Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile ROCCA FA DIETROFRONT “PER RISPETTO DEGLI ELETTORI DI CENTRODESTRA” (QUELLI CHE HANNO VOTATO PER UN CONDANNATO PER SPACCIO DI DROGA)
Passo indietro della regione Lazio guidata da Francesco Rocca che ha deciso di revocare il patrocinio al Roma Pride 2023.
Una decisione presa dalla giunta di centrodestra che ribadisce come la firma istituzionale della Regione «non può, né potrà mai essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto».
La giunta in una nota prova a comunque a chiarire che «ribadisce il proprio impegno sui diritti civili, come dimostra del resto l’operato pluriennale del presidente Francesco Rocca».
A vincere sarebbero state le pressioni arrivate soprattutto nelle ultime ore dall’associazione Pro Vita, che aveva attaccato la scelta della giunta laziale di confermare il patrocinio per il Pride di Roma, nonostante «legalizzasse la maternità surrogata», sosteneva il portavoce dell’associazione Pro Vita e Famiglia, Jacopo Coghe.
Secondo Coghe Rocca e la sua giunta stavano appoggiando «tutte le pericolose istanze Lgbtqia+ sui quali Governo e centrodestra italiano si dichiarano contrari. Il patrocinio va immediatamente ritirato, per rispetto a tutti quegli elettori che hanno votato per Rocca e la sua amministrazione di centrodestra».
Una doccia fredda invece per le associazioni coinvolte nell’organizzazione del Pride, che solo poche ore prima applaudivano alla decisione della giunta Rocca di mantenere il patrocinio.
Era stato proprio il portavoce del Pride, Mario Colamarino, a dirsi soddisfatto della scelta e di apprezzare che «la Regione abbia deciso di sottrarsi alla trappola dei pregiudizi ideologici, prendendo di fatto le distanze politiche da quanti in Parlamento in questi giorni vorrebbero rendere la nascita delle nostre figlie e dei nostri figli reato universale, perseguendo la gestazione per altri anche se realizzata all’estero».
Subito dopo aver saputo del ritiro del patrocinio da parte della Regione, è sempre Colamarino a commentare: «Siamo ormai alla farsa: “Pro Vita ordina e la politica esegue”. Con l’ironia che ci contraddistingue ringraziamo Pro vita per averci offerto un servizio di ufficio stampa gratuito. Grazie a loro siamo certi che sabato 10 giugno alla grande parata che partirà da Piazza della Repubblica alle ore 15.00 ci sarà una folla oceanica che crede nei diritti, nell’uguaglianza e nella laicità».
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile GUAI POTREBBERO ARRIVARE PER LA DUCETTA DALLE ELEZIONI IN SPAGNA E POLONIA… I RAPPORTI DI FORZA CON SALVINI (CHE VUOLE MOLLARE LE PEN E AFD) E BERLUSCONI
L’obiettivo delle grandi manovre europee di Giorgia Meloni è chiaro da
tempo: vuole conquistare la Commissione Ue.
Per riuscirci, visto che ha scelto una foga brigadiera e non la sottile arte della diplomazia, dovrà superare molti ostacoli e sperare, innanzitutto, in una grande affermazione alle elezioni del 2024, e poi muovere con oculatezza i pezzi sulla scacchiera politica di Bruxelles: sono in molti, infatti, a opporsi alle sue ambizioni.
I più scettici sono i Cristiano-democratici tedeschi: gli eredi della Merkel non vogliono un’italiana “queen-maker” dell’euro-assetto dei prossimi 5 anni, né sopportano il ruolo di cicisbeo scodinzolante che si è ritagliato Manfred Weber, leader del partito “gemello” bavarese Csu (unito da un’alleanza strutturale con la Cdu).
L’ex presidente dell’Europarlamento, che ambisce a prendere il posto di Ursula Von der Leyen, sta corteggiando da mesi la Ducetta (giovedì atterra a Roma), con l’obiettivo di essere il candidato dell’alleanza Ppe-Ecr. I suoi connazionali, però, mal sopportano la faida tra tedeschi: se c’è già Von der Leyen in campo, perché creare confusione e rischiare, di sabotaggio in sabotaggio, di restare con un pugno di mosche in mano?
Tra i più critici rispetto al piano di Weber c’è il suo principale rivale politico interno, Friedrich Merz, che, in quanto segretario della Cdu, è azionista di maggioranza (controlla il 35%) dell’Unione tra i democristiani tedeschi.
Un altro fattore di destabilizzazione è il super-falco dei conti, il liberale Christian Lindner, leader dell’Fdp e austero ministro delle Finanze nel governo Scholz. Lindner, che in casa è in maggioranza con i socialdemocratici, in Europa sostiene l’asse PPE-Socialisti, che ha portato all’elezione di Ursula von der Leyen, insieme agli altri “liberali” radunati in “Renew europe”.
Lindner ha fatto capire ai popolari tedeschi, Weber in primis, che non intende ritrovarsi a braccetto in Ue con la destra di Ecr, presieduta da Meloni.
Ci sono però anche altre questioni aperte, che rischiano di rendere evanescenti i sogni della Meloni: prima fra tutte quella polacca.
Il Pis del premier Mateusz Morawiecki è il partito di maggioranza da 8 anni, e in Ue è alleato di Fratelli d’Italia, all’interno di Ecr. A politiche di ottobre, si scontrerà con la Piattaforma civica di Donald Tusk, ex premier, ex presidente del Consiglio europeo, cocco di Angela Merkel e nome molto pesante all’interno dei Popolari europei, di cui è stato presidente.
Prima del voto di Varsavia, però, si andrà alle urne il 23 luglio in Spagna, dove sono in corsa gli storici alleati di Giorgia Meloni, i neo-franchisti di Vox. Come scrive il “Corriere della Sera”, “un sondaggio di El Mundo fotografa i Popolari in crescita: potrebbero ottenere il 34.2% e 144 deputati, arrivando così a quota 177 deputati con Vox (12,1%), mentre i socialisti si potrebbero fermare al 25.7%”.
Un’eventuale affermazione dell’alleanza PP-Vox in Spagna non può essere automaticamente tradotta in chiave europea, finché il partito di Santiago Abascal, come auspicato dalla stessa Meloni, non abbandonerà le posizioni più estreme, “inclinandosi” verso il centro del Partito Popolare. Problema che agli occhi di Bruxelles riguarda anche Fratelli d’Italia, e prova ne è la richiesta di Weber di togliere la fiamma di memoria missina dal simbolo di Fratelli d’Italia.
Sulla sponda francese, la Regina della Garbatella non ha grandi alleati: Macron la detesta, e ancor peggio Marine Le Pen. L’eterna candidata all’Eliseo, che non ha mai mancato di marcare la sua distanza dalla Meloni, è una storica alleata di Salvini, con cui ha costruito il gruppo “Identità e Democrazia” al parlamento Ue, da cui il leader della Lega vuole fuggire – ci sono dentro anche i neo-nazi tedeschi di AFD.
Infine, la questione interna: Berlusconi, che nel Ppe è di casa, sognava di condurre per mano Giorgia e Matteo nel partito popolare europeo ma Forza Italia sempre più irrilevante elettoralmente, non ha più i voti dei bei tempi, e dunque europarlamentari, per far valere le sue ragioni. Salvini, che i popolari del PPE non vogliono vedere neanche in foto, fa come la volpe e l’uva: dice di non volere l’ingresso della Lega nel PPE, pur sapendo che non sarebbe mai accolto. L’unico rifugio, per non restare col cerino in mano, è nel gruppo dei conservatori, ma lì c’è la Ducetta.
In questo pataracchio fatto di veti, manovre, alleanze e tradimenti, la terza rata del Pnrr ancora non si vede: l’aspettavamo a febbraio e a giugno ancora nisba. E se da un lato, Fratelli d’Italia inquadra questo ritardo come una ritorsione di Bruxelles alle manovre espansioniste di Giorgia Meloni, dall’altro la Commissione ha espresso tutto il suo malcontento verso il commissario all’economia, Paolo Gentiloni, che sta dando una grossa mano al governo italiano.
(da Dagoreport)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile L’INCHIESTA DEL SITO INDIPENDENTE RUSSO: L’EREDITA’ PER LE FIGLIE E L’EX MOGLIE
Il presidente russo Vladimir Putin ha utilizzato una rete di società offshore e prestanome per “distribuire” case e proprietà alle sue figlie e all’ex moglie intorno alla alla residenza presidenziale di Novo Ogaryovo, secondo quanto riportato dal quotidiano investigativo Proekt.
L’inchiesta della testata indipendente ruota attorno alle e-mail dell’ex genero del presidente russo, Krill Shamalov (ex marito della figlia mai riconosciuta da Putin, Katerina Tikhonova, ndr), e emerse a seguito di un attacco di hacking compiuto da terzi nel 2020.
Secondo quanto ricostruito dai giornalisti Proekt, già a metà 2006 la società offshore cipriota collegata a Putin Ermira e le società offshore con sede a Panama, Topsail Development e Dorrington Commercial, avevano acquisito diversi terreni vicino alla residenza presidenziale di Novo-Ogaryovo. Nel 2008, quando Putin ha ceduto il potere Dmitry Medvedev, le proprietà acquistate nel 2006 sono state intestate all’ex genero Shamalov.
Nelle mail esaminate è emerso che nel 2012 Tikhonova e l’ex marito Shamalov discutevano di lavori di ristrutturazione di una delle proprietà di 4 livelli e estesa per 1.800 metri quadri, in cui sarebbero andati a vivere, parlando di costi delle operazioni che si attestavano intorno ai 9 milioni di euro.
Il ruolo di Shamalov e il matrimonio segreto con la figlia non riconosciuta di Putin
Shamalov è figlio di un dentista di origine bielorussa ed è diventato vicepresidente della compagnia petrolchimica Sibur a soli 26 anni, nel 2008, ben prima della sua relazione con la figlia non riconosciuta di Putin. Dalle mail hackerate di Shamalov è emerso che il matrimonio tra Shamalov e Katerina Tikhonova si è svolto nella massima segretezza il 24 marzo 2013. Ma che negli atti ufficiali l’unione tra i due non è mai stata registrata, tant’è che l’ex genero di Putin – come verificato dai giornalisti di Proekt – risultava «celibe». Un aspetto che, come sottolineano i giornalisti che hanno condotto l’inchiesta – rappresenta una «costante» nella famiglia del presidente russo.
Il divorzio tra Shamalov e Tikhonova
Non a caso, dopo il divorzio da Lyudmila Putina, il presidente russo Putin non ha mai ufficializzato formalmente la sua relazione con la campionessa di ginnastica Alina Kabaeva.
Ma cosa è successo alla fine del matrimonio tra Shamalov e Tikhonova? Shamalov, dopo la fine del matrimonio con la figlia non riconosciuta di Putin, ha ceduto tutti i terreni a lui intestati in precedenza ad Artur Ocheretny, attuale marito di Lyudmila Putina-Ocheretnaya, ossia l’ex moglie di Putin. Ma non solo. Al termine della relazione con TIkhonova Shamalov risulta aver ceduto il 17% delle sue quote di Sibur, per un totale di circa 380 milioni di dollari, all’azionista di maggioranza di Novatek, Leonid Mikhelson.
La proprietà di Maria Vorontsova, figlia maggiore di Putin
A differenza delle proprietà legate al matrimonio fittizio tra Shamalov e Tikhonova, non risultano invece essere mai passate di mano quelle della figlia maggiore del presidente russo, Maria Vorontsova che, dopo essersi sposata con Jorrit Faassen, uomo d’affari olandese, si sarebbe trasferita in due case di proprietà di Ermira, la Berocci Investments con sede nelle Isole Vergini britanniche, proprio vicino alla residenza presidenziale di Novo-Ogaryovo dopo aver sposato l’uomo d’affari olandese Jorrit Faassen.
L’attacco dei droni a Novo Ogaryovo
Il “villaggio presidenziale” dove sono presenti le proprietà delle figlie di Putin, così come dell’ex moglie, si trova a pochi chilometri di distanza rispetto a dove la scorsa settimana sono stati abbattuti diversi droni. Secondo quanto riferito da una fonte anonima al MoscowTimes, «il presidente russo si trovava probabilmente all’interno della residenza presidenziale di Novo-Ogaryovo» e «sarebbe stato stato svegliato e messo al sicuro dal suo staff di sicurezza».
(da Open)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile PER “RAFFORZARE” LA SUA SCELTA, DURANTE UN COMIZIO HA FATTO IL SALUTO ROMANO, RICEVENDO GLI APPLAUSI DELLA PIAZZA DA AVANSPETTACOLO
Fausto Servadio, imprenditore, esponente del partito di Matteo Renzi
a Velletri, in provincia di Roma, alle ultime amministrative ha preferito puntare tutto sulla destra, appoggiando una coalizione con all’interno una lista civica nata dal movimento post-fascista Casapound.
E per rafforzare la scelta dal palco durante un comizio insieme al candidato sindaco di Fratelli d’Italia – poi eletto al secondo turno – non ha avuto dubbi: “Io non sono qui perché sono diventato di destra, qualche amico mi dice fai il saluto… Lo faccio volentieri”. E a quel punto il braccio destro diventa teso.
Applausi dalla piazza con i militanti di destra schierati sotto il palco. Il tutto documentato in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook.
I renziani a Velletri avevano deciso fin da subito di non appoggiare la coalizione della sinistra e del Movimento cinque stelle, presentandosi da soli e proponendo Servadio come candidato sindaco.
Al primo turno hanno preso l’8%, voti che hanno poi portato in eredità alla destra, consentendo la vittoria dell’alleanza guidata da Fratelli d’Italia.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile “REPORT” SVELA CHE LO SCORSO ANNO, NONOSTANTE L’EMBARGO ALLA RUSSIA, IL MISE ALLORA GUIDATO DAL LEGHISTA HA APPROVATO UN VISTO PER ILIJA SIDOROV, FIGLIO DI UN LEADER DEL PARTITO RUSSIA UNITA DI PUTIN… L’IMPRENDITORE AVEVA OTTENUTO IL DOCUMENTO GRAZIE ALLA PROMESSA DI UN INVESTIMENTO DI 250 MILA EURO IN ITALIA. SOLDI CHE SAREBBERO PASSATI PER UNA BANCA CIPRIOTA ACCUSATA DI RICICLAGGIO, E CON IL COINVOLGIMENTO DI FACCENDIERI VICINO ALL’OLIGARCA USMANOV
Il figlio di un leader del partito Russia Unita di Putin ha ottenuto un visto in Italia attraverso soldi arrivati da una banca cipriota, accusata di riciclaggio, e con il coinvolgimento di faccendieri vicino all’oligarca Usmanov. Il tutto nel pieno della guerra in Ucraina e dell’embargo.
A dare il via libera a questo visto (ma anche ad altri per russi che hanno investito in Italia) è stato il Ministero dello Sviluppo economico oggi del Made in Italy grazie a un dossier avviato quando era al vertice del dicastero Giancarlo Giorgetti: ministro in quota Lega, partito che aveva firmato un accordo nel 2017 proprio con Russia Unita.
A raccontare questa singolare storia di russi che ottengono visti in Italia (con la legge “Renzi”, poi modificata da Conte, che consente di erogare visti temporanei a stranieri che investono nel nostro Paese) è Report che oggi su Rai Tre alle 21,10 dedica un lungo servizio a Ilija Sidorov Sidorov ha avuto incarichi in diverse società di idrocarburi, compresa Gazprom, ed è figlio di Aleksandr Leonidovich Sidorov, parlamentare per il partito Russia Unita. Ilija Sidorov ha annunciato lo scorso anno un investimento di 250 mila euro nell’azienda pugliese Bio Aurum, specializzata in tecnologie biomedicali e recentemente quotata alla borsa di Milano
Lo scorso ottobre Sidorov avanza la richiesta alle autorità italiane e si impegna a investire 250 mila euro, il minimo per accedere al visto italiano secondo la norma “Renzi” poi modificata dal governo Conte che ha abbassato ancora le soglie di investimento per accedere al beneficio.
Ma l’operazione finanziaria tra Bio Aurum e Sidorov non va in porto perché Mit Sim, l’advisor del gruppo di Filippo Surace, boccia l’investimento sospettando alcune anomalie. «Eppure la valutazione sul dossier Sidorov al ministero era stata già approvata in tempi record, la domanda arriva il 27 ottobre ed è accolta il 24 novembre », dice Report, che inoltre ha scoperto che i soldi dovevano arrivare anche da una banca di Cipro con il coinvolgimento di Georgios Serghidis, che ha una società di servizi corporate, la Gainfield, di cui si è avvalso anche l’oligarca russo Alisher Usmanov per gestire i suoi beni offshore.
Usmanov è il numero uno degli oligarchi, molto vicino a Putin e all’ex presidente russo Medvedev, con un patrimonio stimato di circa 22,6 miliardi di dollari.
A firmare il visto di Sidorov è il capo del comitato del Mise: Maurizio Montemagno, ex dirigente antifrode dei Monopoli di Stato. Voluto fortemente dal Ministero Giorgetti che a gennaio del 2022 lo chiama accanto a sé a Via Veneto. Intervistato da Report dice: «È il comitato che esamina tutte le istanze e ne fanno parte il nucleo valutario della Guardia di finanza, l’Uif e l’Agenzia delle entrate».
Secondo Report , «il sospetto è che ad agevolare la pratica ci sia stato anche un motivo politico: far evitare al giovane figlio del deputato russo di andare in guerra ». Il caso Sidorov però non sarebbe isolato. Il ministero nel 2022 ha rilasciato con lo stesso meccanismo oltre 90 visti, 32 a investitori russi, 15 del Regno Unito, 15 americani e 7 dagli Emirati Arabi Uniti.
(da La Repubblica)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile A PALERMO UNA DONNA HA RICEVUTO 117 MULTE MA DOVRÀ PAGARNE SOLO 13.. MOTIVO? IL COMUNE HA NOTIFICATO ALLA SIGNORA 104 CONTRAVVENZIONI OLTRE IL TERMINE DEI 90 GIORNI E QUINDI SONO NULLE
Uno “sconto” sostanzioso, grazie alla lentezza comunale. È accaduto a
Palermo. Una donna ha attraversato molte volte in automobile, senza avere il previsto pass, la zona a traffico limitato istituita nel centro cittadino, prevalentemente dai varchi di via Roma e via Lincoln.
Ha quindi collezionato 117 multe tra il 2017 e il 2018. Sostenendo di non essersi accorta dell’esistenza di quegli sbarramenti, ha presentato ricorso contro le sanzioni. Il giudice di pace tuttavia li aveva respinti, condannando l’automobilista al pagamento di tutte quelle contravvenzioni, per una somma totale di circa ottomila euro.
L’automobilista siciliana si è rivolta al tribunale ordinario, perché molti di quei verbali le erano stati consegnati fuori dai termini. Come il giudice ha confermato: ben 104 di quelle contravvenzioni sono infatti state notificate dal comune di Palermo oltre i 90 giorni dall’accertamento della violazione. Quindi la donna dovrà pagarne “solo” 13.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile SOGNANO DI SPODESTARE LO ZAR E INTANTO UMILIANO LA FEDERAZIONE
Li chiamano partigiani, terroristi, nazionalisti o pedine dell’Occidente; Kiev dice di non controllarli ma li appoggia, Mosca vuole «schiacciarli come topi». Sono i battaglioni di combattenti russi che nelle ultime settimane hanno debuttato in maniera eclatante nel contesto della guerra in Ucraina.
Gruppi compositi, comandati da figure fumose e dal passato ambiguo che fino a poco fa operavano perlopiù nell’ombra, al fianco delle truppe ucraine ma con uno status non ufficiale. I nomi che hanno scelto sono Legione libertà per la Russia (Svoboda Rossiy) e Corpo volontario russo (Russkiy dobrovol’cheskiy korpus, o semplicemente Rdk) e negli ultimi mesi sono stati più volte evocati come possibili esecutori di azioni in territorio russo.
Condividono l’obiettivo di rovesciare il governo di Vladimir Putin e spesso agiscono insieme ma non hanno, almeno a quanto sembra, gli stessi ideali.
La Legione libertà per la Russia è una creatura di Ilya Ponomarev: uomo d’affari ed ex membro del Partito comunista russo, l’unico deputato della Duma ad aver votato contro l’annessione della Crimea nel 2014 e a essersi astenuto nella votazione sulla legge contro la «propaganda gay». Nel 2015 è accusato dalle autorità di appropriazione indebita e, dopo quello che lui stesso definisce un «processo politico», viene fatto decadere dalla carica pubblica. Si auto-esilia in Ucraina nel 2016 e vi si stabilisce diventandone cittadino nel 2019.
Ben presto entra in contatto con le élite di Kiev e, senza esporsi mai, diventa una figura molto influente. Subito dopo l’invasione russa si unisce ai battaglioni di difesa territoriale ed è a quel punto che nasce la Legione. «Non direi di essere il fondatore di questa Legione – spiegava in un’intervista a Le Figaro lo scorso febbraio – ma piuttosto diciamo che mi muovo nelle alte sfere politiche per agevolare certe cose, e che la formazione di questa unità ne è una parte».
Secondo alcuni la Legione è una sorta di braccio armato di una piattaforma politica che Ponomarev stesso intende lanciare a breve (o potrebbe essere già attiva) in Russia. «C’è bisogno di una rivoluzione armata per finirla con Putin, non ci sono altre soluzioni».
Il Corpo volontario russo, invece, è guidato dall’estrmista di destra Denis Kasputin, noto altrimenti come Denis Nikitin, che ha un passato degno di nota. Rinomato negli ambienti nazionalisti russi per le sue posizioni intransigenti ed estremiste, è emigrato in Germania dove ha vissuto per diversi anni e dove avrebbe avuto modo di stringere legami con l’estrema destra tedesca. Quando i carri armati russi hanno attraversato il confine ucraino ha deciso che era il suo momento e si è recato a Kiev per combattere contro l’esercito di Mosca. Kasputin ha rivendicato l’incursione a Bryansk, sempre in territorio russo, ed è sospettato dell’attentato a Kostantin Malofeev, alto dirigente di una rete televisiva.
Un’altra figura di spicco dell’Rdk è Aleksandr Skachkov, che appare sorridente nelle foto in seguito all’azione di Belgorod con uno strap raffigurante un uomo incappucciato (come quelli del Kkk) con un fucile. Secondo la piattaforma d’inchiesta Bellingcat, Skachkov (di nazionalità russa) è stato arrestato nel 2020 in Ucraina dai Servizi segreti per aver tradotto e diffuso il manifesto dell’autore della strage di Christchurch (2019), in Nuova Zelanda.
Entrambi questi gruppi hanno partecipato alla «controinvasione» della regione di Belgorod, in territorio russo, tra il 22 e il 23 maggio. In breve, lunedì notte Svoboda Rossiy ha pubblicato un comunicato nel quale affermava di aver attraversato il confine e di aver invaso la cittadina di Kozinka, oltre ad aver inviato unità nella città di Grayvoron. L’Rdk, intanto, dava manforte nelle aree limitrofe. Gli scontri si sono protratti per circa 24 ore prima che il ministero della Difesa russo annunciasse di aver «bloccato e sconfitto» i «nazionalisti infiltrati nel territorio della Federazione». Secondo Mosca oltre 70 di quei «terroristi» sarebbero stati uccisi ma i gruppi di miliziani, rientrati in Ucraina, hanno dato una versione diversa. Non solo dicono di aver riportato un «grande successo», ovvero aver dimostrato che il confine russo è permeabile, ma hanno annunciato nuove azioni.
I funzionari ucraini, soprattutto i servizi militari guidati da Kyrylo Budanov, ormai non nascondono più il loro appoggio alle formazioni di volontari russi, pur chiarendo in ogni occasione che «non agiscono su ordine di Kiev».
La scorsa settimana il consigliere di Volodymyr Zelensky, Mikhaylo Podolyak, ha dichiarato che «con l’inizio della controffensiva ci saranno più incursioni in Russia da parte di gruppi ribelli russi simili al raid nella regione di Belgorod».
Intanto, dal lato russo, il Cremlino cerca di glissare sull’argomento per non far montare il caso mediatico e derubrica le azioni di Belgorod all’opera di terroristi «finanziati ed equipaggiati dall’Occidente» per destabilizzare la Russia.
Il ritrovamento di mezzi americani utilizzati durante le azioni di guerriglia, infatti, ha spinto subito Mosca a biasimare la Casa Bianca e «il suo burattino che sta a Kiev». In ogni caso, questi gruppi armati costituiscono un ulteriore problema per il fronte interno russo anche se, almeno al momento, non sembra rappresentino una seria minaccia per il potere putiniano.
(da L’Espresso)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile LA RIORGANIZZAZIONE DEI COORDINATORI, I RAPPORTI CON RENZI, LA RONZULLI SEMPRE PIÙ “APPESA A UN FILO”
Lo chiamano il Marta Power. O meglio: il Fascina Soft Power. Perché il
comando della quasi consorte di Berlusconi (lui la chiama «mia moglie») in Forza Italia, ormai acclarato e quasi condiviso, non è di tipo monocratico. Anzi, l’assetto del partito azzurro dopo la “resurrezione” post-ospedaliera del Cavaliere prevede, oltre al leader principale, un quadrumvirato: Marta, Marina, Tajani e Gianni Letta, tornato in gran splendore come Eminenza Azzurrina e regista.
A gestire il cambiamento promesso e promosso da Berlusconi è comunque Marta. E a lei potrebbe riuscire quella riorganizzazione del partito per grandi aree e tre macro-regioni – Nord, Centro e Sud – che Silvio sogna da più di dieci anni.
Il Soft Fascina Power prevede, oltre a un ricambio dei coordinatori regionali, la tripartizione del potere interno per cui al Nord gli azzurri saranno guidati da Alessandro Sorte (super tendenza Marta), al Centro da Alessandro Battilocchio (tajaneo doc) e al Sud da Tullio Ferrante, il più caro amico ed ex compagno di scuola di Marta, sottosegretario alle Infrastrutture e ormai di casa ad Arcore.
Se questo tipo di riorganizzazione andrà in porto, Forza Italia avrà un’architettura più piramidale e con un gruppo di vero comando molto ben definito. Nel quale rientrano insieme ai nomi di cui sopra anche altri: dal capogruppo dei deputati Barelli, vicinissimo a Tajani, all’eurodeputato Fulvio Martusciello uomo macchina e suggeritore di strategie, da Anna Maria Bernini ministra ma anche vice-coordinatrice nazionale a Gasparri e soprattutto Schifani che è il punto di riferimento dei presidenti regionali azzurri, ma stanno emergendo anche altre figure di peso: come la deputata Cristina Rossello, segretaria cittadina di Milano e avvocata di Marina Berlusconi. Per non dire di Stefano Benigni, altro fedelissimo di Marta, deputato e coordinatore nazionale del movimento giovanile, di cui Silvio non fa che dire un gran bene.
«Un vero rilancio», lo chiama Berlusconi. Il Fascina Soft Power si concentra comunque sul partito. E la nuova Forza Italia ha deciso di tornare all’antico, ripristinando le feste azzurre. La Festa Azzurra dei giovani sarà a Gaeta, dall’8 settembre. Alla fine dello stesso mese – a Telese, storica terra mastellata, nel beneventano – si svolgerà la Festa Azzurra nazionale.
E lì – medici e famiglia permettendo – Silvio vorrà esserci in presenza. Nel ricambio di tutto, come si sa, c’è anche stato il turn over alla guida delle comunicazione del Cavaliere, e dopo Paolo Emilio Russo, ecco Danila Subranni. C’è poi da sostituire, forse, il capogruppo in Senato. E se non sarà più Licia Ronzulli, toccherà a Mario Occhiuto o, meno probabilmente, a Roberto Rosso.
Berlusconi non ha nessuna voglia di insidiare Meloni – anzi i rapporti tra Giorgia e Marta sono più che cordiali – ma il vero autore dell’operazione primo presidente della Commissione Ue targato Ppe più destra vuole essere Silvio.
Una raccomandazione va facendo Berlusconi ai suoi: «Non attaccate Matteo Renzi. Se rinsavisce e molla la sinistra, le nostre porte per lui sono sempre aperte». Ma questo è un discorso futuribile.
(da Il Messaggero)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile MOLTI STRANIERI, NON AVENDO IL PERMESSO DI SOGGIORNO, NON SI POSSONO REGISTRARE SULLE APPLICAZIONI DI DELIVERY E QUINDI UN “CAPORALE” GLI PRESTA IL PROPRIO ACCOUNT TRATTENENDO IL 50% DEI GUADAGNI GIORNALIERI
Ci consegnano a casa, a qualsiasi ora del giorno e della sera, pizze, sushi e ogni genere di prodotti enogastromici. L’esercito dei rider fa ormai parte delle nostre vite: 70 mila lavoratori regolari, a fronte di un totale di 250 mila se si considerano anche quelli che non hanno un contratto a norma.
E se a tutti noi è evidente la loro fatica di pedalare per chilometri, meno noto è il loro sfruttamento economico. La maggior parte è infatti vittima del cosiddetto caporalato digitale, un fenomeno per cui, lavorando solo grazie a un account “prestato” devono pagare una tangente fino al 50 per cento di quello che guadagnano.
La fotografia del fenomeno ci restituisce l’immagine di un Paese diviso in tre grandi fasce di rider: il Nord Italia dove lavorano prevalentemente africani subsahariani e pakistani tra i 20 e i 35 anni muniti di semplice bicicletta e il Centro e il Sud con rider italiani che arrivano fino a 50 anni e si spostano anche in automobile.
A tre anni fa risale il primo monitoraggio di questi lavoratori al servizio di quattro multinazionali del food delivery: grazie ai controlli dei carabinieri è emerso uno spaccato di illegalità che ha portato le quattro grandi società a investire 10 milioni di euro in sicurezza e formazione.
Una vera e propria emergenza, facilitata dalla demateralizzazione del datore di lavoro: con lui i rider non hanno contatti diretti, avviene tutto tramite le piattaforme digitali. Ma coloro, soprattutto extracomunitari, che pur avendo il permesso di soggiorno hanno problemi con la lingua o con la tecnologia, finiscono nella rete di sfruttatori che danno loro un account falso, indispensabile per lavorare, è in cambio pretendono la mazzetta.
I soldi del pagamento online vanno, in sostanza al “caporale”, che trattiene per sé fino al 50 per cento e poi paga in contanti il rider.
(da la Stampa)
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