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LA DESIGNER FRIDA GIANNINI: “CON L’OMAGGIO A BERLUSCONI CI SIANO FATTI RIDERE DIETRO DAL MONDO”

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

“PER FALCONE E BORSELLINO NON FU PROCLAMATO IL LUTTO NAZIONALE E PER BERLUSCONI SI’?

È raro che si conceda alle interviste. Frida Giannini è una donna così. La volta prima la incontri mentre sta riordinando i suoi disegni, “mi è venuta l’idea per un libro sulle mie due passioni: moda e musica”. Il mese dopo sta organizzando una gara di solidarietà tra le mamme di Monteverde, il quartiere dove è nata, cresciuta, tornata. Quello dopo ancora è pronta a salire sul carro del Gay Pride di Roma, o ad accogliere una studentessa afghana. Frida è così. È andata via dalla moda prima che arrivasse, anche lì, la dittatura di social e influencer. E ha deciso di prendersi un time-out per “mettersi a disposizione” – lei con la sua preziosissima agenda di amici e contatti, da James Franco a Beyoncé e Madonna – a partire dalla difesa dei diritti. Ecco perché l’elezione di Lorenzo Fontana a presidente della Camera, “un talebano che ci vuole riportare indietro di 50 anni”, l’ha fatta scaldare. Ma è con la commemorazione di Silvio Berlusconi che, secondo la nota designer, “abbiamo raggiunto il top”.
Da cosa nasce la sua indignazione?
Sono riusciti a spaccare un’altra volta il Paese, incensando un uomo divisivo che per linguaggio, politiche, condotte imprenditoriali, comportamenti privati ci ha fatto vergognare agli occhi del mondo per trent’anni.
Lei si inscrive dunque in quel 42% di italiani contrario al lutto nazionale.
Il governo è riuscito a rendere più profonda la frattura che Berlusconi aveva creato. Il lutto nazionale è stato storicamente riservato a politici e personalità che hanno contribuito al bene del Paese e in cui l’intera nazione si riconosce. Le sembra il caso? I giudici Falcone e Borsellino, i loro agenti di scorta, non l’hanno avuto. Sandro Pertini, neanche. Come Aldo Moro: ricordo benissimo il giorno in cui fu ritrovato il corpo… ero sulle spalle di mio padre, in una traversa di via delle Botteghe Oscure.
Ha raccontato di essere cresciuta col busto di Lenin in casa: Berlusconi l’avrebbe chiamata “pericolosa comunista”.
Mio padre mi portava con lui alle manifestazioni: ero piccola, pugnetto chiuso e bandiera rossa, ma non capivo niente. Lui sì era comunista, fino al midollo. Ricordo le litigate per convincermi ad andare a votare… Quello che sono, il senso civico fortissimo con cui sono cresciuta, lo devo alla mia famiglia. Anche per questo provo oggi un profondo disgusto.
Suo padre architetto comunista, sua madre professoressa d’arte e femminista.
A casa il rispetto per la legge è sempre venuto prima di tutto, non a caso nella mia vita ho pagato un prezzo per aver rifiutato compromessi e l’illegalità di certe pratiche diffuse in alcune grandi aziende, tipo ‘per risparmiare sui costi sposta la residenza fittiziamente in Svizzera’… È normale che in famiglia guardassimo a Silvio Berlusconi come a un uomo entrato in politica per farsi i fatti suoi. Ma certe cose sono storia: non stiamo parlando di orientamenti, o di destra e di sinistra… Negli anni, quando mi intervistavano, dal Financial Times a Vogue America, tutti mi chiedevano, Anna Wintour compresa, come facessimo ad avere un capo del governo del genere.
E lei?
Rispondevo di non averlo mai votato. I suoi elettori erano fantasmi, solo che poi rivinceva le elezioni e dall’estero mi dicevano: ‘Qualcuno l’avrà votato’. Alla fine Berlusconi è uscito di scena facendoci passare ancora una volta per un Paese di cretini, pure senza memoria. Il giorno dopo la sua morte su molti giornali non c’era una riga su Ruby Rubacuori!
Perché, secondo lei?
In Italia se una persona è morta non se ne può parlar male. E poi non aver risolto il conflitto d’interessi ha avuto come riflesso la creazione di un blocco di potere, un monopolio di fatto, tra giornali e tv. È stato il funerale dell’ipocrisia. Quando ho visto arrivare Schlein ho proprio spento l’iPad.
Non le piace nemmeno Elly Schlein?
In partenza non mi dispiaceva, anche per il suo coming out. Io mi sono sempre battuta per i diritti Lgbti+, con associazioni importanti e non, e oggi supporto la Rete Lenford per un progetto contro le discriminazioni. Ma quando me la sono vista ai funerali di Berlusconi, ho pensato: è una pagliaccia. Ti batti per rendere più civile questo Paese, per i matrimoni egualitari, per le famiglie arcobaleno e poi vai al funerale dell’uomo dei Family day?
Ha detto di “aver portato rispetto al funerale, ma di non partecipare alla beatificazione”.
Ma ha aggiunto che in questo momento serve “equilibrio”. Ma quale equilibrio? Serve buon senso e coerenza. Berlusconi ha dato il seme, la linfa e lo spazio politico alle spaccature che viviamo e che vivremo sempre più. Ha annullato il concetto di laicità dello Stato, nel senso inteso dalla Costituzione. Anche rispetto a scelte intime e dolorose della persona, dall’aborto alla fine-vita. Chi firmò la legge su Eluana Englaro? Chi ha portato al governo per la prima volta Eugenia Roccella? Poi ci si chiede perché il popolo dell’astensionismo diventa il primo partito. Io le ultime due volte non ho votato.
Ecco il qualunquismo di sinistra.
Con Berlusconi abbiamo scoperto – a spese nostre – quanto i presunti liberali di centrodestra fossero conservatori proprio sulle libertà individuali e collettive. E tu, Schlein, vai a porgergli l’ultimo saluto? Giusto è stato partecipare al funerale di Flavia Franzoni, la moglie di Romano Prodi, che con discrezione si è spesa davvero per gli altri e per il bene comune. Ma se ti opponi a questo governo, devi essere coerente. Anche perché Meloni non ha fatto altro che infilarsi nel solco tracciato da Berlusconi. Vuole conservare – lo fa scientificamente – un modello politico che allontana sempre più le persone dal senso civico e dall’impegno per la difesa dei diritti. Guarda cosa stanno facendo ai bambini delle famiglie arcobaleno… Questa è l’eredità che ci ha lasciato Berlusconi: Salvini, Meloni… Sto leggendo un compendio molto carino di Virginia Woolf, uscito in America. Una donna che, nel 1915 o nel 1918, diceva delle cose di una lucidità… E noi nel 2023 stiamo ancora discutendo della legge sull’aborto. Mah…
Ha conosciuto Berlusconi?
Ho conosciuto mezzo mondo, ma lui proprio no! Sarei stata curiosa… Ho invece incontrato Veronica Lario, una donna molto intelligente, per quanto abbiano tentato di farla passare per una squilibrata.
Di Berlusconi e le donne si è scritto e detto molto. Lei ha lavorato ad altissimi livelli nella moda, luogo per eccellenza di mercificazione del corpo femminile. È d’accordo con Ida Dominjanni che affermò che “Berlusconi non è stato portato dalla cicogna”?
Berlusconi ci ha inondato, con decenni di egemonia televisiva a colpi di format tipo Non è la Rai, di immagini fuorvianti e diseducative delle donne. Ma questo non succedeva solo in Italia. E non solo in tv. Pensi al sessismo nella moda: ai tempi miei era un mondo in cui le donne si contavano sulle dita di mezza mano. Casi come il mio erano rari. Adesso ancor di più. Donatella Versace con il nuovo fondo è rimasta in piedi per contratto, a Stella McCartney il padre le ha ricomprato l’azienda. E poi chi altro c’è? Miuccia Prada, che è proprietaria della sua azienda… È una lobby di uomini. E oggi è anche tutto marketing: il blogger è diventato il designer e il designer ormai guarda il blogger. Ed è assurdo, perché le assicuro che un influencer non distingue la vigogna dal cachemire.
Potremmo almeno dire che Berlusconi ha inventato dei codici di stile, nel bene e nel male?
Assolutamente. La capacità di leadership non gliela si può negare. Ma non commenterò lo stile di una persona defunta. Almeno ho rispetto di questo. Di certo è stato uno stile che poi hanno adottato in tanti: il “collo alla Berlusconi”, il doppiopetto… A partire dai furbetti del quartierino o da Trump. Ho detto tutto.
(da Il Fatto Quotidiano)

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“GIUSTAMENTE SI FA DI TUTTO PER SALVARE 5 RICCHI, MA PER 700 MIGRANTI POVERI SAREBBE BASTATO MOLTO MENO”

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

SEA WATCH RICORDA L’ASSENZA DI SOCCORSI PER LE 700 VITTIME DEL NAUFRAGIO DI PYLOS, IN GRECIA

“Sarebbe bastato molto meno”. Poche lapidarie parole quelle che accompagnano un post pubblicato su Instagram dalla Sea Watch Italia, l’organizzazione senza scopo di lucro che svolge attività di ricerca e salvataggio nel Mar Mediterraneo centrale. Nella foto pubblicata un chiaro riferimento all’impegno che tutti stanno mettendo per ritrovare il ritrovare il sommergibile Titan, scomparso lunedì con cinque persone a bordo mentre scendeva negli abissi per raggiungere il relitto del Titanic a 3.800 metri di profondità al largo delle coste canadesi, confrontato alla scarsità delle risorse investite per il salvataggio delle 700 persone morte nel naufragio di Pylos, in Grecia.
“Per salvare 5 persone (ricche) a bordo del sottomarino disperso sono giustamente impiegate guardie costiere di quattro Stati, Nato e compagnie commerciali dotate dei mezzi più sofisticati. Sarebbe bastato molto meno per salvare 700 persone (povere) naufragate al largo della Grecia”.
(da agenzie)

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DALLA SPAGNA ARRIVANO BRUTTE NOTIZIE PER I SOGNI EUROPEI DI GIORGIA MELONI: IL PARTITO POPOLARE E I SOVRANISTI DI VOX (ALLEATI DELLA DUCETTA IN UE) FATICANO A TROVARE UN ACCORDO

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

AD AVVANTAGGIARSI POTREBBE ESSERE IL SOCIALISTA PEDRO SANCHEZ… LA PREMIER ITALIANA SPERAVA NELL’ACCORDO COME VIATICO PER L’ALLEANZA TRA PPE E CONSERVATORI E RIFORMISTI ALLE EUROPEE DEL 2024

Guai a schiacciarsi sulle posizioni estremiste di Vox e lasciare così scoperto un elettorato centrista, moderato, rimasto senza riferimenti dopo la scomparsa di Ciudadanos.
E’ questa la strategia del Partido popular a un mese dalle elezioni, resa evidente dalle ultime mosse del partito di Alberto Nuñez Feijoo nelle alleanze locali per la guida delle comunità autonome: accordo pieno con Abascal nella comunità valenziana e in centinaia di città; in Estremadura, invece, scontro frontale.
E per il sindaco di Barcellona, addirittura il via libera a un esponente socialista, pur di tenere fuori dal governo della città le forze indipendentiste. Insomma, il partito popolare, dal voto amministrativo a oggi ha assunto un ampio ventaglio di posizioni diverse, tanto che nei media spagnoli si parla di un Pp “a geometria variabile”.
Proprio in Estremadura si è consumata la frattura più violenta: qui la candidata alla presidenza, la popolare María Guardiola, ha messo un veto molto deciso all’ingresso di Vox nel governo regionale, correndo anche il rischio di ripetere le elezioni, appena vinte. Guardiola ha spiegato la sua mossa rimproverando al partito di Abascal di negare la violenza sessista e di volere la “disumanizzazione degli immigrati”.
E Vox, di contro, ha parlato del Pp come il partito del “socialismo azzurro”, come un semplice restyling dell’odiato Psoe.
Insomma, certamente non il migliore viatico per due forze che, sulla carta, tra un mese correranno per guidare insieme il governo del Paese. Ma com’è ovvio le parole di fuoco di Guardiola sono state certamente concordate con la leadership nazionale di Feijóo, lo stesso che più o meno nelle stesse ore aveva dato il suo via libera alla giunta insieme a Vox in centinaia di comuni.
Un alternarsi di stop and go per far capire al Paese che per il Pp l’alleanza con la destra estremista è una soluzione necessaria per i numeri ma nulla di più. Inoltre, i toni duri con cui i popolari stanno trattando Vox, inevitabilmente mettono in crisi la strategia comunicativa socialista, tutta basata sullo scontro tra il Psoe baluardo della democrazia e dei valori costituzionali e un Pp ormai ostaggio dell’ultradestra.
(da agenzie)

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LE SANZIONI ALLA RUSSIA SONO UNA BARZELLETTA: MARIA VORONTSOVA, LA 38ENNE FIGLIA DI PUTIN, VIVE IN UN LUSSUOSO CHALET DI KITZBÜHEL, IN AUSTRIA: LA LUSSUOSA DIMORA VENNE PAGATA 10,8 MILIONI NEL 2013

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

È STATA FINANZIATA DALL’OLIGARCA ARKADY ROTENBERG, UNO CHE SI È ARRICCHITO OTTENENDO APPALTI DALLO ZAR… GRAZIE A UNA SOCIETÀ OFFSHORE CON SEDE IN UN PARADISO FISCALE, IL RICCASTRO È RIUSCITO A EVITARE LE SANZIONI

Un lussuoso chalet pagato 10,8 milioni di euro nel 2013, con una terrazza che dà sulla Streif, la pista di discesa libera di Kitzbühel, in Austria, ritenuta la più difficile del circuito della coppa del mondo di sci. Quella residenza, dallo stile tirolese, sarebbe frequentata da Maria Vorontsova, medico endocrinologo di 38 anni, la maggiore delle 2 figlie che Vladimir Putin ha avuto con la moglie da cui è divorziato.
“Certo che la figlia di Putin abita qui, a Kitzbühel lo sanno tutti”, ha confidato, al quotidiano austriaco Der Standard, un residente della località turistica. “Una donna di nome Maria, che parla perfettamente tedesco, la si è potuta vedere, regolarmente, in questa residenza”, rincara un vicino della figlia del presidente russo.
Eppure, dall’aprile del 2022, poco dopo l’aggressione all’Ucraina, sia Maria Vorontsova che la sorella, Katerina Tikhonova, sono sottoposte a sanzioni, da parte di Ue e Stati Uniti. Fatto sta che lo stesso Putin, a quanto pare, negli anni in cui era un personaggio omaggiato quasi ovunque, risulta abbia soggiornato, a più riprese nello chalet.
Un ex-agente del Kgb, titolare di una società di gestione patrimoniale domiciliata in una zona esclusiva della City di Zurigo, la Evocorp Asset Management AG che, stando all’agenzia PWC “gestisce clienti privati di origine russa, parecchi dei quali titolari di società di comodo”.
L’ex-agente del Kgb risulta in affari con l’oligarca Arkady Rotenberg, che ha fatto una montagna di soldi, insieme al fratello, ottenendo appalti per realizzare infrastrutture, nella Russia di Putin. Rotenberg, soggetto a sanzioni, pure in Svizzera, avrebbe tra l’altro costruito il ponte che collega la Russia alla Crimea.
Per tornare allo chalet di Kitzbühel, non soggetto per contro ad alcuna sanzione, sarebbe stato finanziato proprio da Arkady Rotenberg, proprietario tra l’altro di uno yacht da 30 milioni di dollari all’ancora a Malta, attraverso una società offshore con sede in un paradiso fiscale.
Si presume si sia trattato di un attestato di stima da parte di quello che si può definire un vero e proprio “uomo di paglia”, nei confronti del despota russo che lo ha reso ricco a miliardi. Intanto, ironia della sorte, le autorità austriache cascano dalle nuvole
(da La Repubblica)

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TRAMONTATA LA CANDIDATURA DELL’EX MINISTRO DELL’ECONOMIA, DANIELE FRANCO, ALLA PRESIDENZA DELLA BANCA EUROPEI PER GLI INVESTIMENTI: SENZA MARIO DRAGHI A PALAZZO CHIGI A SOSTENERNE LE RAGIONI, IL POVERO EX RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO HA PERSO OGNI “APPEAL” AGLI OCCHI DELL’EUROPA

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

L’ITALIA E’ UN PAESE SOTTO OSSERVAZIONE DA PARTE DI BRUXELLES: NO MES? NO POLTRONE

Sembra essere tramontata la candidatura dell’ex ministro dell’Economia, Daniele Franco, alla presidenza della Banca europei per gli investimenti. In pole position c’è la danese Margrethe Vestager, vice presidente della Commissione e commissario per la Concorrenza. L’ex leader del partito di Sinistra radicale è appoggiata dal suo paese, la Danimarca, ma anche dalla stessa Von der Leyen.
Quella faina di Ursula, che è in piena campagna elettorale personale per la riconferma alla presidenza della Commissione, non vede l’ora di scrollarsi di dosso ogni personalità che possa, anche lontanamente, oscurare o complicare i suoi piani. Vedere Vestager, che è un osso duro della Commissione, parcheggiarsi alla Bei fa tirare un sospiro di sollievo alla ex delfina di Angela Merkel.
Sarà divertente assistere alla guerriglia tra i paesi Ue per accaparrarsi la poltrona lasciata libera dalla politica danese. E’ un posto chiave, che affonda le manine direttamente sul giro miliardario di affari che si muovono nell’Unione. Il commissario per la Concorrenza non deve solo impedire la formazione di cartelli e contrastare gli abusi di posizione dominante: monitora le fusioni fra imprese, esercita il controllo di compatibilità degli aiuti di stato e in generale della regolamentazione antitrust nell’Unione europea.
“La ringrazio per avermi informato che sta pensando di candidarsi alla carica di Presidente del Comitato direttivo della Banca europea per gli investimenti: le chiedo di mettere in atto misure al fine di prevenire ogni possibile percezione di conflitto di interessi che potrebbe derivare dalla sua candidatura informale a questa importante posizione”.
È l’incipit della lettera datata 16 giugno che la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha inviato alla vice presidente Margrethe Vestager.
Tra le misure, così come previsto dal codice di condotta, c’è la necessità di “confermate la piena disponibilità per le mansioni d’ufficio”, “confermare che non si utilizzeranno le risorse umane o materiali della Commissione per le esigenze della vostra candidatura informale, né parteciperete al processo decisionale della Commissione su qualsiasi argomento che coinvolga la Bei, in particolare nel contesto dell’attuazione dei programmi dell’Ue”, “vigilare per evitare ogni possibile caso di conflitto d’interessi che potrebbe sorgere in relazione ai rapporti istituzionali e ai fascicoli di cui si è responsabili”, “al più tardi dopo l’invio della candidatura ai governatori della Bei, in seguito al parere del comitato consultivo per le nomine della Bei, chiedere un’aspettativa non retribuita”.
(da Dagoreport)

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GLI ARRESTI DI MINENNA E DELL’EX LEGHISTA PINI: AVEVANO STRETTO UN “PACTUM SCELERIS”, UN ACCREDITAMENTO ALL’INTERNO DELLA LEGA E LA CONFERMA ALLE DOGANE, IN CAMBIO DELL’AIUTO NELL’IMPORT DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

“DOMANI” NEL DICEMBRE 2021 RACCONTAVA I RAPPORTI TRA IL MANAGER IN QUOTA CINQUE STELLE E L’EX DEPUTATO DELLA LEGA, VICINISSIMO A GIORGETTI

Un “pactum sceleris” fra Gianluca Pini e Marcello Minenna: è l’ipotesi dei pm di Forlì che ha portato agli arresti domiciliari dei due. Secondo i pm, Pini aveva promesso a Minenna di “accreditarlo all’interno della Lega in modo venisse considerato un uomo di quel partito e gli prometteva la conferma della nomina a Dg dell’Agenzia delle Dogane a seguito del cambio del governo, che effettivamente otteneva”.
Minenna, continuano i pm,”accettava le promesse in cambio dell’asservimento della sua funzione pubblica”,in particolare “alle richieste di Pini in occasione di importazione di merci” fra cui le mascherine al centro dell’inchiesta
L’articolo di Domani del 2021
Domani ha scoperto che la procura romagnola sta indagando da mesi su Gianluca Pini, ex onorevole di lungo corso della Lega e per anni vicinissimo al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, di cui è stato socio in affari fino a poco tempo fa.
Pini è finito sotto la lente d’ingrandimento della procura e dell’ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia perché proprietario di una piccola srl di Fusignano (a 30 chilometri da Ravenna), la Codice, specializzata in commercio all’ingrosso di bevande, ma ora coinvolta in un’inchiesta sull’importazione di mascherine. Un’indagine in cui gli inquirenti ipotizzano reati gravi come la corruzione, la frode, il falso ideologico e la turbativa d’asta. «Non ho notizie in tal senso» dice Pini «Ma nel caso sarei tranquillissimo: ho svolto i miei affari rispettando tutte le leggi».
La storia è complessa. Il leghista, storico segretario del Carroccio in Emilia-Romagna dal 1999 al 2015 e onorevole dal 2006 al 2018, è tornato a fare l’imprenditore a tempo pieno da due anni, da quando non è riuscito ad ottenere la ricandidatura Pini è tornato al suo vecchio amore: tecnologo alimentare, si è buttato nella ristorazione, aprendo a Forlì locali e bar come “Ruggine” e “Ginetto”, nome che viene dalla crasi tra il gin tonic e il nome del suo cane.
Gli affari vanno bene, ma a inizio del 2020 l’arrivo del virus e i lockdown azzerano di colpo i profitti. Il superfederalista capisce che può riciclarsi alla grande e fare un bel po’ di soldi comprando e vendendo mascherine per il pubblico e il privato.
Pini non ha mai lavorato nel settore medico, («non sapevo nemmeno come fosse fatta una mascherina», ci dice) ma un mese dallo scoppio della pandemia con la sua Codice riesce a piazzare il primo colpo: l’Ausl Romagna – senza un bando di gara – gira alla piccola srl della ristorazione un contratto che può fruttare al leghista fino a 6,3 milioni di euro. «Finora ho incassato solo tre milioni», chiarisce.
Pini chiarisce anche che i milioni di mascherine importate, una volta giunte in Italia, sono «stati preventivamente validate dall’Ausl. Non solo: le importazioni sono state sottoposte a rigidissime verifiche da parte dell’antifrode dell’Agenzia delle dogane, risultando pienamente conformi e regolari».
Per la cronaca, Pini conosce bene il numero uno delle Dogane e dei Monopoli Marcello Minenna: a Domani risulta che l’ex deputato leghista sia stato visto almeno una volta nella sede centrale dell’ente negli scorsi mesi, e che Pini abbia dato qualche consiglio al direttore dell’agenzia anche sul nome da dare alla “Casa dell’anti-contraffazione”, un museo del falso inaugurato lo scorso giugno nella romana Piazza Mastai.
All’evento era presente anche il Giorgetti, che Pini dice essere solo un suo vecchio amico: «Ci scambiamo consigli in assoluta amicizia, non sono il suo segretario-ombra come sostiene malignamente qualcuno. Credo solo che lui sia una delle poche teste pensanti della Lega. Dire come fa lei che lui è il braccio destro di Salvini mi fa ridere, è perfino offensivo per Giancarlo. Lo stimo molto, e credo che il giudizio sia ricambiato». Mai stato, sottolinea, a eventi pubblici con lui da quando è diventato ministro dello Sviluppo: «Al massimo ci vediamo insieme qualche partita della nostra squadra del cuore, il Southampton».
Anche i rapporti tra Pini e Minenna sono stretti, ma l’imprenditore leghista nega che abbia mai chiesto favori per sdoganare mascherine cinesi o altri apparecchi. «Lo conosco fin da quando era in Consob, è vero, ma non mi pare che sulle certificazioni e suoi controlli Minenna abbia un ruolo operativo. Non gli ho mai sollecitato nulla comunque, e sono andato a trovarlo in sede a Roma solo una volta, quando avevo una mezz’oretta libera».
Come mai un alto dirigente pubblico incontri un imprenditore ex politico discutendo di anticontraffazione resta un mistero, così come non è chiaro come mai Pini abbia provato a importare anche una partita di termometri dall’estero. Il leghista è secco: «I termometri non me li ha chiesti l’Ausl Romagna, ma un amico che gestisce la distribuzione in farmacia» spiega «Ho importato un centinaio di campioni che però ho verificato non essere conformi, e così li ho fatti distruggere: tutto qui, non ci sono arcani».
Ora, non sappiamo se l’indagine di Forlì che indaga a vario titolo per corruzione e truffa sia incentrata anche sulle mascherine inviate alla Ausl Romagna dalla Codice. Di certo però gli inquirenti hanno sentito come persone informate sui fatti alcuni dipendenti delle Dogane. E hanno messo sotto il microscopio altri affari in cui risulta coinvolta la società di Pini. Che tra aprile e luglio 2020 ha ordinato e ricevuto bonifici da centinaia di migliaia di euro anche da ditte che, con l’arrivo della pandemia, hanno cominciato a dedicarsi improvvisamente anche alla compravendita di dispositivi di protezione.
Tra i soggetti finiti nel mirino dei pm di Forlì e di Bologna c’è la Top Defender srl di Gianluca Fiore («non è un amico, ma un avventore del mio bar», chiosa Pini) e di una misteriosa donna di nazionalità ceca, Zuzana Miczkova («mi pare sia la segretaria di Fiore»). La sconosciuta Fi.da Obchod (riconducibile anche questa alla Miczkova e alla rumena Mihaela Atomei), che risulta essere localizzata nella Repubblica Ceca. E una terza società intestata ai fratelli Bruno e Giorgio Ciuccoli, dal 1976 specializzata in autotrasporti ma trasformatasi – nell’aprile 2020 – anche lei in buyer di Dpi.
Proprio dalla srl dei Ciuccoli (suoi conti correnti dell’azienda può operare anche Fiore) la Codice di Pini incassa la bellezza di 970mila euro tra aprile e luglio 2020. In pratica, l’amico di Giorgetti ricava in poche settimane circa 4 milioni di euro, sommando l’affare con la Ausl Romagna e altri business paralleli.
«Ho venduto ai Ciuccoli mascherine cinesi, ma – come è scritto anche negli atti doganali – il destinatario finale era la Corofar». Ossia una grande cooperativa di farmacie territoriali, presieduta da Pier Luigi Zuccari. Proprio quest’ultimo potrebbe essere il «vero dominus» della Top Defender, che ha come cliente principale la Codice di Pini. Come mai questo sospetto?
Perché «Zuccari è delegato ad operare» segnalano ancora dall’antiriciclaggio «sul conto corrente privato intestato alla cittadina ceca Miczkova», la “segretaria” citata da Pini ma socia della Top Defender. Zuccari in Emilia-Romagna non è un impresario qualsiasi: gran capo della coop Corofar (la sede di Forlì è stato l’hub vaccinale del vaccino Pfizer) è pure membro del cda di Federfarma.Co, azienda che rappresenta 26 cooperative e società di farmacisti sparse su tutto il territorio nazionale, che rappresentano il 35 per cento dell’intero fatturato della distribuzione intermedia dei farmaci.
Il nome della Corofar qualche mese fa è spuntato anche in un decreto della procura forlivese che ordinava il sequestro di alcune partite di mascherine distribuite dalla cooperativa, ma Zuccari gettò al tempo acqua sul fuoco, sostenendo che la mancata conformità dei prodotti cinesi era frutto solo di un «inconcepibile» errore burocratico. Anche i suoi amici sostengono che il suo nome sia finito nelle carte dell’antiriciclaggio per «errore».
Vedremo se i magistrati indagheranno ancora sugli affari di Pini e sul turbinio di bonifici a cinque zeri tra società ceche e romagnole, se i reati ipotizzati cambieranno oppure se l’indagine verrà archiviata in tempi brevi senza formalizzare accuse a nessuno. Come già accaduto, ricorda Pini, a un processo per millantato credito che il leghista ha dovuto affrontare anni fa: condannato in primo grado a due anni di carcere, «la mia pena è stata poi cancellata in appello».
Ma al netto dei rilievi penali tutti ancora da dimostrare, quello che colpisce è come sia possibile che un ex politico impegnato in ristobar sia riuscito dal giorno alla notte a fatturare milioni con l’emergenza Covid. Non solo: il leghista mentre importava mascherine era contemporaneamente in affari anche con Giorgetti in persona.
Non nella srl delle bevande Covid al centro dell’inchiesta forlivese, ma nella Saints Group. Una società informatica ed elettronica di cui – come raccontò Report ipotizzando il rischio di conflitti di interesse – il ministro era socio paritario con Pini e tal Enzo Pellizzaro.
«Giorgetti non c’entra nulla con i miei affari con le mascherine, e con la Saints Group non ha più nulla a che fare da anni» dice Pini «Io posso avere in società chi mi pare, e non ci sono conflitti di interesse: a marzo del 2020 c’era il Conte II, Giorgetti era all’opposizione, né poteva decideva della sanità dell’Emilia Romagna o incidere sulla sanità nazionale».
È vero che la Saints Group è del tutto estranea all’inchiesta di Forlì, ma in realtà Giorgetti si è sfilato dalla start up solo a giugno 2020, quando ha deciso di donare le sue quote a una sua parente stretta. Che ha poi controllato il 32 per cento della Saint Group fino ad aprile del 2021, quando – forse perché Giorgetti era diventato ministro del governo Draghi ha prevalso la questione di opportunità – ha ceduto tutte le quote a Pini.
Non sono chiari i motivi per i quali il potente numero due della Lega abbia deciso di investire in una srl specializzata in app e in brevetti informatici, ma di sicuro i giri vorticosi di denaro che passano sui conti correnti del suo ex socio rischiano di causargli quantomeno qualche imbarazzo.
Dall’entourage di Giorgetti spiegano che il numero due di Salvini «ha chiuso ogni rapporto con Pini da quando è diventato ministro», e che della vicenda delle mascherine «non sapeva nulla». Anche i rapporti tra il ministro e Minenna si sarebbero assai «raffreddati», anche a causa delle inchieste di Domani sul direttore dell’agenzia, indagato per abuso d’ufficio e falso dalla procura di Roma.
(da Domani)

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LA SALUTE E’ ROBA DA RICCHI: UN ITALIANO SU TRE ORMAI HA RINUNCIATO A CURARSI

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

PER ACQUISTARE FARMACI O FARE VISITE NON COPERTE DAL SSN GLI ITALIANI HANNO DOVUTO SPENDERE 40 MILIARDI DI TASCA PROPRIA

Dal modello di Sanità pubblica italiana che ha fatto scuola nel mondo, al nuovo paradigma proposto dalle destre di governo che strizza l’occhio ai privati rendendo difficoltoso ai meno abbienti l’accesso alle cure.
Può sembrare la classica sparata di qualche politico dell’opposizione ma è quanto emerge dal secondo Rapporto sul Sistema sanitario italiano, intitolato “Il termometro della salute”, presentato da Eurispes ed Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Medici (Enpam). Stando a quanto si legge nel documento la Sanità italiana, sotto la guida del ministro Orazio Schillaci, ha la febbre sempre più alta in quanto il sistema se “non sarà messo in grado di programmare e poi assorbire le necessarie professionalità, le Case e gli Ospedali della comunità rimarranno vuote, mentre la crisi del decisivo comparto della medicina generale si avviterà ulteriormente, gli ospedali continueranno a degradarsi, l’universalità della sanità pubblica continuerà a deperire, si apriranno ulteriori autostrade per la sanità privata e curarsi diverrà una questione di censo”.
Insomma curarsi sta diventando sempre più una cosa da ricchi, di fatto creando una discriminazione intollerabile.
Del resto i dati parlano chiaro visto che un quarto delle famiglie italiane denuncia difficoltà economiche relativamente alle prestazioni sanitarie. Un dramma che riguarda, sempre secondo il rapporto, prevalentemente gli abitanti del Sud (28,5%) e delle Isole (30,5%).
Difficoltà che, però, non si limitano solo alle risorse visto che nel 2022 un terzo degli intervistati, ossia il 33,3% del campione, ha candidamente ammesso di aver dovuto rinunciare “a prestazioni e/o interventi sanitari” a causa dell’indisponibilità delle strutture sanitarie oppure per le liste di attesa sterminate. Un trend che, prosegue il rapporto, si sta ulteriormente aggravando nel corso di quest’anno.
Dati alla mano emerge anche che gli italiani per curare la propria salute spendono di tasca propria, tra prestazioni e farmaci in tutto o in parte non coperti dal Ssn, quasi 40 miliardi di euro all’anno.
Si tratta, tanto per capirci, di una quota pari al 2% del Pil. Ma non è tutto. Di giorno in giorno cresce il fenomeno della mobilità sanitaria che spinge un esercito di cittadini a compiere i cosiddetti ‘viaggi della speranza’. Si tratta di vere e proprie migrazioni, le quali coinvolgono almeno un milione e mezzo di italiani all’anno, di pazienti che sono costretti a rivolgersi a strutture pubbliche di altre Regioni per ottenere prestazioni previste dal Servizio sanitario nazionale di fatto non erogabili nel territorio di residenza a causa dei deficit strutturali della sanità regionale di appartenenza.
Mobilità sanitaria che rischia di crescere ulteriormente anche per via dell’Autonomia differenziata di Roberto Calderoli. Un provvedimento fortemente criticato da molti esperti in quanto rischia di penalizzare le regioni del sud, favorendo quelle del nord ma che il ministro continua a difendere a spada tratta sostenendo che, al contrario, con questa legge il divario non crescerà ma diminuirà.
Peccato che a dargli torto è sempre il rapporto di Eurispes ed Enpam che, sempre nella parte relativa alla mobilità tra regioni, fa notare come “le regioni con un saldo attivo sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, e quelle che invece depauperano il loro budget sanitario sono quasi tutte le rimanenti Regioni centro-meridionali”.
Sempre nel rapporto si legge che “gli importi versati dalle Regioni che cedono pazienti a quelle in grado di erogare le prestazioni, determinano una ulteriore difficoltà in budget sanitari già compressi dai piani di rientro. All’opposto, le Regioni che erogano molte prestazioni a cittadini non residenti possono contare su di un over-budget che rende possibili investimenti in strutture e personale, di cui beneficiano in primo luogo i cittadini residenti”.
Tutto ciò, in termini di efficienza, genera la ‘forbice’ tra alcune Regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, inevitabilmente si allarga. E infatti, prosegue il report, “ai due estremi, nel 2018” troviamo “la Regione Lombardia che ha riscontrato un saldo positivo di quasi 809 milioni di euro, mentre la Regione Calabria un deficit di quasi 320 milioni di euro e la Regione Campania di più di 302 milioni”. Insomma appare davvero inverosimile sostenere che con l’Autonomia differenziata si potrà invertire un trend che, al contrario, sembra destinato ad aggravarsi.
(da La Notizia)

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PARTE L’ASSALTO SOVRANISTA A RAI3: ROBERTO INCIOCCHI DA SKY PASSERÀ A RAI3 PER PRENDERE LE REDINI DI “AGORÀ”, A “REBUS” DOVREBBERO SBARCARE PIETRANGELO BUTTAFUOCO, MARCELLO VENEZIANI E ALESSANDRO GIULI MENTRE SCALDA I MOTORI SALVO SOTTILE

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

FILIPPO FACCI AVRA’ UNA STRISCIA SU RAIDUE, PRIMA DEL TG2 DELLE 13… LA NOSTRA SOLUZIONE E’ SEMPLICE: SPEGNERE IL TELEVISORE E FAR CROLLARE GLI ASCOLTI

Ora che però il tandem Sergio- Rossi si è insediato, in tempo per varare i primi palinsesti dell’era Meloni che lunedì verranno illustrati in Cda, ecco farsi largo un esercito di volti nuovi o semi-nuovi, tutti riferibili a una precisa area politica: un cambio di stagione destinato a mutare verso all’informazione e pure all’intrattenimento dopo decenni di presunta egemonia culturale della sinistra.
Bersaglio principale: il fortino di Rai3, che in un’ottica di normalizzazione verrà colonizzato dai corifei della destra. In realtà piazzati ovunque già da un po’ — basti pensare alla Monica Setta cara a Salvini che guida tra tv e radio ben sei programmi, tutti confermati in barba ai mille giornalisti Rai pagati con i soldi del contribuente, sintetizzabile in due new entry: Filippo Facci, editorialista di Libero , cui verrà affidata una striscia quotidiana prima del Tg2 delle 13 — I fatti del giorno , sorta di almanacco del nuovo potere — e Roberto Inciocchi che da Sky traslocherà a Rai3 per prendere le redini di Agorà .
Ed è proprio la terza rete quella su cui la mano sovranista calerà più pesante.
Una decina gli innesti di fede governativa — da Salvo Sottile a Pietrangelo Buttafuoco — pronti a cancellare ogni sfumatura di rosso da TeleKabul. Tutte le mattine dal lunedì al venerdì, dopo l’ Agorà di Inciocchi — l’anchor che intervistò Giorgia Meloni alla kermesse per il decennale di Fratelli d’Italia — andrà in onda una nuova striscia condotta da Annalisa Bruchi, collaboratrice Rai da molti anni e moglie di Mario Valducci, ex parlamentare di Forza Italia, fra i fondatori del fra i fondatori del partito berlusconiano.
Domenica pomeriggio toccherà a Monica Maggioni prendere il posto di Annunziata, con un format però molto più breve per tenere alto lo share. Ma il vero colpo di scena arriverà a seguire: a Rebus, il programma culturale fin qui condotto da Giorgio Zanchini insieme a Corrado Augias, dovrebbero infatti sbarcare tre campioni della destra tricolore — Pietrangelo Buttafuoco, Marcello Veneziani ed Alessandro Giuli — che si alterneranno per un mese ciascuno, uno dopo l’altro a rotazione, a fianco di Zanchini.
Sempre di domenica, però alla sera, laddove per anni c’è stato Fazio, verrà trasmesso Report di Sigfrido Ranucci. Il quale da febbraio sarà sostituito da Salvo Sottile, ex star di Mediaset. Liberato dalla trasmissione d’inchiesta, il lunedì diventerà invece appannaggio di Nunzia De Girolamo: da ottobre guiderà un talk di nuovo conio, pur mantenendo nella seconda serata di Rai1 Ciao maschio
Serena Bortone, sfrattata dal pomeriggio dell’ammiraglia, verrà ricompensata con il sabato sera che era di Massimo Gramellini, incluso lo spin-off domenicale. Un assalto senza precedenti, chiamato tuttavia a fare i conti con gli ascolti: la media di Rai3 è del 7,4%. Non poco per la Cenerentola delle reti che rischia di essere travolta dall’ondata nero-verde. Non più riconosciuta dal suo pubblico.
(da agenzie)

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I BERLUSCONI BLINDANO LE CASSE DI FORZA ITALIA, IL PARTITO SOSTITUISCE IL TESORIERE: VIA L’87ENNE ALFREDO MESSINA, UOMO FININVEST PER 30 ANNI E DEPOSITARIO DEL SIMBOLO DEGLI AZZURRI. AL SUO POSTO ARRIVA FABIO ROSCIOLI, AVVOCATO DELLA FAMIGLIA BERLUSCONI

Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile

GLI EREDI DEL CAV INTENDONO CONTINUARE A FORAGGIARE FI E A GARANTIRE LA COPERTURA DELLE FIDEIUSSIONI (ALMENO FINO ALLE EUROPEE)

L’ennesima lunga giornata di Forza Italia inizia alle 10.30 del mattino quando viene diffuso l’ordine del giorno del comitato di presidenza, fissato per oggi. A sorpresa, fa capolino un secondo punto che riguarda la sostituzione del «commissario dell’amministrazione nazionale».
Tradotto, significa che il partito intende sostituire l’uomo dei conti, il tesoriere, il depositario del simbolo degli azzurri. Ovvero, Alfredo Messina, dirigente Fininvest per 30 anni, figura vicina alla famiglia Berlusconi.
Panico tra le truppe di Camera e Senato. «E ora cosa succederà? Messina si porterà il simbolo con sé?». Qualsiasi decisione sull’utilizzo del simbolo, infatti, passa dal tesoriere. E ancora: chi riveste quella carica è di fatto il rappresentante delle liste ed è colui che deve «firmare» le nomine interne
Da Londra Antonio Tajani prova a tranquillizzare gli animi. «Non c’è nessuna questione politica. Messina ha 87 anni. Direi più che è un ricambio generazionale». Il vicepremier racconta di averne parlato martedì proprio con Messina. Insomma, il caso sembra essere chiuso.
Il nuovo tesoriere, con molta probabilità, sarà Fabio Roscioli, avvocato romano, esperto di bilanci, e vicino alla famiglia Berlusconi. Ed è un segnale, quest’ultimo, perché significa che gli eredi dell’ex premier intendono continuare ad investire su Forza italia e a garantire la copertura delle fideiussioni, come assicurato qualche giorno fa proprio da Tajani.
Oggi il comitato di presidenza, incaricato di fissare entro la fine di luglio il consiglio nazionale, detterà i tempi e i modi del congresso che si dovrebbe celebrare dopo le elezioni europee. Ma prima di ogni cosa si dovrà sciogliere il nodo presidente.
Chi succederà al Cavaliere? Il favorito resta Antonio Tajani. E lo è, come sottolineano tanti, «per curriculum, perché è il cofondatore, perché è oggi la figura più autorevole». Allo stesso tempo, il vicepremier non intende farsi logorare dalle dinamiche interne e dagli scontri sotterranei che serpeggiano in queste ore.
Tajani non ha certo gradito l’ipotesi ventilata da qualche avversario interno sul fatto che debba «pesarsi» come capolista alle Europee, come hanno fatto filtrare gli avversari interni.
Come d’altro canto fanno notare i parlamentari più vicini a Marta Fascina. Che si sentono accerchiati per «la campagna stampa contro Marta». Spiega uno di loro: «Sono attacchi che derivano da chi è stato ridimensionato negli ultimi mesi anche in una maniera un po’ subdola, approfittando di una situazione di lutto, per eliminare una fetta ampia di partito, così da proporsi come interlocutori unici all’area Tajani».
Allusione nemmeno tanto velata è alla corrente capeggiata da Licia Ronzulli, che vorrebbe ridimensionare Fascina ma trova una buona fetta del partito strenuamente contraria.
(da il “Corriere della Sera”)

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