Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
MARCO TRAVAGLIO FA UNA PERIZIA PSICOLOGICA ALLA DUCETTA: “NON RIDE NÉ SORRIDE: GHIGNA E DIGRIGNA. NON PARLA: RUGGISCE. COME SE FOSSE ANCORA LÌ COL 4% A FARE OPPOSIZIONE SOLA CONTRO TUTTI. INVECE È A PALAZZO CHIGI CON UN POTERE SMISURATO, FORSE SI RENDE CONTO DI QUANTO SIA SCADENTE IL PERSONALE POLITICO DI CUI SI CIRCONDA”
Giorgia Meloni è una romanaccia simpatica. Battuta pronta, risata contagiosa e un po’ di sana autoironia. Anche sulla statura non proprio slanciata, eterno cruccio dell’altro nano ancor più della calvizie (“Sono alto un metro e 71, cribbio!”). Ma, nelle ultime uscite pubbliche, di quella Giorgia non rimane neppure l’ombra.
La sostituisce una donna truce, torva, astiosa, biliosa, minacciosa, in una permanente crisi di nervi. Non ride né sorride: ghigna e digrigna. Non parla: ruggisce. Non c’è più l’underdog che, dopo un’infanzia difficile e una carriera costruita con le sue mani, ce l’ha fatta. Ora c’è una capetta che fa la spavalda per nascondere l’insicurezza e attacca per difendersi da nemici immaginari.
Come se fosse ancora lì col 4% a fare opposizione sola contro tutto e tutti. Invece è a Palazzo Chigi con un potere smisurato, il 99% dei media che canta le sue lodi e le opposizioni che balbettano (quando non la fiancheggiano). E il travestimento da San Sebastiano non suscita solidarietà, ma ilarità. Dalle praterie dell’opposizione solitaria alle strettoie del governo, dai voli della campagna elettorale all’atterraggio sulla realtà, c’è un bel salto.
Che però non basta a spiegare una metamorfosi che può costarle cara. Ci dev’essere dell’altro. Forse si rende conto di quanto sia scadente il personale politico di cui si circonda (e giustamente diffida).
Forse in cuor suo soffre a fare o a subire tutto ciò che rinfacciava agli “altri” (migranti, accise, austerità, condoni, politiche anti-sociali e anti-legalitarie, riverenze a Usa e Ue, Mes, draghismo, Figliuolo, Panetta, scandali di ministri gaffeur o impresentabili). La “pacchia” che doveva finire per l’Ue è finita per lei. E questo suo primo luglio al governo lo ricorderà e lo ricorderemo tutti.
Marco Travaglio
(da il Fatto Quotidiano)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
“VICECAPO DI GABINETTO, MAGISTRATA, È L’UNICA DELLO STAFF CHE IL GUARDASIGILLI ASCOLTA VERAMENTE. GLI ESPOSTI AL CSM CONTRO DI LEI E IL MISTERO DELLE SCORTE TRIPLICATE”
C’è chi la chiama zarina, chi addirittura la eleva a ministra ombra. Di certo Giuseppa Lara Bartolozzi, meglio nota come “Giusi” Bartolozzi, è la donna più potente al ministero della Giustizia di via Arenula. Influente, ma soprattutto temutissima, perché da mesi gode della stima incondizionata del guardasigilli Carlo Nordio.
Fiducia mai messa in discussione, neppure quando Bartolozzi ha mostrato, a detta di chi conosce bene le dinamiche degli uffici dell’ex pm, di aver gestito faccende delicatissime con esiti non troppo felici.
Bartolozzi, o “la ministra” come la definiscono anche a Palazzo Chigi, è una magistrata. Giudice in Sicilia, è passata pure dalla sezione fallimentare del tribunale di Palermo. La zarina è una tecnica, ma è l’unica del gruppo di collaboratori di Nordio ad aver avuto anche esperienze politiche, visto che in passato è stata eletta con Forza Italia.
Una passione per la politica attiva, e per un politico che è suo compagno: cioè Gaetano Armao, avvocato, siciliano, ex assessore regionale e vicepresidente della regione ai tempi di Nello Musumeci presidente. Armao è una figura di relazioni profonde con il sistema politico, giudiziario e finanziario siciliano e nazionale.
Oltre alla relazione sentimentale, i due hanno fatto parlare di loro per una vicenda poi finita pure al Consiglio superiore della magistratura nel 2018. Tutto era nato da un esposto firmato dall’ex moglie di Armao, che avrebbe dovuto ricevere gli alimenti dopo la separazione.
Tuttavia, intervenne il tribunale di Palermo con il pignoramento dello stipendio del politico a favore proprio della nuova compagna Giusi, con cui aveva firmato una scrittura privata. La decisione del tribunale impedì così alla prima moglie di ottenere quanto le sarebbe spettato.
Il caso fu sottoposto all’attenzione del Csm, senza però conseguenze sull’attuale vice capo di gabinetto del ministro Nordio. Non risultano, infatti, procedimenti avviati dopo la consegna dell’esposto.
Di certo però non è la prima volta che Bartolozzi finisce all’attenzione della commissione disciplinare: Domani ha scoperto che è stata assolta nel 2012 applicando l’articolo 3 bis, che recita: «L’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza».
Bartolozzi non aveva infatti indicato quale causa di incompatibilità, dopo la nomina al tribunale di Palermo, la professione della sorella, avvocata del foro della città. Non lo ha fatto, questo è stato accertato e c’è scritto in sentenza. Tuttavia è vero che la condotta di Bartolozzi, secondo i membri della commissione disciplinare, ha violato la norma ma solo formalmente. Perché in quel periodo la sorella non aveva trattato fascicoli in conflitto con la giudice ora potente dirigente del ministro Nordio
Ora Bartolozzi è al fianco di Nordio. L’incarico di vice capogabinetto con funzioni di vicario le è stato conferito il 24 ottobre 2022: compenso annuale lordo di 151mila euro più un trattamento economico accessorio di quasi 38mila euro.
Berlusconi come mito, critica nei confronti della categoria a cui lei stessa appartiene, la sua propensione per la politica è forse il suo punto debole da “tecnica”: i suoi nemici malignano che molti dei suggerimenti offerti a Nordio siano frutto di calcoli per un suo eventuale ritorno nella politica attiva, questa volta nelle file di Fratelli d’Italia.
Fonti interne al ministero e al partito di Giorgia Meloni accostano Bartolozzi al sottosegretario Andrea Delmastro: a lui si sarebbe avvicinata la magistrata siciliana, che su Nordio ha un’ascendente assoluto.
Anche se i consigli della donna a volte lo fanno andare a sbattere. Come nel caso della guerra alle intercettazioni, che non piace né alla Meloni né alla Lega
Di certo le questioni che hanno allarmato maggiormente la maggioranza per la gestione che ne è stata fatta sono due: caso Cospito e caso Uss. Su entrambi, dicono da Palazzo Chigi, Nordio sarebbe stato «mal consigliato da Bartolozzi».
Partiamo dalla gestione del 41 bis per Alfredo Cospito, l’anarchico insurrezionalista autore della gambizzazione del manager di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Nel dibattito che è seguito sono accadute molte cose, alcune si sono caratterizzate per l’utilizzo di metodi ampiamente oltre il limite della lotta parlamentare.
Il campione di tale strategia è stato Giovanni Donzelli, vicepresidente del Copasir e deputato di Fratelli d’Italia: durante il dibattito in aula del 31 gennaio 2023, a Montecitorio, ha letto passaggi integrali di una relazione del gruppo speciale della polizia penitenziaria che opera all’interno delle sezioni di carcere duro, il 41 bis.
È noto che quei documenti, contenenti informazioni sensibili sul detenuto anarchico e un gruppo di boss mafiosi, sono stati così sfruttati da Donzelli per colpire l’opposizione. Chi aveva fornito quelle informazioni a Donzelli era Delmastro, suo coinquilino che da sottosegretario ha la delega alla polizia penitenziaria.
Il 2 febbraio, due giorni dopo l’azzardo di Donzelli, il ministro Nordio ha lanciato il salvagente al suo sottosegretario. Il tentativo, però, si è rivelato maldestro: quegli atti, ha sostenuto il guardasigilli, non erano segreti, ma solo a “limitata divulgazione”. L’inchiesta della procura di Roma dimostrerà esattamente il contrario.
Più fonti all’interno del palazzo di via Arenula indicano nella vice capo di gabinetto Bartolozzi la persona che ha gestito il complesso dossier Donzelli-Delmastro. «Ha scavalcato tutti», ripetono, «e la comunicazione che è passata ha messo il ministro in difficoltà».
In pratica la vice capo di gabinetto ha scelto per Nordio la strada più impervia, e lui ha accettato il rischio. Nonostante più persone dello staff erano contrari, e avrebbero suggerito un profilo più basso per evitare a Nordio di esporsi su una vicenda scivolosa e di sicura trattazione della procura di Roma.
Anche perché i ben informati sostengono che il ministro avesse ricevuto pure una telefonata della presidente Giorgia Meloni: voleva sapere dal guardasigilli se qualcuno dei suoi si era macchiato di condotte irregolari sulla gestione del dossier. Nordio, invece, ha preferito altri consigli e coperto le responsabilità di Delmastro, finché non sono emerse con l’indagine della procura di Roma.
Tra i corridoio di via Arenula è noto poi un altro episodio rivelatore del metodo Bartolozzi. Nei giorni caldi del caso di Artem Uss, il cittadino russo fuggito dai domiciliari nel Milanese, Nordio – sempre suggerito da Bartolozzi, i due per definire le strategie fanno lunghe riunioni a due nella stanza del ministro – ha infatti scelto lo scontro con la magistratura della procura di Milano.
A tal punto che l’associazione nazionale magistrati reagì all’avvio dell’azione disciplinare da parte del ministero nei confronti della corte d’appello di Milano, accusando i giudici di grave negligenza. Un atto durissimo, non condiviso da tutti all’interno del ministero. Una linea che ha scatenato non solo la guerra con la magistratura, ma che è stata criticata perfino dagli avvocati.
Contattata da Domani più volte per una replica, la magistrata ha con garbo rimandato per via di una riunione. Richiamata dopo diverse ore, era ancora impegnata seppure avesse garantito di ricontattarci. Il giorno successivo abbiamo tentato un’ultima volta. Alla fine non ha più risposto.
Al ministero del resto accadono cose straordinarie dal giorno in cui si è insediato l’ex magistrato che sognava di fare il ministro. Sono triplicate le scorte. Oltre al ministro, naturalmente obbligatoria, troviamo altre otto persone con la tutela: cioè protetti da un agente e dotati di un’auto non blindata. Dal capo di gabinetto ai vice capi. Inclusa Bartolozzi, per la quale già prima del pericolo anarchico era stato disposto un dispositivo di protezione.
(da Domani)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL PD E’ RISALITO AL 20,6%, E IL M5S AL 15%
Il tratto più evidente che “segna” i risultati del recente sondaggio condotto da Demos per Repubblica è, sicuramente, la “stabilità”. Una “novità”, dopo gli avvenimenti dell’ultimo decennio. Che hanno rovesciato, più volte, il profilo e gli equilibri politici pre-esistenti. Nel segno e nel nome della “rottura” con il passato. La scomparsa di Silvio Berlusconi, in particolare, ha chiuso il tempo della Seconda Repubblica. Sorta nel segno della “personalizzazione”. Di più: dei “partiti personali” Che si identificano con il leader. Sorgono e scompaiono insieme al “capo”.
L’ultimo atto di questo percorso storico recente è, sicuramente, ispirato dai Fratelli d’Italia. Un partito che ha una storia, ma, alle elezioni politiche del settembre 2022 si è imposto “nel nome di Giorgia Meloni”. Anche perché era l’unico partito “escluso” dai governi del Paese. Fino a ieri. E da decenni l’anti-politica alimenta il consenso.
Oggi, però, il partito e la (il) leader appaiono ancora saldamente davanti a tutti, nelle preferenze degli elettori (intervistati). Con l’eccezione, fra i leader, di Mario Draghi. “Escluso” dalla scena politica da Giuseppe Conte. I Fd’I, per quanto saldamente davanti agli altri partiti, con il 29% dei consensi, negli ultimi mesi hanno perduto qualche decimale. E un punto e mezzo, dallo scorso febbraio.
Tuttavia, la pressione e l’opposizione “dell’altra parte” appaiono limitate. Il Pd, distanziato di oltre 8 punti, è risalito al 20,6%. Di poco, rispetto ad aprile. Ma oltre 3 punti in più, da inizio anno. Quando si era fermato al 17,5%. Dietro, lo scenario si conferma stabile. Il M5S al 15%. Gli altri partiti sotto il 10%. La Lega: 8%. FI: 7,8%.
Più lontani, i partiti del Terzo Polo: Azione e Italia Viva, oggi ben distanti. Fra loro. Infine, Verdi e Sinistra Italia. E +Europa di Emma Bonino. Insomma, si tratta di un quadro “noto”.
Che non ha subìto mutamenti significativi, nell’ultimo periodo. Tanto più se valutato sul piano degli schieramenti. Il sostegno elettorale alla coalizione di governo, infatti, resta largamente maggioritario, nonostante emergano sensibili tensioni interne. Per quanto lontano rispetto agli indici proposti dalla coalizione guidata da Mario Draghi. Che, però, coinvolgeva “quasi” tutti i partiti. Con l’eccezione dei Fd’I. Non per caso.
Una larga maggioranza dei cittadini, infatti, ritiene che “durerà” a lungo. Poco più di metà delle persone intervistate (51%) ritiene che resterà in carica “fino alla fine” della legislatura. E, secondo un ulteriore 11%, almeno un altro anno.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL TAGLIO DEGLI ELETTI HA MODIFICATO IL NUMERO DELLE COMMISSIONI PERMANENTI COMPLICANDO LA SITUAZIONE
La gestazione si fa lunga. Camera e Senato continuano a non costituire buona parte delle commissioni bicamerali o di inchiesta previste o annunciate. Persino quelle la cui gestazione è stata accompagnata da grandi discussioni, quelle che in alcuni momenti parevano essere diventate il cardine della democrazia italiana, spesso sull’onda di fatti di vasta risonanza mediatica.
Mai più senza, dicevano. E invece, sono passati 277 giorni dalle elezioni (9,03 mesi, 39,57 settimane), il tempo necessario a far nascere un bambino. Eppure, a dispetto delle costanti reprimende del presidente della Camera Lorenzo Fontana, ma anche di quelle al Senato di Ignazio La Russa, nulla da fare: i partiti continuano a fare orecchie da mercante. Non forniscono ai presidenti delle due Camere i nomi dei componenti delle commissioni, che dunque non possono essere istituite.
Certo, esiste il problema del taglio dei parlamentari che in questa legislatura ha complicato tutto. Per esempio, le commissioni permanenti del Senato sono passate da 14 a 10.
Inutile chiedere ai parlamentari. Tutti, come un sol uomo, spiegano che il pacchetto è pronto, manca soltanto il via libera formale. E allora, un buon punto di partenza è affiancare l’elenco delle commissioni della scorsa legislatura a quelle dell’attuale, quelle che vanno sotto il nome «bicamerali e di inchiesta».
Alla Camera, erano 19 fino all’anno scorso, ora sono sei. Un terzo, anzi meno. Il tutto, al netto delle commissioni annunciate che in passato non c’erano, prima fra tutte quella sul Covid. Via libera lo scorso aprile tra le proteste delle opposizioni (la commissione non si occuperà delle Regioni, che sulla sanità hanno vastissime competenze).
Il Terzo polo si era smarcato dal no delle opposizioni, la presidenza dovrebbe andare a Davide Faraone di Italia viva. Se ne sarebbe dovuto parlare mercoledì scorso, e invece nulla: si vedrà la settimana prossima
La lista delle commissioni a bagnomaria è lunga. Per esempio, ancora non è stata istituita la commissione sulla violenza di genere e il femminicidio. Nata il 23 febbraio, giusto ieri sono partite le lettere destinate ai commissari. Pochi segni di vita, ad oggi dalla commissione sull’attuazione dell’accordo di Schengen.
Usciti dai radar anche gli organi parlamentari di indagine nati da fatti rilevantissimi come quello sulla morte di Giulio Regeni. Così come la commissione d’inchiesta sulla morte di David Rossi e per il disastro della Moby Prince. Sempre ieri, invece, è stata votata d’urgenza la commissione sui fatti del Forteto. Resta invece in attesa quella di cui molto si parlò a suo tempo, quella sul sistema bancario, che nella scorsa legislatura era presieduta da Pier Ferdinando Casini. Senza commissione il federalismo fiscale, centrale per la discussione sulle Autonomie regionali.
(da “Corriere della Sera”)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL VERSAMENTO DELLA TERZA RATA DEL RECOVERY DA 19 MILIARDI SLITTA ANCORA, LA COMMISSIONE FA SAPERE CHE “I LAVORI SONO ANCORA IN CORSO”… IL GOVERNO HA MANCATO 7 OBIETTIVI PER OTTENERE LA QUARTA RATA DI GIUGNO. E QUESTA VOLTA NON PUÒ DARE LA COLPA AL GOVERNO DRAGHI
Doveva essere il giorno degli impegni rispettati. Da mettere in fila, uno dopo l’altro, fino ad arrivare a ventisette. Perché tanti sono gli obiettivi del Pnrr che l’Italia doveva raggiungere entro oggi per richiedere a Bruxelles la quarta rata, che vale 16 miliardi. E invece, per la destra al governo, è il giorno della scadenza fallita. È la prima volta che accade da quando il Piano di ripresa e resilienza è partito.
E a differenza dei 55 obiettivi agganciati alla terza rata, che è ancora congelata (appena qualche giorno fa, la Commissione europea ha chiesto all’Italia i contratti di locazione degli studentati), i 27 impegni non sono condivisi con il governo di Mario Draghi.
Fanno riferimento al primo semestre dell’anno: a gennaio, Giorgia Meloni era a Palazzo Chigi da più di due mesi. Nel registro dei compiti da fare a casa ci sono sette spazi incompleti. Sono gli obiettivi che non si è riusciti a portare a termine, dagli asili nido alle colonnine elettriche.
Nella versione concordata tra Draghi e la Commissione Ue, è la sottolineatura sibillina che rimbalza nei ragionamenti del governo Meloni. Insomma se il traguardo di fine giugno è saltato, la colpa è dei ritardi ereditati, oltre che dell’inflazione e delle altre cause che vengono indicate per giustificare la necessità di rinegoziare i 27 obiettivi. Provando a salvare l’intera rata, con la richiesta all’Europa di validare la rimodulazione dei sette target incompiuti.
I problemi riguardano gli asili nido, una delle misure simbolo del Pnrr: entro oggi bisognava assegnare il 100% dei lavori per la costruzione di circa 265 mila nuovi posti. Ma l’asticella si è fermata poco sopra l’80%. Da qui la necessità di correre ai ripari, proponendo a Bruxelles di chiudere un occhio sul 20% mancante, con la promessa di mantenere l’impegno sul target finale. Oppure tre mesi in più di tempo, fino a fine settembre, per aggiudicare tutti gli appalti, escludendo a quel punto i Comuni in ritardo.
Problemi anche per le stazioni di rifornimento a idrogeno: la Commissione deve dare il via libera al taglio, da 40 a 35, delle aggiudicazioni (in alternativa servirà un nuovo bando). Non è stato centrato pienamente neppure l’obiettivo per l’affidamento dei lavori relativi alle 20.500 colonnine elettriche da installare nelle autostrade e nei centri urbani
Le criticità riguardano anche il progetto per i nuovi studios di Cinecittà: i contratti per la realizzazione di nove teatri sono stati firmati, ma Bruxelles deve dare il via libera alla variazione del target generale (inizialmente erano previsti 17 teatri).
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
CALENDA: “IL GOVERNO APRA A UN CONFRONTO”
Le opposizioni hanno raggiunto un accordo sul testo unitario della proposta di legge sul salario minimo. E’ quanto si apprende da una nota congiunta firmata da Giuseppe Conte (Movimento 5 stelle), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), Matteo Richetti (Azione), Elly Schlein (Partito democratico), Angelo Bonelli (Europa Verde) e Riccardo Magi (+Europa)
“La necessita’ di un intervento a garanzia dell’adeguatezza delle retribuzioni dei lavoratori, in particolare di quelli in condizione di poverta’ anche per colpa dell’inflazione, e’ un elemento qualificante dei nostri programmi elettorali. Per questo abbiamo lavorato a una proposta unica che depositeremo alla Camera nei prossimi giorni. Vogliamo infatti sottolineare con forza la comune convinzione che e’ giunto il momento di dare piena attuazione all’articolo 36 della Costituzione che richiede che al lavoratore sia riconosciuta una retribuzione proporzionata alla quantita’ e qualita’ del lavoro svolto e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa per se’ e per la propria famiglia”, si legge nella nota
Per raggiungere questa finalita’ la nostra proposta prevede che: – al lavoratore di ogni settore economico sia riconosciuto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente piu’ rappresentative, salvo restando i trattamenti di miglior favore; – a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, venga comunque introdotta una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora, per tutelare in modo particolare i settori piu’ fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali e’ piu’ debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali; – la giusta retribuzione cosi’ definita non riguardi solo i lavoratori subordinati, ma anche i rapporti di lavoro che presentino analoghe necessita’ di tutela nell’ambito della parasubordinazione e del lavoro autonomo; – conformemente anche a quanto previsto nella direttiva sul salario minimo, sia istituita una Commissione composta da rappresentanti istituzionali e delle parti sociali comparativamente piu’ rappresentative che avra’ come compito principale quello di aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo orario; – sia disciplinata e quindi garantita l’effettivita’ del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso; – sia riconosciuta per legge l’ultrattivita’ dei contratti di lavoro scaduti o disdettati; – sia riconosciuto un periodo di tempo per adeguare i contratti alla nuova disciplina, e un beneficio economico a sostegno dei datori di lavoro per i quali questo adeguamento risulti piu’ oneroso”
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
DALLA DESTRA DI STORACE A FORZA ITALIA, LA SCALATA DELLA “GIANNI LETTA COI TACCHI A SPILLO”
«È nata per fare politica», giurò una volta Ignazio La Russa. E in sua quota Daniela Santanchè sta al governo. Nonostante qualche riserva di Giorgia Meloni che, prima di sceglierla, aveva chiesto in giro notizie sulla tenuta di Visibilia, l’ex società della ministra.
Le voci giravano già. Meloni, diffidente di suo nei confronti di tutti quelli che non hanno militato con lei all’interno del Raccordo anulare, ha ceduto comunque. Poi il 2 novembre 2022 la Procura di Milano ha chiesto il fallimento di Visibilia.
La Russa e Santanchè invece sono amicissimi. Vanno alla buvette a prendere il caffé. Santanchè ha pure fatto l’assessore a Ragalna, il piccolo Comune alle falde dell’Etna, dove Gnazio ha il suo buen retiro estivo. E quando si dovette eleggerlo alla presidenza del Senato, e Forza Italia non votò, Santanchè accompagnò platealmente Berlusconi al seggio nell’emiciclo. La Russa, in sprezzo al galateo istituzionale, in compenso presidiava la sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa, dove si stava tessendo la tela del governo. Ieri, alla festa di Gioventù nazionale, per difendersi dai sospetti montanti, ha assicurato: «Non sono mai stato il legale delle aziende di Santanchè, ho solo fatto una diffida verso un socio che si è dimostrato secondo loro non proprio perfetto».
Entrambi dodici anni fa si sono presi pure le monetine del Popolo viola davanti a Montecitorio. Ma mentre La Russa è rimasto fedele a un’idea, Santanchè ha attraversato quasi tutti i mari del centrodestra. Nasce in Alleanza nazionale, con cui viene eletta in Parlamento nel 2001 e nel 2006. L’anno dopo approda alla Destra di Storace. In quel frangente si fa notare nei talk, dove battezza il grido di battaglia del «prima gli italiani». È anche imprenditrice. Raccoglie la pubblicità per Il Giornale e Libero, i fogli della destra italiana. Ha il suo momento contro Berlusconi («Silvio vuole solo donne orizzontali»), litiga con Storace, fonda un suo partito, Movimento per l’Italia, con la benedizione di Denis Verdini, che la riavvicina al Cavaliere. Il quale la promuove sottosegretario per l’Attuazione del programma di governo. Persino lo storico sodale in affari Flavio Briatore non trattiene lo stupore: «Incredibile che il presidente abbia potuto mettere Daniela lì», scrive in un sms al lobbista Luigi Bisignani. Proprio Bisignani rivelerà di essersi speso personalmente per farla rientrare al governo («ne parlai con Verdini, Letta e Berlusconi»). Quando Santanchè da sottosegretaria mette piede in aula, dai banchi del centrodestra piovono fischi: nessuno ha dimenticato le insinuazioni contro Silvio.
Aderisce quindi a Forza Italia, Berlusconi la nomina responsabile dell’organizzazione e della raccolta fondi. «Vuole farne la Sarah Palin italiana», si mormora a Montecitorio, dove viene chiamata anche «la Gianni Letta coi tacchi a spillo». Le cose per Berlusconi precipitano, di lì a poco trasloca in Fratelli d’Italia. Tutte queste giravolte spiegano forse l’istintiva diffidenza di Meloni.
Alessandra Mussolini una volta raccontò che quando Giovanni Paolo II venne in Parlamento, lei, incinta al settimo mese, trovò il suo scranno occupato da Santanchè. «Scusa, le dico, dovrei sedermi qui. Lei niente. Voleva stare lì, accanto a La Russa. A quel punto le ho tirato i capelli, la treccia. E mi è rimasta in mano. Era finta».
(da La Repubblica)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI DUE GIORNI SONO ARRIVATE CON I BARCHINI OLTRE 2.000 MIGRANTI… MA IL GOVERNO PENSA SOLO AD ATTACCARE LE ONG CHE NON NE HANNO PORTATO NEANCHE UNO
Numeri da record a Lampedusa, dove l’hotspot di Contrada Imbriacola è arrivato a ospitare 3.279 persone migranti. I posti previsti a norma sarebbero poco meno di 400: otto volte in meno. Negli ultimi giorni gli arrivi sono stati molto intensi, e per evitare il sovraffollamento non è bastata la gestione affidata alla Croce rossa a inizio giugno né lo stato d’emergenza dichiarato dal governo ad aprile. Intanto, c’è stato un altro probabile naufragio in acque internazionali, con un numero non precisato di dispersi.
Quasi 2.500 arrivi in trentasei ore a Lampedusa
Ieri, giovedì 29 giugno, in 24 ore ci sono stati 46 sbarchi che hanno portato, complessivamente 2.033 persone sull’isola siciliana. Dalla mezzanotte di oggi, nelle ore notturne, sono stati sette le imbarcazioni giunte a Lampedusa con il soccorso di Guardia di finanza e Guardia costiera in area Sar italiana e nelle acque antistanti l’isola. Si trattava di gruppi da 5 a 46 persone, per un totale di 252 nuovi arrivi. Per la maggior parte le persone arrivate sono partite da Sfax, in Tunisia. Provengono da Guinea, Nigeria, Ghana, Camerun, Sudan, Senegal, Eritrea, Congo, Egitto.
La Prefettura di Agrigento, che si coordina con il ministero dell’Interno, ha disposto numerosi trasferimenti per ridurre il numero di ospiti e rendere più gestibile la situazione. Già ieri, i traghetti di linea per Porto Empedocle e le motovedette della Guardia di finanza hanno portato 697 ospiti in altri centri. Oggi, delle navi militari dovrebbero portare altrove circa 1.200 persone, mentre 450 useranno il traghetto di linea. Infine, un centinaio di migranti saranno trasportati con motovedette a Trapani e a Catania. Anche così, comunque, la stima è che a fine giornata nell’hotspot ci saranno ancora oltre 1.500 persone, il quadruplo del massimo teorico.
Nuovo naufragio, ci sono dei dispersi in acque internazionali
Nel frattempo, emerge la possibilità che ci siano delle nuove vittime. Tra le persone soccorse questa notte, infatti, diverse hanno segnalato che ci sarebbe stato un naufragio in acque internazionali, e che i migranti che si trovavano a bordo sarebbero quindi dispersi in mare.
Al momento non è chiaro il numero dei dispersi, perché alcune delle persone in questione sarebbero state soccorse da una motovedetta della Tunisia mentre due sarebbero saliti a bordo di un’altra imbarcazione di migranti, poi raggiunta dalla Guardia di finanza italiana. La squadra mobile della Questura di Agrigento ha raccolto le testimonianze per ricostruire l’accaduto. Intanto, per i dispersi potrebbe già essere troppo tardi.
(da Fanpage)
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Giugno 30th, 2023 Riccardo Fucile
“I FIGLI DEI FALEGNAMI DOVREBBERO FARE I FALEGNAMI INVECE CHE ANDARE A SCUOLA”
“Del resto mia cara, di che si stupisce, anche l’operaio vuole il figlio dottore e pensi che ambiente ne può venir fuori, non c’è più morale contessa”, cantava Paolo Pietrangeli nel 1966 nella sua Contessa. All’epoca Flavio Briatore ha solo 16 anni. I genitori, due insegnanti, lo fanno studiare poiché lo sognano avvocato ma il ragazzo fatica assai. Bocciato alle elementari verrà respinto altre due volte alle superiori e alla fine si diplomerà, da privatista, geometra. Ma, come sappiamo, la fortuna arriderà lo stesso all’uomo della provincia di Cuneo che negli anni, con un’instancabile attività di public relations, diventerà l’icona del ricco self made man. A dire il vero non proprio solo fortuna.
Come si legge nelle carte di una sentenza del Tribunale di Bergamo che lo definì capo del “gruppo di Milano”, associazione che agganciava personaggi facoltosi, li ingolosiva con affari solo promessi e belle donne molto disponibili e poi li portava a giocare – e a perdere molti soldi – in case private e bische clandestine a Milano e Bergamo e casinò in Jugoslavia e in Kenya. Dettagli.
Oggi per l’imprenditore i problemi sono altri come ha condiviso l’altra sera in diretta su Rai3: “L’altra settimana sono andato da un falegname e tutti i falegnami dell’officina avevano più di 50 anni, perché non avendo delle aziende che possono sopravvivere da sole. Ai figli gli fanno fare altre cose, tipo mandiamoli a scuola, mandiamoli all’università. Noi ci ritroveremo tra 20 anni senza più falegnami, senza più muratori. Non ci sarà più gente che fa i controsoffitti“.
Ora, naturalmente quella del falegname è una nobile ed antica (e spesso remunerativa) professione. Quello che non si capisce nel ragionamento del “manager” piemontese è per quale ragione a fare i falegnami o i muratori debbano essere i figli dei falegnami e dei muratori. Briatore è ad esempio padre del 12enne Nathan Falco. Se nella falegnameria le opportunità sono così brillanti perché non indirizzarlo verso questo settore? Senza contare che in tal caso il papà avrebbe anche il vantaggio trovarsi già in casa chi gli può manutenere i controsoffitti. E invece no, vige il principio delle caste, i figli dei notai fanno i notai, i figli dei laureati vanno all’università, quelli dei muratori in cantiere. Vista la biografia non si può però rimproverare a Briatore di fare troppo affidamento sulle opportunità che può offrire una buona istruzione. E nelle parole del geometra c’è almeno qualcosa di buono: un’inconsapevole sincerità. In Italia, paese con il tasso di laureati più basso d’Europa, l’ascensore sociale non esiste. O al massimo si muove verso il basso. La famiglia in cui si nasce è, salvo rarissime e meritorie eccezioni, l’elemento chiave per determinare le possibilità di carriera professionale.
Di fronte a questa realtà Briatore ci risparmia almeno la retorica sulla meritocrazia che, ormai da tempo, è diventata niente più che una favola per giustificare lo status quo.
(da agenzie)
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