Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile UNA MANCANZA DI RISPETTO VERSO CHI NON SI PUO’ PERMETTERE DI SPENDERE 9 EURO PER UNA FETTA DI TORTA
“Se hai i soldi vai, se no guardi…”. E’ la risposta che il sindaco di
Trieste, Roberto Dipiazza, ha dato all’emittente locale TeleQuattro che gli chiedeva un commento sugli alti prezzi del Caffé Sacher, che ha aperto in città due giorni fa, dopo una lunga attesa.
E’ il primo della catena che apre fuori dall’Austria. “Basta polemiche, se hai i soldi vai, se no guardi” ha detto il sindaco, vantando però “grande orgoglio” per l’apertura di un negozio della tradizione austriaca e viennese in particolare.
Polemiche si sono verificate per i prezzi alti fissati dal negozio: una fetta della originale torta è venduta a circa 9 euro. Altissimi i costi di altri prodotti. Le torte arrivano direttamente tre volte alla settimana dal laboratorio di Vienna.
Più tardi il sindaco, incurante delle polemiche ha aggiunto: “Vorresti un Ferrari? Ma non lo puoi permettertelo, e allora se passa sei lì a guardarlo”.
Una torta Sacher non ha lo stesso valore di un bolide di Maranello ma il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, ha ribadito il suo (discutibile) pensiero: se non ha una determinata disponibilità finanziaria alcune cose non puoi permettertele. Anzi Dipiazza rincara la dose e ripete: “E’ un grande orgoglio che sia stata scelta Trieste per aprire il Caffè Sacher e nessuno pensa alla cifra enorme che è stata investita per aprire il locale”. Il sindaco rivendica anche l’amicizia con il proprietario: “Voleva offrimi una fetta ma io ho voluto pagarla”, ha tenuto a precisare. Sul tariffario troppo alto Dipiazza ha aggiunto: “Vai a cena nei ristoranti e ti chiedono cifre mai viste, davvero non riesco a capire questa polemica”.
Nonostante i prezzi, comunque, oggi il negozio è chiuso perché ha terminato la scorta di torte dopo l’enorme afflusso di clienti ieri, nel giorno di apertura.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile CONTRO LE TENDENZE AUTOCRATICHE DELL’ATTUALE GOVERNO
La mobilitazione è stata convocata da Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019, in difesa della democrazia e contro le tendenze autocratiche attribuite dall’opposizione all’attuale governo in Polonia. Alla manifestazione ha partecipato anche il premio Nobel per la pace Lech Walesa, ex leader del sindacato Solidarnosc
Un momento della manifestazione convocata da Donald Tusk in difesa della democrazia e contro le tendenze autocratiche attribuite dall’opposizione all’attuale governo in Polonia, Varsavia, 04 giugno 2023. All’inizio della marcia ha preso la parola il premio Nobel per la pace Lech Walesa, ex leader del sindacato Solidarnosc. ANSA / Tadeusz Konopka
A Varsavia centinaia di migliaia di persone hanno partecipato a una manifestazione convocata dall’opposizione contro l’attuale governo polacco e in difesa della democrazia. L’accusa principale mossa dall’opposizione contro il governo è di avere tendenze autocratiche. Oggi ricorre anche il 34esimo anniversario delle prime elezioni democratiche polacche del dopoguerra
La manifestazione è stata convocata da Donald Tusk, primo ministro della Polonia dal 2007 al 2014 e presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019. La marcia ha riunito cittadini polacchi giunti da diverse località del Paese
Alla mobilitazione ha preso parte anche Lech Walesa, premio Nobel per la pace ed ex leader del sindacato Solidarnosc. “La prima cosa da fare per iniziare la strada verso la vittoria è fare i conti per sapere quanti siamo”, ha affermato Walesa che durante la manifestazione ha indossato una maglietta con la scritta ‘Konstytucja’ (costituzione)
Un momento della manifestazione convocata da Donald Tusk in difesa della democrazia e contro le tendenze autocratiche attribuite dall’opposizione all’attuale governo in Polonia, Varsavia, 04 giugno 2023. All’inizio della marcia ha preso la parola il premio Nobel per la pace Lech Walesa, ex leader del sindacato Solidarnosc.
“Siamo qui perché la Polonia deve restare in Europa”, ha detto uno dei manifestanti. La marcia si è svolta senza incidenti tra bandiere polacche, europee e striscioni. Poi in piazza del Castello reale l’intervento conclusivo di Tusk
Un momento della manifestazione convocata da Donald Tusk in difesa della democrazia e contro le tendenze autocratiche attribuite dall’opposizione all’attuale governo in Polonia, Varsavia, 04 giugno 2023. All’inizio della marcia ha preso la parola il premio Nobel per la pace Lech Walesa, ex leader del sindacato Solidarnosc. ANSA / Tadeusz Konopka
“Il Municipio stima” la partecipazione “a 500.000 persone in questo momento”, ha affermato Jan Grabiec, portavoce degli organizzatori della marcia, che potrebbe essere la più grande nel Paese dalla fine del comunismo nel 1989
La folla ha marciato con striscioni con la scritta “Polonia europea libera”, “Unione europea sì, PiS no”. Alcuni avevano maschere del leader del partito al potere Jaroslaw Kaczynski su cui era scritta la parola “vergogna”
Uno dei motivi più importanti della contestazione è la legge proposta dal PiS per eliminare l’indebita influenza russa dal paese. L’opposizione vede la legge come un tentativo del governo di lanciare una caccia alle streghe contro gli oppositori politici
“Il primo passo verso la vittoria è riconoscere la nostra forza, siamo qui in modo che la Polonia, l’Europa e il mondo vedano la nostra forza”, ha detto Tusk alla folla. “Questa ondata non sarà fermata, il gigante si è svegliato, sono orgoglioso di poter essere qui e dire che vinceremo”
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile SARÀ IMPOSSIBILE RISPETTARE LA ROADMAP, CHE PREVEDE DI SPENDERNE 84 NEI PROSSIMI TRE ANNI… GLI ENTI LOCALI NON HANNO RISORSE E PERSONALE ADEGUATO AI BANDI EUROPEI, E L’ESECUTIVO HA PERSO TEMPO NELLO SPOSTAMENTO DELLA CABINA DI REGIA, DAL MEF A PALAZZO CHIGI. UN DISASTRO
Nelle 163 pagine della relazione del governo al Parlamento sul
Pnrr la parola «difficoltà» ricorre 67 volte, quella «ritardi» 16. Dall’analisi dello stato di attuazione si ricava che il Piano nazionale di ripresa e resilienza o viene riscritto oppure non verrà rispettato.
Il governo afferma che non vuole rinunciare nemmeno a un euro dei 191,5 miliardi messi a disposizione dall’Unione europea entro il 2026. Ma per riuscirci […] sarà necessario rimodulare molti progetti e rivedere in parte l’impostazione del Piano altrimenti già la prossima rata, quella da 16 miliardi, che verrà erogata solo dopo che Bruxelles avrà verificato il rispetto dei 27 obiettivi assegnati per il primo semestre del 2023, sarà a rischio.
La relazione segnala ritardi e difficoltà su almeno 6 progetti: le previste 40 stazioni di rifornimento di idrogeno; l’acquisto di treni Intercity per il Sud; la realizzazione di 2.500 colonnine elettriche per auto sulla rete autostradale e 4mila nelle zone urbane; l’aggiudicazione di tutte le gare di appalto per offrire almeno 264.480 nuovi posti in asili nido e scuole per l’infanzia; gli investimenti su 9 studi cinematografici a Cinecittà; il braccio di ferro con la Ue sull’utilizzo dei fondi del Pnrr per sostituire caldaie a gas con altre caldaie a gas mentre secondo Bruxelles si sarebbero potuti usare solo per cambiare le vecchie caldaie a gasolio.
Per la verità l’attuazione del Pnrr ha cominciato ad entrare in crisi «a partire dai primi mesi del 2022», dice il governo nella relazione, soprattutto per le «strozzature dal lato dell’offerta e la forte accelerazione della dinamica dei prezzi». Ma a questi fattori esterni si sommano problemi interni.
«Carenza di risorse umane e disallineamento di competenze», con la conseguenza che «l’accentuarsi dei fenomeni di mismatch rischia di pregiudicare l’attuazione del Piano per la mancanza del personale necessario», soprattutto nelle costruzioni e nei settori «connessi alla transizione digitale e green, provocando una dilatazione dei tempi di attuazione o persino compromettendone la piena realizzazione».
Il documento ricorda due numeri: con il Pnrr si stima un fabbisogno aggiuntivo di personale di 375mila lavoratori mentre da ora al 2026 la popolazione attiva scenderà «di circa 630 mila unità». Inoltre, il settore delle costruzioni è inadeguato: le imprese, nel 96% dei casi, hanno meno di 10 lavoratori, spesso con «un basso livello medio di istruzione» e sono poco produttive. Non desta sorpresa, quindi, che «per alcuni progetti, il ritardo o il mancato raggiungimento dell’obiettivo è dovuto alla necessità di pubblicare nuovamente il bando di gara», poiché il precedente «è andato deserto».
Un altro dato: il Pnrr su 191,5 miliardi ne assegna quasi la metà, 91, per la realizzazione di opere pubbliche: al 31 dicembre scorso risultavano spesi per questa voce solo poco più di 7 miliardi, cioè l’8%. Non un bel segnale, considerando che nei prossimi tre anni bisognerebbe spenderne 84.
«La quasi totalità degli enti comunali sono coinvolti nelle iniziative del Piano», ma «non è stata opportunamente valutata la capacità effettiva dei singoli soggetti attuatori di realizzare gli interventi», si legge. Prendendo come base la spesa storica dei comuni per investimenti fissi lordi, emerge che per attuare il Pnrr questi enti dovrebbero spendere ogni anno fino al 2026 oltre il 66% in più, passando da una spesa media annua di 9 miliardi nel periodo 2017-20 a una di 15 miliardi.
Ma la capacità di spesa delle amministrazioni comunali incontra «ostacoli difficilmente superabili nel breve periodo a causa della mancanza di risorse umane e della carenza di competenze gestionali e tecniche». Ciliegina sulla torta: «Gli investimenti sono frazionati nella competenza di moltissimi soggetti attuatori, estremamente variegati per dimensione, capacità amministrativa e solidità finanziaria (Comuni, Province, Regioni, Città Metropolitane, Società concessionarie, Università ed Enti di ricerca, Provveditorati)».
Tirate le somme, sono «120 le misure rispetto alle quali sono stati rilevati elementi di difficoltà nella loro realizzazione», dice la relazione. Di queste quelle messe peggio (3 o 4 fattori critici) sono 11. Vista la situazione, conclude il governo, «risulta ineludibile affrontare un ampio processo di riprogrammazione delle misure, in accordo con le istituzioni europee». Gli interventi che non potranno essere realizzati nei tempi previsti dal Pnrr verranno spostati su «altre fonti di finanziamento» a partire dal Piano nazionale complementare. Altri verranno posti «a carico della programmazione 2021-2027 dei Fondi strutturali e del Fondo Sviluppo e coesione 2021-2027». Il tutto, assicura il governo, per «assicurare la piena realizzazione del Piano e soprattutto il raggiungimento di tutti gli obiettivi qualitativi e quantitativi previsti». Cosa che oggi sembra un’impresa.
(da Corriere della Sera)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile NELLA REGIONE DI BELGOROD, AL CONFINE CON L’UCRAINA, È IN CORSO UNA BATTAGLIA TRA L’ESERCITO E I PARTIGIANI RUSSI… IL GOVERNATORE LOCALE, VYACHESLAV GLADKOV, HA CEDUTO E SI DICE PRONTO A INCONTRARE I RIBELLI FILO-KIEV
Combattimenti sono in corso tra “sabotatori” e forze russe nel villaggio di Novaya Tavolzhanka, nella regione russa di Belgorod, confinante con l’Ucraina. Lo annuncia il governatore della regione Vyacheslav Gladkov, citato dalla Tass. “Gruppi di sabotaggio e ricognizione si sono infiltrati. I combattimenti sono in corso a Novaya Tavolzhanka. Spero saranno eliminati”, ha scritto sul suo canale Telegram.
Il governatore della regione russa di Belgorod al confine con l’Ucraina si dice pronto a incontrare i ribelli filo-ucraini che attaccano le aree di frontiera. I partigiani russi filo-ucraini che combattono a Belgorod avevano chiesto un incontro con il governatore Vyacheslav Gladkov proponendogli lo “scambio di due prigionieri per pochi minuti di conversazione”.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile FERMATA ANCHE L’ICONA DEMOCRATICA NONNA WONG
Non sono state manifestazioni serene, quelle tenutesi ad Hong
Kong per il 34° anniversario della sanguinosa repressione di Piazza Tiananmen in Cina. La polizia, riporta il Guardian, avrebbe infatti effettuato almeno 8 arresti. Di cui uno nei confronti di una nota attivista pro-democrazia: la 67enne Alexandra Wong, conosciuta anche con il soprannome di Nonna Wong. È stata arrestata mentre trasportava alcuni fiori sul luogo delle commemorazioni. Le accuse, a vario titolo, sono di atti sediziosi, condotta disordinata, e violazione della quiete pubblica. Nonostante infatti da anni gli abitanti della città convergano nei dintorni del Victoria Park per commemorare gli eventi del 4 giugno 1989, questo fine settimana l’area è stata circondata da decine di poliziotti che hanno fermato i presenti per perquisire i loro effetti personali e interrogarli.
La discussione su quanto avvenuto nella piazza di Pechino, dove le proteste pacifiche per chiedere un cambiamento politico vennero represse nel sangue, è considerato tabù assoluto dalla leadership comunista cinese. La commemorazione di quegli eventi, come ricorda il Guardian, è vietata sulla terraferma.
Per decenni tuttavia, Hong Kong è stata l’unica città cinese con una commemorazione su larga scala: un chiaro indicatore delle libertà e del pluralismo politico garantite dal suo status di semi-autonomia. Ma le cose sono cambiate nel 2020, quando la veglia annuale al Victoria Park è stata vietata. Pechino ha infatti imposto una legge radicale sulla sicurezza nazionale, per reprimere il dissenso dopo massicce e talvolta violente proteste a favore della democrazia.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile “LA CRISI ECONOMICA NON C’È STATA, CE N’È UNA SOCIALE. LA SOCIETÀ VA AVANTI PER INERZIA, SI BARCAMENA SENZA UN’IDEA DI COSA SARÀ. PER QUESTO C’È PAURA DEL FUTURO” …”I GIOVANI NON FARANNO LA RIVOLUZIONE CONTRO I VECCHI, PERCHÉ SI COMPRANO IL MOTORINO CON LA PENSIONE DEL NONNO”
«Non viviamo una crisi economica, ma sociale». Giuseppe De Rita, 90 anni, sociologo fondatore del Censis, interviene oggi al Festival internazionale dell’Economia di Torino.
L’economia europea non è precipitata in recessione, come si temeva, ma l’inflazione sta penalizzando i più deboli. È così?
«Sì e lo è sempre stato, perché l’aumento dei prezzi colpisce chi consuma una quota maggiore del proprio reddito per acquistare beni di prima necessità. Questi ultimi sono tra i più colpiti dall’inflazione, ma con un po’ di pazienza tutto si redistribuirà».
Nel mentre crescono le diseguaglianze?
«Sì, ma è anche vero che uno sviluppo come quello che viviamo, per quanto timido, risulta sempre squilibrato. La verità è che nonostante la pandemia, la guerra e la disoccupazione la crisi non c’è stata e non c’è, non a caso l’occupazione è ai massimi storici». Quelli che vanno alla Caritas sono molti di meno. È difficile contare i poveri in Italia, ma davvero in pochi rinunciano alle feste, alle vacanze, a bar e ristoranti».
Sembra Berlusconi quando diceva che i ristoranti sono pieni… Come si concilia questo aspetto con la crescita delle diseguaglianze?
«In un Paese in pieno sviluppo i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. È un mito buonista pensare che la crescita non porti diseguaglianze».
La crisi è più sociale che economica?
«In questa fase sì. Nell’ultimo rapporto Censis si fotografa una crisi dei rapporti elementari, da moglie a marito, da amante ad amante, da amico ad amico. Si è persa la carica di andare avanti e di crescere, e l’adrenalina di ciascuno di noi finisce nel rancore. Questo sentimento colpisce chi ci sta vicino, non si sfoga in piazza dicendo “morte a Meloni”».
L’Italia cresce anche se gli italiani non ci credono?
«Sì, da una decina d’anni sono cresciute le grandi filiere, il made in Italy, l’alimentare, la meccanica, il turismo, le piccole imprese che sono la spina dorsale del Paese».
Manca un senso d’impresa collettivo?
«Manca un traguardo. La società va avanti per inerzia, si barcamena senza un’idea di cosa sarà. Per questo c’è paura del futuro. Peccato perché quando l’Italia ha avuto un traguardo ce l’ha sempre fatta. Ora ci si accontenta che la barca vada».
Alla premier Meloni manca un’idea di futuro?
«Probabilmente l’idea che aveva di un futuro nazionalista e sovranista ha dovuto fare i conti con l’Europa, l’Ucraina, la Cina, ed è rimasto solo il suo traguardo personale».
Il Pnrr è un traguardo?
«Sì, ma non basta a far sognare l’Italia. Non si può dire al mio barista che il digitale o l’ecologia siano il futuro. Serve un piano tangibile e va spiegato».
Esiste un rischio autoritarismo?
«No, e la Corte dei conti che ha tanti difetti non è un motivo sufficiente. E poi nel Paese non c’è alcuna richiesta di autoritarismo. Meloni magari lo vuole, ma non la gente. Per cui nel caso ci provasse finirebbe male per lei»
Si riferisce alla riforma presidenziale?
«Il referendum di Renzi insegna. Se si toccasse la figura del Presidente Mattarella le persone si spaventerebbero».
Tornando all’economia, nessun rischio di autunno caldo?
«Ne abbiamo avuti tanti, ma ora la crisi economica non c’è e nemmeno i rivoluzionari».
Intanto i giovani protestano in tenda contro il caro affitti…
«La loro protesta non sfocerà in nulla di rivoluzionario. Da un lato si prevedono nuovi studentati e dall’altro il mondo cambia, calano le iscrizioni universitarie e si studia online».
Neanche sulle pensioni i giovani faranno la rivoluzione?
«No, perché si comprano il motorino con la pensione del nonno. L’Italia si impasta».
E chi ha il nonno povero?
«Finora non si è lamentato più di tanto, evidentemente si arrangia».
Siamo tutti più egoisti allora?
«E narcisisti. Oggi conta solo quel che facciamo noi, non i figli. Io ho otto figli, nati e cresciuti in un’Italia molto più povera, ma che scommetteva sul futuro. Oggi invece, come dicevo, manca un traguardo. Gli asili nido possono essere utili, ma va ricreata un’idea di futuro che superi l’egoismo».
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile I SOSPETTI SULLA TRAPPOLA PIANIFICATA CON I MILANISTI… LA POLIZIA STA A GUARDARE (I VIDEO, IL GIORNO DOPO)
Sono quattro i primi ultras del Brescia finiti agli arresti
domiciliari per gli scontri avvenuti dentro e fuori lo stadio Rigamonti lo scorso giovedì, alla fine del pareggio tra i padroni di casa e il Cosenza che ha condannato i bresciani alla retrocessione in serie C dopo 38 anni.
Il sostituto procuratore Carlotta Bernardini ha disposto i quattro arresti in differita anche dopo aver acquisito i diversi video che mostrano le violenze scoppiate dopo la partita e che potrebbero portare a nuovi sviluppi dell’inchiesta.
Come riporta il Giornale di Brescia, i primi ultras arrestati sono considerati responsabili soprattutto delle violenze avvenute dentro lo stadio, quando sono stati lanciati fumogeni a meno di due minuti dalla fine della partita.
Subito dopo quell’episodio è partita l’invasione di campo, in cui gli ultras si sono scontrati con la polizia. È stato lì che è avvenuta anche la minaccia con coltello a un giocatore del Brescia, poco prima che le squadre trovassero riparto nel tunnel verso gli spogliatoi. Toccherà al giudice domani 5 giugno decidere sull’eventuale convalida degli arresti.
La trappola ultras
L’indagine della procura bresciana punta a nuovi sviluppi, soprattutto grazie alle immagini acquisite dalla Digos che sta raccogliendo sia quelle televisive che i numerosi video amatoriali realizzati dal pubblico quella sera.
Gli inquirenti vogliono chiarire ulteriormente che cosa sia successo in curva Nord, con tifosi del Milan e del Catanzaro sui gradoni, forti di un gemellaggio tra le tifoserie.
Il sospetto è che ci sia stata una pianificazione delle violenze, con un’azione in due fasi: prima l’invasione di campo che ha portato le forze dell’ordine sul terreno di gioco, quindi l’abbandono degli spalti in Curva da parte di un gruppo di ultras che, approfittando delle forze dell’ordine impegnate in campo, ha potuto liberamente raggiungere l’altra parte dello stadio per provare a sfondare i cancelli della tribuna e del settore ospite, facendo partite le violenze che sono andate avanti tutta la notte.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile “A ME DANNO 30-40 CENTESIMI, POI VENDONO A 2,5 EURO”… LA FILIERA CHE FACILITA ILLEGALITA’ E SFRUTTAMENTO
Fino a un mese fa raccoglievano frutta e verdura nei campi, tra le province agricole di Forlì, Rimini e Ravenna. La stessa frutta che abbiamo mangiato anche durante l’emergenza Covid-19. Venivano pagati un euro l’ora i 45 lavoratori, pachistani e afgani e quasi tutti richiedenti asilo, costretti a dormire su un materasso sporco di un casolare fatiscente e sfruttati da quattro caporali, che su 250 euro di paga al mese, ne trattenevano 200 proprio per quell’alloggio. Ma nel nostro Paese lo sfruttamento non fa discriminazioni e colpisce stranieri e italiani. Come dimostra la storia di Anna, che in Puglia, lavora ogni anno nel confezionamento dell’uva da tavola. In piedi, per più di 10 ore al giorno, taglia, pesa e sigilla migliaia di scatole senza poter mai alzare lo sguardo dai nastri che le scorrono sotto gli occhi. Anna è una delle migliaia di vittime del sistema che regola le filiere produttive degli alimenti venduti nei supermercati. Basti pensare all’industria del pomodoro in Italia, dove molti lavoratori sono pagati a cottimo dai tre ai cinque euro per ogni cassa da 300 chilogrammi. In questi ultimi mesi ci siamo resi conto che queste persone non sono poi così tanto ‘invisibili’, solo che spesso si è scelto di guardare altrove. Fino a quando il sistema si è inceppato e quello dei lavoratori nei campi, ancor più quelli stranieri, è diventato un problema anche nostro. Non si è tratta più ‘solo’ delle condizioni in cui vivono o di quanto vengono pagati (poco, pochissimo), ma del fatto che frutta e verdura made in Italy sono marcite nei campi, del mancato fatturato delle aziende, dell’eventualità di non poter avere a tavola i prodotti di stagione.
DIETRO IL NODO POLITICO, UN SISTEMA MALATO
Tra lavoratori che si sono fermati per la quarantena e stranieri che sono rientrati nei Paesi di origine, secondo le associazioni delle imprese agricole per la raccolta sono venuti a mancare 200mila braccianti. Tanto è diventato un problema da dividere la politica. Sui circa 300mila stranieri impiegati nelle campagne italiane, l’Osservatorio Placido Rizzotto stima che gli irregolari siano il 35%. Eppure neanche in queste ultime settimane il sistema della filiera agroalimentare si è modificato. Tutt’altro. Perché nel periodo di crisi il settore della grande distribuzione organizzata, che già normalmente fattura all’incirca 83 miliardi di euro all’anno, ha registrato un forte incremento delle vendite e un aumento dei prezzi agli scaffali, mentre il primo anello della catena, quello dei braccianti agricoli è rimasto con ancora meno tutele. E dignità. In mezzo, il solito viaggio (con qualche ostacolo logistico in più) che compie il cibo per arrivare sulle nostre tavole. “Un viaggio che abbiamo fatto con la campagna ‘Il giusto prezzo?’ partita oltre un anno fa – spiega a ilfattoquotidiano.it Giorgia Ceccarelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia – per cercare di accendere i riflettori sulle dinamiche della filiera che facilitano fenomeni come lo sfruttamento e il caporalato”. Fenomeni che riguardano anche gli italiani. “Anche se – aggiunge – per i lavoratori stranieri irregolari ci sono problemi in più, legati alla mancanza dei diritti fondamentali. Perché senza permesso di soggiorno, non possono avere un contratto e si ritrovano nei ghetti, senza né acqua né dignità. Sono bombe a orologeria”. In Italia ci vivono tra 160mila e 180mila persone, anche lavoratori regolari.
LA FILIERA
Le falle del sistema partono dai campi. Un lavoratore ha diritto alla disoccupazione solo se può contare su 102 giornate nei due anni precedenti, ma è bassa la percentuale di chi vi accede a causa del lavoro nero o grigio. È semplice: il contratto è regolare, ma l’imprenditore agricolo può denunciare la presenza di braccianti entro tre mesi. Se arriva il controllo provvede, se non arriva molto spesso soprassiede. Su 90 giorni di lavoro, capita che i datori ne dichiarino quindici, anche meno. Difficile individuare le colpe. “Quando parli con gli agricoltori – spiega la policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia – raccontano che in alcuni casi sono costretti a limitare i costi di produzione, non coperti dai prezzi troppo bassi a cui vengono acquistate frutta e verdura. Se parli con gli operatori della gdo, sono gli agricoltori che ne approfittano”. È un dato di fatto che molti piccoli operatori non sanno quello che guadagneranno fino alla fine dell’anno e che devono sostenere tutte le spese, prima di recuperare i soldi. “Il prezzo base è sempre minimo – testimonia un imprenditore – per l’uva siamo tra i 30 e i 40 centesimi al chilogrammo, mentre nei supermercati il prodotto si vende a 2,5 euro”. Le aziende conferiscono al magazzino e il prezzo si determina in funzione di quello di vendita al consumatore. Morale: se il supermercato lancia una promozione con prezzi concorrenziali a pagarla sarà l’agricoltore e, di conseguenza, chi lavora per lui nei campi.
LA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA
Oxfam si è rivolta principalmente alla gdo, perché sono i supermercati ad avere più potere in questo sistema, controllando quasi il 75% di tutto il cibo e le bevande consumate in Italia. Le loro politiche sui prezzi hanno un forte impatto su tutti i passaggi della filiera. A un anno dal lancio della campagna ‘Al Giusto Prezzo’ è stato pubblicato un nuovo rapporto con l’aggiornamento della pagella dei cinque principali supermercati italiani: Coop, Conad, Gruppo Selex, Esselunga ed Eurospin. La gdo ha fatto alcuni passi in avanti contro sfruttamento e abusi di potere, ma non basta. In testa alla classifica relativa al tema dei diritti dei lavoratori resta Coop Italia. Seguono Esselunga e Conad, poi il Gruppo Selex, mentre il coda resta Eurospin. Sono stati analizzati anche altri fattori, come le politiche adottate su trasparenza e accountability, disuguaglianze di genere e rapporto con piccoli produttori. Anche in questo caso l’azienda che guida la classifica è Coop Italia, seguita da Esselunga e, al terzo posto, da Conad e Selex. Ultima Eurospin.
LE PRATICHE SLEALI
Nel 2013 l’Antitrust ha condotto un’indagine e segnalato le pratiche con cui i distributori riuscivano a spuntare sconti e contributi che valevano in media il 24,2% del fatturato delle imprese fornitrici. Nel 2019, l’Ue ha approvato una direttiva che vieta 16 pratiche commerciali sleali. Tra queste, i pagamenti in ritardo, gli annullamenti di ordini dell’ultimo minuto e il rifiuto di fornire contratti scritti. Pratiche che comportano pressioni sui vari fornitori, con conseguenze durissime per gli anelli più deboli, piccoli agricoltori e braccianti. In Italia la Camera dei Deputati ha approvato una proposta di legge che regola le vendite sotto costo, vieta le aste al doppio ribasso e disciplina le filiere etiche. Il testo e in discussione al Senato e anticipa il recepimento della direttiva europea che dovrà completarsi entro il 2021. Nel frattempo, uno studio condotto dalla Commissione Europea sui meccanismi di due diligence nelle filiere di approvvigionamento, ha evidenziato che le misure intraprese dalle aziende per identificare e mitigare gli impatti negativi delle proprie attività sui diritti umani non sono sufficienti.
CHI CONTROLLA
La verità è che in Italia, la situazione lavorativa di migliaia di lavoratori stagionali, italiani e stranieri, non ha subìto i miglioramenti che ci si aspettava. Nel 2018, ad esempio, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha individuato 5.114 lavoratori irregolari in 7.160 ispezioni. “Anche se i supermercati firmano protocolli e si impegnano – spiega Giorgia Ceccarelli – non possono affidarsi esclusivamente agli audit di conformità, verifiche spesso annunciate giorni prima”. E la legge sul caporalato? “Interviene a fatto avvenuto, ma non è sufficiente in termini di prevenzione”. Un segnale positivo è la dichiarazione di impegno assunta da Coop, Conad e Federdistribuzione che rappresenta anche Esselunga e il Gruppo Selex: dal 1 gennaio 2021 tutti i fornitori agricoli diretti della distribuzione dovranno iscriversi alla ‘Rete del lavoro agricolo di qualità’ promossa dal Mipaaf per trovare un coordinamento nella gestione dei lavoratori, dai trasporti ad alloggi dignitosi. Molto ancora si può fare. Nessuno dei supermercati esaminati da Oxfam, per esempio, ha avviato un monitoraggio degli impatti delle proprie politiche (tempistiche di pagamento, prezzi, sconti e condizioni contrattuali) su diritti umani e sostenibilità delle filiere. “Ogni supermercato dovrebbe chiedersi se quello che paga ai fornitori e le tempistiche richieste – conclude Giorgia Ceccarelli – consentano all’azienda agricola di rispondere o non alimentino, invece, la possibilità che il piccolo imprenditore chiami il caporale perché gli porti i braccianti”. D’altronde i principi guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani (UNGPs) assegnano alle imprese la responsabilità di rispettare i diritti umani. Anche quelli dell’ultimo bracciante.
(da Il fatto Quotidiano)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile “MI PARE CHE IL QUOTIDIANO OMETTA IL FATTO FONDAMENTALE, E CIOÈ CHE LA TRATTATIVA CON I RUSSI C’È STATA. QUESTA È STORIA DOCUMENTATA, ANCHE GIUDIZIARIA”…”È DAL 2018 CHE LA LEGA SPORGE QUERELE, SEMPRE ARCHIVIATE. FORSE SALVINI DOVREBBE FARSI QUALCHE DOMANDA SULLE PERSONE A CUI SI È AFFIDATO”
“Non c’è nessuna macchinazione. Se l’accusa è parlare con delle
ipotetiche fonti, non vedo cosa ci sia da replicare. Né la finanza, né la magistratura hanno indicato le nostre fonti ed è da cinque anni che La Verità titola sull’esistenza di fonti sempre diverse. La loro credibilità è questa”.
Lo afferma Giovanni Tizian, giornalista ora al Domani e autore dell’inchiesta dell’Espresso sulla vicenda dell’hotel Metropol di Mosca, che, secondo la Verità, sarebbe stata realizzata ad arte per incastrare Matteo Salvini e La Lega.
“Detto questo, mi pare che il quotidiano ometta il fatto fondamentale – dice ancora Tizian all’ANSA -, e cioè che la trattativa c’è stata, che Savoini era seduto al Metropol e che il cappello introduttivo del summit con i russi è un cappello politico in cui dice che i sovranisti sono l’unico argine politico alle elite e agli illuminati di Bruxelles. Quelle cose le dice Savoini, nessun altro. Questa è storia documentata, anche giudiziaria.
Nel decreto di archiviazione del pm, che in realtà è molto pesante, si certifica che Savoini ha detto quelle cose e che, come raccontato dall’Espresso e nel libro sulla Lega, ben prima del Metropol, Savoini aveva avviato altri canali per tentare di avere questi finanziamenti”.
“E’ dal 2018 che la Lega querela me, Stefano Vergine e L’Espresso – sottolinea ancora -. Le querele sono state archiviate, loro si sono opposti e il gip ha archiviato definitivamente, dicendo che era giornalismo d’inchiesta e che erano rispettati i tre elementi fondamentali: cioè verità, interesse pubblico e continenza, quella che in questo pezzo di oggi manca completamente”.
“Ribadisco che non c’è nessuna macchinazione e che l’unico che dovrebbe ragionare su quello che ha fatto è Savoini – prosegue Tizian -. Forse anche Salvini dovrebbe farsi qualche domanda sulle persone a cui si è affidato. Ricordo che le nostre inchieste hanno portato all’apertura di un’indagine sulla Lombardia Film Commission, che è arrivata a condanna in primo grado, su Centemero, che è stato condannato in primo grado per finanziamento illecito, e, infine, sul Metropol”. “In ogni modo non si va a caccia delle fonti di altri, penso sia sgradevole. Poi ognuno ha il suo metodo”, conclude Tizian
(da Ansa)
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