Destra di Popolo.net

LA MISSIONE DEGLI 007 ITALIANI E ISRAELIANI SUL LAGO MAGGIORE RIGUARDAVA IL NUCLEARE?

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

“GLI AGENTI SI ERANO DATI APPUNTAMENTO ALL’INTERNO DEI LABORATORI DI EURATOM, A ISPRA”, A 10 KM DAL LUOGO DELL’INCIDENTE. IN QUEL CENTRO SI SPERIMENTANO TECNOLOGIE PER LO SFRUTTAMENTO DELL’ENERGIA NUCLEARE E IL TRATTAMENTO DELLE SCORIE”… PERCHÉ I SERVIZI L’AVEVANO “ATTENZIONATO”?

I ventuno agenti dei servizi segreti italiani e israeliani coinvolti domenica 28 maggio in un drammatico naufragio, non si erano dati appuntamento sul lago Maggiore per una gita di piacere, ma per riunirsi all’interno dei laboratori di Euratom, che si trovano a Ispra, circa dieci chilometri a nord del punto in cui è avvenuto l’incidente costato la vita a quattro persone.
A sostenerlo è un servizio pubblicato, nel numero da domani in edicola, dal settimanale «Oggi», che ha raccolto le dichiarazioni di alcuni diportisti, conoscenti di Claudio Carminati, skipper della barca affondata e della moglie Anna Boskhova, morta nel disastro.
Secondo i proprietari di un’imbarcazione ormeggiata nel cantiere Piccaluga di Lisanza (Varese), lo stesso dove veniva tenuto il 15 metri colato a picco, il sabato prima del naufragio Carminati e la moglie avrebbero fatto espressamente cenno a un impegno preso per il giorno successivo, per portare in gita sul lago un gruppo di Euratom.
Nato sotto le insegne del Cnrn (Comitato nazionale per le ricerche nucleari), diventato poi Cnen, Enea e oggi Euratom CCR (centro comune di ricerca), dalla metà degli anni 50 il centro di Ispra è uno dei poli più importanti in Europa e nel mondo per la ricerca e la sperimentazione di tecnologie per lo sfruttamento dell’energia nucleare e il trattamento delle scorie radioattive.
Per la delicatezza delle ricerche e la qualità strategica delle informazioni custodite, i laboratori di Ispra costituiscono da sempre uno snodo della massima importanza per il nostro spionaggio. Il centro viene tenuto sotto costante osservazione per la messa in sicurezza dei laboratori e dei segreti in essi custoditi, ed è anche un riferimento per preparare sul piano tecnico-scientifico le più delicate missioni di intelligence in campo nucleare.
Il settimanale accosta le informazioni raccolte sul lago con le notizie diffuse dalla rete televisiva israeliana Channel 12 che citando fonti dei servizi ha di fatto confermato «l’incontro tra agenti segreti israeliani e italiani in una località sul Lago Maggiore per la chiusura di una lunga operazione coronata da successo legata alle tecnologie di armamento non convenzionale iraniane».
(da “Oggi”)

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SUL NAUFRAGIO DI CUTRO QUALCUNO NON STA DICENDO LA VERITÀ

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

GLI ATTI DELLA PROCURA: L’IMBARCAZIONE ERA MONITORATA DA 38 MINUTI, EPPURE LA GUARDIA DI FINANZA SOSTENEVA DI NON AVERLA VISTA SUI RADAR… PERCHÉ NON È STATA ALLERTATA PRIMA LA GUARDIA COSTIERA ED È PARTITA UNA VEDETTA DELLE FIAMME GIALLE, NON IN GRADO DI NAVIGARE IN QUELLE CONDIZIONI, PER UNA MISSIONE DI “LAW ENFORCEMENT”?

Alle 3,58 della notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi, mentre il mar Jonio settentrionale si era fatto scuro sferzato da onde alte due metri e il caicco “Summer Love” con a bordo 200 migranti […] stava per schiantarsi in una secca a Steccato di Cutro «intercorreva una conversazione tra un operatore della sala operativa del Roan (reparto operativo della Guardia di Finanza) e un collega della guardia costiera di Reggio Calabria ».
Il primo dice al secondo: «Sul radar non battiamo nulla». La motovedetta delle Fiamme Gialle rientra in porto. Venti minuti dopo la prua dell’imbarcazione andrà a sbattere contro un fondale sabbioso: gente in mare appesa a stracci di legno, bambini che affogano, urla, pianti, morte. In novantaquattro perderanno la vita, uno su 3 erano minori e «alcuni neonati» precisano gli inquirenti. L’apocalisse, appunto.
Il primo mistero del naufragio inizia qui.
Perché – si legge agli atti del decreto di perquisizione a carico di tre ufficiali e sottoufficiali della Finanza – «dall’analisi delle tracce del radar emerge che il natante oggetto di segnalazione era stato agganciato per la prima volta alle 3,34. Distava 6,3 km dalla costa di Le Castella e 13,51 km dalla foce del torrente Tacina dove avverrà il naufragio». Aggiunta: «La barca veniva monitorata per circa 38 minuti». Perché alle 3,58 tutti dicono di non aver visto nulla «sebbene – chiosano gli investigatori – il target fosse monitorato da circa 24 minuti?».
E perché, ancora, alle 3, 50 nella relazione di servizio redatta da un colonnello indagato e «nel brogliaccio di sala» si legge che «è stato agganciato un bersaglio non immediatamente riconducibile all’imbarcazione»? Magari qualcuno avrà pensato a un falso obiettivo (“ombre”, si dice in gergo investigativo), ma ciò che è certo è che quel “bersaglio” era la “Summer Love” che alle 4,02 – orario dell ‘ultimo aggancio radar – dista 3,6 km dalla secca della morte.
Sul fatto infine che si sia sostenuto che non vi fosse la certezza che su quel caicco viaggiassero migranti è smentito dal fatto che «l’intervento 533» viene registrato a fascicolo dalla Guardia Costiera come «evento migratorio».
Proprio per queste anomalie «e per comprendere le ragioni di queste scelte operative, del ritardo accumulato dalla Finanza e nella mancata comunicazione della posizione della barca alla Capitaneria di porto» la procura ha cercato di acquisire le comunicazioni di servizio intercorse tra i finanzieri sui server in uso al loro corpo di appartenenza.
Risultato? «Non veniva ritrovata alcuna traccia audio». Non solo: ad attirare l’attenzione è un dettaglio non di poco conto che ha spinto i pm a incaricare i carabinieri di fare la copia forense del contenuto dei telefonini dei militari «visto che gli indagati, quella notte e per comunicare sui fatti, hanno utilizzato cellulari personali».
Altre ombre: perché alle 23,49, un’ora e 25 minuti dopo la segnalazione fatta dall’aereo “Eagle 1” di Frontex, gli operatori delle Fiamme Gialle riferivano alla sala operativa della Capitaneria di porto dell’avvenuto impiego della vedetta “5006 ” per una missione di Law Enforcement sebbene sia poi «lo stesso comandante della vedetta a scrivere nella relazione che in quei momenti l’imbarcazione, lungi dall’essere in navigazione alla ricerca del target si trovava in realtà all’interno del porto di Crotone».
Già alle 21, peraltro, si era capito che la vedetta 5006 «non sarebbe riuscita a navigare viste le condizioni meteo pessime». Per questo [è stato] avvertito il pattugliatore” Di diverso tenore il commento dell’avvocato Francesco Verri, legale in pool, di una trentina di famiglie delle vittime: «La Finanza ha detto che stava cercando la nave di migranti e, secondo la procura, era in porto coi mezzi fermi. Ha visto la barca nei radar e non è intervenuta. Non ha fatto niente».
E la Guardia Costiera? «Ha impiegato un’ora e mezzo da terra per percorrere in auto un tratto di strada che, di notte, richiede 20 minuti. Via mare è arrivata […] a Steccato dopo due ore e cinquanta dallo schianto. Quando la barca si è inabissata […], sulla spiaggia non c’era l’esercito per identificare e arrestare gli scafisti ma due pescatori». In definitiva: «Doveva partire una missione di soccorso».
(da La Stampa)

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CHI È ALESSANDRO MIGLIORE, L’AGENTE DA CUI È PARTITA L’INDAGINE SULLE TORTURE NELLA QUESTURA DI VERONA: ORECCHINI, FISICO SCOLPITO, ESPERTO DI BOXE E DI UNA TECNICA DI COMBATTIMENTO INSEGNATA ALLE FORZE DI DIFESA ISRAELIANE, IL KRAV MAGA

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

SECONDO IL GIP “TORTURA CON SADICO GODIMENTO” ANCHE PERCHÉ “MANIFESTA CHIARA SODDISFAZIONE NEL RIEVOCARE LE VIOLENZE COMMESSE”

I «poliziotti ballerini», li aveva soprannominati un collega, dopo che il gruppetto di agenti aveva finto di non vedere delle irregolarità nel corso di una perquisizione. La decisione di chiudere un occhio era stata presa solo perché, nel mirino dell’ispezione, era finito il fratello del buttafuori che li faceva entrare in un locale senza pagare e saltando la fila
L’agente si arrabbia con i colleghi, senza sapere di essere intercettato: «Cioè, dobbiamo fare attenzione guagliò! Soprattutto con il periodo storico che stiamo. Tutti e dieci che andate a ballare gratis. Salta la fila, parcheggia dentro… e dai! Le cose si sanno… Ma a ballare uno ci va. Solo che si prende il portafoglio e paga… Non è più la polizia degli anni Settanta!».
Un po’ sbruffoni, un po’ furbetti. Ma, soprattutto, violenti. Gli agenti della sezione Volanti di Verona finiti nei guai, sono tutti poliziotti di provata esperienza. Alcuni hanno vent’anni di carriera alle spalle.
A leggere l’ordinanza con la quale il gip Livia Magri ha disposto gli arresti domiciliari per cinque di loro, il più spregiudicato sembra essere l’agente di polizia giudiziaria Alessandro Migliore che, coi suoi 25 anni non ancora compiuti, è anche il più giovane tra gli indagati.
Originario di Torre del Greco (Napoli) risulta risiedere in uno degli appartamenti che il ministero mette a disposizione degli agenti. Tatuaggi ben in vista, orecchini, fisico scolpito, esperto di boxe e di una tecnica di combattimento insegnata alle forze di difesa israeliane, il krav maga. […]
Migliore viene descritto dal gip come un giovane che «tortura con sadico godimento» anche perché «manifesta chiara soddisfazione nel rievocare le violenze commesse», che assume saltuariamente droghe e arriva a rubare le biciclette che trova incustodite lungo la strada. Anche lui fa parte del gruppetto dei «poliziotti ballerini»: ha concorso a depistare la perquisizione- osserva il gip – solo per ricambiare il «trattamento di favore nel parcheggio di una discoteca o all’interno del locale, e garantirsi analogo trattamento per il futuro».
Eppure, è proprio Alessandro Migliore che, con una buona dose di boria, finisce per inguaiare se stesso e i colleghi, vantandosi delle loro «imprese» con la sua fidanzata. Il 22 agosto, con il telefono sotto controllo, la chiama raccontandole di aver fermato un giostraio e che questo ha sbattuto volontariamente la testa contro il vetro.
A quel punto, le spiega, è intervenuto un altro poliziotto «bello grosso», che «apre la porta. «Tu hai dato una capocciata al vetro – gli fa – e adesso ti faccio vedere io quante capocciate alla porta. Bom! bom! bom! E io ridevo come un pazzo». Ma il giostraio insiste, insulta gli agenti e a quel punto Migliore lascia aperta la stanza di sicurezza («l’acquario», lo chiamano) «in modo tale che uscisse, perché io so che là dentro c’è la telecamera… Appena è uscito ho caricato una stecca, amò, bam! Lui chiude gli occhi e va di sasso per terra… È svenuto… Hai presente il ko?». A quel punto arriva un collega: «Boom! Gli ha dato un calcio nella schiena. L’ha tartassato di mazzate». La fidanzata sembra divertita: «Minchia, li menate proprio, eh». E lui: «Mamma mia».
Dalle carte dell’indagine emerge che alcuni poliziotti tenevano per sé piccole somme di denaro trovate nelle tasche delle persone fermate. Ma anche droga. Il solito Migliore spiega alla fidanzata di aver portato in questura un marocchino («Gli ho tirato una secca, un pugno») e perquisendolo «è saltato fuori un pezzettino di fumo», un grammo di hashish. «Indovina chi ce l’ha? Sììì!». La ragazza gli chiede: «Dai fammi provare» e per il gip è la conferma che l’agente si è tenuto la droga per uso personale.
Sempre Migliore, stavolta racconta di «due barboni in un bar», uno dei quali viene caricato sulla vettura di servizio per essere condotto in questura. «Ha iniziato a sbroccare (…) Allora io gli ho fatto una presa, gli ho calciato fuori e poi l’abbiamo portato dentro insieme. No, vabbé, gli abbiamo tirato due-tre schiaffi a testa, ma così, giusto per…».
Dopo aver fermato un altro senzatetto, vengono intercettate le conversazioni tra due degli agenti arrestati: il 35enne Filippo Failla Rifici e il 45enne bellunese Roberto Da Rold. «Maledetto marocchino di m…» sbotta Rifici, accusando il vagabondo di un gesto inconsulto. Un collega gli chiede: «Com’è che Roberto (Da Rold, ndr) non l’ha ammazzato?», e proprio Da Rold suggerisce: «Lo buttiamo là, nella casa abbandonata, prende una scarpata…». Failla Rifici lo incalza: «Mi raccomando Roby: quelle che non gli hai dato prima, dagliele dopo (…) Gli è andata pure bene che non gli ho fatto la doccia col secchio d’acqua». Infine, di nuovo Da Rold: «Io adesso ho imparato a dare le cinquine più piano».
Dalle carte, emerge anche come Alessandro Migliore si ritenesse ormai al di sopra della legge. «Una pessima personalità» lo definisce il gip, commentando le conversazioni nelle quali spiega alla fidanzata che sta rubando una bicicletta e proprio non si capacita di come il proprietario potesse averla lasciata incustodita. Lei risponde che gliene regalerà una a Natale, ma il poliziotto replica che non ne ha bisogno, perché lui, le bici, «è solito rubarle».
(da Il Corriere della Sera)

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IL PAPA’ DI ALDROVANDI: “VERONA MI HA FATTO RIPENSARE A FEDERICO, CHI FA QUESTE COSE NON DOVREBBE MAI PIU’ INDOSSARE UNA DIVISA”

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

“LE VIOLENZE DEGLI AGENTI? NON SONO CASI ISOLATI MA CONTINUO AD AVERE FIDUCIA NELLO STATO”

«Chi veste una divisa deve ricordarsi del giuramento che ha fatto. Può usare la forza in alcune situazioni ma non può mai usare la violenza. E tutti noi dobbiamo avere fiducia nello Stato e in chi deve proteggerci. Chi fa queste cose non dovrebbe mai più indossare una divisa»: Lino Aldrovandi, il papà di Federico, ucciso a calci e manganellate nel 2005 da alcuni poliziotti poi condannati, interviene sui recenti pestaggi della polizia a Verona. Ma non solo. Commenta i tanti, troppi, casi analoghi che riguardano le forze dell’ordine, che da tutori della legalità si trasformano in carnefici.
«Non sono episodi isolati – dice Aldrovandi– Ci sono i fatti di ora a Verona. Il caso recentissimo della polizia locale di Milano, con le immagini che raccontano come si sono comportate quelle persone. C’è stato Giuseppe Uva nel 2008. Poi il terribile caso di Stefano Cucchi nel 2009, e ancora quello, analogo a Federico, di Riccardo Magherini a Firenze nel 2014. E prima ancora il G8 di Genova. Assurdo vedere queste scene, l’uso della violenza gratuita da parte di chi dovrebbe far rispettare la legge. E’ inaccettabile, visto il ruolo che ha chi veste la divisa. Deve, o meglio dovrebbe, esserci un freno. Quando una persona è per terra, inerme, non si può fare violenza. Vedere queste scene mi ricorda Federico, che era a terra, schiacciato, picchiato, e come ha detto una testimone preso a calci in testa da un agente che telefonava mentre altri lo tenevano: le foto di Federico raccontano proprio che aveva un buco in testa. Queste non sono immagini di poliziotti. Mi chiedo cosa succeda nella mente di chi, magari fino a quel momento, si è comportato bene. Ma dentro queste persone forse qualcosa non va».
Lino Aldrovandi pur nel dolore immenso della perdita di un figlio, pur nella tragedia di aver visto lo Stato, o meglio una parte marcia dello Stato, responsabile, non ha perso la fiducia nelle istituzioni. Non c’è livore nella sua voce: c’è solamente sofferenza unita a una dignità grande, quella di chi riesce a mantenere la schiena dritta e a non perdere la rotta, anche quando la propria esistenza viene sconvolta. «Chissà, forse sarebbero necessari test psicologici. Ma c’è sempre il giuramento che chi indossa una divisa fa che deve essere tenuto bene a mente. A Federico dicevo sempre: “Se hai qualche problema, chiama la polizia o i carabinieri”. Io stesso vestivo la divisa di agente municipale e mio padre era un carabiniere. Nessuno, innocente o colpevole quando viene fermato, può essere trattato in questo modo. Ancor di più se è inerme a terra e non è pericoloso».
Non si tratta però di un unico o di pochissimi casi isolati. «Bisogna analizzare. A tutela di questi agenti, e a tutela dell’immagine del corpo, chi compie questi atti non dovrebbe essere semplicemente spostato. Va sospeso cautelativamente. Io sono dalla parte dello Stato. Ma non a prescindere. Non si possono giustificare questi comportamenti. E la responsabilità è di tutta la catena di comando: dei diretti superiori di questi agenti, dei loro capi, fino ad arrivare al Governo. Non mi interessa se di destra, sinistra o centro. Io ho il dito puntato contro le più alte responsabilità di quello che è accaduto. Chi è un delinquente va fermato. Ma chi veste la divisa e agisce con la violenza diventa lui stesso delinquente. Ricordiamoci che siamo in un Paese democratico. Che la democrazia ci è stata consegnata da giovani che persero la vita per questo».
Ivo Aldrovandi è attento anche a non generalizzare: ci sono tanti agenti, componenti di tutte le forze dell’ordine che ogni giorno compiono al meglio il proprio dovere e onorano la divisa che portano: «Le persone normali ci sono . Chi ha le redini, fino al Governo, deve garantire che le procedure portate avanti siano sempre corrette. Chi non è in grado va allontanato e punito. Io stesso ringrazio il capo della polizia Manganelli che ebbe il coraggio venire da noi e scusarsi con noi prima ancora della sentenza di condanna ai poliziotti che picchiarono Federico. E ci sono stati anche vari altri esponenti delle forze dell’ordine che mi hanno manifestato il loro sostegno».
«C’è chi fa bene il proprio lavoro, chi lo fa a testa alta. Anche io lo facevo –conclude il papà di Federico – Pestaggi e comportamenti del genere sono una offesa allo Stato: non li ho mai accettati e mai li accetterò. La mattina bisogna uscire di casa e avere fiducia in chi deve proteggerci. Soprattutto in questo modo ce n’è bisogno».
(da La Stampa)

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I RITARDI SUL PNRR RIDURRANNO LA CRESCITA ECONOMICA”

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

ORA ANCHE L’OCSE RICHIAMA L’ITALIA

I ritardi sul Pnrr mettono a rischio la crescita italiana. L’allarme, l’ennesimo, arriva dall’Ocse, scritto nero su bianco nell’Economic Outlook: nel 2023 e 2024 l’Italia dovrebbe registrare una “crescita modesta”. Il Pil rallenterà dal 3,8% del 2022 all’1,2% nel 2023, poi calerà ancora nel 2024 all’1,0%. Le previsioni, però, possono essere influenzate negativamente e positivamente da una serie di fattori: “I rischi per la crescita sono sostanzialmente bilanciati dagli elevati risparmi delle famiglie, che potrebbero guidare a un rimbalzo della domanda interna più rapido – si legge – Al contrario, ricadute negative dalla recente turbolenza del settore bancario internazionale o ulteriori ritardi nell’attuazione dei progetti di investimento pubblico del Pnrr potrebbero rallentare la crescita”. Capitolo debito pubblico: secondo l’Ocse il rapporto tra deficit di bilancio e Pil dell’Italia scenderà al 4,1%. Poi al 3,2% nel 2024.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, però, bacchetta l’Italia anche sul processo che dovrebbe accompagnare l’attuazione del Pnrr: “Le riforme in corso della pubblica amministrazione, del sistema giudiziario e della concorrenza sono sulla buona strada e rimangono fondamentali per aumentare il Pil a medio termine – si legge ancora – Ma la spesa dei fondi Next Generation Eu è in netto ritardo, con una spesa cumulata alla fine del 2022 inferiore di circa il 50% rispetto ai piani di spesa iniziali, il che riflette principalmente i ritardi nell’attuazione dei progetti di investimento pubblico”
“Le priorità dovrebbero essere la rapida sostituzione di progetti non fattibili con altri fattibili e il rafforzamento della capacità della pubblica amministrazione di agire in modo efficiente di gestire e
(da Fanpage)

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LA PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO BOCCIA L’ALLEANZA TRA POPOLARI E CONSERVATORI ALLE PROSSIME ELEZIONI

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

“TOCCA AL CENTRO FORMULARE SOLUZIONI”

La chiave per vincere le prossime elezioni europee non sarà una alleanza tra popolari e conservatori, a cui tanto si sta lavorando in Italia. Al voto che si terrà tra un anno, la convergenza sarà ancora verso il centro. L’attuale presidente del Parlamento Ue ne è sicura, e parlando con il Messaggero sottolinea: “Se i numeri rimarranno quelli di oggi, il Parlamento dovrà necessariamente continuare ad avere una maggioranza europeista radicata al centro. Coalizioni di altro tipo, a destra o sinistra, non sono possibili”. E lancia un messaggio chiaro: “Avremo bisogno di tutti, dai popolari ai socialdemocratici, passando per i liberali, per assicurare la governabilità e scongiurare situazioni imprevedibili”.
Nessuna alleanza a destra, insomma. Il patto che la maggioranza italiana vorrebbe stringere a livello europeo, secondo la presidente del Parlamento Ue – che fa parte dei popolari – non è una soluzione realistica. I conservatori guidati da Giorgia Meloni, pur sull’onda del consenso, non sono ben visti da una parte del Partito popolare europeo: “Tocca al centro dell’arena politica formulare soluzioni – dice ancora Metsola – Gli estremismi, invece, danno risposte semplici a domande complesse”.
Il problema degli estremismi politici, secondo Metsola, non va ignorato: “Per troppo tempo abbiamo smesso di parlare agli elettori – continua la presidente del Parlamento Ue – ci sono molti europei per cui la migrazione è il tema numero uno, a loro dobbiamo dare delle risposte”. Nella scorsa legislatura, “il Parlamento aveva approvato la sua posizione sulla riforma delle regole sulla migrazione, ma è mancato l’ok del Consiglio – aggiunge – Parliamo spesso di rimozione del veto lì dove ancora esiste, ma spesso capita sia difficile pure ottenere la maggioranza qualificata”. Il Parlamento europeo “ha messo in piedi una posizione chiara, ma abbiamo bisogno adesso del Consiglio per definire una risposta comune”.
(da Fanpage)

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MELONI-SALVINI, DUELLO INFINITO: LA “DUCETTA” SI METTE DI TRAVERSO ALL’AUTONOMIA LEGHISTA BY CALDEROLI. ARRIVA ANCHE L’ALTOLA’ DI LA RUSSA: “DEVE ESSERE BILANCIATA CON UNO STATO IN GRADO DI MANTENERLA”

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

SENZA L’APPROVAZIONE CONTESTUALE DELLA RIFORMA IN SENSO PRESIDENZIALE ACCAREZZATA DA DONNA GIORGIA, DIFFICILMENTE FRATELLI D’ITALIA DARA’ IL VIA LIBERA ALL’AUTONOMIA

I messaggi che preoccupano i progetti leghisti sull’autonomia regionale non sono tanto quelli che arrivano dalle opposizioni, ma dalla coalizione di destra. Sono fatti di silenzi, o di puntualizzazioni che lasciano indovinare una perplessità di fondo. Il fatto che la maggioranza degli enti locali oggi sia «governativa» e dunque avalli la riforma del ministro della Lega, Roberto Calderoli, non ha ancora cancellato le riserve. E le resistenze che spuntano a intervalli intorno all’operazione ne confermano la difficoltà.
Ma forse l’altolà più insidioso è quello lanciato dal presidente del Senato, Ignazio La Russa. La Russa: l’esponente di Fratelli d’Italia di più alto livello istituzionale. La Russa ha ribadito di non essere «contrario all’autonomia». A suo avviso, tuttavia, «deve essere bilanciata con uno Stato in grado di mantenerla».
Sono parole che ribadiscono indirettamente due cose. La prima è che, senza un contrappeso, la riforma leghista viene percepita come «sbilanciata» e dunque potenzialmente rischiosa per l’unità del Paese. La seconda è che senza l’approvazione contestuale della riforma in senso presidenziale accarezzata dalla premier, difficilmente la maggioranza di governo la avallerà. Se a questo si aggiungono i rilievi sulle garanzie e le coperture finanziarie che continuano a arrivare dagli uffici tecnici del Parlamento, si ha la conferma di un percorso accidentato dentro lo stesso governo.
Il voto di ieri alla Camera col quale si ridimensionano i controlli della Corte dei conti sui progetti del Piano per la ripresa conferma una maggioranza determinata a non essere condizionata dalla magistratura contabile; e a indicare le responsabilità degli esecutivi del passato. Ma mentre quando si tratta di arginare il potere di alcuni organi dello Stato il governo si compatta facilmente, l’unità su altre questioni non è altrettanto scontata. E sia l’autonomia regionale differenziata, con la riforma speculare del presidenzialismo, sia l’immigrazione ristagnano come ostacoli insidiosi.
(da Corriere della Sera)

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“APPROVIAMO IL PREMIERATO, ANDIAMO AL REFERENDUM E VINCIAMO”: LA STRATEGIA DI GIORGIA MELONI PER LE RIFORME COSTITUZIONALI

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

UNA RIFORMA CHE PORTI ALL’ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, APPROVATA A MAGGIORANZA ASSOLUTA SENZA IL SOSTEGNO DEL TERZO POLO (“NON MI FIDO DI RENZI”) ANCHE PERCHE’ I NUMERI NON BASTEREBBERO A OTTENERE LA MAGGIORANZA QUALIFICATA DEI DUE TERZI ED EVITARE IL REFERENDUM

“Non mi fido di Renzi, anche perché i numeri non bastano. Approviamo il premierato, andiamo al referendum e vinciamo”. Mercoledì pomeriggio, interno Palazzo Chigi. Dopo aver ascoltato i pareri dei vertici di Fratelli d’Italia sulla riforma costituzionale, […]Giorgia Meloni prende la parola.
E spiega la strategia del governo da qui ai prossimi mesi: una riforma che porti all’elezione diretta del premier, approvata a maggioranza assoluta per poi giocarsi tutto al referendum costituzionale. Che Meloni è sicura di vincere: “La gente sta con me – dice la premier ai presenti – è un impegno che ci siamo presi in campagna elettorale ei cittadini ci hanno votato per questo”.
A Palazzo Chigi, Meloni riunisce i vertici del suo partito: ci sono i ministri Francesco Lollobrigida e Luca Ciriani, i capigruppo Tommaso Foti e Lucio Malan, il responsabile organizzazione Giovanni Donzelli, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli ei sottosegretari alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.
Tutto lo stato maggiore di Fratelli d’Italia. Meloni apre il vertice con una bacchettata ai suoi: “Questa riunione doveva rimanere segreta, com’è possibile che sia uscita ovunque?”. Silenzio.
Poi si apre il confronto sulle riforme. Un giro di tavolo per parlare del merito. L’idea che va per la maggiore è quella di un premierato che non vada a intaccare troppo i poteri del presidente della Repubblica, con elezione diretta del presidente del Consiglio.
Il tema dell’autonomia leghista viene toccato solo per la strategia parlamentare: il testo, che sarà presentato entro l’estate, partirà dalla Camera per evitare la sessione di Bilancio (che si svolgerà al Senato) e garantire un processo più rapido con approvazione in prima lettura prima delle Europee. […] La premier spiega che, in base alle consultazioni che ha fatto con i partiti di opposizione a inizio maggio, non ci sono i numeri per approvare una riforma costituzionale.
E l’atteggiamento di M5S e Pd le è sembrato dilatorio. Mentre Meloni la vuole riforma farla. Quindi la proposta sul premierato sarà di maggioranza senza far affidamento sui voti del Terzo Polo di Renzi e Calenda: sia perché di Renzi Meloni non si fida (ricordare il Patto del Nazareno), sia perché comunque non basterebbe il gruppo centrista per raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi ed evitare il referendum
Quindi la premier punta ad approvare la riforma e poi vincere il referendum entro due anni. La riforma comunque entrerebbe in vigore dalla prossima legislatura
Nel frattempo servirebbe cambiare la legge elettorale: il modello pensato è simile all’Italicum, elezione diretta del premier con ballottaggio se nessun candidato ottiene il 40% dei voti.
(da Il Fatto Quotidiano)

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LE TASSE SONO “PIZZO DI STATO”? ALLORA CHIAMATE LA WAGNER

Giugno 7th, 2023 Riccardo Fucile

UNA AFFERNAZIONE CHE SE FOSSE FATTA DA UN COMUNE CITTADINO INTEGREREBBE IL REATO DI VILIPENDIO DELLA REPUBBLICA

“Le tasse sono un pizzo di Stato”. Questa affermazione se fatta da un comune cittadino integra il reato di vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni e delle Forze armate, delle Assemblee legislative, del governo, della Corte costituzionale, dell’Ordine giudiziario (art. 290 c.p). Questo vilipendio si porta dietro a cascata il vilipendio alla Nazione e alla bandiera. Tutti reati, per altro di derivazione fascista, da cui fu sommerso, a suo tempo, Umberto Bossi.
Ma qui non siamo in presenza di un comune cittadino, ma della premier Giorgia Meloni che rappresenta la più alta carica dello Stato dopo quella del presidente della Repubblica (nella fattispecie il traballante Mattarella, un ottantenne che sembra un Joe Biden italiano con idee ancor più confuse perché di recente, equivocando sulla Dichiarazione di indipendenza americana del 1776, ha anfanato di un inesistente “diritto alla felicità”).
Meloni quindi non solo vilipende se stessa, ma si delegittima con le sue proprie mani (ma sarebbe meglio dire bocca). Quindi se quello che dice Meloni è vero, e non c’è motivo di dubitarne, noi viviamo in uno Stato criminale e mafioso. Mi spingerei a dire che Meloni vilipende anche la mafia, che è un’organizzazione seria e che per lo meno non si maschera dietro lo Stato di diritto.
Se lo Stato italiano è criminale e mafioso è nostro diritto non solo non rispettarne le leggi, ma anche ribellarsi allo Stato in quanto tale.
Finora i cittadini italiani, come pecore da tosare, è il caso di dirlo, e asini al basto, hanno sopportato tutto anche perché è difficile ribellarsi a uno Stato che, per quanto criminale e mafioso, conserva pur sempre il monopolio della violenza.
Finora i cittadini italiani si sono ribellati solo nella forma pacifica dell’astensione, sempre in crescita: nelle recenti Amministrative, Brindisi è passata, come percentuale dei votanti, dal 60,7 del 2018 al 43,8 del 2023, Massa dal 62,5 al 51,3, Terni dal 59,4 al 43,3. Se l’astensione dovesse aumentare ulteriormente ci troveremmo di fronte a una situazione di tipo kosovaro, del resto se uno Stato è criminale, Meloni docet, è lecito ribellarsi a esso con la violenza.
Si possono ipotizzare diverse soluzioni. 1) Non si pagano più le tasse, pardon “il pizzo”, e così crolla tutto il sistema. 2) Il cittadino esasperato prende autonomamente le armi e si sa che “terribile è l’ira del mansueto”. 3) Le Forze armate, delegittimate in uno Stato non più legittimo, prendono il potere con un colpo di Stato che un tempo avremmo chiamato “alla sudamericana” ma che oggi sarebbe ingiurioso nei confronti di quei Paesi. 4) Poiché gli italiani sembrano svuotati di ogni vitalità, a differenza dei cugini francesi, in genere così simili a noi, che qualche seria rivolta di piazza l’hanno fatta e stanno facendo (i gilets jaunes, le proteste contro l’aumento dell’età pensionabile) si potrebbe, extrema ratio, ingaggiare con una colletta la Wagner perché agisca al nostro servizio, come in Russia fa con Putin, ma come fa in molti altri Paesi. Certo ci costerebbe un po’, ma sempre meno delle tasse italiane.
(da Il Fatto Quotidiano)

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