Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile MANIFESTAZIONE M5S A ROMA, SCHLEIN ABBRACCIA CONTE
Una manifestazione piuttosto partecipata, soprattutto per essere di fatto
all’inizio dell’estate, sembra segnare un armistizio, dopo un lungo periodo di freddezza, tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Dopo che fino a ieri dal Nazareno avevano assicurato che la segretaria non avrebbe potuto partecipare alla manifestazione di oggi a Roma, in mattinata, in seguito ad una telefonata con lo stesso Conte, è arrivata la conferma che Schlein sarebbe arrivata in piazza assieme alla delegazione composta da Marco Fufaro e Alfredo D’Attorre.
«Lavorare insieme contro la precarietà, per il salario minimo e per il reddito. Avete fatto bene a mobilitarvi Giuseppe», ha detto appena arrivata, dichiarando poi: «Ci tenevamo a portare un segnale di volontà, di unire le nostre forze sui temi su cui oggi il Movimento ha scelto di mobilitarsi. Lotta contro le precarietà che questo decreto lavoro del governo Meloni; la scelta di estendere contratti a termine e voucher; difesa di uno strumento come il reddito che Meloni sta sostanzialmente cancellando. Sono questi i temi su cui il Pd intende proseguire a mobilitarsi». Conte ha replicato: «Ce lo siamo detti: percorso ne abbiamo da fare, ma assolutamente questo è un buon passaggio. Grazie per essere passata».
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile IL MARE ERA CALMO E LA BARCA ERA FERMA E NON IN NAVIGAZIONE… IL GOVERNO SOVRANISTA GRECO SE N’E’ FOTTUTO DI SALVARE 600 ESSERI UMANI
Un video ripreso da un marinaio della prima nave commerciale che si è avvicinata al peschereccio naufragato al largo del Peloponneso può cambiare la ricostruzione del disastro sostenuta fino ad ora dalle autorità greche.
Sono le uniche immagini video per ora esistenti del peschereccio in mare, e sono state pubblicate nella notte dal sito defenceline.gr. Dal filmato di una ventina di secondi si vede che sono state girate al tramonto, dunque in un orario che può andare tra le 20 e le 21. E ci sono due aspetti decisivi.
Condizioni meteo
Primo: le condizioni meteo sono ottime è il mare è perfettamente calmo, dunque una situazione ottimale che avrebbe sicuramente reso praticabile un’operazione di soccorso ben pianificata.
Secondo: il peschereccio è praticamente fermo, mosso appena dalla corrente, sicuramente comunque non in navigazione, come invece sostiene la guardia costiera greca in un documento ufficiale, nel quale si spiega che una motovedetta partita da Creta ha agganciato l’imbarcazione dei migranti intorno alle 22.40 e l’ha seguita a distanza mentre procedeva regolarmente fino all’1.40, venti minuti prima dell’inabissamento avvenuto intorno alle 2.
Dal peschereccio, con una cima, viene tirato un piccolo carico galleggiante, probabilmente una provvista di acqua e viveri fornita dal mercantile al quale era stato richiesto di avvicinarsi dalla centrale di soccorso greca.
Poche ore dopo, nel buio, quel peschereccio affonderà e moriranno 600 persone, tra quelle che nelle immagini si vedono assiepate, ma ancora calme, sui ponti della barca.
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile A SCOPRIRLO È STATA LA SCORTA DELL’EX PRESIDENTE DELL’ARS ALL’AEROPORTO DI PALERMO
Un gps era stato piazzato sotto la scocca dell’auto di Gianfranco
Miccichè. Il dispositivo aveva la possibilità di tracciare gli spostamenti del veicolo. A scoprirlo è stata la scorta dell’ex presidente dell’Assemblea regionale Siciliana all’aeroporto di Palermo dove Miccichè era atterrato con un volo proveniente da Roma.
In un primo momento si era pensato a un ordigno. L’auto è stata spostata in una zona sicura ed è stato poi scoperto che era un gps che gli è stato riconsegnato. La vicenda è stata denunciata alla polizia dell’aeroporto. La notizia è stata confermata dall’ex leader di Fi, coordinatore del partito del 61-0 in Sicilia.
«Vorrei sapere anche io chi ha messo il gps e a che cosa servisse – afferma Miccichè – l’ho aperto e dentro c’era una sim. Chi l’ha comprata Chi l’ha usata? Perché? In Sicilia si respira un clima politico pesante, brutto. Per me molto doloroso per la morte del presidente Silvio Berlusconi.
«Lancio un appello al governo regionale al confronto, non si può contestare un assessore perché parla con un sindaco. Fuoco amico? Non esiste concettualmente il fuoco amico, perché se lo accende non è un amico…».
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile I CITTADINI DI UNA PICCOLA COMUNITA’ TRENTINA HANNO RINUNCIATO A SCEGLIERE IL PROPRIO SINDACO DOPO UN’INCHIESTA SU INFILTRAZIONI MAFIOSE
C’è un Comune in Italia dove la politica è sparita. È stata praticamente abolita dal 2021 quando si è dimesso l’ultimo sindaco.
Da quella volta, nessuno si è proposto di guidare l’amministrazione locale. La speranza sembrava rinata alle scorse comunali, quelle del 21 maggio scorso, quando si è presentato un solo candidato. Il problema è che, per rendere l’esito valido, doveva votare almeno il 50% più uno degli avanti diritto. Peccato che alle urne non si sia presentata neanche la metà dei votanti. Per questo non è stata eletta neppure l’unica persona resasi disponibile negli ultimi due anni.
Così, almeno fino alla prossima primavera, resterà senza guida politica Lona-Lases, un centro abitato da meno di novecento anime nel cuore del Trentino.
Il motivo? La routine è stata sconquassata da un’indagine della magistratura, conclusasi nell’ottobre 2020 con una raffica di misure di custodia cautelare per politici e imprenditori locali.
Tutti accusati di fare affari per conto della ‘ndrangheta con l’oro rosso: il porfido con cui si pavimenta l’Italia intera. Di questa roccia vulcanica Lona-Lases è un’unica grande miniera naturale dove sono sorte cave e aziende per la lavorazione dei semilavorati grezzi. Per decenni, tutta l’economia della cittadina e dell’intera Val di Cembra si è basata sulle cave di porfido. Fino all’ottobre 2020, quando sono arrivati i primi arresti. Da quel momento il tempo si è fermato ed è come se i trentini avessero smesso di guardare al futuro. Al punto da rifiutare anche quanto di più democratico ci sia: le elezioni.
Lona-Lases si trova a circa venti chilometri a nord di Trento. Appena si varca il confine, lasciandosi sulla destra il piccolo lago di Lases, ci si rende presto conto di essere in un posto in cui le miniere di porfido rappresentano il cuore pulsante della vita cittadina.
Lo stesso porfido di cui sono fatti i vicoli che accompagnano i passi di chiunque si inoltri per i piccoli agglomerati di case dai colori tenui e gli infissi in legno, incastonati nel verde delle alte vallate.
È impossibile girare nei dieci chilometri quadrati di paese senza imbattersi continuamente in qualcosa che abbia a che fare con la filiera produttiva del porfido: cave; fabbriche per la lavorazione della roccia grezza; magazzini con decine di bancali di lastre di roccia; ma anche negozi che vendono piastrelle o lastricati fatti con l’oro rosso. Tutto fermo oggi, in attesa che la giustizia faccia chiarezza. Con il lavoro però si è fermata anche la vita pubblica.
Non appena si entra in paese si trova l’albergo-ristorante “Al Lago”, gestito da Maria Rosa Casagranda che, direttamente a TrentoToday, ha detto: “Io penso che un sindaco ci voglia. Siamo qui senza un ufficio tecnico, senza dei ragionieri e abbiamo bisogno di qualcuno che ci amministri, di qualcuno che ci rimetta a posto le strade per esempio perché fanno schifo”. Eppure gli abitanti hanno disertato le urne, forse per paura? “La gente ha paura sì ma per colpa di chi va a dire in giro che qui c’è la ‘ndrangheta. Hanno paura delle denunce, di queste persone che continuano a fare esposti per qualsiasi cosa. Giusto per spaventare la gente. Chi è che si candida se rischia di essere querelato per ogni cosa? – si chiede l’alberghiera -. Qui la ‘ndrangheta non c’è, non c’è mai stata”. C’è un processo però, che getta un’ombra di sospetto. “Ma quelle sono persone che lavorano nelle cave – ribadisce Casagranda -. Quelli a capo di una cosca? Ma se hanno sempre lavorato in cava fino al giorno in cui li hanno arrestati. Comunque il punto è che ci vuole un sindaco”.
Già, ci vuole un primo cittadino e infatti all’ultimo turno c’è chi è andato a votare. Tra questi c’è Patrizia Micheli: “Noi qui a Lona-Lases abbiamo votato in diversi. Adesso abbiamo il commissario, che è un’ottima persona però lui può fare solo le cose di ordinaria amministrazione, quindi non può fare più di tanto. Speriamo che entro un anno si formi un’altra lista e che si trovi un sindaco. Io intanto l’ho votato Pasquale Borgomeo”.
Il fallimento alle elezioni di maggio 2023
Pasquale Borgomeo è colui che ha provato a candidarsi a sindaco alle scorse elezioni comunali. Prima a Napoli come responsabile dei “Falchi” (i poliziotti della sezione speciale della squadra mobile), è stato comandante della polizia stradale a Trento, dove vive da dieci anni. L’ex poliziotto partenopeo era stato scelto per ridare un futuro ai loni e lasesi, con il sostegno del commissario Alberto Francini (ex questore di Trento) e quello della lista civica “Insieme per Lona-Lases”. Tuttavia la sua lista non ha raggiunto il quorum. Una debacle se si guarda ai numeri: su 692 aventi diritto, si sono presentati in 221 (31,9%) all’unico seggio allestito. Sulla sconfitta hanno pesato almeno due fattori: i nomi della lista, composta da perfetti sconosciuti mai visti in paese; ma anche i continui litigi fra Borgomeo e il suo vice sindaco in pectore, Paolo Molinari, che sulla stampa aveva negato la presenza della mafia nella cittadina.
Il commissario Francini: “Qui è tutto fermo ma c’è bisogno di scelte strategiche”
Lona-Lases dovrà fare a meno di un sindaco almeno fino alla prossima primavera. Intanto a supplire al vuoto politico ci pensa il commissario straordinario Alberto Francini, che guida il Comune trentino insieme al segretario comunale e a tre impiegati. Senza sindaco e con una cronica carenza di personale, Francini ha di fronte a sé un altro anno impegnativo. “È chiaro che un commissario straordinario non può fare certe cose che invece può fare un sindaco, espressione dei cittadini, capace di attuare delle programmazioni strategiche di lungo respiro. Un commissario può occuparsi solo dell’ordinaria amministrazione. C’è una grande differenza ed è un grave danno per il territorio”. A dirlo a TrentoToday è proprio il commissario Francini, che ammette di non poter fare nulla per quello che concerne le decisioni di lungo periodo.
“Per esempio parliamo di scegliere se continuare a puntare per i prossimi dieci anni sull’economia del minerario o su altro. Il bilancio è in pareggio, non c’è da preoccuparsi per quest’anno e per il 2024 ma probabilmente ci saranno dei problemi negli anni successivi se non si riprenderà l’attività estrattiva. Al momento è tutto fermo a Lona-Lases perché sono scadute le concessioni delle cave di porfido. Quindi fra due anni bisognerà decidere se puntare ancora sull’estrazione mineraria o se buttarsi su altre attività quali il turismo o l’agricoltura, in particolare l’allevamento e il settore vinicolo”.
Senza geometra e senza polizia locale
Ma per fare queste scelte serve un sindaco. Serve anche per valutare un’eventuale fusione con altri Comuni visto che manca anche un servizio di polizia municipale ed è un problema di tutta la Val di Cembra, dove non c’è un vigile urbano. “Non ci posso fare assolutamente nulla anche perché mettere un vigile urbano per un singolo Comune è ridicolo – continua il commissario -, ci vorrebbe un servizio di polizia municipale, che costa e deve essere affrontato a livello di comunità di valle”. Francini, che ci tiene a precisare che tutti gli Uffici, al netto di carenze e problemi, sono tutti operativi. Uno dei problemi più impattanti sul lavoro amministrativo è la grave sofferenza dell’ufficio tecnico per l’assenza di un geometra comunale. “Dobbiamo capire se sostituirlo o pensare a una gestione associata con altri Comuni della valle” ha confermato il commissario.
Insomma Lona-Lases è un Comune che ha deciso di non decidere del suo futuro e dunque di non occuparsi più della politica locale. “Questa è una comunità molto colpita, abbattuta dall’indagine, è una comunità sotto schiaffo che ha difficoltà a riprendere la responsabilità della propria amministrazione – ha ribadito l’ex questore -. Ha paura ma non di qualcuno che minacci. Ha paura a esporsi in una condizione nella quale c’è grande imbarazzo”. Insomma, magari c’è anche qualcuno disponibile ma vista la situazione e visto che un’eventuale campagna elettorale andrebbe per forza a toccare il tema della mafia, per di più fra persone che si conoscono tutte da una vita, nel dubbio, ci si fa gli affari propri. “Però rispetto agli anni scorsi un passo in avanti si è fatto, un minimo di mobilitazione c’è stata, sicuramente parziale ma c’è stata e fa ben sperare per il futuro. Certo, i partiti e i cittadini ci devono mettere più impegno” ha concluso Francini.
In effetti l’impresa di Borgomeo si può leggere anche come un segno positivo se si pensa che, negli ultimi 24 mesi, prima di Borgomeo, non si era presentata neppure una lista. Dopo le dimissioni del sindaco Manuel Ferrari nel maggio 2021, ci sono state le elezioni comunali del 3 e 4 ottobre 2021, rinviate per la mancata presentazione di liste. Stessa sorte alla tornata delle comunali del 12 giugno 2022. Rinviate anche le elezioni del turno straordinario del 27 novembre 2022, anche qui nemmeno una candidatura. Ci ha provato Pasquale Borgomeo lo scorso maggio, lanciato da una lista che il direttore del mensile “Questo Trentino” Ettore Paris ha definito “un imbroglio” in quanto “su dieci candidati in lista, solo due erano residenti a Lona-Lases. C’erano anche persone poco significative, fra cui una tatuatrice di Pergine. Metà delle persone di quella lista non si è mai fatta vedere a Lona-Lases. Ma perchè avrebbero dovuto votarla?”.
Urne vuote? “Vuol dire che c’è speranza”
Infatti non tutti pensano che la presentazione di quella lista sia un passo avanti. Anzi, c’è chi la vede come il tentativo di coprire lo sporco mettendolo sotto un tappeto e guarda al fallimento elettorale come un segno di vitalità della comunità. In primis ne è convinto Walter Ferrari, uno dei portavoce del Coordinamento lavoro porfido (Clp), che TrentoToday ha incontrato. Da decenni il Clp denuncia la presenza di infiltrazioni mafiose nelle cave di porfido fra la Val di Cembra e la Valsugana. Solo dal 2015 a oggi ha presentato 15 esposti alla magistratura.
“La comunità, che fin qui è stata sottomessa dai poteri forti – spiega Ferrari -, ha dato un segnale di vitalità, non accettando di sottostare a quelli che erano i comandi provenienti da tutti coloro che erano stati legati agli ultimi 25 anni di amministrazione a Lona-Lases. Si pensi che la lista Borgomeo aveva tra i principali sostenitori Enzo Anisi, socio al 25% nella Anesi Srl, di cui era socio anche Giuseppe Battaglia, e amministrata da Mario Giuseppe Nania, imputati al processo scaturito dall’operazione Perfido. Insomma due terzi della comunità si è sottratta a certe pressioni, comprendendo che la lista presentata era stata costituita in maniera del tutto opaca dalla maggioranza di governo in consiglio provinciale. Con anche il silenzio complice dell’opposizione, fatta eccezione per il consigliere provinciale del Movimento 5 Stelle Alex Marini”.
È proprio Alex Marini a essersi fatto portatore in Provincia delle istanze dei lavoratori e di chi, da anni, denuncia i metodi mafiosi in Trentino. Il pentastellato ha presentato diverse interrogazioni al presidente del Consiglio provinciale trentino Walter Kaswalder. Solo due nelle ultime settimane. Nella prima si chiede di rendere accessibile ai consiglieri provinciali “la relazione prodotta sul settore del porfido e la banca dati sulle infrazioni rilevate affinché gli stessi possano essere informati sul funzionamento degli uffici provinciali ed esercitare il controllo politico-amministrativo sull’operato del potere esecutivo”. Nella seconda si chiede “una commissione d’accesso antimafia a Lona-Lases” e di “valutare l’ipotesi di attivare un’inchiesta per investigare le problematiche che negli ultimi decenni hanno caratterizzato l’amministrazione comunale di Lona-Lases e i consorzi di cui la stessa è parte”. “Ma non basta – spiega lo stesso Alex Marini a TrentoToday -. È necessario anche avviare un processo di riconciliazione e coinvolgimento della cittadinanza a livello locale, utilizzando strumenti democratici per supportare il lavoro del commissario e procedendo alla nomina di osservatori elettorali in grado di assicurare la supervisione dei processi democratici passati e di quelli in divenire”.
Perché con il sindaco ci guadagnano i cavatori
Dunque secondo l’ex sindacalista e l’esponente del M5s non è che le persone non hanno votato per paura. Non hanno votato perché non si fidano più. Perché non volevano essere amministrate da quelle persone e hanno preferito restare nel limbo piuttosto che votare un sindaco, tornando a far fare affari ai cavatori. Ma perché se si vota il sindaco le cave ci guadagnano? Esiste una legge provinciale, che demanda ai Comuni i controlli e i criteri con i quali vengono calcolati i canoni di concessione delle cave, cioè l’affitto che i proprietari di cava pagano al Comune per estrarre la roccia.
“Noi abbiamo fatto dei calcoli con l’ingegner Pier Domenico Tomasi di Pinè, consulente per le Asuc e abbiamo scoperto che, con il sistema attuale, i concessionari versano mediamente canoni di 4,50 euro al metro cubo – continua Ferrari -. La resa minima di un metro cubo di porfido, al di sotto della quale le operazioni sarebbero antieconomiche, può essere stimata nell’ordine del 35%, per un valore del semilavorato di 73 euro a metro cubo”. Significa che, su un metro cubo di porfido, la parte utilizzabile come semilavorato grezzo, è circa il 35%. Questo 35%, sul mercato, vale circa 75 euro. Gli imprenditori della Val di Cembra pagano allo Stato 4,50 euro per guadagnarne 75 (stima al minimo ribasso). Siamo nell’ordine del 6% di canone. Un vero affare se si pensa che, applicando i parametri europei del settore, i canoni di concessione dovrebbero attestarsi su un valore che va dal 18 al 22% del valore del semilavorato estratto. A conti fatti, su un milione di metri cubi di grezzo estratti all’anno (almeno fino a qualche anno fa) nella valle del porfido, “sono dieci milioni di euro all’anno sottratti legalmente alle amministrazioni comunali con una legge che lascia una falla aperta – ribadisce Ferrari -. Ecco perché il controllo delle amministrazioni comunali è fondamentale”.
Le mani della ‘ndrangheta sulle miniere di porfido
Ed è qui che nasce l’inchiesta dei carabinieri del Ros denominata “Perfido” e coordinata dalla Procura di Trento. Secondo le indagini, gli ‘ndranghetisti si sono presentati nella Val di Cembra con talmente tanti soldi da comprare attività imprenditoriali e quelle che non c’erano se le sono costruite da zero. Ma il cuore degli affari è sempre stato il business del porfido. È in una delle sentenze di primo grado che il giudice scrive come “il primo vero grosso investimento è stato nel 1999, con dodici miliardi di vecchie lire per acquistare la cava Camparta di Meano”. Da lì in poi è proseguita l’opera di contaminazione del tessuto sociale ed economico. “Si è trattato di un lento e silente ingresso nella realtà trentina, sia con attività illecita che con l’inserimento di capitali e con la gestione di attività lecite” si legge ancora nella carte processuali che TrentoToday ha potuto visionare.
Per avere il controllo del porfido, la cosca agiva su due livelli. Uno era quello della violenza e della prevaricazione nei confronti dei lavoratori. Tanto che uno dei capi d’accusa è la riduzione in schiavitù dei lavoratori, costretti a firmare carte in cui attestavano di aver ricevuto stipendi mai versati o picchiati se si ribellavano al sistema. L’altro livello era quello della rispettabilità attraverso cortesi rapporti istituzionali e la contaminazione della politica. Infatti fra gli imputati ci sono i fratelli Battaglia, oggi a processo per associazione di stampo mafioso. Giuseppe Battaglia è stato prima consigliere comunale e poi assessore alle cave dal maggio 2005 al maggio 2010. Il fratello Pietro invece è stato prima consigliere nell’Asuc (Amministrazione separata usi civici) di Lases dal gennaio 2011 e poi consigliere comunale dal 2018. In un processo che si concluderà al termine di una maratona di udienze già fissate dalla Corte d’Assise di Trento.
(da today.it)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile CON L’USO DEI VOUCHER E DEI CONTRATTI A TERMINE AUMENTA IL LAVORO PRECARIO: TIPICO DI UN ESECUTIVO CHE HA SFRUTTATORI ED EVASORI COME PROPRI REFERENTI
Giorgia Meloni ha escluso la possibilità di introdurre un salario minimo
legale. Allo stesso tempo, nel decreto del primo maggio ha ampliato l’uso dei voucher e dei contratti a termine, allargando il lavoro precario. L’economista Andrea Roventini ha spiegato a Fanpage.it perché sono decisioni dannose per l’Italia, e perché Meloni le ha prese.
Oggi, sabato 17 giugno, il Movimento 5 stelle ha lanciato una manifestazione di protesta contro le misure del governo Meloni che aumentano la precarietà del lavoro (i voucher, i contratti a termine) e il lavoro povero, con il rifiuto di introdurre un salario minimo legale. Andrea Roventini, professore di Economia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, ha risposto alle domande di Fanpage.it sul tema, spiegando perché si tratta di una misura che farebbe bene non solo ai lavoratori, ma a tutta l’economia italiana, e perché il governo Meloni ha deciso di non prenderla in considerazione.
Professore, perché si dice che il salario minimo creerebbe problemi?
L’idea sbagliata che si aveva del salario minimo nel secolo scorso, quella che si insegnava fin dai corsi base di economia, era che se si imponeva un salario minimo per legge questo creava disoccupazione, perché solo il mercato poteva stabilire il salario giusto.
E non è così?
Diversi studi empirici hanno dimostrato il contrario – il più famoso è stato sui lavoratori dei fast food negli Stati Uniti, del premio Nobel David Card e di Alan Krueger. Hanno trovato che l’aumento del salario minimo non riduce la disoccupazione mentre aumenta i salari. Questo poi non si applica solo agli Usa: si sono avuti gli stessi risultati in Germania.
Ma funzionerebbe anche in Italia, un Paese in cui c’è un alto tasso di lavoro in nero?
Gli stessi risultati di Usa e Germania si sono riscontrati anche in un Paese a medio reddito come il Brasile. Il lavoro nero e il lavoro povero ci sono anche in Brasile, con tassi elevati, ma il meccanismo è stato lo stesso.
Perché il salario minimo non ha un effetto negativo come si pensava?
Fondamentalmente, i lavoratori si riescono a spostare verso le aziende migliori, che possono pagare salari più elevati. Quindi si ha un effetto positivo anche sulla produttività: le imprese migliori sono quelle che producono di più. Questo è un altro grande tema.
Le imprese?
Il potere delle imprese nel mercato del lavoro. Le più recenti ricerche empiriche in economia hanno riscoperto una cosa che si sapeva, ma che si era in parte dimenticata: i mercati del lavoro sono monopsonisti.
Cioè?
Cioè le imprese hanno più potere dei lavoratori, e questo gli permette di fissare un salario più basso di quello di mercato. Quindi quello che si insegna nei primi corsi di economia, su come si arriva al salario di mercato, nella realtà non funziona perché le imprese hanno il potere di abbassarlo.
Questo potere si può limitare?
Certo! Sono scelte istituzionali. In Italia dagli anni Novanta con le ondate di riforme strutturali del mercato del lavoro – dalla legge Treu in poi – abbiamo indebolito il potere negoziale dei sindacati. Ovvio che questo ha aumentato il potere delle imprese e compresso i salari. Infatti, recentemente il contratto collettivo della vigilanza privata (notoriamente uno dei più bassi in Italia, ndr) è stato rinnovato con aumenti salariali irrisori, nonostante sia stato firmato dai tre sindacati confederali. Ora, si può argomentare sulle responsabilità dei sindacati, ma è certo che i sindacati in questione non hanno il potere di imporre dei salari più elevati. Non c’è il quadro istituzionale che glielo permetta. Anche in questo, il salario minimo aiuterebbe molto.
Quindi l’obiezione “non serve il salario minimo, meglio puntare sulla contrattazione collettiva”, non ha senso?
È uno straw man argument come si direbbe in inglese, un argomento fantoccio. Il salario minimo esiste già in Paesi dove la contrattazione collettiva c’è e i sindacati sono forti, come la Francia e la Germania. Serve per coprire tutti quei settori non coperti dai contratti collettivi, ma anche a dare più potere contrattuale ai sindacati per ottenere contratti collettivi più favorevoli ai lavoratori.
Giorgia Meloni ha detto che introdurre il salario minimo non serve e il governo preferisce ridurre il cuneo fiscale.
Meloni sul salario minimo ha dimostrato di essere ignorante, o in malafede, o entrambe le cose.
Perché?
Perché dice di essere pragmatica, eppure la ricerca economica da parte di tutte le fonti più autorevoli chiarisce che il salario minimo fa bene. Quindi, se lei è pragmatica, dovrebbe introdurlo. Il fatto che non lo voglia fare porta ad altre conclusioni.
Il cuneo fiscale quindi non è una soluzione equivalente?
Sicuramente è una cosa buona tagliare il cuneo fiscale solo a favore dei lavoratori, perché aumenta i salari. Ma ci sono dei problemi.
Quali?
Due principalmente. Il primo è che il salario minimo allo Stato costa zero, invece il taglio del cuneo fiscale costa tantissimo per far avere poche decine di euro di aumento di stipendio. Guardando la questione pragmaticamente, come è meglio spendere la spesa pubblica: tagliando il cuneo fiscale, oppure in istruzione, sanità o con una riforma fiscale di più ampia portata?
E il secondo problema?
È quello che spiega perché Meloni taglia il cuneo fiscale, e perché anche a Confindustria va bene. Di fatto lo Stato si sobbarca una parte dell’aumento dei salari connesso all’inflazione. Dà un beneficio indiretto alle imprese: non aumenteranno i salari, o li aumenteranno molto meno, perché è intervenuto lo Stato.
Quindi, con l’andamento dell’inflazione le imprese avrebbero dovuto aumentare gli stipendi, almeno in parte, ma visto che arriva il taglio del cuneo fiscale non lo fanno, risparmiando soldi che invece ci mette lo Stato?
Sì, è una sovvenzione mascherata alle imprese. E questo porta al modello perverso di sviluppo italiano. Un modello basato su salari bassi e flessibilità del lavoro – quindi lavoro temporaneo e povero – con cui le nostre imprese guadagnano nel breve, ma si disabituano a innovare. Così le aziende italiane finiscono per competere con le economie a medio reddito (e non ad alto reddito come l’Italia, ndr). E in quelle economie ci saranno sempre una flessibilità più alta e un costo del lavoro più basso che in Italia. Quindi nel medio e lungo periodo, le imprese italiane ci perdono e l’economia italiana ristagna. Un salario più elevato e contratti di lavoro stabili invece spingono la formazione dei lavoratori e l’innovazione delle imprese. Ciò aiuterebbe ad aumentare la produttività dell’economia italiana, che non a caso è ferma da trent’anni, da quando abbiamo iniziato a flessibilizzare il mercato del lavoro.
I dati Istat sull’occupazione però mostrano un aumento dell’occupazione negli ultimi mesi, pur leggero. Anche nei contratti a tempo indeterminato. Il governo fa bene a vantarsene?
Secondo me no. Una rondine non fa primavera e questi dati sono molto ballerini. Nei mesi precedenti, i contratti temporanei avevano ricominciato ad aumentare. Ora siamo in una fase di espansione economica, perché dopo il Covid sono arrivate le risorse del Pnrr. Ovvio che quando l’economia cresce è più facile che l’occupazione sia stabile. Ma il trend di fondo è evidente: il Pil italiano è ancora sotto i livelli del 2008, e i salari reali sono fermi da trent’anni. Anche quest’anno, in Italia non ci saranno i rinnovi attesi, e così i salari scenderanno ancora. Quindi non mi sembra un quadro di cui vantarsi.
Il decreto del primo maggio ha agevolato voucher e contratti a termine, ma è stato presentato come una misura che aiuta i lavoratori. È una strategia politica?
È una mossa che mostra bene l’abilità politica di Meloni: inserisce delle misure come l’estensione dei voucher e la liberalizzazione dei contratti a termine sotto il tappeto in un decreto “lavoro” che, in realtà, è contro i lavoratori. Si dà una caramella con il taglio del cuneo fiscale, ma è uno dei maggiori attacchi ai diritti dei lavoratori. È una grandissima operazione di Neolingua.
Quella di Orwell in 1984?
Sì, Jean-Paul Fitoussi l’ha applicata anche all’economia nel suo ultimo libro. Si cambia il significato dei termini, per avallare certe politiche che anni, decenni fa sarebbero state considerate per quel che sono: politiche contro i lavoratori e a favore degli imprenditori, o comunque del blocco elettorale che vota Meloni. Per me l’interrogativo più grande è perché si sentano poche voci contro questo tipo di politiche. C’è un problema serio anche nel rapporto di stampa ed economisti con la politica, non si chiamano le cose con il loro nome.
Qualcuno dall’opposizione ha criticato le misure in questi termini.
Proprio alcuni esponenti dell’opposizione sono parte del problema.
In che senso?
La Meloni ha fatto le ultime riforme, però la precarietà del lavoro l’hanno spinta soprattutto i partiti che dovevano combatterla. In particolare il Pd e le forze di centrosinistra che hanno varato riforme “strutturali” contro i lavoratori come il decreto Poletti e il Jobs Act.
Quindi il problema è più generale?
Il problema è che l’Italia è rimasta bloccata in una cattiva teoria economica, quella degli anni Novanta, che dicevamo all’inizio: il salario minimo fa male, la flessibilità fa bene, eccetera. Questa visione abbraccia quasi tutto l’arco politico, da Meloni a dei pezzi consistenti del Pd. Ormai molti studi sia della Banca d’Italia che del Fondo monetario internazionale – non certo organizzazioni sovversive di sinistra – hanno dimostrato che la flessibilità fa male ai lavoratori e all’economia. È desolante come la politica, gli economisti e parte della stampa ignorino queste indicazioni, ma restino ancorati agli anni Novanta, mentre negli Usa e in Europa si discute di come ridurre la disuguaglianza e introdurre politiche industriali verdi.
(da Fanpage)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile I VOTI ORFANI DI BERLUSCONI ANDRANNO A FDI
Nessuna prospettiva futura per Forza Italia con Giorgia Meloni che può attrarre tutti i voti orfani di Silvio Berlusconi. Roberto Weber, presidente dell’istituto di sondaggi Ixè, propone come al suo solito un’analisi schietta, senza troppi giri di parole. Dopo la morte del fondatore di Fi immagina un declino inesorabile della creatura fondata dal Cavaliere. E non prevede un travaso di elettori verso il centro di Matteo Renzi, anzi parla di una possibilità di «rafforzamento» del governo Meloni.
Dopo la morte di Silvio Berlusconi, cosa accadrà in Forza Italia?
Un primo piano di ragionamento è capire quello che faranno a livello parlamentare con i gruppi, i sottogruppi, insomma tutti questi movimenti, che però hanno un’importanza relativa. Non spostano voti.
E allora in termini di consenso qual è la previsione?
I voti resteranno nella coalizione di centrodestra, quindi non vedo grande futuro per Forza Italia. All’interno di quel partito, per la sua genesi, non si vede nessuno che possa fare quello che ha fatto Berlusconi. Lui è stato punto di gravità. Per intenderci: dopo la sua morte non si intravede nessuno con le qualità per sostituirlo.
Non pensa che Tajani o gli altri possano garantire un futuro al partito?
Nessuno ha la capacità di raccoglierne l’eredità di Berlusconi. Forza Italia andrà verso una progressiva frammentazione del voto, perderà sempre più consensi. Non dobbiamo guardare all’oggi perché siamo sull’onda dell’emozione per la morte dell’ex presidente del Consiglio. Penso che tra qualche mese si vedrà la direzione intrapresa da Forza Italia.
I voti in uscita dagli azzurri dove andranno?
Giorgia Meloni ha una grande occasione. Deve dimostrare intelligenza e sensibilità politica rispetto a questi voti, che attualmente non sono i gli stessi voti di Fratelli d’Italia.
E di che tipo di voto si tratta?
È un voto moderato, inteso come una posizione politica non estrema. Ma anche caratterizzato da una personalizzazione che finora si è fortemente identificato nella figura di Silvio Berlusconi. Per questo Meloni deve fare una proposta politica in grado di attirare questo elettorato.
Non vede invece il rischio di uno smottamento di Forza Italia che potrebbe anche causare grattacapi alla tenuta del governo?
Paradossalmente la situazione attuale rappresenta un rafforzamento per il governo. Se si muovono bene, non c’è proprio alcun esecutivo tecnico all’orizzonte. Basta rassicurare i parlamentari, garantire una prospettiva di governo stabile.
Le sirene di Matteo Renzi o comunque di un’iniziativa al centro non possono attrarre i voti di Forza Italia?
Al massimo possono attirare dei parlamentari, ma i voti delle persone restano nel centrodestra in larghissima parte parte. Berlusconi ha sempre usato toni molto forti contro chi votava a sinistra. In un caso disse “ho troppa stima per l’intelligenza degli italiani per credere che ci possono essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse espressamente”, riferendosi a chi sceglieva la sinistra. Quella distanza, ancora oggi, è forte. Quindi gli elettori di Berlusconi non si possono ritrovare con Renzi. Meloni è destinata a durare, a meno di clamorosi errori.
Nel centrodestra si può però aprire una concorrenza tra Lega e Fratelli d’Italia per spartirsi i voti di Forza Italia…
§La Lega può prendere qualcosina al Nord. Ma non vedo una Lega in fase anticiclica, in grado di risalire in maniera così forte nei consensi. Quel momento storico si è esaurito. Guardo i dati, i risultati elettorali e non scorgo una rimonta. Se Meloni sarà inclusiva, capace di convincere i moderati, si prenderà quei voti.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile INFLAZIONE, DALLA FRUTTA ALLA VERDURA LE FAMIGLIE COSTRETTE A TAGLIARE SULLA SPESA
L’inflazione rallenta a maggio, tornando sui livelli di aprile e attestandosi
al +7,6%. A dirlo sono gli ultimi dati Istat. Che certificano anche una frenata della crescita dei prezzi del carrello della spesa, che però resta su livelli ancora molto più alti dell’inflazione: +11,2%. Proprio i dati sul carrello della spesa, inoltre, sono quelli che preoccupano maggiormente. A spiegare il perché è la Coldiretti, che lancia l’allarme sulle famiglie costrette a tagliare la quantità di cibo.
Sulla base dei dati dell’inflazione dell’Istat (con confronto tra il maggio di quest’anno e quello dell’anno precedente), Coldiretti stima che gli italiani hanno speso tre miliardi in più per mangiare però meno. Per il caro-prezzi le famiglie sono state costrette a tagliare la quantità di cibo acquistato nei primi cinque mesi del 2023. L’inflazione, ancora una volta, colpisce le persone più in difficoltà che fanno fatica anche a fare la spesa e che non ricevono adeguati sostegni contro la perdita del potere d’acquisto, neanche dal punto di vista salariale.
Coldiretti sottolinea alcuni dati riguardanti i prodotti alimentari, sulla base degli ultimi dati Istat sull’inflazione. Gli alimentari lavorati rallentano la loro crescita, passando dal +14% al +13,2%, mentre quelli non lavorati salgono dal +8,4% al +8,8%. I prodotti per i quali i prezzi crescono maggiormente sono i vegetali freschi o refrigerati (da +7,6% a +13,8%).
Questi dati hanno comportato un calo dei consumi domestici di ortofrutta per le famiglie italiane: sono scesi dell’8%, stando alle stime di Coldiretti sui primi tre mesi dell’anno.
Le persone, spiega la Coldiretti, si trovano costrette a tagliare gli acquisti a causa dell’inflazione e vanno invece a caccia dei prezzi più bassi, cercando anche tra diversi punti vendita nella speranza di trovare promozioni convenienti. A risentirne di più sono gli oltre 3,1 milioni di poveri che hanno chiesto aiuto per avere cibo, ricorrendo alle mense o ai pacchi alimentari. In totale sono state 92mila le tonnellate di cibo distribuite nell’ultimo anno. A questo si aggiunge il maltempo che ha messo in ginocchio i produttori agricoli nelle zone alluvionate come l’Emilia-Romagna.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile QUESTA E’ L’ITALIA PER CHI NON L’AVESSE ANCORA CAPITO
“The Borderline” dopo la tragedia della Lamborghini fanno il botto su Instagram: 24 mila follower in più
Ma chi saranno questi nuovi follower dei «The Borderline»? Sì, proprio quei giovani che per girare un video social alla guida di una Lamborghini hanno ucciso un bimbo di 5 anni e ferita la mamma, sono stati in qualche modo «premiati» da 24 mila nuovi «seguaci».
E all’insensata legge che regola l’economia degli influencer poco importa se coloro che i nuovi affacciati al loro profilo volessero o meno solo «guardare in faccia questi pazzi» o se in qualche modo siano stati attratti dalle loro folli gesta. Un seguace in più è un seguace in più, il pollice alzato non è verso, ed è il risultato che conta: ogni follower pesa e guadagna di più chi ha più follower.
Questa è la premessa necessaria. Qui i fatti. Il gravissimo incidente in cui due giorni fa ha perso la vita il piccolo Manuel di 5 anni non solo non ha frenato la crescita social dei «TheBorderline», il gruppo di youtuber che si lanciava nelle sfide più assurde per qualche visualizzazione in più. Anzi, i nomi e le facce dei suoi membri hanno preso a girare talmente tanto su siti, quotidiani e telegiornali che i loro numeri social non hanno fatto che crescere. Fino a raddoppiare su Instagram.
E nonostante da ormai 24 ore Matteo Di Pietro – il giovane alla guida del Suv, ora indagato per omicidio stradale – abbia reso privato il suo profilo, rimosso foto e post tutto ciò non ha impedito a «Dp» (questo il nome d’arte del ragazzo) di guadagnare comunque la bellezza di 15 mila seguaci in soli tre giorni. Il giorno prima dell’incidente era seguito da quasi 30 mila persone, ora ne conta quasi 45 mila.
I fan su Instagram aumentano ma il traffico delle visualizzazioni su Youtube per i «The Borderline» calano. Ma il motivo anche qui non deriva da una messa al bando dei disastri combinati dai medesimi. Il calo dipende infatti, e semplicemente, dalla rimozione di alcuni video dal canale: il loro «marchio» ha comunque perso 5 milioni di views. Non è chiaro chi abbia rimosso i contenuti, se loro stessi o la piattaforma.
Ma un dato che molti ritengono positivo all’orizzonte c’è: sui social già centinaia di utenti chiedono di chiudere una volta per tutte il canale.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile LA DENUNCIA DI CHI CONOSCE BENE I THEBORDERLINE: “VIDEO MONTATI AD ARTE PER I CREDULONI”
Le sfide sui social dei TheBorderline di ore e ore passate alla guida di
macchine potentissime non sarebbero mai state vere. Ne sono sicuri gli amici che dicono di conoscere bene il gruppo di youtuber guidato da Matteo Di Pietro, il 20enne indagato per omicidio stradale dopo l’incidente a Casal Palocco in cui ha perso la vita il piccolo Manuel Proietti di cinque anni.
Secondo il Messaggero che ha sentito alcuni ragazzi vicini ai quattro youtuber, i contenuti del loro canale sarebbero artefatti per fare incetta di like e visulizzazione: «Le challenge del gruppo TheBordeline sono finte», dicono gli amici.
E mentre le indagini passano di mano dalla polizia locale di Roma Capitale ai carabinieri, gli inquirenti continuano a setacciare computer e cellulari alla ricerca di nuovi filmati che chiariscano se i quattro hanno realizzato video mentre sfrecciavano con il Suv Lamborghini Ursus affittato il giorno prima.
Gli amici sono certi che anche per quell’ultima sfida, tutto era stato costruito in modo da far sembrare vero che il gruppo stesse guidando da tantissimo tempo: «Non c’è nulla di vero – dicono al Messaggero – ma quali 50 ore a bordo di un’auto, è tutto finto per tirar su contatti, visualizzazioni, like».
Come funzionava quindi il meccanismo di finzione dei TheBordeline? Secondo chi li conosce bene, gli youtuber «giravano video da caricare a intervalli regolari», così da convincere chi li guardava che stessero guidando da oltre due giorni. Un trucco usato in diverse sfide pubblicate sul loro canale.
Ora i cellulari dei cinque ragazzi sono stati sequestrati, compreso quello della ragazza 20enne che doveva essere accompagnata a casa a 500 metri da dove si è consumata la tragedia.
L’obiettivo degli inquirenti è capire se stessero girando video mentre guidavano, abbassando così inevitabilmente l’attenzione di Di Pietro che era alla guida.
Attesi poi gli esiti degli esami sui due veicoli, che dovrebbero indicare a quale velocità andavano il Suv Lamborghini guidato da Di Pietro e la Smart di Elena Uccello, la mamma del piccolo Manuel.
(da agenzie)
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