Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
“STAVAMO CONTESTANDO UNA MINISTRA CHE STA RENDENDO PIÙ DIFFICILE LA VITA A PERSONE CHE NON SI CONFORMANO ALL’UNICA VISIONE DI FAMIGLIA CHE SECONDO IL GOVERNO ESISTE”
È il fascismo degli antifascisti? Anche la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Eugenia Roccella prende in prestito la tesi di Pier Paolo Pasolini per descrivere la contestazione di due giorni fa al Salone del Libro nello stand della Regione Piemonte dove avrebbe dovuto presentare il suo ultimo libro.
È un’accusa pesante che i contestatori considerano «ridicola». Per “Non Una di Meno – Torino” accetta di parlare Lara, una delle attiviste che hanno partecipato alla contestazione di due giorni fa. «Fascisti, noi? Crediamo che sia la ministra che l’assessore abbiano già tantissimi, troppi, palchi per accusarci di omicidio perché abortiamo o per istigare all’odio verso di noi in quanto persone Lgbtqia+. Riteniamo che abbiano a disposizione strumenti legislativi, possibilità di finanziare economicamente le loro politiche, potere mediatico. Infatti sui giornali è stata pubblicata la sua versione dei fatti con lunghe interviste. Averla fatta rimanere in silenzio per qualche ora è nulla rispetto alla violenza che viviamo tutti i giorni a causa delle loro politiche, che non ci permettono neppure di curarci o di accedere a diritti fondamentali».
«Fascismo? Stavamo difendendo una posizione politica», risponde Annalisa Gratteri di Extinction Rebellion, l’altro gruppo che ha partecipato alla contestazione. «Non stavamo contestando una scrittrice ma una ministra che sta rendendo più difficile la vita a persone che non si conformano all’unica visione di famiglia che secondo il governo esiste. In democrazia questo tipo di contestazioni sono giustificate anche per la disparità di potere di comunicare fra noi e lei. Infatti il nostro parere non è stato pubblicato sulla gran parte dei giornali mentre la ministra ha avuto grande spazio per raccontare la sua versione. Noi, sempre attraverso la stampa, abbiamo saputo di essere stati denunciati ».
«Vogliamo i fatti (e soprattutto i soldi) – risponde Lara di Nudm- Torino – perché delle parole e del dialogo istituzionale non ce ne facciamo più nulla. Per noi democrazia non è affatto far parlare chiunque e dare spazio anche ad opinioni lesive dei diritti, ma, anzi, è riequilibrare l’abuso di potere che ogni giorno viviamo sulle nostre vite».
(da La Stampa)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
DA BRUXELLES MINACCIANO DI NON PAGARE LA TERZA TRANCHE. MA ANCHE SE ARRIVASSERO QUEI 19 MILIARDI, TUTTO SARÀ PIÙ SEVERO, E NON CI SARANNO SCONTI
La linea di credito che la Commissione europea aveva aperto nei confronti del governo Meloni si sta esaurendo. Anzi, probabilmente è già esaurita. E, come prevedibile, il “casus belli” è il Pnrr.
Perché le dichiarazioni sempre più contraddittorie di Roma sul Piano di Riforme e Resilienza – a partire da quelle rilasciate domenica scorsa dal ministro per i rapporti con l’Ue, Raffaele Fitto, e poi smentite – hanno ormai gettato un’ombra sulla credibilità e affidabilità dell’esecutivo italiano.
“Ci stanno dicendo troppe volte – è il sospetto che trapela sempre più negli uffici di Palazzo Berlaymont – che non riusciranno a spendere i soldi ». Si svela il terrore di un possibile fallimento della più grande operazione economico-finanziaria messa in campo dall’Unione. Un potenziale colpo esiziale al processo di integrazione europeo, la rinuncia per i prossimi anni a nuove forme di debito comune. Un vero disastro.
L’ultimo messaggio della Commissione è stato infatti inequivocabile: «Qualsiasi revisione dei piani nazionali di ripresa e resilienza non dovrebbe abbassarne l’ambizione complessiva. Siamo consapevoli che il governo italiano voglia rivedere il Pnrr, ma non abbiamo ancora ricevuto una richiesta formale di modifica »
Il punto non è la modifica degli obiettivi ma «l’ambizione complessiva». Un allarme non casuale. Ci sono infatti due questioni che da qualche giorno sono state piazzate sul tavolo della presidente Ursula von der Leyen: una sostanziale e una formale.
La prima: alcuni dei segnali lanciati da Palazzo Chigi sono stati interpretati davvero con apprensione. Alcune richieste di informazione sulla possibilità di rinunciare a una quota dei cosiddetti “loans”, ossia i prestiti previsti dal NextGenerationEu (ai “grants”, alle gratuità invece non si rinuncerebbe in ogni caso). Circa 120 miliardi. Una scelta tecnicamente possibile, ma politicamente disastrosa. sarebbe un segnale di estrema debolezza, i mercati non lo prenderebbero bene, i 26 alleati anche peggio.
Resta il fatto che la sola ipotesi ha destato davvero tante perplessità. E soprattutto ha fatto riemergere giudizi negativi – e luoghi comuni – sul nostro Paese.
La seconda: i tempi di revisione del Pnrr non coincidono tra Roma e Bruxelles. Fino alla scorsa settimana, infatti, il governo aveva programmato di presentare il nuovo documento tra luglio e agosto. Troppo tardi per la Commissione che ha insistito per chiudere la partita entro giugno. In effetti, adesso l’orientamento è quello di provare a stringere i tempi. Anche Fitto sta cercando di evitare il conflitto almeno su questo punto.
L’Ue si aspetta che l’Italia segua la procedura stabilita dall’articolo 21 del Regolamento sul NextGenerationEu e corregga il suo Piano. Ma senza revisioni al ribasso. E con tempi certi. La “squadra” di Giorgia Meloni non sa se sarà in grado di rispettare gli impegni. Anche con un eventuale nuovo Pnrr. Perché la capacità di spendere le risorse e realizzare opere e progetti sta diventando sempre più aleatoria. Persino i funzionari già impegnati con il governo Draghi a seguire le diverse road map, confessano che il controllo ormai non esiste più. L’accentramento a Palazzo Chigi sta provocando una sorta di “effetto-abbandono”.
Il ritardo nel pagamento dell’ultima tranche di finanziamento è in una certa misura connesso a questa incertezza. In realtà, c’è già l’accordo “politico” per il via libera. Ma sarà l’ultima “accondiscendenza”. Già per i soldi del semestre in corso, tutto sarà più severo.
Più che pensare al presidenzialismo, Giorgia Meloni dovrebbe dunque occuparsi di come rendere proficuo il più grande investimento economico compiuto sull’Italia dai tempi del Piano Marshall.
(da La Repubblica)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
UN GRUPPO DI “SABOTATORI” HA FATTO INCURSIONE A BELGOROD, CITTÀ VICINA AL CONFINE CON L’UCRAINA… DIETRO CI SAREBBE KIRILO BUDANOV, DIRETTORE DELL’INTELLIGENCE MILITARE DI KIEV, CHE CONTROLLA REPARTI DI COMBATTENTI VOLONTARI CHE USA PER OPERAZIONI SPECIALI
Il governatore della regione russa di Belgorod, Vyacheslav Gladkov, ha esortato i residenti di Grayvoron a non tornare nelle loro case: “Non è ancora il momento di lavorare”, ha scritto, aggiungendo che nei combattimenti di ieri nella non si registrano vittime tra i civili. Lo riporta il Guardian “Ad oggi, non ci sono morti tra i civili. Tutte le azioni necessarie da parte delle forze dell’ordine sono in corso. Siamo in attesa del completamento dell’operazione antiterrorismo annunciata ieri”, ha affermato in un aggiornamento della situazione sul suo canale Telegram.
Diversi attacchi di droni hanno preso di mira case e un edificio amministrativo nella regione russa di Belgorod nella notte di lunedì, a seguito di un’incursione di combattenti armati provenienti dall’Ucraina: lo ha reso noto su Telegram il governatore della regione, Vyacheslav Gladkov, precisando che gli attacchi non hanno provocato feriti o vittime.
L’operazione antiterrorismo nella regione russa di Belgorod vicino al confine con l’Ucraina “continua”: lo ha reso noto il governatore della regione, Vyacheslav Gladkov. “I controlli a tappeto da parte del ministero della Difesa e delle forze dell’ordine stanno continuando” nel distretto di Grayvoron della regione di Belgorod, ha scritto Gladkov su Telegram. “Le forze dell’ordine stanno facendo tutto il necessario”, ha sottolineato.
Le forze di sicurezza russe si sono scontrate con tutta probabilità con gruppi di partigiani in almeno tre località della regione russa di Belgorod, vicino al confine con l’Ucraina, tra venerdì scorso e ieri: lo scrive il ministero della Difesa britannico nel suo aggiornamento quotidiano di intelligence.
L’identità dei partigiani non è stata confermata, ricorda il rapporto pubblicato su Twitter, ma i gruppi anti-regime russi ne hanno rivendicato la responsabilità. L’incidente più grave è avvenuto vicino a Grayvoran, commentano gli esperti di Londra, sottolineando che oltre agli scontri a fuoco con armi di piccolo calibro si è registrato un aumento degli attacchi con droni. Le autorità hanno evacuato diversi villaggi e hanno dispiegato ulteriori forze di sicurezza nell’area.
Mosca sta affrontando così una minaccia sempre più grave alla sicurezza nelle sue regioni di confine, con perdite di aerei da combattimento, attacchi con ordigni esplosivi improvvisati alle linee ferroviarie e azioni partigiane dirette, prosegue il rapporto osservando che quasi certamente la Russia userà questi incidenti per sostenere la narrazione ufficiale secondo cui è la vittima della guerra.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
L’ANSIA DI OCCUPARE POSIZIONI SENSIBILI E LA REALTA’ DI UNA “CLASSE DIGERENTE” DI SCAPPATI DI CASA
Quando Alemanno stravinse nelle elezioni a sindaco di Roma, un signore del Nuovo Salario che aveva fatto la campagna per lui mi disse «mo’ il problema è che ci abbiamo più poltrone che culi».
La volgarità qualche volta serve a tagliare nodi complessi; dopo quindici anni da allora, il problema sembra riproporsi ora che la destra ha stravinto sul piano politico nazionale. L’ansia di occupare le posizioni culturali sensibili (la Rai, le Fiere, le Biennali…) si scontra, mi pare, con la capacità effettiva di trovare persone capaci di sostituire degnamente quel che è stato rimosso.
La sensazione che alcuni nomi proposti non saranno all’altezza è solo pregiudizio derivante dal fatto che a loro non è mai stata offerta l’occasione, o risponde a una reale debolezza? Solo il futuro ce lo dirà; intanto, vale la pena di riflettere sul peso politico di queste istituzioni.
Berlusconi, col suo formidabile istinto di imprenditore, non se ne preoccupava troppo: sapeva che la sottocultura porta più voti della cultura, lasciava volentieri i Saloni del Libro alla Sinistra e si inventava Drive In.
La parte più visibile di quel che si intende nei dibattiti per “cultura” è il settore artistico (letterario, musicale, spettacolare, visivo). Gli artisti sono attratti dall’avventura esistenziale e conoscitiva, spesso sono persone che hanno (o hanno avuto) problemi di adattamento alla società, quindi tendenzialmente antagoniste; è plausibile che si sentano più vicini a chi parla di lotta e di progresso che ai propugnatori di un ritorno conservatore.
Da quando negli anni Trenta ha lasciato che il tema esoterico della Tradizione venisse fagocitato dai regimi totalitari, la Destra ha riservato sempre meno spazio all’avventura; è forte, come è sempre stata, quando può polemizzare con novità apparentemente progressiste che sono bacate nel profondo dalla corruzione e dalla cecità (dalla “gente nòva” di cui si lamentava Dante, alle “magnifiche sorti e progressive” dei circoli toscani che eccitavano il sarcasmo leopardiano, fino al colonialismo e all’arroganza finanziaria che facevano infuriare Céline e Pound). È questo il caso, adesso?
La mia impressione è che ora le “sorti progressive” siano equamente criticate e condivise da entrambi gli schieramenti, concordi nel ritenere che la direzione sia obbligata, che ogni idea di rivoluzione violenta sia esecrabile e che il conflitto si giochi sulle istruzioni da dare al guidatore. L’umanesimo è il baluardo difeso da tutti, mentre forse è proprio quello il concetto che lo sviluppo tecnologico sta mettendo in discussione. “Destra” e “Sinistra” rischiano di diventare dei valori in sé: “metterci più Destra” o “più Sinistra” diventa l’obiettivo che suscita entusiasmi e consenso, come se si trattasse di piatti gourmet, indipendentemente da quel che poi Destra e Sinistra potranno fare.
Un militante del Pd s’è sfogato con me l’altro giorno: «M’hanno spiegato che se dico “per me il colore della pelle non ha importanza“ dico una frase inconsciamente razzista, però se dico che ha importanza sono razzista ancora di più, quindi ha ragione Salvini che non si può più dire niente». Dietro c’è un lavoro faticoso di pedagogia delle masse che manca e di cui pochi (sia a destra che a sinistra) si stanno occupando; si dedicano invece alla reciproca conquista e difesa di minimi feudi, si buttano nomi in faccia come se fossero stracci bagnati – e la chiamano egemonia.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
PD, M5S E AVS LASCIANO L’AULA: “NON POSSIAMO IGNORARE I FAMILIARI DELLE VITTIME”… CADUTO NEL VUOTO L’INVITO A SCEGLIERE UN ALTRO NOME ACCETTABILE RISPETTO A UNA IN RAPPORTI CON UN EX TERRORISTA
È iniziata alle 13 la riunione della commissione Antimafia, costituita con un ritardo di sette mesi dall’insediamento delle Camere. Oggi, 23 maggio, la bicamerale è chiamata a nominare il suo presidente. Per l’elezione è sufficiente la maggioranza assoluta e i membri della commissione rappresentano proporzionalmente la composizione del Parlamento: il centrodestra, dunque, ha i numeri per imporre un suo nome. E così è stato: Chiara Colosimo è la nuova presidente della commissione.
Fin dalla scorsa settimana, le voci di un’investitura della deputata di Fratelli d’Italia hanno acceso la protesta dei familiari delle vittime di mafia e terrorismo. Tra i firmatari dell’appello c’erano anche i nomi di Salvatore Borsellino, Giovanni Impastato, Manlio Milani e Paolo Bolognesi: hanno chiesto alla maggioranza di fare marcia indietro sulla nomina di Colosimo, per i suoi presunti rapporti con il terrorista dell’eversione di destra Luigi Ciavardini.
«È accettabile che si scelga, per un ruolo importante come la presidenza di una Commissione parlamentare bicamerale, una persona che non si vergogna di avere rapporti con uno stragista che mai si è pentito? E, ancora, solo a noi appare evidente il gigantesco conflitto di interessi della probabile futura presidente?». Tre domande che sono cadute nel vuoto: il partito di Giorgia Meloni, la quale è molto legata a Colosimo, non ha accolto la richiesta delle associazioni dei familiari delle vittime.
Del loro appello se ne sono fatti carico gli esponenti del Movimento 5 stelle, del Partito democratico e dell’Alleanza verdi e sinistra.
Sono usciti dall’aula di Palazzo San Macuto prima che iniziassero le procedure di voto. L’avevano già annunciato in mattinata: «Se la maggioranza dovesse insistere sul nome che è circolato in questi giorni, il Movimento non parteciperà al voto in segno di totale contrarietà alla scelta che si vuole portare avanti», avevano scritto in una nota i membri grillini della commissione.
«Le polemiche di questi giorni sulla presidenza della commissione Antimafia rischiano di compromettere la credibilità e l’autorevolezza di un’istituzione delicata e importante per la nostra democrazia. Riteniamo che vadano ascoltate le preoccupazioni delle associazioni delle vittime della mafia e del terrorismo e di Salvatore Borsellino: sono loro che interpretano al meglio i valori della giustizia presenti nella nostra società. La commissione Antimafia è un pilastro dell’impegno istituzionale per la legalità, nel rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione».
Anche i parlamentari del Pd, prima dell’inizio della riunione e dopo le conferme informali giunte da FdI sul nome di Colosimo, erano intervenuti: «Non possiamo ignorare le preoccupazioni espresse dalle associazioni delle vittime della mafia e della criminalità organizzata», hanno fatto notare. I Dem avevano rivolto alla maggioranza un appello in extremis: «Convergiamo su un nome che sia espressione dell’unità delle forze politiche». Analoga la posizione di Alleanza verdi e sinistra, mentre il Terzo polo, per bocca della capogruppo al Senato Raffaella Paita, aveva riferito: «Noi parteciperemo al voto come abbiamo sempre fatto, ma non voteremo Colosimo».
Il nome di Colosimo è stato scritto su 29 schede: nelle file della maggioranza si è registrato un voto in meno, dato per assente.
Pd, M5s e Avs non hanno partecipato al voto. L’elezione è stata accompagnata da un applauso dei componenti di centrodestra, nell’aula di Palazzo San Macuto. Dafne Musolino, del partito Sud chiama Nord, ha ottenuto invece quattro preferenze. Da segnalare anche un’astensione.
I parlamentari di Pd, M5s e Avs sono rientrati in aula dopo l’elezione di Colosimo. I lavori della bicamerale sono ripresi verso le 14 per elegge i vicepresidenti e i segretari della commissione. I candidati per la vicepresidenza sono Mauro D’Attis, Forza Italia, e Federico Cafiero De Raho, 5 stelle. Per i segretari, invece, i nomi in corsa sono quelli di ntonio Iannone, FdI, e Anthony Barbagallo, Pd.c
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
AZIONE: “RESTIAMO UNITI”… IV: “HANNO CAMBIATO IDEA, MEGLIO COSI'”
Un documento di Azione che è una marcia indietro, diventa la traccia per un riavvicinamento tra Carlo Calenda e Matteo Renzi. A confermarlo è lo stesso leader d’Italia viva, che in collegamento con Metropolis dice che coi calendiani “serve un chiarimento definitivo. Perché se ora il documento di Azione dice di valutare la lista unica alle Europee vuol dire che hanno cambiato idea in una settimana. Meglio così, ma ora serve chiarezza”.
Il riferimento dell’ex segretario del Pd è a quanto scritto dai calendiani, che chiedono di condividere il loro documento nella riunione del gruppo del Senato e domani alla Camera. Il doppio appuntamento, infatti, è fondamentale per capire la fine che farà nelle aule parlamentari quello che doveva essere il Terzo polo.
Come ha raccontato ilfattoquotidiano.it, infatti, se da settimane Renzi e Calenda sono divisi su tutto, uno solo è l’argomento che poteva ancora tenerli insieme: i soldi.
Nella fattispecie 14 milioni di euro, che sono i contributi alle spese garantiti da qui a fine legislatura dalle Camere al gruppo unitario Azione-ItaliaViva-RenewEurope. In caso di scissione invece salterebbero, perché alla Camera occorrono 20 deputati per fare un gruppo e 9 parlamentari al Senato.
Al momento il gruppo Azione Italia viva ha 21 deputati a Montecitorio e 6 senatori a Palazzo Madama: la scissione, dunque, sarebbe un problema.
E infatti alla vigilia dell’incontro al Senato ecco che arriva la richiesta dei calendiani. “Riteniamo che i gruppi parlamentari debbano rimanere uniti, essendo questo un mandato preciso degli elettori del Terzo Polo e, conseguentemente, il meccanismo di designazione dei capigruppo debba rimanere quello previsto dall’accordo post-elettorale“, si legge nel documento.
“Riteniamo – proseguono i parlamentari di Azione – che debbano immediatamente cessare tutte le iniziative ostili e gli attacchi mediatici diretti e indiretti, affinché possa riprendere il lavoro di leale collaborazione tra i due partiti a livello parlamentare e territoriale. I due partiti si sono impegnati a mantenere i gruppi unici per tutta la durata della legislatura, come ribadito pubblicamente dai leader di Azione e Italia Viva”, è scritto ancora nel documento, dove viene riconosciuto che “il processo di costruzione del partito unico si è interrotto e il rapporto tra i due partiti si è profondamente deteriorato nelle ultime settimane”.
Sulle Europee gli esponenti di Azione aprono: “Riteniamo che occorra valutare con tutte le formazioni politiche e le associazioni appartenenti all’area di Renew Europe la possibilità di costruire una lista comune. La decisione verrà presa in piena autonomia dagli organi di tutti i partiti coinvolti nei tempi utili alla partecipazione alle elezioni europee, tenendo in considerazione il contesto politico e la qualità dei rapporti intercorsi tra i vari soggetti. Solo in un clima di ritrovata fiducia sarà infatti possibile fare una proposta politica comune convincente per gli elettori”.
Insomma: ora che il divorzio tra renziani e calendiani era pronto per essere ufficializzato, ecco che da Azione arrivano messaggi di pace. Subito raccolti da Renzi, che non ha risparmiato qualche stilettata all’altro leader del sedicente Terzo polo: “Una settimana fa Calenda è andato in in tv per dire che non faremo la lista alle europee insieme ma poi, come sembra dal documento di Azione di oggi, hanno cambiato idea e sono disponibili a ragionare… Allora vuol dire che hanno cambiato idea e allora va bene. Si può anche cambiare idea. Che sia la volta buona. Noi siamo disponibilissimi”. E ha aggiunto: “”Se voi dite che ognuno va per i fatti suoi in Europa, è partita chiusa anche nei gruppi. Se invece dite che facciamo uno sforzo, al netto delle umane simpatie, noi ci siamo”.
Poi Renzi ha negato ancora una volta di aver provocato la spaccatura: “Non vogliamo rompere alcunché, ma nemmeno possiamo farci ridere dietro come abbiamo fatto finora”. E ancora, riferendosi a Calenda, ha aggiunto: “Io trovo imbarazzante quel che è successo, non una singola cosa ma tutto. A fronte dei casini mondiali, credo che il Terzo polo abbia fatto una figura incredibilmente negativa in questo periodo e non ho capito perché”.
Passano pochi minuti e fonti di Italia viva fanno filtrare la loro soddisfazione “per la retromarcia di Calenda che martedì scorso annunciava in diretta da Floris di non voler fare la lista unitaria di Renew Europe e oggi ha modificato la propria idea”. Dopo settimane di accuse incrociate ai limiti del surreale, dunque, calendiani e renziani fanno retromarcia su tutto: il sedicente Terzo polo deve sopravvivere. I motivi sono almeno 14 milioni.
In serata la notizia di un incontro al Senato che ha prodotto un documento. Una procedura che sarà replicata anche alla camera. I senatori di Azione e Italia Viva invitano “le forze politiche a collaborare per la creazione di una lista unitaria per le elezioni europee del 2024 allargata a tutte le forze che si riconoscono in Renew Europe” e invitano inoltre “i singoli senatori del gruppo – si legge nel documento presentato stasera in assemblea da Matteo Renzi e dagli altri senatori di Italia Viva – ad attenersi ai principi di lealtà e correttezza come previsto dall’art. 14 del Regolamento del gruppo”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
SONDAGGIO SWG: 51% FAVOREVOLE, 31% CONTRARIO
La maggioranza degli italiani si schiera a favore dell’invio di aiuti militari per l’Ucraina, così come sta facendo il governo Meloni, secondo un sondaggio di Swg per TgLa7.
Un sostegno però che al suo interno si divide su due modi di intendere l’appoggio per Kiev con le armi. In quel 51% di favorevoli infatti c’è il 22% che considera utile il supporto militare «fintanto che la Russia non sarà sconfitta».
C’è però un 29% che è sì d’accordo a inviare aiuti militari, ma nella speranza che si continui a fare pressioni per riaprire i negoziati di pace. Anche «al costo di far perdere territorio all’Ucraina».
Una posizione al momento distante da quella del presidente Volodymyr Zelensky.
Il no secco all’invio di armi in linea con la posizione del M5s di Giuseppe Conte non va oltre il 31%, mentre il 18% non si schiera.
La posizione dell’ex premier di netta contrarietà all’invio di armi potrebbe ottenere consensi superiori a quelli in Italia in altri Paesi europei.
A cominciare dalla Grecia, dove il 58% vuole che si interrompano i riferimenti militari per Kiev. E c’è anche una fetta importante di tedeschi, il 39% contrario alle armi per Kiev. Tra i più convinti sostenitori invece del supporto militare per l’Ucraina ci sono i polacchi con il 68% e gli spagnoli con il 66%.
(da Open)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
QUANTI ANNI SONO PASSATI DALLA DICHIARAZIONE: “A BIDEN DICO CHE NON SAREMO I MULI DA SOMA DELL’OCCIDENTE”? UN ANNO… CHISSÀ SE BIDEN SI RICORDA DELLA MELONI DEL 2020 CHE AGITAVA LA BANDIERINA DI TRUMP… APPENA PRESO POSSESSO DI PALAZZO CHIGI, MELONI SI È CONVERTITA A UN FILO-AMERICANISMO ESIBIZIONISTA
Istantanea da Hiroshima. Eccola Giorgia Meloni al G7: occhione svenuto, sorriso sfolgorante, mano nella mano con Joe Biden, come due fidanzatini al primo incontro. Maddai! Quanti anni sono passati dalla dichiarazione della Ducetta alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, dove ruggì: “A Biden dico che non saremo i muli da soma dell’Occidente”?
Appena un anno! Era un’Ansa del 29 aprile 2022 che faceva seguito a quella del 7 aprile, dove ospite di “Porta a Porta”, la Coatta Premier così sistemò il presidente degli Stati Uniti: “In Usa non c’è una leadership salda: Biden non ha dato una massima prova di sé”. Sempre nella stessa ospitata da Vespa, non risparmiò strali all’Unione Europea: “Ci dobbiamo preparare a una nuova guerra fredda. L’Ue non esiste perché non ha una politica estera”.
Al G7 giapponese ha annunciato trionfante che l’Italia potrebbe far parte della cosiddetta jet coalition a favore dell’Ucraina. Ma dato che il nostro disgraziato Paese non dispone di caccia F-16, quelli richiesti da Zelensky, che ha abbracciato e incontrato prima di lasciare Hiroshima, “Io so’ Giorgia” ha ammiccato che d’intesa con gli alleati europei, “anche se una decisione ancora non è stata presa, il nostro Paese potrebbe partecipare all’addestramento di piloti ucraini” nella basi italiane.
Altro giro, altro ribaltamento. Quello che proclama oggi sulla guerra russo-ucraina fino alla sua ascesa a Palazzo Chigi, manco 8 mesi fa, non era immaginabile. In data 29 marzo 2022 l’allora reginetta dei camerati di Colle Oppio si spara un video su Facebook di tale tenore, rilanciato dall’Ansa: “E’ di fronte alle grandi sfide della storia che si valutano i leader, quelli che possono fare la differenza fra il successo e la catastrofe. Un fatto che sta emergendo con la guerra in Ucraina è la realtà desolante delle leadership di sinistra in Occidente”.
Non è finita: “Biden, che è stato osannato dai media in chiave anti Trump, si sta dimostrando inadeguato, come inadeguato si sta dimostrando Macron, altro idolo della sinistra, incapace di ogni visione più ampia del piccolo tornaconto francese e dei suoi interessi politici. Inutili e inesistenti come sempre i vertici Ue, sempre presenti se ci sono da imporre regole assurde ai cittadini, ma evanescenti se ci sono da affrontare le grandi sfide del nostro tempo”.
“Il frastuono della guerra – conclude – ha fatto crollare la narrazione progressista ed è anche per colpa di questa debolezza politica della sinistra se siamo in questa situazione, perché la sinistra è incapace di leggere la realtà, presa com’è dai suoi deliri ideologici. Per questo sono ancora più convinta che in Occidente, negli Usa, in Europa, in Italia serva una svolta conservatrice, perché serve tornare ad affrontare la realtà”.
Biden, quel vecchietto che oggi prende romanticamente per mano sbattendo gli occhioni, sprizzando filo-americanismo da tutti i pori, è stato per anni il bersaglio preferito da sbertucciare. L’Ansa batte il 15 agosto 2021 il seguente lancio: “Disastrosa gestione del dossier Afghanistan da parte dell’amministrazione democratica Biden. I talebani riprendono con estrema facilità Kabul e l’intera nazione afgana, entrando anche in possesso di armi e mezzi occidentali.
Gli alleati locali dell’Occidente abbandonati al loro destino. Una figuraccia per tutto l’Occidente che fomenterà gli integralisti e che avrà gravi ripercussioni anche per la nostra sicurezza. Peggio di così non era proprio possibile fare. Diamo il bentornato alla cinica dottrina Obama-Clinton-Biden: ‘Se non puoi vincere, crea caos'”.
Chissà se alla Casa Bianca oggi si ricordano della Ducetta del 2020 che agitava la bandierina di Trump, unico politico italiano invitato al National Prayer Breakfast, presente il presidente Usa. Riporta l’Agi: “A Washington, Giorgia Meloni ascolta il presidente degli Stati Uniti …Ma la leader politica italiana si concentra sulla parte del discorso in cui il capo della Casa Bianca si schiera a favore della “protezione della libertà religiosa”. “Nel nostro Paese non si tirano giù croci o altri simboli religiosi e non si perseguitano le persone per motivi religiosi. Tuteleremo il diritto costituzionale di pregare nelle scuole pubbliche”, garantisce Trump.
Continua la nota dell’Agi: “E subito Meloni si accoda. “Dio, patria, famiglia nel discorso del presidente Trump al ‘National prayer breakfast’: parole che in Italia sembrano quasi eversive, negli Stati Uniti sono al governo e danno risposte importanti”, sostiene. Al centro del discorso del presidente Usa, abbiamo identificato i temi della “difesa dell’identità, dei confini, delle imprese, dei prodotti, delle famiglie americane – aggiunge -. L’orgoglio dell’identità, nelle altre nazioni del mondo, sta dando ottimi frutti e ottimi risultati. È la ricetta che vogliamo portare in Italia, dove anche noi vogliamo difendere i nostri prodotti, le nostre aziende, i nostri confini e le nostre famiglie. Lo faremo, quando finalmente l’Italia avrà un governo di patrioti capace di difendere i suoi interessi nazionali e avere, al contempo, ottimi relazioni internazionali”.
Conclude la nota dell’Agi: “Seduta nella sala della riunione conservatrice, che ha invitati bipartisan, provenienti da 140 Paesi, Meloni segue il discorso di Trump, quindi, come un “insegnamento” da portare a casa, un esempio da applicare in Italia. “Trump può piacere o meno, ma i risultati che ha ottenuto a livello economico sono straordinari: gli porteranno la rielezione. E sono un buon insegnamento per noi: perché alla fine la ricetta di Trump è stata shock fiscale e investimenti pubblici, taglio delle tasse, soldi sugli investimenti, difesa del prodotto, difesa dell’azienda. Ed è una decisamente una ricetta che ha funzionato molto simile a quella che Fratelli d’Italia propone in Italia”, dice”.
E’ la politica, bellezza! Una volta preso possesso di Palazzo Chigi, con la stessa velocità di un cambio di mutande, Giorgia si è convertita di botto a un filo-americanismo così esibizionista, così inginocchiato ai piedi di Biden, che la sta mettendo contro l’Europa di Macron e Scholz. Purtroppo il suo consigliere diplomatico, Francesco Maria Talò, è latitante e non le spiega la differenza in geopolitica tra ‘’essere filo-Usa’’ ed essere ‘’alleati di Washington’’.
Essere filo-Usa, come Meloni, vuol dire semplicemente mettersi un guinzaglio al collo e scodinzolare “io sono il tuo cagnolino”. Essere alleati, come Macron e Scholz, vuol dire: se hai bisogno di me, ci sono. Quando lo scorso aprile il toyboy dell’Eliseo è volato con Ursula a Pechino ha parlato apertamente di “equidistanza” tra Usa e Cina, ricicciando il vecchio pallino del concetto di “autonomia strategica” dell’Ue. Del resto, Macron non è nuovo a teorizzare un’Unione Europea non più vassallo degli Stati Uniti: già nel 2019 dichiarò la “morte cerebrale” della Nato.
Il filo-americanismo senza se e senza ma della Meloni si troverà ben presto alla prova dei fatti: che deciderà di fare il governo italiano sull’accordo, siglato nel 2019 dal governo Conte con la Cina, sulla Belt and road initiative, meglio conosciuta come “Via della Seta”? Gli americani vorrebbero che l’Italia si sfilasse ben prima di dicembre, termine ultimo entro il quale è necessario dare una risposta a Pechino.
Per la Ducetta non sarà facile decidere, perché uscire dalla “Via della Seta” potrebbe sì accontentare la Casa Bianca, ma l’incazzatura di Pechino avrebbe forti ripercussioni economiche e commerciali sull’Italia. A Hiroshima, in conferenza stampa, la premier ha buttato la palla in tribuna: “La scelta va fatta con tutti gli attori in campo: il Parlamento e alcuni organismi del Parlamento. L’Italia è l’unica nazione del G7 ad aver sottoscritto il memorandum ma non è l’unico Paese europeo ad avere rapporti stretti con la Cina”. Insomma, come nel caso della ratifica del Mes, che vede la Lega contraria, Giorgia si trasforma in Pilato e porta la rogna in Parlamento.
(da Dagoreport)
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Maggio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
LA DECISIONE MATURATA CON L’ELEZIONE DELLA NUOVA SEGRETARIA
Luca Pastorino prenderà presto la tessera del Pd: la decisione era nell’aria ed è stata confermata dallo stesso sindaco di Bogliasco, e parlamentare indipendente, intervistato dall’edizione genovese del quotidiano La Repubblica.
Pastorino, che aveva lasciato il Pd per candidarsi da indipendente contro Raffaella Paita alle elezioni del 2015 (vinte poi da Giovanni Toti), ha maturato la scelta di rientrare nel partito dopo la vittoria alle primarie di Elly Schlein: “Sarà la segretaria in persona a darmi la tessera – ha dichiarato Pastorino – mi sono convinto a questo passo nel momento della sua elezione”.
Già nelle ultime elezioni politiche Pastorino era stato scelto dall’intera coalizione di centrosinistra, quindi soprattutto dal Partito Democratico, come candidato per l’uninominale di Genova levante, una scelta premiata poi dalla sua vittoria ai danni del candidato di centrodestra Sandro Biasotti. Ora il passaggio finale con il rientro del parlamentare dopo 8 anni da esponente civico.
(da agenzie)
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