri del Frecciarossa 9511 che dovevano proseguire in pullman, non c’era nessuno.
Centinaia di persone abbandonate, senza informazioni, senza una bottiglia d’acqua, con la promessa di 10 pullman che ci avrebbero messi in salva e portati a destinazione. Arrivano i primi due autobus, ovviamente vengono presi d’assalto.
Una voce nella folla urla: «Alzi la mano chi va a Foggia!» Gli stranieri si guardano intorno smarriti. «What did he say? (Cos’ha detto?)». Chi parla inglese tra noi se ne fa carico e traduce. Arriva un altro pullman. «Salga solo chi è diretto a Bari». Tutti praticamente. «No, solo quelli che erano sull’Intercity». Ah ok. Chiedo: scusi ma visto che anche il Frecciarossa fermava a Bari, posso salire? «No». Perché? «Fa più fermate. Lei ha pagato un biglietto per una tratta più veloce». Giusto. E il pullman più veloce quando arriva? «Non lo so, io sono solo un autista. Chieda al capotreno». Dov’è? «È stato preso d’assalto, è lì in mezzo alla folla». Storie ordinarie di un’Italia grottesca.
Nel frattempo sono passate due ore. E dei restanti autobus promessi non c’è traccia. Intanto si scopre il motivo del disservizio: «C’è stata una frana sui binari tra Telese e Amorosi». Cerco su internet: secondo una prima ricostruzione a causa delle abbondanti piogge si è staccato del materiale terroso che ha invaso la linea ferroviaria della direttrice nord-sud. A gennaio scorso sembra sia franata un’ala del cimitero di Sant’Agata de’ Goti in provincia di Benevento. Venti bare e 80 urne sono finite in un torrente, solitamente asciutto, ma che con le abbondanti piogge è tornato a riempirsi. Vai a capire. Tutta colpa del maltempo, questo maledetto.
Nel frattempo a Caserta in attesa dei pullman sostitutivi sono passate tre ore senza alcuna informazione più precisa. C’è chi allatta seduta su un marciapiede, chi cerca una macchina per proseguire il viaggio, chi comincia a disperarsi, ma in generale regna la rassegnazione di sapere di essere gente del sud, figli di un Dio minore. Ci siamo arresi, senza lottare. Io alla fine sono tornata indietro. Non ce l’ho fatta ad aspettare oltre.
Ma in fondo è colpa della frana, dice Trenitalia, cosa c’entriamo noi. Nulla, certo. Che colpa invece abbiamo noi: non meritiamo forse l’alta velocità anche tra Caserta e Foggia attraverso la dorsale appenninica? Il cantiere per i lavori dell’Alta Velocità tra Napoli e Bari sono iniziati a fine 2015. L’anno prossimo (sarà vero?) potremo andare da Napoli a Bari senza passare per Caserta. Quelli della galleria che unirà Telese a Vitulano, invece, tra le colline sannite, da programma dovrebbero terminare entro il 2027. Dunque per ora tocca soffrire ancora e soprattutto pregare. In Italia si sa quando si inizia, meno quando si finisce. Ma i soldi ci sono. C’è la speranza che i miliardi del Pnrr possano colmare il gap economico tra Nord e Sud. Ecco, la speranza. Non toglietecela, almeno quella. Ma avremo il Ponte sullo Stretto di Messina, magari ci arriveremo a nuoto, ma che importa. Cristo in qualche modo ci aiuterà.
(da La Stampa)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
UNA FORMA DI SQUALIFICAZIONE INGIUSTA E RISCHIOSA
Cambiano gli acronimi – non più Mia, ma Gil e Gal – ma la sostanza della riforma del sostegno a chi si trova in povertà rimane la stessa delineata nella legge di stabilità e poi presentata in prima battuta circa un mese fa: riduzione drastica della platea di chi può chiedere il sostegno, forte riduzione dello stesso e drastica limitazione temporale per chi non è minorenne, disabile, anziano o non ha una di queste figure in famiglia.
Confermata e rafforzata è l’idea di introdurre due misure che ora hanno anche nomi diversi: una – Garanzia per l’inclusione sociale e lavorativa (Gil) – destinata alle famiglie con minorenni, o disabili o anziani, l’altra, di importo più modesto, di durata più breve e non rinnovabile – Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal) – destinata a chi, povero, non ha minorenni, né disabili, né anziani in famiglia e non lo è egli o ella stessa, a prescindere dall’occupabilità.
Scaduti i 12 mesi massimi di beneficio, anche se non avranno trovato una occupazione con reddito superiore a quello al di sotto del quale si avrà accesso al Gal, rimarranno senza alcun sostegno.
Con buona pace della Raccomandazione europea sul Reddito minimo, secondo la quale occorre garantire a chi si trova in povertà, a prescindere dalla composizione familiare e dalle caratteristiche personali, un sostegno economico in grado di consentire a lei/lui e alla sua famiglia una vita dignitosa per il tempo necessario e finché il bisogno persiste, con misure di politica attiva del lavoro per chi è in grado di lavorare e di inclusione sociale per chi non lo è.
Le novità, rispetto alla bozza del Mia, sono due. La prima, in contrasto con propositi di miglioramento annunciati, è l’introduzione di una scala di equivalenza, nel caso del Gal, ancora più restrittiva dell’attuale per i minorenni. Il coefficiente per loro non è più 0,2, ma 0,15 per i primi due e 0,10 per quelli successivi (con un massimo complessivo di 2,2), penalizzando così le famiglie numerose. Il coefficiente 0,4 rimane per il componente maggiorenne con carichi di cura e anziani o disabili.
La seconda novità, più dirompente, è l’esclusione di molti giovani da entrambi i benefici. Per quanto riguarda il Gil, infatti, i figli maggiorenni conviventi non vengono conteggiati ai fini del calcolo dell’ammontare del sussidio, anche se a carico. Mentre a fini del Rdc contano il doppio dei minorenni, per il Gal non contano nulla.
Forse è così che il governo pensa di correggere lo svantaggio dei minorenni e delle loro famiglie presente nel disegno del Rdc: non migliorando la loro situazione, ma cancellando i maggiorenni giovani. Ma questi vengono cancellati in larga misura anche dal pur modesto Gal (che per altro fornirà sostegno solo a non più di due adulti per nucleo).
Secondo la bozza di normativa (articolo 2, comma 5, lettera c), infatti, i figli maggiorenni non conviventi con i genitori sono comunque considerati far parte del nucleo di questi se tra i 18 e i 30 anni, a carico, non coniugati o in unione civile o senza figli.
Quindi, anche se disoccupati e non più in formazione, non possono chiedere autonomamente il Gal come nucleo a sé stante, a meno di essere in coppia e/o con un figlio, una situazione rara tra i giovani italiani. Rimangono a carico dei genitori, che questi siano o meno in grado di mantenerli, senza che tuttavia questo “carico” venga riconosciuto nella definizione dell’ammontare del sussidio.
Immagino che la norma miri a evitare uscite fittizie dalla famiglia di origine per ottenere il sussidio. Ma, stante che la presenza di figli adulti a carico non fa aumentare il beneficio, l’esito è solo una riduzione delle risorse disponibili per tutti, inclusi i minorenni.
Aggiungo che, mentre si negano i loro bisogni e il diritto a una vita dignitosa, questi figli adulti sono tenuti a osservare le prescrizioni relative alla disponibilità al lavoro e alla formazione rivolte a tutti gli adulti teoricamente occupabili, e l’inosservanza da parte di un solo componente della famiglia fa decadere il beneficio per tutti, minorenni, disabili e anziani inclusi.
È già discutibile che i familiari siano ritenuti di fatto responsabili in solido dei comportamenti di uno di loro. Lo è ancora di più se la persona il cui comportamento è stigmatizzato di fatto non ha i diritti connessi al comportamento atteso.
Una forma di squalificazione non solo ingiusta, ma potenzialmente rischiosa per la costruzione di un senso del proprio valore e capacità, per la disponibilità e la fiducia a impegnarsi nello sviluppo delle proprie competenze – caratteristiche spesso già indebolite da percorsi scolastici accidentati e tentativi falliti di entrare nel mercato del lavoro.
(da La Repubblica)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
NELLA COALIZIONE LE PULSIONI FILO RUSSE DELLA LEGA E DELLO STESSO BERLUSCONI RESTRINGONO IL CREDITO CHE LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SI È COSTRUITA OLTRE ATLANTICO… LA VISITA A WASHINGTON DI CUI SI PARLA DA TEMPO NON SI È ANCORA REALIZZATA
Per il momento l’attenzione resta concentrata sul governo e le quotidiane difficoltà che Giorgia Meloni incontra. Il caso della spia russa fuggita sembra destinato a lasciare parecchie scorie. E non si tratta del solito gioco a scaricare le responsabilità tra l’esecutivo, nella persona del ministro Nordio, e la magistratura.
Per quanto si sia cercato di tenerli al riparo dalle polemiche, il ruolo avuto dai servizi segreti resta da decifrare. Sono rimasti del tutto estranei alla vicenda, nessuno li aveva coinvolti, «nessuna informativa da intelligence straniere» era arrivata, come ha detto la premier? Purtroppo non si tratta di un piccolo incidente, ma di una questione che tocca la sicurezza nazionale e dunque, nonostante si preferisca non sottolinearlo, investe le relazioni tra Roma e Washington.
Meloni è riuscita a ritagliarsi il profilo di alleata leale e fidata. Con la guerra ai confini d’Europa, il suo “atlantismo” si è dimostrato granitico. L’Italia meloniana è nell’area del Mediterraneo quello che la Polonia è a Est.
Eppure non tutto è chiaro. Come sappiamo da mesi, nella coalizione le pulsioni filo russe della Lega e dello stesso Berlusconi sollevano interrogativi agli occhi degli americani e restringono il credito che la presidente del Consiglio si è costruita oltre Atlantico. Forse è solo un caso o un problema di calendario, ma la visita a Washington di cui si parla da tempo non si è ancora realizzata.
E la vicenda Uss era l’ultima cosa di cui l’esecutivo aveva bisogno in questo momento. Ecco perché la premier, che ha fatto della politica estera il suo punto di forza, non ha alternative: dovrà chiarire le zone d’ombra e non solo per ragioni domestiche.
L’altro aspetto riguarda l’Europa. Il tema dei migranti s’inasprisce. Qui il punto è sempre lo stesso: se l’Unione intende aiutare l’Italia con un più efficace coordinamento o se invece si andrà avanti al la spicciolata, come è stato finora.
Per l’Italia il rischio del semi-isolamento è serio, per cui diventano via via più importanti le elezioni europee tra un anno. Lì può cambiare la maggioranza che regge il Parlamento di Strasburgo e di conseguenza la Commissione. Proprio ieri il tedesco Weber, uomo della Csu, quindi della destra, ha spezzato una lancia a favore dell’Italia e della premier. È un indizio: in Germania c’è chi ha lo stesso interesse strategico di Meloni. Ma il sentiero è in salita.
(da La Repubblica)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
39 INDAGATI E 14 ARRESTI: SOTTO LA LENTE CIAMPINO E PRATICA DI MARE
14 arresti, 10 ordinanze di obbligo di dimora e altri 15 indagati: questi i risultati di un’inchiesta che ha coinvolto anche 12 militari dell’Aeronautica sugli appalti edili nelle forze armate.
Carabinieri e polizia stanno eseguendo un’ordinanza emessa dal gip di Velletri. I destinatari delle misure sono 12 militari dell’Aeronautica e 12 civili, titolari e dipendenti, di ditte operanti nel settore edile.
Con il provvedimento sono stati riconosciuti gravi indizi di colpevolezza a carico dei 39, indagati a vario titolo.
I reati ipotizzati sono turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione per l’esercizio della funzione e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
Le presunte condotte illecite sarebbero state commesse a Ciampino, Pratica di Mare, Vigna di Valle, Furbara, in provincia di Roma; Montecastrilli (TR), Borgo Piave (LT), Grazzanise (CE) e Somma Vesuviana (NA), nel periodo intercorso tra il mese di maggio 2017 e il mese di gennaio 2021.
II volume d’affari degli appalti ammonta complessivamente a circa 3 milioni di euro. L’Aeronautica Militare, dopo le prime evidenze investigative e l’esecuzione dei primi atti, ha avviato una propria inchiesta amministrativa interna. Che ha confermato le irregolarità.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
“ATTO MOTIVATO DALL’ODIO RAZZIALE”
Suona il campanello, ma è quello sbagliato e il proprietario di casa gli spara. È questa la ricostruzione di quello che è successo Ralph Yarl, 16enne afroamericano di Kansas City (Missouri) che giovedì pomeriggio era andato a prendere i suoi fratelli minori suonando a una porta che non era la loro.
Il principale indiziato dell’aggressione è un uomo bianco di 84 anni. Su Andrew Lester pendono i reati di aggressione di primo grado e azione criminale a mano armata. Le autorità giudiziarie hanno emesso un mandato d’arresto, ma Lester è attualmente a piede libero, fa sapere la Cnn. Secondo la procura, si tratterebbe di un atto motivato dall’odio razziale
La dinamica
Le indagini non hanno rilevato elementi che possano far supporre che i due si fossero mai parlati. E non ci sono prove che Yarl sia entrato nell’abitazione dell’uomo, che stando a quanto noto finora, avrebbe aperto il fuoco con una calibro 32 attraverso una porta di vetro. In seguito agli spari – uno sul lato sinistro della testa del 16enne, e uno al suo braccio destro – Yarl è caduto a terra agonizzante, ed è stato raggiunto da un capannello di vicini. Il ragazzo doveva andare a 115th Street, ma si è sbagliato ed è arrivato a 115th Terrace.
Ora è uscito dall’ospedale e sta proseguendo il proprio percorso di guarigione che dovrebbe portarlo nuovamente a suonare il clarinetto di cui è appassionato. La famiglia ha aperto un crowdfunding online per pagare le cure, raccogliendo oltre 2 milioni di dollari.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEI GIOVANI SMONTA LA FAVOLA DEI RAGAZZI CHE PREFERISCONO STARE SUL DIVANO
Il Veneto e il Piemonte comunicano i dati, i giornali riprendono la notizia: sono in aumento le assunzioni degli over 50.
Ed è una buona notizia se una fascia di popolazione spesso considerata troppo anziana per essere occupabile, adesso, ritrova il lavoro perduto. Solo nel mese di febbraio, nelle imprese venete sono stati assunti 5.600 over 55.
In Piemonte, Repubblica parla di «rivincita dei capelli bianchi». Quello che negli Stati Uniti chiamano fenomeno del re-hiring, in terra sabauda si è manifestato con 103 mila nuovi posti di lavoro per persone con più di 50 anni, nel 2022. Un dato migliore persino del 2019, in era pre-Covid.
A queste notizie, purtroppo, si aggiunge una narrazione che colpevolizza i giovani per l’alto tasso di disoccupazione che, invece, li riguarda.
Dal choosy di Elsa Fornero, in voga un decennio fa, al divano di Francesco Lollobrigida: i ragazzi, secondo il racconto di chi attribuisce metà della responsabilità al reddito di cittadinanza e l’altra all’educazione ricevuta, avrebbero perso lo spirito di sacrificio.
Esprime chiaramente il concetto Walter Agostini, 56 anni, neoassunto in una struttura ricettiva veneta: «Oggi, i giovani hanno poca voglia di mettersi sul mercato. Tanti hanno genitori con la possibilità di lasciarli tirare a campare. Io invece sono stato abituato a guadagnarmi la pagnotta ogni mese».
Oltre Walter, tanti esponenti politici e del mondo dell’imprenditoria ne fanno una questione generazionale.
Cadendo, purtroppo, nella facile contrapposizione tra due “Italie” completamente differenti: quella che ha vissuto sulla scia del boom economico, un miracolo industriale tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, e quella che invece non riesce a uscire da uno stato di «permacrisi».
Usa questo neologismo Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio nazionale dei giovani – il Cng -, per definire la condizione di disagio psicologico, fisico e sociale a cui sono condannati quei ragazzi che, dal 2008, hanno dovuto vivere un contesto di crisi dopo l’altro: il crack degli istituti bancari, l’austerity derivata dal rischio di default per i debiti sovrani, la pandemia, la guerra in Ucraina.
Nonostante ciò, la ricerca conclusa lo scorso anno dall’organo consultivo del governo sui giovani e il lavoro restituisce un’immagine distante da quella del ragazzo che resta seduto sul sofà in attesa del reddito di cittadinanza.
«Gli studi realizzati dimostrano che, in realtà, i giovani italiani si mettono alla prova e, pur di emanciparsi economicamente, accettano delle condizioni di lavoro che non dovrebbero accettare. Non parliamo solo di lavoro sottopagato, ma di lavoro in nero».
Disposti a lavorare al punto di accettare posti con contratti pirata
Su un campione nazionale di 960 giovani della fascia di età 18-35 anni, il 54,2% ha dichiarato di aver svolto uno o più lavori in nero, senza contratto. Il 61,5% ha accettato un lavoro sottopagato, il 56,6% afferma di aver ricevuto – e nella maggior parte dei casi accettato per almeno due volte – offerte di lavoro sotto inquadrato rispetto alle proprie competenze.
«È evidente che esiste una difficoltà nel trovare giovani disposti a lavorare in determinati settori, ma è altrettanto evidente che le proposte fatte loro non sono allettanti come quelle che arrivano in altri segmenti di mercato, oppure da altri Paesi europei».
Per Pisani, la scarsa appetibilità delle offerte in quei settori che scontano una carenza di lavoratori giovani va collocata in un contesto più ampio: «Non si può affrontare seriamente la questione se prima non si correggono quelle dinamiche che causano una forte migrazione giovanile lungo tre direttrici. Molti, troppi ragazzi sono costretti a spostarsi dal Sud al Nord, dalle province ai centri cittadini, dall’Italia all’estero. Tra le prime evidenze di questa scarsità di opportunità per i giovani, e quindi di lavori equi dal punto di vista della mansione e del compenso, c’è l’aumento della denatalità. Per un ragazzo, oggi, è difficile immaginare di riuscire a costruire un nucleo familiare, senza certezze economiche».
Sottopagati e sotto inquadrati
Secondo l’analisi del Cng, il 37,5% dei ragazzi è andato incontro a un’ingiustizia economica in ambito lavorativo, venendo pagato meno di quanto pattuito. Il 32,5% dei giovani intervistati, poi, ha lamentato di non essere stato pagato almeno in un’occasione in seguito al lavoro svolto. C’è un’assenza di garanzie e tutele che, come effetto, va ad alimentare la sfiducia nei giovani che si affacciano al mercato del lavoro.
«La generazione alla quale oggi qualcuno imputa una certa pigrizia, in realtà, ha visto diminuire di ben sette volte la propria ricchezza rispetto alle generazioni precedenti». Come se lo spiega? «L’Italia, nel suo insieme, non è stata un terreno fertile per la creazione di posti di lavoro. Per tre ragioni: la burocrazia che rallenta i processi industriali, una scarsa certezza del diritto e la carenza di infrastrutture che non consente, al Sud, di essere attrattivo verso gli investimenti». Questi tre elementi hanno fatto sì che, in certe aree del territorio, si sviluppassero solo determinate tipologie di economie, «le quali, spesso, non hanno risorse per compensare i giovani dello sforzo richiesto».
Pisani, poi, mette in evidenza il tema del mismatch tra competenze acquisite e offerte di lavoro: «Questa generazione è quella che ha avuto il più ampio accesso ai gradi di istruzione. È logico che un giovane che è più preparato rispetto al genitore ambisca ad avere occupazioni in linea con i suoi studi e proporzionate nella paga. Ecco, se c’è un fondo di verità riguardo al vantaggio competitivo degli over 50, lo individuiamo qui: i giovani, avendo avuto un diverso approccio all’istruzione rispetto alle precedenti generazioni, nutrono aspettative più alte. Invece, l’Italia è un Paese che ha visto fermarsi il suo ascensore sociale». Sul reddito di cittadinanza, la posizione del Cng è abbastanza critica: «Le misure di sostegno alla povertà sono necessarie, ma la risposta forse va indirizzata verso altri tipi di interventi. Formazione, orientamento, riduzione del cuneo fiscale, sistema Paese più aperto agli investimenti», elenca Pisani. Che aggiunge: «Certamente il reddito di cittadinanza meritava di essere rivisto. Ma sarebbe sbagliato ridurre a questo sussidio i problemi occupazionali dei ragazzi. Dobbiamo partire da un presupposto: i giovani, oggi, da un lato hanno una maggiore consapevolezza che sia giusto avere un bilanciamento tra vita professionale e personale, dall’altro non hanno speranza nel futuro a causa della “permacrisi” a cui facevo riferimento poc’anzi».
«Ci sono città in Italia che non consentono a un giovane che ha una paga media di viverci. Con che coraggio critichiamo i ragazzi?»
All’assenza di fiducia, secondo Pisani, è collegato il largo fenomeno dei Neet, che vede il nostro Paese ai primi posti in Europa per numero di giovani Not in Education, Employment or Training. «La narrazione contribuisce a costruire la verità. Se i giovani italiani sono immersi in un racconto negativo riguardo al proprio futuro, perché dovrebbe nascere in loro uno sforzo per fare qualcosa di nuovo? L’impegno non può che derivare da uno spiraglio di speranza, di crescita. Dovremmo smetterla di porre le generazioni, l’una contro l’altra. Dovremmo smetterla di raccontare solo le circostanze negative oppure, dall’altro estremo, solo storie eccezionali, come se fossero la normalità. Cominciamo a raccontare il quadro reale del Paese con una prospettiva di ottimismo». Conclude Pisani. «Il contesto generale abitua talmente tanto alla rassegnazione che, se anche il ruolo è oggettivamente sottodimensionato, molti ragazzi si ritengono persino fortunati per aver trovato un’occupazione. Ci sono città in Italia che non consentono a un giovane che ha una paga media di viverci, emanciparsi, rendersi indipendente dalla propria famiglia. L’affitto in città come Milano e Roma è quasi totalizzante rispetto alle possibilità economiche. Davvero chiediamo ai giovani con una laurea e magari un master di lavorare per riuscire a pagarsi una stanza in un appartamento condiviso, a 30 anni, e contemporaneamente abbiamo il coraggio di criticarli se non hanno più fiducia nel mondo del lavoro?».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »