Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile LUI PROVA A DIFENDERSI: “MI HANNO HACKERATO IL PROFILO”, MA IL PARTITO NON GLI CREDE
Il commissario di Fratelli d’Italia a Novi Ligure (Alessandria), Alessio Butti, è stato sollevato dal suo incarico dopo alcuni post di stampo omofobo apparsi sui suoi social. «Non sono minimamente sensibile alle menate lgbt e agli appelli contro l’omofobia e altre amenità che una certa cultura vuole imporci», si leggeva.
E ancora: «I pederasti (tendenza o pratica erotica che nel significato originario del termine è costituita dal rapporto sessuale di un adulto con un adolescente, nell’uso moderno è stato adottare per indicare l’omosessualità maschile, ndr) possono sgranare rosari a raffica, ottenere anche valanghe di voti, ma restano dei reietti da cui girare alla larga, per il loro stile di vita e per l’intima malvagità di cui questo genere di persone sono capaci».
Il post era carico di insulti, rivolti anche a chi «i pederasti li ha messi al mondo». Secondo il commissario di Fdi «dovrebbero vergognarsi». Queste frasi – che sono spuntate ieri sera sul profilo di Butti, nella stessa giornata in cui è stato celebrato il Pride ad Alessandria – non lasciano spazio a fraintendimenti e sono bastate a Fratelli d’Italia per fare fuori il proprio commissario di Novi Ligure, dove oggi si vota al ballottaggio per il sindaco.
La condanna da più fronti
Immediata la condanna da parte di più bandiere politiche. A partire dall’ex candidato sindaco di Novi Ligure, Giacomo Perocchio, ora alleato di Fratelli d’Italia, che ha definito le parole di Butti «ignobili». Condivide la presa di posizione dei vertici di Fdi e sostiene che «a prescindere dalle idee politiche e dalle differenti posizioni su alcuni temi esistono limiti che non si possono superare, a meno che non si sia nostalgici di regimi della prima metà del secolo scorso».
Concorda il senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto che chiede una presa di distanza da parte di Giorgia Meloni e dalla Ministra delle pari opportunità, Eugenia Roccella. «Parole inaccettabili e indegne di un paese civile», ha scritto su Twitter.
La versione di Butti
Ma Butti non ci sta. E dà la sua versione dei fatti. Con un post su Facebook ha disconosciuto i contenuti incriminati puntando il dito contro una presunta manomissione del suo profilo. «Ho rispetto della comunità Lgbt, tra cui ho molti miei amici e conoscenti. Sono affermazioni che depreco e che non rappresentano il mio pensiero», ha scritto. «Appena rientrato in possesso del mio profilo, ho rimosso prontamente il commento ma non posso garantire che altri miei amici abbiano ricevuto messaggi di questo tenore», ha aggiunto. Una versione che sembra non aver convinto i vertici del suo partito, i quali nonostante la giustificazione hanno comunque deciso di sollevarlo da ogni incarico per Fratelli d’Italia.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile ORA CHI PAGA LE TASSE E’ UNO CHE PAGA “IL PIZZO DI STATO”
Il pizzo non è più solo quello che la mafia chiede alle attività
commerciali, agli imprenditori, che inquina l’economia e avvelena il tessuto sociale. Ora c’è anche una forma di «pizzo di Stato». Almeno secondo le teorie della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha sostanzialmente equiparato il recupero dell’evasione a un’attività criminale.
Dal palco di Catania, durante il comizio di chiusura della campagna elettorale in vista del voto di oggi e domani, ha scelto una formula scioccante in una città, in una regione, dove il «pizzo» è un male assoluto ben noto.
Meloni ha superato anche il maestro in materia, il Silvio Berlusconi nel pieno delle energie fisiche. È cambiato l’accento, dal milanese al romanesco, lo stile senza barzellette era più adirato, e così pure il contenuto è andato oltre quello solito della destra, sdoganato proprio dal fondatore di Forza Italia, fautore dell’evasione «per necessità».
«La lotta all’evasione si fa davvero dove sta l’evasione, le big company, banche, frodi sull’Iva e non il piccolo commerciante a cui vai a chiedere il pizzo di Stato, perché deve fare caccia al gettito», ha detto Meloni.
Il governo Meloni non si limita alle dichiarazioni. Mentre su vari punti si è fermato alle promesse, in materia di sanatorie fiscali ha già varato una serie di leggi e leggine, con un messaggio politico forte: l’allargamento delle maglie sul contrasto a chi evade sia una delle priorità.
La testimonianza pratica è recente, arriva dal decreto Bollette, approvato in settimana definitivamente a colpi di fiducia al Senato. Quel provvedimento dà una carezza agli evasori sotto forma dell’ennesimo condono con l’introduzione di alcune cause «di non punibilità dei reati tributari»: un titolo formale nasconde un piccolo scudo penale.
L’intervento evita problemi con la giustizia per chi trova un accordo con il fisco o si mette in regola con i pagamenti dopo che è stato scoperto un mancato versamento di Iva, di ritenute dovute o un’indebita compensazione di crediti non spettanti.
Una misura inserita fin dalla stesura iniziale del decreto, che in teoria avrebbe dovuto prevedere iniziative contro il caro bollette. A nulla sono valse le critiche delle opposizioni, la maggioranza ha respinto l’ipotesi di modifica durante l’iter parlamentare.
L’input meloniano non accettava scostamenti. Niente di nuovo, perché si colloca in prosecuzione con la legge di Bilancio, una collezione di piccoli condoni e misure speciali, per cui è stata trovata la definizione di «tregua fiscale». Come se fosse una battaglia.
La norma più clamorosa è il cosiddetto “salva calcio”, che consente alle società sportive di spalmare i debiti su cinque anni, cavandosela con una mini maggiorazione del 3 per cento. Musica per le orecchie dei presidenti dei club.
Ma la destra di governo non dimentica nessuno. E così ha previsto nella manovra la rottamazione delle cartelle sotto i mille euro, comprese nell’arco temporale 2000-2015, incluse le multe stradali. Tra le sanatorie c’è poi la risoluzione delle controversie pendenti: si chiude tutto versando il 90 per cento per chi è al primo grado di giudizio, evitando di portare avanti il contenzioso.
Senza dimenticare il condono a chi ha guadagnato con la tassazione agevolata delle criptovalute. E chissà se in questo elenco ci siano solo i «piccoli commercianti» che Meloni vuole salvaguardare dal fisco brutto e cattivo o ne hanno beneficiato gli investitori abili a spostare i capitali.
La trance elettorale della presidente del Consiglio si è manifestata quando ha annunciato che il suo governo ha vietato la «carne sintetica», dimenticando che ha solo varato un disegno di legge, fermo ancora in commissione al Senato. Poco male, contava il furore della propaganda in un comizio trasceso a un certo punto a metà tra il coaching e lo sciamanesimo: «Gli unici limiti sono quelli che tu decidi di importi», ha detto impartendo lezioni di vita alla platea.
Il climax di Meloni in versione Vox – nel senso del celebre comizio tenuto in Spagna a favore del partito di estrema destra – ha toccato l’apice quando ha dovuto parlare della Rai. Non le è parso vero di poter dismettere il ruolo istituzionale per assumere la postura feroce della propaganda, da leader di Fratelli d’Italia. «Voglio liberare la cultura italiana da un sistema nel quale non potevi lavorare se non ti dichiaravi di una certa parte politica», ha detto.
Un annuncio di piazza pulita. Intanto, già per far capire il clima, il servizio pubblico ha trasmesso in diretta, su Rainews, il suo intervento. Spazzando così via la par condicio, senza nemmeno passare per l’abolizione della legge. Ieri i componenti del Pd della Vigilanza hanno chiesto al direttore Paolo Petrecca di riferire in commissione.
L’Usigrai, l’unione sindacale della Rai, ha espresso la sua forte preoccupazione: «Il canale all news del servizio pubblico ha trasmesso l’intervista integrale alla presidente del Consiglio al festival dell’economia di Trento e il comizio di chiusura della campagna elettorale del centrodestra in Sicilia, ignorando le iniziative delle altre forze politiche che contemporaneamente erano in programma in altre città».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile GIORGIA MELONI, SEGNO IDENTIFICATIVO IL VITTIMISMO
Rileggendo vecchie cose, trovo che nel dicembre 2009, nella tradizionale poesia satirica di fine anno sulla Repubblica, raccontavo la Rai (in ottonari) nella stessa precisa maniera in cui la racconterei adesso.
“C’è la fiction su Claretta/e il talk-show senza Santoro:/lo conduce una subretta/ chiama tutti ‘mio tesoro’/. C’è una Rai per longobardi/ coi grugniti in sensurround/ e una Rai che un po’ più tardi/ si collega a Casa Pound./ Ma nell’interrogazione/ di Gasparri e Capezzone/ si denuncia la cultura/ di sinistra che perdura”.
Sono passati 14 anni. Era in sella il quarto governo Berlusconi. Ministra della Gioventù la precoce Giorgia Meloni (chissà se già allora, sulla sua poltrona di ministro, aveva il vezzo di definirsi underdog). Direttore generale della Rai Mauro Masi, dimenticato attore del berlusconismo come soluzione finale.
Lo schema è identico, immutabile: dire che la Rai è “nelle mani della sinistra” anche se non è vero. È nelle mani dei governi, tutti i governi, e lo è da sempre. E dirlo per creare un alibi alla propria prepotenza. È questa la sola vera “narrazione di destra” che abbia conquistato una indubbia egemonia: lagnarsi. Fingersi vittime dei soprusi altrui per indorare i propri soprusi, e spacciarli per la riscossa degli oppressi. Del famoso merito, che almeno in teoria dovrebbe essere una bandiera della destra, chi se ne frega.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile IL MISTERO DELLA BELLA E GIOVANE ALTOATESINA (POI RICOMPARSA A BERLINO DURANTE LA GUERRA) CHE POTREBBE ESSERGLI STATA MESSA ACCANTO PER FINIRLO, A 75 ANNI
È un libro inconsueto in tutto, per me, fin dall’origine. Di
solito scelgo io l’argomento, invece stavolta l’idea è partita dalla Rizzoli: Massimo Turchetta e Andrea Cane, vecchi amici da quando lavoravamo tutti alla Mondadori. Non c’è stato bisogno di spiegarmi che razza di libro avessero in mente, avevo già in casa i primi due della collana, Berlinguer di Fabrizio Rondolino e Montanelli di Marco Travaglio. Mi erano piaciuti subito quei volumi, da lettore e da ex editore: grande formato, molte foto, caratteri ampi e leggibilissimi, strilli e sommari, come si trattasse di un lungo articolo; la carta emana – all’acquisto e per giorni – un delicato profumo di rose nel camerino di Marilyn Monroe.
Turchetta e Cane volevano un testo su d’Annunzio, e qui sono stato sul punto di dire di no: per ricompensa di averlo resuscitato, quell’uomo mi sta mangiando vivo. Se fino a qualche anno fa ero il signor Guerri, adesso per molti sono «quello di d’Annunzio» o «quello del Vittoriale». E sì che faccio anche altre cose, scrivo altri libri. Per esempio, è enorme la soddisfazione che mi ha dato nel 2022 il mio secondo saggio su Ernesto Buonaiuti. Eretico o santo. Il prete scomunicato che ispira papa Francesco (La Nave di Teseo). Il primo, nel 2001, si intitolava Ernesto Buonaiuti. Eretico o profeta (Mondadori), e risvegliò l’attenzione su quell’uomo martirizzato dalla Chiesa e dallo Stato. Finalmente, il 2 settembre 2022, l’Avvenire (dico l’Avvenire) è uscito con una pagina per riconoscere che, sì, era un profeta, la Chiesa sta andando nella direzione da lui indicata più di un secolo fa. Per il riconoscimento della santità, bisognerà aspettare ancora, ma ci si arriverà.
Insomma, non avevo voglia di scrivere altro su d’Annunzio dopo L’amante guerriero, La mia vita carnale, Disobbedisco (Mondadori). Poi, l’illuminazione: occorreva un ultimo saggio breve – 450.000 battute – e di sintesi, corredato da fotografie che meglio ancora del testo illustrassero la sua vita inimitabile, o meglio la sua vita come opera d’arte. Occorreva dare il colpo di grazia al cumulo di pregiudizi che si è accumulato su di lui nel corso dei decenni. Incredibilmente si è conservata intatta la condanna che la borghesia piccina e provinciale di fine Ottocento diffuse a piene mani per la sua libertà sessuale e l’amore per il lusso, come se noi non rivendicassimo, orgogliosamente, la stessa libertà di sesso e di acquisti.
Altro scandalo, il suo passare dalla Destra alla Sinistra, nel 1898, per opporsi alle leggi liberticide che il governo stava per varare, dopo aver fatto sparare a cannonate sui manifestanti che protestavano per l’aumento del prezzo del pane. Come se noi non pretendessimo la libertà di cambiare idea politica.
Infine, l’enorme equivoco sul suo essere fascista, perché accettò da Mussolini il denaro per edificare il Vittoriale degli Italiani. Ma d’Annunzio aveva donato il Vittoriale allo Stato, che lo dichiarò monumento nazionale. Lo Stato dunque investiva su se stesso, e fu uno dei migliori affari che capo del governo abbia fatto. In cambio di una modesta somma di circa 10 milioni di euro, oggi abbiamo il parco più bello d’Italia (premio nel 2012), 3000 metri quadrati coperti contenenti 20.000 meraviglie e 33.000 volumi preziosi, 3 milioni di pezzi d’archivio e un museo che è insieme motore di cultura e di economia.
Pur non essendo quel che oggi si definisce «antifascista», d’Annunzio parlava di «camicie sordide», non nere, di «soperchieria di ossa e muscoli». E risolutiva è la sua opposizione all’alleanza con Hitler, «ridicolo imbianchino coi baffi alla Charlot». Ebbe la fortuna di morire nel marzo 1938, prima che accadesse il peggio, e forse non fu un caso: la bella e giovane altoatesina – poi ricomparsa a Berlino durante la guerra – potrebbe essergli stata messa accanto per finirlo, a 75 anni, con un veleno o con il sesso e la cocaina.
Accettai dunque di scrivere il libro, e velocemente. Avevo tre mesi per la consegna del testo, e ci ho messo meno. Di solito in una prima stesura riesco a stendere da due a cinque pagine al giorno, stavolta sono arrivato fino a venti. Le parole venivano una dietro l’altra, senza inciampi. Non c’è stato bisogno di scaletta, la storia scorreva con naturalezza, anche saltando da un’epoca all’altra, da un tema all’altro, con il gusto – senza pudore – di intromettermi per raccontare i miei rapporti con lui e il Vittoriale. Era il frutto di una lunga conoscenza, come quelle vecchie coppie che sanno bene i discorsi dell’altro, e potrebbero concluderli a metà frase
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile A MILANO LE PERSONE CHE SI DANNO ALLA MACCHIA SONO AUMENTATE DEL 36%: NELLA MAGGIOR PARTE DI CASI SI TRATTA DI UNA SPARIZIONE VOLONTARIA. C’È CHI SE NE VA PERCHÉ SI È ROTTO LE PALLE DEL LAVORO O DELLA FAMIGLIA
La dirompente forza dei numeri: in Lombardia 8 persone sparite al giorno. Mai state così tante, e infatti, secondo l’ultimo scenario ufficiale disponibile, nel 2022 le complessive 2.988 scomparse (gli uomini sono il doppio delle donne) hanno generato significativi aumenti delle denunce nelle singole province. A partire (+36%) da quella di Milano, il cui totale di allontanamenti (1.087) corrisponde, sempre in media, a 3 nuovi casi al giorno.
Nell’82% degli episodi ci si imbatta in sparizioni volontarie. E in questa nostra società di invasivo monitoraggio tramite ogni attivazione di cellulari, pc e tablet, di acquisti e spostamenti «mappati» volenti o nolenti, ecco, andarsene senza lasciare traccia alcuna — almeno apparentemente — assume le coordinate di un’impresa da super-latitante
Non allontanamenti decisi in un tempo istantaneo e passibili di rivelatori indizi lasciati, quanto fughe pianificate: altrimenti non si spiega come a fronte di quelle 2.988 scomparse vi siano 806 persone ancora da rintracciare.
Si scappa per radicali scelte, per chiudere un’esperienza di vita o lavoro; certo si scappa per problemi economici, in famiglia oppure se magari titolari d’azienda; mai si scappa, oppure di rado, per prevenire un possibile reato (l’1% dei casi a leggere le denunce) e, ad esempio, abbandonare d’improvviso parenti o compagni violenti anticipando tragedie.
Ora, una credenza comune collega l’atto dello scomparire con il trasferimento in destinazioni lontane tipo i soliti luoghi caraibici. In realtà, di recente, possono «bastare» a garantire duratura copertura anche mete vicine come nell’Est Europa muovendosi nell’Ue.
E in ogni modo, fuor di retorica, la gestione del caso da parte delle forze dell’ordine, dunque la sua possibile soluzione, è relativa al metodo investigativo adottato, all’iniziale possesso di notizie mirate, alla storia pregressa dell’individuo da trovare, ai suoi eventuali errori commessi nella fase della partenza. Dopodiché l’argomento degli scomparsi è assai complesso, interseca scenari umani, segue dinamiche sia intime e locali, sia sociali e internazionali.
(da Il Corriere)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile IL PARLAMENTO E’ DI FATTO SVUOTATO: DA INIZIO LEGISLATURA SI CONTANO BEN 28 PROVVEDIMENTI D’URGENZA E SOLO 5 DDL. SEMPRE PIÙ LEGGI “IPPOPOTAMO” (COPYRIGHT SILVIO BERLUSCONI) CON COMMI SUI TEMI PIU’ DISPARATI
Qualcuno ancora ricorda la parabola dell’ippopotamo. La
usava Silvio Berlusconi agli sgoccioli della sua ultima esperienza a Palazzo Chigi, nel 2011, quando voleva descrivere le distorsioni del processo legislativo e sostenere l’urgenza di riforme costituzionali. Il governo, si accalorava il Cavaliere, produceva leggi belle come “focosi destrieri purosangue”, che però finivano nella morsa del bicameralismo e venivano snaturate a forza di modifiche fino a diventare goffi “ippopotami”.
L’ippopotamo torna alla mente oggi, alla luce del richiamo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai presidenti delle Camere Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, per la prassi di decreti gonfiati fino a includere le materie più diverse. Ma la teoria del Cavaliere, già discutibile dodici anni fa, regge ancor meno adesso. Perché è il governo per primo – per restare nella metafora – a produrre sempre più ippopotami. E a dettar legge in Parlamento, con decreti spesso zeppi delle materie più disparate, emendati da una sola Camera, per poi essere approvati a colpi di voti di fiducia.
Non è teoria. Si legga l’ultimo testo pubblicato in Gazzetta ufficiale, l’11 maggio, e firmato da Giorgia Meloni e sei ministri: all’articolo 1 c’è il commissariamento di Inail e Inps, all’articolo 2 le fondazioni lirico sinfoniche, dall’articolo 3 all’articolo 10 proroghe di termini in settori che vanno dallo sport agli asili, dalla sanità al “salvamento acquatico”, all’articolo 11 emissioni filateliche, all’articolo 12 una norma sui rifugiati. Un decreto omnibus che in Parlamento può solo ingrossarsi per effetto degli emendamenti prodotti dai partiti, certo, ma anche dai ministeri che spesso affidano a deputati e senatori le loro proposte per ridurre almeno in apparenza le “ingerenze” dell’esecutivo nella funzione che dovrebbe essere propria delle Camere. Dovrebbe, appunto.
La statistica è tristemente nota, riproduce una tendenza non nuova, ma sempre più radicata. Da inizio legislatura si contano ben 28 decreti legge (anche se uno poi abrogato): in media poco più di quattro al mese, uno a settimana, contro i tre circa di media mensili dei governi Draghi e Conte (fonte: Openpolis).
A fronte di questa superproduzione d’urgenza del Consiglio dei ministri, risultano approvate solo cinque leggi ordinarie, tra cui un ddl presentato dallo stesso governo, per introdurre ritocchi alla riforma Cartabia. E gli altri quattro? Sono sì di iniziativa parlamentare, ma tre sono serviti a istituire, come da prassi dopo ogni elezione, commissioni d’inchiesta (antimafia, sui rifiuti e sul femminicidio), e uno a regolare l’equo compenso, realizzando così – nota a margine, non banale – un progetto di legge presentato da Meloni nella scorsa legislatura.
L’effetto di ‘svuotamento’ dell’attività delle Camere non è solo teoria, si diceva. Al microscopio, si osservino i voti espressi a Montecitorio da ottobre. In tutto, 1832. Ebbene, 413 sono voti su emendamenti (norme approvate o bocciate). Ma nella stragrande maggioranza dei casi i deputati si sono espressi su ordini del giorno (925), su mozioni (198), su risoluzioni (72): vale a dire, su atti che indirizzano o impegnano il governo a fare qualcosa. Il governo, ancora una volta.
“Esiste” il problema della eccessiva decretazione, ammetteva ieri da Trento il ministro meloniano Luca Ciriani. “Esiste la necessità di garantire i gruppi parlamentari, che non possono essere mortificati: il nostro impegno è ridurre il numero dei decreti e aumentare i disegni di legge”.
La tendenza, già imputabile ai governi precedenti, è legata – secondo Ciriani – alla necessità di dare risposte a urgenze ed emergenze. Ma, obietta Ceccanti, «proprio in questa legislatura il fenomeno dovrebbe essere arginato, visti gli ampi numeri della maggioranza». Meloni l’ha promesso, poi tutto come prima.
E mentre i suoi sforzi riformatori si concentrano sull’elezione diretta del premier, per dare più stabilità e solidità ai futuri esecutivi, il diario dei primi sei mesi di questa legislatura racconta un Parlamento sempre più al lavoro a ricasco del governo.
Nelle Aule spadroneggiano i ministri, mentre i deputati e i senatori (ridotti da 945 a 600), navigano tra i commi dei decreti, facendo spola tra più commissioni e competenze diversissime. A Palazzo Madama: gli affari costituzionali insieme alla digitalizzazione, la cultura con lo sport, la sanità con il lavoro. I verbali restituiscono la cronaca di esangui discussioni, incastrate in un sudoku di presenze volanti e sostituzioni in corsa, per garantire i numeri al momento delle votazioni. Ma questa, forse, è un’altra storia.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile SCATTA LA POLEMICA CONTRO GLI AMBIENTALISTI MA NON SONO LORO GLI AUTORI
Il primo pensiero è andato a una delle ormai frequenti azioni «dimostrative» a base di vernici contro monumenti e fontane d’Italia, in nome della tutela dell’ambiente. O forse a uno dei troppi atti di vandalismo e maleducazione da parte di qualche turista.
Un ennesimo sfregio alla delicata bellezza di Venezia, quello notato stamani, domenica 28 maggio, nel cuore della città, quasi sotto il Ponte di Rialto, dove in molti hanno segnalato la presenza di una chiazza color verde fluorescente, e si sono susseguite le ipotesi su cause e motivi.
Nessuna rivendicazione
A segnalarla, intorno alle ore 9:30, sono stati alcuni cittadini, che hanno avvisato la Polizia locale. Ma a differenza di altri blitz ecologisti, non c’è stata alcuna rivendicazione dell’atto. La città lagunare, come ogni domenica, era presa d’assalto dai turisti, e oggi ha anche ospitato la Vogalonga, una regata non competitiva lungo la Laguna, con quasi 2.000 barche a remi che hanno attraversato anche il Canal Grande e sfiorato la ‘macchia’ fosforescente.
Come per altri casi di questo genere, è scattata la caccia ai responsabili, ma soprattutto ad accertare se quel liquido potesse essere tossico o comunque dannoso per le acque lagunari.
La riunione con il Prefetto
Il Prefetto, Michele Di Bari, ha convocato una riunione urgente in Questura, con forze dell’ordine, polizia locale, vigili del fuoco e Agenzia regionale per l’ambiente, che hanno eseguito i prelievi in acqua. Dai primi dati quello versato a Rialto sarebbe una sorta di «tracciante» assolutamente innocuo, la cosiddetta ‘fluorescina’ ovvero un liquido che viene immesso nelle tubature o negli scarichi urbani in caso di una perdita d’acqua, per comprenderne il tragitto. Nessuna situazione di pericolo, dunque, per la salute della popolazione.
I precedenti
Allarmi per una situazione del genere si erano verificati non molto tempo fa in una roggia di Rozzano (Milano), e qualche anno prima sul Lago di Como, dove si stavano svolgendo dei lavori alle fognature. In ogni caso Di Bari, d’intesa con il questore lagunare, Michele Masciopinto, ha disposto un’intensificazione della vigilanza in ambito lagunare, per monitorare eventuali criticità e prevenire ulteriori episodi analoghi. Mentre le ricerche proseguono, una nuova riunione è stata convocata per domani.
La Biennale è estranea
La chiazza verde comparsa oggi ha fatto tornare a galla dagli archivi una provocazione artistica quasi identica, datata 1968, fatta sempre a Venezia in nome della salvaguardia dell’ambiente, nell’ambito della Biennale d’Arte. Fu l’artista argentino Nicolas Garcia Uriburu che, a bordo di un’imbarcazione, percorse tutto il Canal Grande gettando in acqua un pigmento che rendeva fosforescenti i microrganismi presenti nell’acqua, rendendola di un color verde fosforescente. La sua arte era ispirata al movimento della ‘Land Art’, che vide come esponenti Oppenhiem e Christo. Un’operazione spettacolare, che invitava a prendersi cura dell’ambiente, usando un colore, il verde appunto, simbolo dell’ecologia universale, e che Uriburu ripetè più volte nella sua carriera fino alla sua morte, avvenuta nel 2016.
Altre performance simili furono portate a termine nel 1989, quando a venire colorata in verde fu l’acqua di una delle fontane che circondano la piramide del Grand Louvre, e quella della fontana del Trocadero, a Parigi. Un esperimento che venne ripetuto nelle acque dell’East River a New York. Sul Riachuelo, un piccolo affluente del Rio della Plata a ridosso del quartiere de La Boca, a Buenos Aires, la performance venne realizzata in collaborazione con Greenpeace per la Giornata mondiale dell’acqua, nel 2010. Nel settembre 2011 gettò colorante verde sul fiume Weser a Brema (Germania).
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile LA VOCE DEGLI “OCCUPABILI” A CUI LA MELONI TOGLIE IL REDDITO DI CITTADINANZA: “CI VOGLIONO RICATTABILI”
“Rinuncerò alle cure”, “grazie a quei soldi mi sono diplomato”.
Le voci degli ‘occupabili’ a cui il governo toglie il Reddito: “Ci vogliono ricattabili”
Sono soltanto alcune delle storie raccolte nel corso del corteo organizzato a Roma da “Ci vuole un Reddito“, campagna che ha riunito oltre 140 tra associazioni, movimenti e organizzazioni sociali, da Nonna Roma alle Camere del lavoro autonomo e precario (Clap), passando per Nidil Cgil, Cobas, studenti e studentesse della Sapienza, Black Lives Matter e non solo).
Se lo scorso dicembre erano stati lanciati, nella Capitale come nel resto della penisola, i primi comitati di difesa e ampliamento del reddito, contro la volontà della maggioranza di destra di smantellare il provvedimento, ora le associazioni sono tornate in piazza per rivendicare l’obiettivo di stoppare il decreto Lavoro. Quello che non soltanto archivia il Rdc, ma “allarga le maglie della precarietà, aumentando la possibilità di fare contratti a tempo determinato e di utilizzare i voucher”
Così a parlare sono soprattutto coloro che si ritrovano nella discussa categoria degli ‘occupabili’, quella istituzionalizzata dal governo Meloni prima con la legge di bilancio, poi con il decreto Lavoro approvato a inizio maggio.
Persone povere, che hanno utilizzato il reddito come ‘paracadute’ soprattutto durante la pandemia, che non potranno però ora beneficiare della nuova misura voluta dall’esecutivo al posto del Rdc: l’Assegno di inclusione, a partire dal prossimo anno. Ma chi è che perderà il sussidio? Chi nel proprio nucleo non avrà presenti minori, persone con disabilità o over 60. I numeri di chi, pur sotto la soglia di povertà, non potrà accedervi li ha forniti lo stesso esecutivo: secondo i calcoli gli esclusi dalla nuova misura saranno 433mila.
Per loro l’unica strada sarà richiedere un’indennità di partecipazione a programmi formativi da 350 euro al mese, erogabile per un massimo di 12 mensilità, non rinnovabili. Se la volontà del governo Meloni è quella di togliere il sostegno a chi si considera abbia una probabilità maggiore di trovare un’occupazione, la realtà resta ben diversa.
E per la categoria degli ‘occupabili’, come dimostrato dagli stessi dati forniti dall’Agenzia nazionale politiche attive del Lavoro, la speranza di trovare un lavoro rischia di tradursi soltanto in una chimera. Le stesse teorie del governo che vengono smentite.
Una tra tutte? “I poveri senza figli non hanno più probabilità di trovare lavoro, anzi”, ha certificato sempre l’Anpal, bocciando le previsioni governative. Ma non solo. Perché sempre il commissario Anpal Raffaele Tangorra ha precisato come “soltanto il 13 per cento dei beneficiari del Rdc presi in carico dai CpI e inseriti nel programma GOL sono pronti a lavorare, work ready”. Numeri irrisori, con l’occupabilità che resta così soltanto sulla carta
Per centinaia di migliaia di poveri il rischio così sarà quello di ritrovarsi “per strada”, senza più alcun sostegno. “Ho paura di dover abbandonare gli studi“, spiega un giovane 27enne, che racconta di aver potuto frequentare l’Università soltanto grazie al sussidio. Non è l’unico. Per tanti reddito di cittadinanza è stato sinonimo di ‘libertà’. Libertà “di poter avere un pranzo o una cena a tavola“, di poter finalmente curarsi, di non dover dipendere dalle offerte e dal lavoro incessante di tante associazioni che, anche nella Capitale, cercano di aiutare chi si ritrova senza un lavoro, né un reddito. “Vogliono soltanto costringerci ad accettare lavori da sfruttamento e a più bassi salari. Ci vogliono ricattabili”, è il mantra ripetuto dalla piazza. “E consegnano un esercito di persone alla criminalità”. Perché tutte le storie hanno spesso un comune denominatore, con le testimonianze del nulla offerto dal mercato.
“Contratti regolari? E chi l’ha mai visti? Eppure lavoro da quando ho 14 anni”, racconta Franco. Ha fatto di tutto, barista, manovale, operaio. Ma, spiega, “in Campania è quasi impossibile non lavorare in nero. Con il reddito potevo fare braccio di ferro, rifiutare il lavoro nero. Ma prima eravamo costretti a farci mettere pure i piedi in testa pur di sopravvivere. E ora vogliono farci tornare al passato”. Il reddito, invece, ha rappresentato per Franco una riscossa: “Ho potuto permettermi di andare a studiare alla serale, diplomandomi a Caserta, in un territorio ormai devastato dalle crisi industriali, perché sapevo che a fine mese avrei potuto pagare affitto e bollette”
Non è l’unico ad avere una lunga esperienza di contratti atipici, irregolari, part-time. E salari da fame: “Quando ho chiesto di essere regolarizzato, non ho mai ottenuto nulla”, c’è chi racconta sconsolato. “Meloni ha lanciato una guerra contro i poveri, ma non sono i poveri a doversi vergognare, ma chi li sfrutta”, rilancia Ida, dalla testa del corteo. Dopo aver perso il figlio, racconta, si è ammalata per diversi anni, ha perso la casa dove viveva da oltre 30 ed è stata sfrattata. “Oggi mi è rimasto soltanto il reddito, se me lo tolgono, come farò ad andare avanti? Con la spesa mi hanno aiutato i volontari di Nonna Roma, ma con le medicine? Come farò a curarmi?“
Le cure? Sembrano essere diventate un altro lusso, ormai inaccessibile per tanti (presunti) occupabili. “Io ho lavorato quasi sempre, ma sempre da precaria”, spiega una manifestante di Napoli. “È stato grazie al reddito che ho potuto dare dignità alla mia vita. Ma ora, senza figli e senza over 60, il futuro resta un’incognita, anche per lei: “Cosa farò? Non lo so ancora, spero di non essere costretta a emigrare“.
Andare via, l’incubo di tanti: “Già è complesso trasferirsi dal Sud al Nord per i giovani, figurarsi per me che ho 58 anni”, c’è chi allarga le braccia. “Io invece ne ho 46, non voglio più accettare stipendi da 3 euro l’ora. Mi hanno detto vieni a fare la stagione a Rimini. Ma io ci sono già stato. Tutto falso. Altro che stipendi da 2mila euro al mese, io non ne ho visti mai mille, gran parte fuori busta. Non posso più accettarlo”.
C’è chi attacca: “Gli imprenditori hanno criminalizzato il reddito, ogni giorno in tv come ospiti a raccontare fake news. Ma la realtà è che nemmeno ora che il reddito è in esaurimento hanno trovato il personale. Quindi il problema è un altro: i salari bassi“. Per questo, dalla piazza, l’appello è ora rivolto alle opposizioni: “Difendano insieme a noi il Reddito di cittadinanza”, c’è chi rilancia. Battaglia parlamentare promessa da Pd, M5s, Verdi-Sinistra . Ma l’obiettivo a lungo termine è un altro: “Serve introdurre il salario minimo. Perché non si può vivere campando di lavoretti. Sotto i dieci euro l’ora è sfruttamento“.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 28th, 2023 Riccardo Fucile ADDIO BENEFICI DEL CUNEO FISCALE
«Il tasso di inflazione rimarrà sopra il +2% fino al 2025, erodendo la capacità di spesa delle famiglie, frenando la ripresa dei consumi e depotenziando gli effetti positivi del previsto alleggerimento fiscale», avverte Confesercenti. L’impatto dell’inflazione sul potere di acquisto “incide sulla crescita dei consumi e potrebbe depotenziare, di fatto, gli eventuali benefici della riforma fiscale in arrivo. L’era della bassa inflazione, infatti, – viene sottolineato nell’analisi – sembra ormai del tutto terminata. Anche se il picco del 2022 appare episodico e determinato da fattori esterni come lo shock energetico, in prospettiva torneremo a sperimentare un’inflazione permanentemente più elevata di quella con cui ci eravamo abituati a convivere. Ci aspettiamo infatti – stima Confesercenti – un tasso di aumento dell’indice dei prezzi del +5,7% nell’anno corrente, del +3,8% nel 2024 e del +2,8% nel 2025. Solo nel 2026 si dovrebbe assestare sul +2%, la soglia comunemente considerata come obiettivo per la stabilità dei prezzi. Un punto d’arrivo, comunque, quadruplo rispetto al tasso medio di inflazione del +0,5% che si è registrato nel quadriennio 2016-2019, prima della pandemia. E’ “Uno scenario che avrà conseguenze importanti sul potere d’acquisto delle famiglie: considerando anche la perdita già maturata nel 2022, la compressione subita dalla capacità di spesa delle famiglie ammonterebbe, nella media 2022-2025, al 16% del reddito disponibile. Per avere un termine di confronto, si consideri che nel quadriennio 2016-2019, l’erosione di potere d’acquisto provocata dall’inflazione era stata in media dell1,5%”.
L’impatto inflazionistico «sta inoltre rallentando il recupero dei livelli di consumo pre-pandemici, che nelle attuali condizioni non potrà essere completato prima del 2025.
E si allontana sempre di più anche l’obiettivo di recuperare i livelli precedenti alla crisi finanziaria internazionale: se prendiamo a riferimento il valore dei consumi reali del 2007, a fine 2025 mancheranno ancora 18 miliardi. Questo perché, sempre a causa dell’alta inflazione, i consumi aumenteranno in termini cumulati di appena il 2,1% nel triennio 2023-2025, ossia di un insoddisfacente 0,7% annuo». Questo scenario – avverte quindi Confesercenti – «impone un aggiustamento di rotta anche per l’agenda di politica economica, a partire dal fisco.
La necessità di salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie impone infatti di prestare attenzione anche al fenomeno del fiscal drag, che si determina quando l’aumento nominale dei redditi correlato all’inflazione porta automaticamente all’applicazione di aliquote più elevate e quindi all’incremento del prelievo fiscale.
Un assaggio lo si sta avendo con il taglio del cuneo fiscale predisposto dal governo, che in parte sarà eroso proprio dal fisco. Bisogna dunque rivedere la struttura delle aliquote per annullare gli effetti negativi del fiscal drag, o si rischia di depotenziare l’impulso che la riforma fiscale in preparazione potrebbe produrre, in condizioni di stabilità dei prezzi, sulla capacità di spesa delle famiglie».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »