Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile INTERVISTA AL MAGISTRATO PAOLO IELO: IL PROCURATORE AGGIUNTO DI ROMA CONTRO LA RIFORMA VOLUTA DAL MINISTRO NORDIO: “I MAGISTRATI NON DEVONO INTERFERIRE CON L’ATTIVITÀ DEI MINISTRI, COSÌ COME I MINISTRI NON DEVONO INTERFERIRE SULL’INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI DA PARTE DEI MAGISTRATI”
Per come attualmente previsto, l’abuso d’ufficio è un reato che
funziona?
L’attuale formulazione è stata introdotta a metà del 2020. Per verificare se funziona, colpendo fatti realmente gravi, credo occorra attendere qualche anno.
I dati parlano di molte indagini aperte ma pochissime arrivate a dibattimento. Perché?
Avviene perché da un lato le persone spesso, quando pensano di aver subito un’ingiustizia, denunciano per abuso d’ufficio, dall’altro perché le procure funzionano bene sul punto e richiedono le archiviazioni, in quanto non ogni illegittimità è reato.
È vero che si tratta di un reato difficilmente dimostrabile e che si presta a strumentalizzazioni?
È un reato che richiede una soglia probatoria molto alta, a tutela dei possibili indagati.
Riconosce le ragioni dei sindaci, che lamentano la paura della firma? Molti primi cittadini raccontano storie di indagini a loro carico con l’ipotesi di abuso d’ufficio per le condotte più disparate. Ne cito una: l’ex sindaco di Pistoia indagato per aver dato l’ok a una manifestazione che prevedeva l’uso di conigli senza il via libera della Asl.
Sul piano generale vi sono state tendenze applicative che hanno inteso il reato d’abuso come una sorta di sanzione penale per la violazione di norme, talvolta anche di principi generali. Questa non era la corretta interpretazione, e l’esiguo numero di condanne ne è la dimostrazione, e comunque oggi la norma è scritta in termini estremamente rigorosi, che poco si prestano a torsioni interpretative. Aggiungo che oggi, per quanto apprendo dal mio lavoro, sono più i magistrati che i sindaci ad essere denunciati per abuso d’ufficio. Vi sono state diversità interpretative, oggi eliminate dalla nuova formulazione del reato. Del resto, quando la norma non è ben scritta si presta a interpretazioni anche molto diverse e questo è un problema anzitutto per i magistrati.
C’è del vero nella posizione di chi ritiene che l’abuso d’ufficio sia un reato ad alto danno d’immagine per l’imputato ma bassissimo impatto penale e che quindi sia un’arma contro la politica?
È vero che essere indagati è un fatto pregiudizievole in sé, almeno sul piano reputazionale, ed è vero che il reato d’abuso fino ad oggi ha generato molte archiviazioni e poche condanne. Tuttavia, dopo la riforma Cartabia, il sistema contiene degli anticorpi, utili a tutelare la sacrosanta esigenza di non essere indagati “a prescindere”. Il comma 1 bis dell’art. 335 del codice di procedura, oggi, impone, per l’iscrizione nominativa nel registro degli indagati l’esistenza di specifici elementi indizianti.
Valorizzando questa novità, e ritenendo che tali specifici elementi indizianti debbano riguardare anche il fatto per cui vi è iscrizione, la possibilità per il decisore pubblico di finire nel registro degli indagati è di molto ridotta. Se si obietta che quella indicata è una interpretazione, superabile da altre uguali e contrarie, basterebbe introdurre tre parole nel comma 1 bis dell’articolo 335 c.p.p. per evitare ogni questione: non è necessario abrogare l’abuso d’ufficio per evitare iscrizioni inutili e dannose.
Alcuni suoi colleghi lo hanno definito un reato spia, il ministro ha risposto che «un reato o c’è o non c’è, non si può andare a strascico». Lei come la pensa?
L’idea dei reati spia mi convince poco. Sono convinto che i reati debbano sanzionare condotte pericolose o dannose. […] Un decisore pubblico, che affidi appalti deliberatamente violando le leggi che impongono gare a un imprenditore perché suo amico o perché a lui vicino politicamente, garantendogli vantaggi economici che non gli spettavano e danneggiando gli altri, commette un fatto grave o no? […] Con l’abolizione del reato d’abuso, i fatti non sarebbero punibili penalmente.
L’argomento dei contrari all’abrogazione è che si rischia l’incostituzionalità per mancato rispetto della convenzione internazionale di Merida. È così?
Secondo il ministro, la convenzione non richiede espressamente l’esistenza di questo reato e il comparto di reati contro la Pa sarebbe sufficiente a rispondere alle previsioni internazionali. Voci numerose e autorevolissime sostengono il contrario.
Parallelamente, il ddl prevede una riscrittura anche del traffico di influenze, con l’aumento della pena minima ma il restringimento del perimetro della fattispecie. È una modifica condivisibile?
L’aumento della pena minima è privo di senso. Non consente l’uso di intercettazioni telefoniche, che in simili casi si rivelerebbero molto utili, e sposta davvero poco. Piuttosto, la riscrittura del reato di traffico d’influenze, ritenuto illecito solo quando sia finalizzato a far commettere un reato, e l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio, normalmente il reato che i trafficanti d’influenze tendono a far commettere, di fatto sterilizzano la portata applicativa della norma. Per effetto di questa riforma, per esempio, se io ottengo 100.000 euro per spingere su un magistrato della Cassazione perché decida in un modo o in un altro, non commetto nessun reato. Non mi sembra una buona cosa.
Quindi l’effetto della modifica di uno e della cancellazione di un altro crea un vuoto normativo?
L’effetto combinato dell’abrogazione dell’abuso e della sterilizzazione del traffico elimina ogni profilo di tutela penale del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti ai poteri pubblici. […] il decisore pubblico individua i settori di allocazione di importanti risorse pubbliche. Prendiamo ad esempio la pandemia Covid, che ha prodotto nuove povertà e nuove ricchezze […] Non è possibile […] che per molte aziende […]la vita […] dipenda dal fatto che un decisore pubblico è tuo amico e, violando la legge, ti faccia un favore che non ti deve fare, oppure dal fatto che tu abbia rapporti con un tizio, che tu paghi, molto vicino al decisore pubblico, che spinge per i tuoi interessi privati in danno di altri. È il via libera a faccendieri, i quali non potranno essere puniti, che in forme opache medieranno interessi privati verso il settore pubblico, anche in aree come quella giudiziaria
Sarebbe stato più saggio, quindi, mantenere l’abuso com’è ora o ci sarebbero modifiche da poter suggerire per andare incontro alle rimostranze dei sindaci?
A mio giudizio la riforma Cartabia rimette le cose a posto e il reato può restare così com’è.
Il ministro ha detto che siamo solo al primo passo e si è lamentato di quella che lui considera una interferenza della magistratura nell’attività del governo. Vuole rispondergli?
I magistrati non devono interferire con l’attività dei ministri, così come i ministri non devono interferire sull’interpretazione delle leggi da parte dei magistrati. Non credo però che svolgere riflessioni critiche, anche costruttive, sia un’interferenza.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile ECCO I DATI DEL LORO SILENZIO SOCIAL, SOVRANISTI CON LA CODA TRA LE GAMBE
“L’Italia non può permettersi un’estate di sbarchi”, twittava il 20 giugno 2022 Giorgia Meloni con l’hashtag #BastaSbarchi. Un anno dopo gli sbarchi aumentano e i suoi tweet spariscono. I primi ad accorgersene sono i follower che seguono i profili social della premier e del suo ministro ai Trasporti, Matteo Salvini. E rinfacciano loro i tweet ruggenti dell’anno scorso, quelli contro gli sbarchi di migranti al grido di “blocco navale subito”. Una lunga sfilza di post che un’estate fa e per tutta la campagna elettorale attaccavano l’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Ma soprattutto tenevano il conto degli sbarchi, cosa che la comunicazione della premier e del ministro ha smesso di fare. Nel frattempo gli arrivi registrati nei primi cinque mesi del 2023 sono i più alti dal 2017. A parte la leggera flessione di maggio, quando le condizioni meteo hanno ridotto le partenze, dall’inizio dell’anno gli arrivi via mare hanno sempre superato quelli dello stesso periodo del 2022, anno che si è chiuso con 105 mila sbarchi. Ma gli account dei leader, come quelli dei rispettivi partiti, hanno perso la favella. Scorrendo a ritroso i loro profili, le parole sbarchi, clandestini e blocco navale sono praticamente sparite.
Analizzando le interazioni Facebook degli ultimi 12 mesi sui profili di Meloni, Salvini, Fratelli d’Italia e Lega, utilizzando come parola chiave “sbarchi” emerge con evidenza l’intensa attività dell’anno scorso e fino alle elezioni del 25 settembre. E in modo altrettanto evidente l’appiattimento successivo, una linea orizzontale con piccoli e brevi sussulti solo in occasione dello scontro con la Francia ai primi di novembre 2022 e a marzo di quest’anno, nei giorni del varo del decreto Cutro seguito alla tragedia del naufragio sulle coste calabresi. Niente più conta degli sbarchi, insomma. Stessa cosa cercando “blocco navale”. Anzi, peggio. La promessa elettorale, venduta dalla Meloni come “unica soluzione per fermare l’immigrazione clandestina” è sparita dai radar. Dopo l’insediamento del nuovo governo, i grafici delle interazioni Facebook si appiattiscono anche cercando immigrazione clandestina o clandestini, mentre l’anno scorso non mancava settimana senza che i nostri ricordassero ai loro follower che l’hotspot di Lampedusa scoppiava, che l’Europa non faceva la sua parte e che al Viminale c’era un’incapace. L’insistenza sulla ministra del governo Draghi era tale che a un certo punto l’interessata sbottò con Salvini: “Ce lo dica lui cosa dobbiamo fare, accettiamo consigli”.
Andiamo con ordine. Sul blocco navale c’è poco da dire. Già a pochi mesi dall’insediamento del suo governo la Meloni ha smesso di parlare della “soluzione europea in accordo coi pesi del Nord Africa”. Altro tema che pareva irrinunciabile per Lega e FdI era l’Europa che non si prende i migranti. Invece hanno rinunciato anche a quello: sui social non c’è traccia e lo stesso ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha detto di recente che “continuiamo a non contare” sulla solidarietà europea. Lo stesso Piantedosi che nei mesi scorsi ha dovuto dichiarare l’emergenza “tecnica” per spostare i migranti dal centro di Lampedusa perché “al collasso”. Solo un anno fa Salvini avrebbe tuonato chiedendo le dimissioni del governo. Stavolta no, perché al governo ci sta lui e pazienza se a marzo sono arrivate 13.267 persone rispetto alle 1.300 del marzo 2022 e il mese successivo 14.507 contro le 3.929 dell’aprile 2022. A maggio il dato è di poco inferiore: 8.154 quest’anno, 8.720 l’anno scorso. Tanto che la premier, in una conferenza stampa senza le domande della stampa, si dichiara soddisfatta per “l’ottimo lavoro di Roma e Tunisi”. Ma dimentica il meteo e i cicloni subsahariani che hanno sferzato il Mediterraneo centrale quasi per l’intero mese. Poi torna il bel tempo, gli sbarchi e il silenzio dei nostri governanti. Al 15 di giungo il cruscotto del Viminale segna 55.662 sbarchi da inizio anno, con il dato parziale del mese a quota 5.307. Nell’intero mese di giugno 2022 gli arrivi erano stati 8.152.
I numeri sono quelli ufficiali e sui social rimbalzano troppo in fretta perché i follower di Meloni e Salvini non se ne accorgano. E glieli rinfacciano senza troppi giri di parole: “Non parlate più di sbarchi, eh?”. Il blocco navale, che in un tweet della Meloni del marzo 2022 erano solo “questione di volontà, cara Lamorgese”, ormai è ridotto a una barzelletta. A menzionarlo è solo chi chiede conto della propaganda ossessiva dell’anno scorso, quando a ridosso delle elezioni l’hashtag macinava decine di migliaia di interazioni in pochi giorni mentre nel 2023 è scomparso del tutto. Estate rovente, quella del 2022, anche per i tweet di Salvini che a luglio usa la parola “sbarchi” in 15 post, uno ogni due giorni. Nel 2023 gli sbarchi aumentano del 158% rispetto al 2022 ma la voglia di twittare di Salvini viene meno. Bei tempi quando rivendicava di aver azzerato gli sbarchi coi suoi decreti, tacendo l’effetto decisamente più consistente e duraturo del discusso memorandum con la Libia, quello firmato nel 2017 dal governo Gentiloni. Quando era al Viminale, nel 2019 Salvini impose divieti e limitazioni alle navi delle Ong, che già allora sbarcavano circa il 10% di chi arriva via mare. Lo stesso che cerca di fare il governo Meloni, coi risultati che sappiamo. “Ne arrivano a migliaia e chi può non muove un dito”, twittava il leader leghista esattamente un anno fa, il 17 giugno 2022. Parole identiche a quelle che si sente rivolgere oggi, ministro della Meloni, anche da qualche suo elettore. Che su Twitter gli domanda: “Dove sono finiti i tweet sugli sbarchi?”. O peggio, lo insulta e poi lo sferza: “Siete peggio del Pd, non vi voto più”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile NIKO GARGIULO, NOTO COME “NIKOLAIS”, 145 MILA FOLLOWER SU YOUTUBE: “IL CASO DEI THEBORDERLINE HA EVIDENZIATO LA PERICOLOSA SCONNESSIONE TRA MONDO REALE E SFERA VIRTUALE, LA MANCANZA DI MATURITA’ NEL GESTIRE UN POTERE ENORME”
Esiste un modo per arginare in modo rapido e definitivo
l’esplosione di video di sfide pericolose, vietare che possano diventare una fonte di guadagno. Ne è convinto Nikolais, nome per la rete di Niko Gargiulo, 27 anni, youtuber e vlogger da 145mila follower su YouTube.
Il problema sono le sfide, quelle che in rete vengono definite challenge?
«Il problema principale è che ci sono personaggi che si ritrovano ad avere un potere enorme. Con un video puoi arrivare a tutto il mondo. Però per realizzare contenuti “ingaggianti” e generare visualizzazioni si ispirano a personalità come MrBeast specializzato in challenge estreme e, in alcuni casi, purtroppo pericolose. Siamo creator e influencer ma veniamo anche influenzati da tante cose che vediamo in giro per la rete. Se non abbiamo la maturità necessaria per elaborarle la nostra attività diventa pericolosa».
Diventa anche redditizia. Si può guadagnare senza mettere a rischio la vita degli altri ma anche la propria?
«Io faccio questo lavoro seriamente da 4 anni e in modo amatoriale da 10 anni. Ho iniziato che ero un ragazzino, ho assistito al passaggio dalla fase in cui si facevano video per passione a quella in cui sono diventati una fonte di guadagno. C’è stato un cambio totale dei contenuti e l’arrivo di tante persone alla ricerca di un modo facile di facile per fare visualizzazioni e quindi guadagni. Non esiste solo quel modo, però, ci tengo a puntualizzarlo. Si può essere uno youtuber in modo professionale, vivere di questa attività e avere dei contenuti positivi».
In questi giorni, però, i social sembrano una maionese impazzita. Tante persone estranee alla vicenda stanno provando ad approfittarne pubblicando meme, commenti e immagini pur di strappare la loro fetta di visualizzazioni e like.
«C’è un problema molto più ampio, riguarda tantissimi bambini, poi diventati ragazzi, cresciuti con un cellulare in mano e senza il controllo dei genitori. C’è in molti casi una sconnessione tra realtà e video come hanno dimostrato anche gli youtuber coinvolti nel video della Lamborghini. Quando si è in rete si ha un potere enorme ma bisogna sapere che si deve avere anche una grande responsabilità. È una questione di maturità».
Anche su YouTube esistono dei filtri. Non sembrano molto efficaci, però.
«YouTube prevede diversi filtri per segnalare qualcosa di pericoloso ma spesso il titolo è fuorviante, riesce a aggirare i controlli. Un titolo come “50 ore in un’auto”, per esempio, non crea allarme. Il punto è che i contenuti non vengono visti da un essere umano ma da un algoritmo ed è inevitabile che sia così, bisognerebbe assumere palazzi di persone per controllare tutti i video che vengono caricati. I controlli però vanno comunque potenziati, semmai servendosi dell’intelligenza artificiale» [
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile DOVRA’ BRUCIARE I RAPPORTI CON IL POST-FASCISMO CHE L’UE DETESTA (BYE BYE AGLI SPAGNOLI DI VOX, I POLACCHI DEL PREMIER MORAWIECKI, GLI UNGHERESI DEL FILO-PUTINIANO ORBAN), MANDARE AL MACERO LA FIAMMA DEL MSI E INDIRE UN CONGRESSO PER FONDERE FDI E FORZA ITALIA
Antonio Tajani trema davanti a ciò che resta di Forza Italia senza Silvio Berlusconi. Un partito che non ha mai fatto un congresso in vita sua, sbrindellato da lotte intestine, con quel mistero gaudioso di Marta Fascina “senza ruoli formali” che ha dichiarato guerra a quella consistente minoranza capitanata dalla triade Ronzulli-Mulè-Cattaneo che, da parte sua, digrigna la dentiera avvelenata quando vede la Ducetta.
Da parte sua, Giorgia Meloni è nervosissima. E’ consapevole che, tra Pnrr e Mes e guerra dichiarata al deep state italico ed europeo, ha davanti a sé un anno terribile perché decisivo per il suo sogno di diventare la Merkel del terzo millennio. Intanto, fino alle elezioni europee di giugno 2024, ognuno resta al suo posto, dato che il sistema elettorale è totalmente proporzionale e ogni partito fa il suo gioco.
Dopo il voto, si aprono davvero nuovi orizzonti politici. L’obiettivo di Meloni è la trasformazione di Fratelli d’Italia in un partito conservatore, e per raggiungerlo deve portare a termine una seconda svolta (dopo quella di Fiuggi di Gianfranco Fini che buttò al cesso il Msi con i riferimenti ideologici al fascismo al fine di qualificarsi come forza politica legittimata a governare).
Una seconda svolta che deve, prima di tutto, bruciare i rapporti di Fratelli d’Italia con il post-fascismo che l’Unione Europea detesta. Quindi la Meloni deve rompere i ponti con gli spagnoli di Vox, i polacchi del primo ministro Mateusz Morawiecki, gli ungheresi del filo-putiniano Orban (che tratta Giorgia pure con sufficienza). E per assecondare il presidente del PPE Manfred Weber, la fanciulla deve fare un altro sforzo: mandare definitivamente al macero la fiamma del Msi che brilla ancora nel simbolo del partito.
Portato a termine lo sbiancamento del partito, occorrerà apparecchiare un bel congresso per fondere Fratelli d’Italia e quello che resta di Forza Italia. A quel punto, per la Ducetta sarà un percorso in discesa entrare nel Partito Popolare Europeo.
Anche perché l’ex Gabbiano di Colle Oppio ha capito che, durante la sua ascesa al trono di Regina d’Europa, l’Italia non può permettersi di avere troppi cannoni puntati, a partire dai liberali di Macron ai socialisti di Scholz.
Ecco perché in Meloni ed ex camerati è sbocciata l’ipotesi, fino a ieri considerata impossibile, di sostenere la riconferma della “maggioranza Ursula”, con un secondo mandato per la Von der Leyen. Un’alleanza che è decollata con il recente viaggio in Tunisia del tandem Giorgia-Ursula)
Una strategia supportata anche dal fatto che Weber ha compreso che, tra Cdu e Csu, le sue chance di prendere il posto di Ursula sono sotto zero. Ma soprattutto sorretta dall’analisi che, una volta fatta fuori la filiforme signora tedesca, si aprirebbe il vaso di pandora per la successione tra spagnoli e francesi. Scontro che non avverrebbe con una riconferma della pupilla di Angela Merkel.
Ma prima della volata delle europee, la premier della Garbatella deve gestire l’imponderabile, vale a dire Matteo Salvini. E’ e sarà la sua spina nel fianco.
Nervosissimo per i sondaggi che registrano una Lega al ribasso sull’onda emotiva della scomparsa di Berlusconi, il leader Carroccio è difficilissimo da gestire dopo che la tosta Giorgia non gli ha dato alcuna assicurazione sul passaggio in Parlamento dell’autonomia differenziata. E qualcosa succederà, magari con l’arrivo dell’estate potrebbe ritornare la sindrome del Papeete…
(da Dagoreport)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile UN EX DIRETTORE DEL PARCO ADDA NORD MILANO, CHE AVEVA USATO UNA PROCEDURA DI MOBILITÀ DEL PERSONALE PER FAR LAVORARE CON SÉ L’AMANTE, È STATO CONDANNATO A 2 ANNI E 11 MESI PER TURBATIVA D’ASTA E ABUSO D’UFFICIO… CON LA RIFORMA NORDIO, I GIUDICI NON AVREBBERO POTUTO PUNIRLO
Una sentenza della Cassazione, depositata tre giorni fa (dopo
udienza il 10 maggio) in tema di favoritismi all’amante in un ente pubblico, fa impallidire gli argomenti preferiti dal ministro della Giustizia del governo Meloni per argomentare il ddl Nordio: l’abuso d’ufficio come reato evanescente da cancellare, l’esistenza di tante altre norme di tutela anche dopo che lo si sarà abrogato, la barbarie delle intercettazioni sui terzi e nella vita privata.
E in più, siccome addita ai magistrati l’impossibilità (per contrasto con il principio di tassatività della norma penale) di estendere il reato di turbativa d’asta ai concorsi universitari truccati (come ad esempio invece fatto da pm e gup nel recente rinvio a giudizio a Milano dei rettori della Università statale, Elio Franzini, e del San Raffaele, Enrico Gherlone), fa risaltare il vuoto di tutela che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio aprirebbe.
Un ex direttore del Parco Adda Nord Milano, che aveva usato una procedura di mobilità del personale in Comune per far lavorare con sé l’amante, nelle sentenze di merito era stato condannato a 2 anni e 11 mesi su richiesta del pm Giovanni Polizzi per turbativa d’asta (nello sviamento delle procedure), e un per abuso d’ufficio (per aver violato l’obbligo di astenersi).
La Cassazione premette che la stabile relazione sentimentale tra i due è stata correttamente «ritenuta provata» dalla Corte d’Appello «con motivazione certamente non illogica» in base all’«inequivoco contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate tra i due, nell’ambito delle quali lei lo chiama “amore mio” facendo altresì riferimento al loro “centoventesimo anniversario”».
E la violazione dell’obbligo di astensione nei confronti dell’amante è abuso d’ufficio, conferma la Cassazione, anche dopo la riforma che già nel 2020 ne ha pur ristretto i confini.
Quanto al reato che sanziona chi «turba le gare nei pubblici incanti» […] «tra esse — è la novità della sentenza della VI sezione di Cassazione, estensore Enrico Gallucci, presidente Giorgio Fidelbo — non possono rientrare le procedure di mobilità del personale o i concorsi per l’accesso ad impieghi pubblici», perché l’estensione della turbativa d’asta «a procedure che non concernono l’acquisizione di beni e servizi da parte della Pubblica amministrazione eccede in modo evidente l’ambito dei significati attribuibili alla nozione di gara utilizzata dal legislatore», e dunque si scontra con «il principio di tassatività e determinatezza delle fattispecie penale».
Allora il funzionario pubblico che sistemi l’amante, o il professore che trucchi il concorso universitario, possono farlo impunemente? Ma no, «nell’abuso di ufficio sono ricomprese le condotte del pubblico ufficiale che abbia intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecato ad altri un danno ingiusto», tranquillizza la Cassazione. Con considerazione ora però paradossale alla luce della volontà del governo di abolire il reato.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile INTERESSATO SOLO IL 6,4% DEI PERNOTTAMENTI
Appena il 6,4%. Questa è la percentuale di pernottamenti negli alloggi per soggiorni brevi che verrebbe eliminata se il disegno di legge proposto dalla ministra al Turismo Daniela Santanchè dovesse passare così com’è ora. Il fulcro della questione è il cosiddetto minimum stay, il periodo di permanenza minima, che diventerebbe di due notti. Secondo i calcoli di Aigab, l’associazione italiana dei gestori affitti brevi, solo poco più di 6 alloggi su 100 verrebbero impattati dalla riforma. Un numero modesto che rischia di non avere ricadute sostanziali sulla destinazione d’uso degli appartamenti, e quindi nemmeno sul prezzo degli affitti. Il campione analizzato include oltre 300 mila prenotazioni registrate nel 2022, in 10 mila immobili.
Soggiorno minimo di tre notti?
Discorso molto diverso se il soggiorno minimo salisse a tre notti. In quel caso ad essere interessato sarebbe il 25% delle prenotazioni. Se la perdita del giro d’affari è stimata attualmente a 300 milioni di euro, con la regola delle tre notti si salirebbe a 1,6 miliardi, calcola il Sole 24 Ore. Perdita, per altro, che secondo Aigab non riuscirebbe ad essere assorbita dal settore alberghiero. La stragrande maggioranza dei pernottamenti di una sola notte, infatti, si verifica in caso di grandi eventi (spesso concerti, manifestazioni sportive, fiere) dove in tutte gli alloggi disponibili – alberghieri e non – vengono prenotati.
I numeri
Ad ogni modo, la percentuale di turismo mordi e fuggi cambia considerevolmente da città a città. Se Bologna (7,43%), Firenze (6,93%), e Roma (5,2%) sono tutte intorno alla media, Venezia (9,1%), Genova (11,7%), Napoli (14,24%) e Milano (16,74%) vanno ben oltre. A portare in alto i numeri di queste città sono è la loro attrattività per viaggi di lavoro, soggiorni ospedalieri e universitari, oltre a festival ed eventi che si svolgono tra sabato e domenica.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile GLI ELETTORI DI FRATELLI D’ITALIA COSA PENSANO? NON VOGLIONO LA SVOLTA MODERATA E NON CONDIVIDONO L’IDEA CHE, AL PARLAMENTO EUROPEO, FDI SI AVVICINI AL PPE
Con la scomparsa di Silvio Berlusconi il campo politico di
centrodestra, caratterizzato dalla quadruplice anima liberista, patriottica, primatista e popolar-moderata è a un ulteriore punto di transizione. Allo stato attuale si possono osservare solo alcune linee in fieri e gli effetti che potenzialmente possono avere sul corpo elettorale di riferimento.
Una prima linea di trasformazione è quella legata al possibile avvicinamento del partito di Giorgia Meloni ai popolari europei. Come verrebbe accolta dall’elettorato tale prospettiva? Per ora piuttosto freddamente, con una quota di elettori esplicitamente contrari, una pattuglia di entusiasti e una maggioranza che guarda all’ipotesi con circospezione.
Solo l’8,9 per cento degli elettori di FdI ritiene indispensabile il processo di avvicinamento al partito popolare europeo, mentre il 32 per cento è schierato nettamente contro.
La maggioranza, il 40,1 per cento degli attuali elettori di FdI, osserva l’ipotesi con una certa freddezza (la restante quota del 19 per cento per ora non si è formata ancora un’opinione).
A che cosa è dovuta questa prudenza? L’adesione di FdI al Partito popolare europeo, per il 44 per cento degli attuali supporter meloniani, sarebbe un processo di eccessiva centrizzazione del partito, un avvicinamento eccessivo ai vari potentati europei, con conseguente riduzione della peculiare distintività.
Il processo di maggiore moderazione centrista del partito di Meloni genera inquietudini, soprattutto, in quella parte dell’elettorato di centrodestra refrattario alle mediazioni, sempre alla ricerca di soluzioni puriste e prese di posizione nette e non ondivaghe.
Un’altra linea di trasformazione è quella relativa al corpus identitario del centrodestra complessivamente inteso. Un animus che ha già subito e continuerà a vivere una transizione interna. Dalle elezioni del 2013 in poi un’ampia parte dell’elettorato di centrodestra si è distaccata dai lidi del liberismo aziendalista berlusconiano, dai tratti più marcatamente moderati e centristi dell’identità di Forza Italia
Il timore che la compagine, nel post era Berlusconi, si sbilanci troppo a destra coinvolge solo una minoranza degli elettori di centrodestra: l’11 per cento dei supporter di FdI; il 35 per centro della base della Lega e il 34 per cento nel blocco elettorale di Forza Italia. Un rischio che è più avvertito nel ceto medio (35 per cento), rispetto ai ceti popolari (22 per cento); nei ceti dirigenti (36 per cento), rispetto ai disoccupati (19 per cento).
Pur permanendo uno spazio al centro di questa compagine, il mutamento nel corpus identitario del centrodestra è andato avanti, riducendo lo spazio centrale di questa area, ma, al contempo, rendendolo anche poco aggredibile, per ora, dalle sirene di quanti provengono da altre tradizioni e traiettorie politiche.
La fluidità interna al centrodestra, con il passaggio di voti da un partito all’altro, è sempre alta e non deve far dormire sonni tranquilli ad alcuno.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile “NEL 1989, BRUXELLES E WASHINGTON SI ILLUDEVANO DI AVER CANCELLATO LA CORTINA DI FERRO, MENTRE LE CAPITALI DELL’EST SAPEVANO BENE CHE LA STAVANO SOLO SPOSTANDO E CHE LA RUSSIA AVEVA CONTINUATO A PERCEPIRE IL COLLASSO DEL SUO MONDO COME UN’UMILIAZIONE E UN’INGIUSTIZIA”
Per anni, nei discorsi che se ne facevano – non spessissimo – in Europa, erano rimasti “i Paesi dell’Est”. Una definizione geograficamente e politicamente confusa, ma sottilmente sprezzante, che infilava mondi diversi in un unico pregiudizio di nomi impronunciabili, storie sanguinose, confini mobili, povertà infelice e memoria cancellata.
Era la “nuova Europa”, come l’aveva definita gelidamente Jacques Chirac, la metà perduta del continente, recuperata malvolentieri oltre la cortina di Ferro dopo la caduta dell’Urss. Per molti nella “vecchia Europa” i Paesi dell’Est, erano apparsi più un problema che una soluzione Quando l’invasione russa in Ucraina ha fatto ripartire violentemente le macine della storia, pochi hanno avuto il coraggio di ammettere che la “nuova Europa” aveva avuto ragione e visto lontano. E che per capire l’Est bisognava osservare il mondo come lo si vede da Praga e Kyiv, Varsavia e Budapest, Minsk e Belgrado.
Quello che ha fatto Micol Flammini, la giornalista del Foglio che l’Europa Orientale l’ha vissuta, studiata, sperimentata, che ne parla le lingue e ne ha ascoltato le voci. Nel suo primo libro La cortina di vetro (Mondadori), ci sono le storie dell’Est che ha raccontato per anni, e il fallimento della “nuova Europa” che non è riuscita a trasmettere all’Occidente quel “senso d’urgenza” di fronte a un Cremlino “vorace e invasivo”.
Nel 1989, «Bruxelles e Washington si illudevano di aver cancellato la cortina di ferro», mentre le capitali dell’Est «sapevano bene che la stavano solo spostando» e che l’obiettivo, in questa tornata della storia, era di «non finire mai più dall’altra parte». La Russia aveva «continuato a percepire il collasso del suo mondo come un’umiliazione e un’ingiustizia, afflitta da una nostalgia che nessun altro pezzo dell’ex Urss provava
Ora che la propaganda di Mosca rivendica come “territori storici” l’Ucraina, la Polonia e il Baltico, Flammini ricorda agli appassionati di “geopolitica” convinti che i “Paesi dell’Est” siano condannati a essere eterne pedine del risiko tra Russia e Germania, come la liberazione dell’Europa Orientale fosse stata anche una rivolta anticoloniale. L’impero sovietico era stato messo in crisi dalla protesta di Solidarnosc come dalla “rivoluzione canora” dei baltici, con la catena umana che aveva visto centinaia di migliaia di lettoni, lituani ed estoni prendersi per mano il 23 agosto 1989.
La premier estone Kaja Kallas, una delle più strenue alleate dell’Ucraina che combatte, è nipote di dissidenti deportati in Siberia, mentre alla guida della cancelleria di Putin c’è Anton Vajno, il nipote del leader comunista che aveva consegnato la libertà dell’Estonia a Mosca. Flammini parla di «popoli imperdonabili e popoli perdonati», di un processo di elaborazione che non propone di «dimenticare il male», ma di capire che «le nazioni possono cambiare, che la storia può ammettere un’evoluzione». A condizione di conoscerla e di «assumersene la responsabilità».
(da La Stampa)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile IL COMUNE QUERELA IL CANTANTE: “SONO STATI I COMMERCIANTI AD ANNULLARE IL CONCERTO, NON L’AMMINISTRAZIONE CHE NON E’ MINIMAMENTE COINVOLTA NELL’ORGANIZZAZIONE DELL’EVENTO”
Rischia di finire in tribunale la polemica tra Povia e il Comune di
Sulmona, dopo che il concerto del cantante previsto per il prossimo 6 luglio è stato annullato.
Una decisione presa dai commercianti che avevano ingaggiato l’artista dopo le durissime polemiche scoppiate sui social e le contestazioni nei confronti del cantante per le sue posizioni espresse in passato sul Covid e la comunità Lgbtq.
Povia però è convinto che sia stata l’amministrazione comunale ad annullare la sua esibizione, parla di un fantomatico «sistema ideologico imposto», e sul suo profilo Facebook lancia una serie di accuse: «Il Comune crede che possa succedere qualcosa per motivi di ordine pubblico e ti annulla il concerto – tuona il cantante nel video pubblicato sul suo profilo – Io canto e non ammazzo la gente. Se l’istituzione si prende paura del nulla e si fa intimidire da quattro critiche, non solo gliela dà vinta a questi quattro beoti ma subisce quell’atteggiamento comunque mafioso perché per paura viene portato ad annullare l’evento. Se è cosi un’istituzione, parlo in generale, deve cambiare mestiere».
Da parte sua il Comune di Sulmona non esclude di querelare il cantante per diffamazione dopo le accuse lanciate nel video. E chiarisce che per l’organizzazione del concentro l’amministrazione comunale non ha avuto alcun contatto con gli artisti coinvolti, né si è occupato dei loro ingaggi, «né nello specifico ha disposto, non avendone titolo, l’annullamento dell’ingaggio del cantante Povia».
(da agenzie)
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