Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile ARRIVERÀ FINO AL 2024 QUANDO SI TERRANNO LE NUOVE ELEZIONI PER IL CREMLINO OPPURE L’ALA MODERATA, CONTRARIA ALLA GUERRA, NON ASPETTA IL VOTO E LO SBATTE FUORI ?… PRIGOZHIN È STATO LO STRUMENTO DI ALCUNI POTENTI OLIGARCHI CHE MIRAVANO A CHIUDERE LA GUERRA
A che Putin è la notte? Il leader russo ha fatto delle ammissioni molto gravi, mai rivelate prima, come quella che il suo governo finanziò per un miliardo di euro quella simpatica comitiva armata fino ai denti del Gruppo Wagner. Probabilmente Vladimir, scosso come un cavallo, ha messo le manine avanti: prima o poi qualcuno avrebbe potuta tirarla fuori.
Che Putin sia più debole che mai lo si vede chiaramente dalle spavalde dichiarazione del presidente bielorusso Lukashenko, uno che fino a ieri gli spicciava casa. Botte del tipo: “Ho detto a Putin: possiamo uccidere Prigozhin, non è un problema. Lo schiacceremo come una pulce”.
La cosiddetta rivolta della Wagner aveva come obiettivo di mettere alle strette il regime, arrivare alle porte di Mosca e indebolire Putin al punto di fargli accettare un negoziato. E Prigozhin è stato lo strumento di gran parte di quella ventina di oligarchi davvero potenti che volevano mantenere lo status quo ma con un Vladimir meno aggressivo e più disposto a chiudere una guerra che ha nesso in ginocchio popolo e oligarchi. A quel punto Putin ha messo in mezzo Lukashenko.
Ora la domanda non è quanto dura Prigozhin: se viene ammazzato l’ex cuoco, tutti punterebbero il dito accusatorio verso Putin. La domanda vera è quanto può restare a galla, così indebolito, Mad Vlad.
Il 17 marzo 2024 si terranno le nuove elezioni per il Cremlino. “Ovviamente non saranno elezioni libere, ma lo zar teme la scarsa affluenza, che potrebbe essere una silenziosa forma di protesta, ispirata dalle famiglie delle migliaia e migliaia di giovani soldati russi morti in Ucraina sul campo di battaglia”, scrive Formiche.net. Vista la mala parata, Putin potrebbe fare il beau geste di non presentarsi e fare gli scatoloni.
Oppure, l’ala moderata del suo inner circle, quella che non voleva la guerra (che va da Lavrov a Petrucev) non aspetta il voto del 2024 e fa in modo di metterlo alla porta. A quel punto, il leader russo potrebbe recuperare le sue forze e incazzarsi: sono stato eletto democraticamente dal popolo, destituirmi vuol dire colpo di stato, nessuno mi far fuori senza le elezioni, bla bla. Ultima ipotesi: il voto anticipato.
Comunque, la fortuna di Putin è proprio nella sua sostanziale debolezza. Riesce a stare in piedi solo grazie a due stampelle: una americana, l’altra cinese. I due padroni del mondo non hanno alcun interesse a buttarlo giù non sapendo quale matto potrà arrivare dopo in un paese inzeppato di testate nucleari.
Che sapessero o meno del blitz di Prigozhin, Usa e Cina sono rimasti prudentemente alla finestra con dichiarazioni anodine (del tipo: non entriamo negli affari interni della Russia), ma pronti a intervenire attraverso le diplomazie per mantenere Putin a galla.
Ma oggi qualcosa è cambiato: l’ambasciatore cinese presso l’Unione Europea, Fu Cong, ha preso le distanze da Putin e ha suggerito che Pechino potrebbe sostenere gli obiettivi dell’Ucraina di rivendicare la sua integrità territoriale del 1991, inclusa la penisola di Crimea annessa dalla Russia nel 2014.
Nell’intervista ad Al Jazeera, Fu Cong, quando gli è stato chiesto di sostenere gli obiettivi di Kiev, che includono il recupero di altre regioni ucraine ora occupate da Mosca, l’alto diplomatico cinese ha detto: “Non vedo perché no”. Non solo: “Crediamo che tutte le parti debbano creare le condizioni per una soluzione politica della crisi attraverso il dialogo e il negoziato”.
Insomma: caro Putin, o chiudi la scellerata invasione dell’Ucraina oppure comincia a prepare le valigie.
(da Dagoreport)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile I DEM: “L’HANNO SFIDUCIATA”
Il governo ha dato parere favorevole a un ordine del giorno del
Pd al decreto lavoro, presentato in aula alla Camera, che impegna l’esecutivo «a sanzionare gli operatori che avessero usufruito in maniera fraudolenta» della Cassa integrazione Covid, tra le quali viene esplicitamente citata, «Visibilia Editore, società quotata in Borsa, a suo tempo controllata con il 48,6 per cento delle azioni dalla Senatrice Santanchè».
L’ordine del giorno a prima firma di Chiara Gribaudo afferma in premessa che «durante la drammatica fase della pandemia lo Stato ha dovuto predisporre un’ampia gamma di misure straordinarie di sostegno dell’economia, in larga parte paralizzata dall’esigenza di prevenire la diffusione del Covid-19, con il dispiegamento di ingenti risorse finanziarie a carico del bilancio pubblico».
Come emerso da subito «non mancarono deplorevoli casi di utilizzo improprio, se non addirittura fraudolento, di dette provvidenze; in particolare, molte segnalazioni riguardarono il beneficio della cassa straordinaria Covid, ovvero quello strumento che consentì di tutelare in parte i redditi dei lavoratori delle imprese costrette a sospendere le attività, scongiurando il rischio di disastrosi licenziamenti ed assicurando, altresì, quel patrimonio di professionalità che consentì alle imprese di essere pronte alla ripresa delle attività e che ha prodotto un importantissimo rimbalzo del nostro PIL nel 2022; diverse imprese utilizzarono la cassa straordinaria Covid anche senza aver avuto contrazioni delle attività e altre, addirittura, utilizzarono la cassa continuando ad impiegare i propri dipendenti nello svolgimento ordinario delle loro prestazioni lavorative».
Secondo quanto riportato in alcuni articoli di giornale dello scorso novembre e secondo quanto emerso dalla recente inchiesta giornalistica realizzata dal programma televisivo Report, «tra le imprese che avrebbero impropriamente percepito la cassa straordinaria Covid, senza averne diritto e continuando a far lavorare il proprio personale, rientrerebbe anche la “Visibilia Editore”, società quotata in Borsa, a suo tempo controllata con il 48,6 per cento delle azioni dalla Senatrice Santanchè; secondo alcuni documenti raccolti da un’apposita inchiesta della Consob, risulterebbe che diversi lavoratori, anche con ruoli apicali, non sarebbero mai stati informati della loro collocazione in cassa integrazione, addirittura a zero ore, e non avrebbero mai smesso di lavorare; qualora confermate». Vicende, queste, «che evidenzierebbero condotte gravemente lesive dei diritti dei lavoratori e un sostanziale uso illegittimo degli strumenti straordinari di sostegno del reddito dei lavoratori durante la pandemia».
Secondo uno studio dell’ufficio parlamentare di bilancio nell’anno 2020 la percentuale di ore utilizzate per Covid, senza cali di fatturato, era stimato pari al 27 per cento, corrispondenti a circa 2,7 miliardi di euro di spesa che si sarebbe potuta risparmiare in presenza di comportamenti corretti. L’ordine del giorno «impegna il Governo ad adottare ogni iniziativa utile al fine di potenziare i controlli sull’utilizzo appropriato della cassa straordinaria Covid, così come delle altre provvidenze previste durante la fase della pandemia, e per sanzionare gli operatori che ne avessero usufruito in maniera fraudolenta, recuperando con la massima sollecitudine gli importi illecitamente percepiti». La sottosegretaria Maria Teresa Bellucci (Fdi) ha dato parere favorevole a nome del governo.
(da La Stampa)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile COSA ACCADRA’ QUANDO, DAL PROSSIMO ANNO, CI SARA’ UNA STRETTA SUL REDDITO? IL 9,4% DEGLI ITALIANI VIVE IN POVERTA’ ASSOLUTA: COSA FA IL GOVERNO ITALIANO PER LORO? NULLA, CI DEVE PENSARE LA CARITAS
La povertà in Italia è «un fenomeno strutturale». Aumentano i lavoratori poveri e i bisogni multipli: non solo pasti e vestiario, ma sempre più bollette, affitti, cure sanitarie, sostegno socio-assistenziale. Uno su tre di quanti, tra gli italiani, cerca aiuto prende già il Reddito di cittadinanza, insufficiente da solo a dare risposte.
Dati allarmanti, quelli del primo Report statistico sulla povertà della Caritas -l’organismo pastorale della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) per la promozione della carità- anticipato rispetto al tradizionale Rapporto di ottobre, presentato ieri e riferito al 2022. Anno in cui il sostegno fornito dal Reddito era ancora integro. Dal 2024 la platea sarà dimezzata dalla riforma Meloni.
E però il contesto non è rassicurante. La povertà assoluta in Italia tocca quasi «un residente su dieci», il 9,4%. Quindici anni fa era al 3%. Si contano 5 milioni e 571 mila poveri assoluti contro 1,8 milioni del 2007. Le recenti crisi – debito sovrano, Covid, guerra e inflazione – hanno moltiplicato la platea degli indigenti. E prodotto «un acuirsi delle fragilità di chi era già vulnerabile», dice il direttore di Caritas Italiana don Marco Pagniello.
Il Report è ricco di numeri, frutto del sostegno offerto da Caritas a quasi 256 mila persone nel 2022 (+12,5%) per un totale di 3,4 milioni di interventi. Anche senza l’effetto guerra e l’accoglienza agli ucraini, il trend è in crescita (+4,4%) in un anno positivo per l’economia con il Pil a +3,7%. Non sempre si tratta di nuovi poveri, anzi quasi il 30% delle persone è seguito da più di 5 anni.
Prevalgono le donne (52%), età media 46 anni, titoli di studio bassi o molto bassi (due terzi), ma il 6% ha la laurea e il 23% è povero pur lavorando. Il 56% ha più di due bisogni (+2%). La novità del Report è nell’analisi multivariata, il primo tentativo della Caritas di capire a fondo chi sono i poveri italiani che si affacciano alle mense, agli empori, ai centri di ascolto. Ne escono 5 profili: i vulnerabili soli, le famiglie povere, i giovani stranieri in transito, i genitori fragili, i poveri soli.
E la conclusione è che esistono due grandi dimensioni che raccontano la povertà in Italia: le caratteristiche del nucleo familiare e la tipologia dei bisogni. Le persone sole, in prevalenza uomini, e i genitori soli di figli minori, di solito donne, sono i più fragili tra i fragili. Chi ha più di un bisogno rischia marginalità profonde e fatica a uscire dalla povertà. Non sono conclusioni facili.
Specie alla luce della riforma del Reddito di cittadinanza che esclude chi ha tra 18 e 59 anni, senza figli o disabili, a prescindere dai suoi reali bisogni. Caritas racconta invece che i “poveri soli” hanno tra 35 e 65 anni, spesso divorziati o vedovi, quasi sempre senza figli, la metà vive in grandi città e hanno bisogno più di altri di assistenza profonda che va oltre mensa e viveri. Come anche i “vulnerabili soli”, 35-60 anni, per lo più uomini, metà celibi, quota importante di divorziati, uno su tre senza dimora, uno su dieci con problemi di dipendenza
Qui c’è bisogno anche di un tetto e cure sanitarie. Queste persone vengono invece tagliate fuori dal nuovo Reddito.
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile AVEVA DIFFAMATO LA CAPITANA (VERA) KAROLA RACKETE MA E’ STATA NEGATA L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE… OVVIAMENTE DA UOMO TUTTO DI UN PEZZO SI E’ BEN GUARDATO DAL RINUNCIARE ALL’IMMUNITA’ E FARSI GIUDICARE COME I COMUNI CITTADINI
Con 82 sì (Lega-Fdi-Fi), 60 no (Pd, M5s, Avs) e 5 astenuti (Iv),
l’Aula del Senato ha negato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’attuale vicepremier Matteo Salvini per le opinioni espresse su Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3, la nave della Ong tedesca impegnata nel soccorso di 53 migranti nella zona SAR nel giugno 2019.
Il caso si riferisce a un procedimento a Milano per diffamazione continuata e aggravata di Rackete, all’epoca dei fatti comandante della Sea Watch 3, «per aver proferito diverse frasi offensive» sui social e nel corso di un’intervista televisiva: la comandante della nave venne definita «zecca tedesca», «complice degli scafisti e trafficanti», «sbruffoncella», «comunista» e «terrorista».
Con questo voto il Senato ha dunque approvato la relazione della Giunta delle immunità di Palazzo Madama, che si era espressa a fine febbraio 2023 ritenendo «insindacabili» le affermazioni di Salvini, che all’epoca dei fatti era ministro dell’Interno.
A stretto giro è arrivato il commento di Alessandro Gamberini, legale di Carola Rackete: «Che dire? Notizia attesa e scontata. È l’insindacabilità dell’insulto. È interessante notare come il Parlamento abbia ritenuto un’opinione espressioni come “zecca tedesca”, che qualificano chi le pronuncia ben più di una donna che è stata costretta a subirle».
(da Open)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile BASTA FAVORIRE GLI EVASORI FISCALI
La Corte dei Conti sottolinea la “necessità di abbandonare definitivamente il ricorso a provvedimenti che offrono, per le difficoltà del recupero (e per esigenze di bilancio), la definizione agevolata dei debiti iscritti a ruolo e che, oltre ad incidere negativamente in termini equitativi e sul contributo di ciascuno al finanziamento dei servizi pubblici, rischiano di comportare ulteriori iniquità”.
Le diverse disposizioni assunte tra il 2016 e il 2018 “hanno visto la presentazione di più di 4,1 milioni di istanze per 53,8 miliardi di introito previsto, di cui per oltre 33,6 miliardi vi è stato un omesso versamento”.
In termini di effetti finanziari, “nell’azione dell’amministrazione tributaria continuano a prevalere i controlli di tipo automatico (11,3 miliardi gli introiti nel 2022), mentre minori risultati producono le attività volte alla individuazione delle basi imponibili e delle imposte non dichiarate (5,8 miliardi gli introiti da attività di controllo sostanziale nel 2022)”, spiega Flaccadoro.
“Al riguardo sarebbe certamente importante una piena e completa utilizzazione delle banche dati tributarie e, in particolare, di quelle relative alle fatture elettroniche e ai rapporti finanziari, che dovrebbe costituire un aspetto centrale di una strategia di contenimento dell’evasione.
I risultati dell’attività di controllo sostanziale si caratterizzano per l’elevata concentrazione su un numero limitato di posizioni rilevanti (il 56 per cento degli introiti 2022 da controlli sostanziali è riferibile ad importi maggiori di 10 milioni), dovrebbe altresì essere rafforzata un’azione più estesa necessaria per contrastare l’evasione diffusa che tuttora caratterizza la situazione italiana”.
“I buoni risultati sul fronte del gettito del 2022 non devono ridurre l’urgenza di ridefinire un sistema tributario equo, condiviso e orientato alla crescita e che, proprio nelle fasi difficili come quella che attraversiamo, deve poter concentrare gli interventi sulle fasce più in difficoltà. Un ridisegno su cui è impegnato il Parlamento e di cui è parte fondamentale il sistema dei controlli”.
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile LA SPESA SANITARIA RISPETTO AL PIL E’ AI MINIMI STORICI (6,2%) SOTTO LA MEDIA UE DELL’8%, MENTRE IN FRANCIE E GERMANIA E’ AL 10%… TUTTO PER FAVORIRE I LORO COMPAGNI DI MERENDE DELLA SANITA’ PRIVATA
C’è una pista infallibile da seguire per capire cosa succede alla
sanità pubblica e di conseguenza a quella privata. Si tratta dell’andamento del rapporto tra il valore della spesa sanitaria, cioè di tutti i costi sostenuti in un anno dalle Regioni per curare i loro cittadini, e quello del Pil. Ebbene la prospettiva per i prossimi anni, certificata dal Mef, è quella di una discesa a livelli bassi, praticamente mai raggiunti. In questo 2023 il rapporto è al 6,7%, nel 2025 e nel 2026 scenderà fino a un misero 6,2%.
Indietro rispetto all’Europa
Va detto che l’Italia, indipendentemente da chi l’ha governata, non è mai stata molto generosa con ospedali, medici e infermieri. Così dal 2001 al 2019 ha perso 65 mila posti letto. Negli ultimi anni, tra l’altro mentre il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione diventava prorompente, il rapporto è sempre rimasto sotto alla soglia del 7%. Ci sono solo un paio di eccezioni, la più eclatante è quella degli anni del Covid, quando il governo ha riversato risorse sulla sanità che stava fronteggiando la pandemia. La media europea comunque è sempre rimasta lontana, visto che è all’8%, con Paesi come Francia e Germania che viaggiano addirittura intorno al 10. Insomma, si potrebbe fare molto di più.
Quanto guadagnano i convenzionati
E mentre la spesa pubblica si rivela troppo bassa per dare una svolta a un sistema in difficoltà, ad esempio in quanto ad organici e tempi di risposta nella specialistica, il privato fa affari. Negli anni, intanto, sono cresciuti i fondi riconosciuti dalle aziende sanitarie ai convenzionati, cioè a cliniche e anche centri diagnostici che lavorano per conto del servizio sanitario. Si tratta di strutture che, sempre citando i dati del Mef, nel 2002 ricevevano 14 miliardi di euro per le loro attività. Nel 2021 sono arrivate a 25 miliardi, ma si veniva da un 2020 che a causa Covid aveva interrotto il trend di crescita. Altrimenti il dato sarebbe stato anche più alto.
Se si osservano esclusivamente le strutture territoriali accreditate, cioè laboratori, ambulatori, consultori e così via, e non cliniche che fanno ricoveri, nel 2000 rappresentavano il 38,9% dell’offerta sanitaria totale pagata dallo Stato. Venti anni dopo la percentuale è salita al 58%. A dirlo è il rapporto Oasi dell’Università Bocconi. Alcune Regioni hanno visto una enorme esternalizzazione dell’offerta sanitaria: nello stesso arco di tempo il Piemonte è passato dal 23,9% di strutture accreditate sul totale di quelle territoriali al 64%, in Lombardia si è passati dal 34 al 70%, l’Emilia Romagna dal 31 al 57%, in Puglia dal 38 al 63%.
La spesa dei cittadini
Ma i privati incassano anche dai singoli cittadini. Si tratta della spesa così detta “out of pocket”, che cioè gli italiani tirano fuori di tasca propria tipicamente per fare la risonanza, l’ecografia, la visita ginecologica o pediatrica, anche in intramoenia, in tempi accettabili rispetto a quelli pubblici, talvolta lunghissimi. Secondo un’elaborazione dei dati Istat dell’Osservatorio sui consumi privati in sanità sempre di Bocconi (che tiene conto anche di quanto sborsato per le assicurazioni sanitarie) questa spesa privata valeva 34,4 miliardi di euro nel 2012 e 41 miliardi nel 2021. Cioè, il 20% in più in dieci anni. Il dato è così suddiviso: gli italiani spendono direttamente circa 20 miliardi per la specialistica, compresa l’odontoiatria, altri 15 per comprare farmaci, attrezzature terapeutiche e altri prodotti medicali. Poi ci sono quasi 6 miliardi per ricoveri ospedalieri o in strutture di lungodegenza, la voce che incide di meno anche perché pochissimi si possono permettere interventi chirurgici e degenze nel privato. La spesa privata diretta degli italiani racconta di una sanità pubblica che fatica a rispondere a tutti, soprattutto quando si tratta di prestazioni di base.
Gli espulsi dal sistema
I numeri dell’attività privata non riguardano una fascia di italiani, le persone che non possono permettersi di pagare una prestazione privata. Talvolta, di fronte ad attese lunghissime nel pubblico, dovute magari anche all’inappropriatezza di una parte consistente delle prescrizioni, rinunciano. Si tratta, secondo Istat, di circa 2,5 milioni di italiani. Sono gli espulsi dal sistema sanitario.
(da La Repubblica)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile RINVIARE, RINVIARE, RINVIARE: LA PAROLA D’ORDINE DEI SEDICENTI PATRIOTI E’ LA FUGA
Rinviare, rinviare, rinviare. Il governo ha una sola certezza davanti ai dossier complicati: prendere tempo. Che sia il voto sul Mes, per non lacerarsi ulteriormente, o che si tratti dell’informativa di Daniela Santanchè, per evitare un processo pubblico o peggio ancora un rimpasto che sarebbe tutt’altro che indolore, si procede a rilento.
La ministra del Turismo riferirà al Senato solo mercoledì 5 luglio, alle ore 15, come stabilito dalla capigruppo di ieri.
Nel frattempo passerà un’altra settimana per quella che si configura come un’informativa sul caso sollevato dalla trasmissione Report sulla gestione delle sue società Ki Group e Visibilia. Respinta al mittente la proposta di una presenza al question time di oggi a Palazzo Madama. Una tempistica troppo serrata per un governo sempre più in versione “sor Tentenna”. E soprattutto ci sarebbe stato il confronto diretto con i senatori interroganti. Impensabile.
Meglio disinnescare qualsiasi situazione imbarazzante, come ammesso implicitamente dal ministro dei Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani: «Il question time si sarebbe trasformato in un tiro al bersaglio». La narrazione di Fratelli d’Italia è quella di una gentile concessione fatta dalla ministra alle opposizioni. «Non era tenuta», ha sostenuto Ciriani.
E il presidente del Senato Ignazio La Russa ha rilanciato: Santanchè «avrà piena libertà di decidere se riferire solo al Senato o in entrambe le camere. Non crea alcun precedente». Il Partito democratico non è convinto, avrebbe preferito le risposte all’interrogazione presentata. «Le nostre domande sono molto puntuali e non fanno riferimento solo a inchieste giornalistiche, ma a una serie di fatti inoppugnabili relativi a bilanci pubblici di imprese», ha detto Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato.
Del resto Santanchè può prendersela comoda. Se qualche giorno fa sembra a un passo dalle dimissioni, oggi appare un po’ più salda. E, nonostante le perplessità interne a FdI, ha ottenuto sia la benedizione di Matteo Salvini sia la protezione di palazzo Chigi. «Mi fido dei colleghi ministri», ha detto il leader della Lega. Parole lontane da quelle pronunciate dal capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, che subito dopo la pubblicazione delle prime inchieste aveva invocato un rapido chiarimento.
MES RIDIMENSIONATO
Ma se sulla ministra del Turismo si tratta di un rinvio di pochi giorni, sul Mes si va ben oltre. Il governo sta praticano uno spietato catenaccio e, pur di non cadere in una trappola, continua a spedire la palla in tribuna, più lontano possibile. Certo, ormai è solo questione di tempo: il via libera alla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità arriverà. Il parere favorevole del ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti ha aperto la breccia.
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è infilata, spiegando ai suoi fedelissimi le ragioni di un netto cambio di linea rispetto agli slogan del passato. E pazienza se l’ulteriore dilazione non ha fatto piacere a Bruxelles.
L’Unione europea attende da mesi solo l’Italia per completare l’iter della riforma, attenderà ancora un altro po’ quando la messinscena sovranista cesserà. Nell’attesa di far digerire la giravolta, l’ordine di scuderia di palazzo Chigi è stato quello di minimizzare. «Non è un’urgenza, non lo è stato fino a oggi», ha detto il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Stesso spartito eseguito dal vicepresidente della Camera e volto mediatico di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli: «Non è una priorità, ne parleremo a tempo debito, a settembre». «Non è un problema attuale, è secondario», ha vaticinato il viceministro degli Esteri, il meloniano Edmondo Cirielli. Dichiarazioni fotocopia per dire che c’è tempo, nessuna fretta.
Solo che lo slittamento è l’unico punto fermo di una discussione che continua a essere confusa. Il centrodestra non sa come muoversi. In parlamento ha faticato addirittura e elaborare un piano per affrontare passaggio della proposta di legge, attualmente in esame alla Camera.
DISCUSSIONE E RINVIO
Il Pd, mettendo in agenda la discussione, ha creato grattacapi alla maggioranza. Dopo l’Aventino della scorsa settimana sull’adozione del testo-base, i deputati di Lega, FI e FdI stanno cercando altri stratagemmi machiavellici pur di non prendere una posizione. Non si può dire “sì”, né “no”. Fatto sta che dopo giornate di tribolazione è stata sciolta la riserva: il 30 giugno, come da calendario e salvo ripensamenti last minute,a Montecitorio ci sarà la discussione generale sul testo di ratifica.
Aveva preso forma la tentazione di scappare a gambe levate dal dibattito disponendo, con una votazione a maggioranza, l’immediato ritorno del testo in commissione, così da rimandare subito tutto all’autunno, evitando l’intralcio del dibattito. Solo che sarebbe stato un atto di debolezza ulteriore, proprio mentre la premier Meloni si troverà a Bruxelles per le ultime ore del Consiglio europeo che inizia domani. Una concomitanza non piacevole.
L’accettazione del confronto è apparsa come la strada più indolore. Ora occorrerà soppesare le parole, limare gli interventi fino all’ultima virgola, riponendo gli slogan nel cassetto. E facendo ricorso a tutte le capacità di arrampicata sugli specchi per arrivare all’agognato rinvio.
Lo stesso Rampelli si è lasciato sfuggire una verità – fino a pochi giorni fa impronunciabile – intorno al Mes: il rinvio del voto «non significa che non lo ratificheremo mai». Oggi, intanto, è prevista la scadenza del termine per la presentazione degli emendamenti alla proposta di legge sulla ratifica del Mes. Già una prima bussola sulle mosse del centrodestra, che però sembra sempre disorientato. E decide di rimandare i problemi.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile LA SUA CREDIBILITÀ È AI MINIMI TERMINI: “DOPO PRIGOZHIN, QUALCUN ALTRO CI PROVERÀ. È SOLO QUESTIONE DI TEMPO”
«Smuta». È solo una parola, che Vladimir Putin utilizza
appena una volta, all’inizio del suo discorso di ieri mattina davanti ai soldati nella piazza delle Cattedrali del Cremlino. Un vocabolo in disuso, che arriva dal russo antico, la cui radice significa vago, incerto.
Ma è una scelta lessicale ben precisa. Dietro alla quale si cela un messaggio chiaro. O me, o il caos. Il presidente russo è un appassionato di Storia, anche se poi la interpreta sempre a modo suo. E conosce bene la pancia del suo Paese, quali sono le sue paure più profonde. La prima, che vince su tutte le altre, è quella dell’instabilità, dei torbidi. A Putin non interessa più del giudizio del mondo fuori, ormai si è bruciato tutti i ponti alle sue spalle.
Ogni suo discorso è ormai rivolto all’interno, alla Russia che lo guarda. E in questo senso, una figura carica di populismo come quella di Evgenij Prigozhin è perfetta per riproporre in antitesi a lui la figura dell’uomo che si è fatto Stato, per ribadire l’implicito patto sociale che lo lega al suo popolo. Voi mi lasciate governare, io vi garantisco la stabilità. È da qui che bisogna partire, quando si ragiona di un leader senz’altro indebolito dalla rivolta militare, ma che agli occhi di molti russi rimane ancora l’unico antidoto all’anarchia tanto temuta.
«Cosa succede ora? All’improvviso la Russia è diventata un Paese dove tutto può accadere, ma questo non significa che Putin abbia i mesi contati. L’ex diplomatico Aleksander Baunov, oggi membro del Carnegie Moscow Center nonché uno degli analisti russi più interessanti, ha scritto sul Financial Times che il «pareggio» dello scorso sabato è stato ottenuto al prezzo di un notevole e inedito tremendo stress di sistema. Che pone Putin davanti a un dilemma non da poco. «Il presidente dovrà scegliere se continuare ad agire nel ruolo sempre più precario di protettore delle “élite corrotte” denunciate da Prigozhin, che però hanno maturato un credito schierandosi con lui, oppure avviare una loro purga».
Nessuno si azzarda a fare previsioni, «Putin non ha data di scadenza, non è mica uno yogurt» ribadisce al telefono il suo ex consigliere Sergey Markov. Ma quasi tutti i commentatori qualificati, favorevoli o contrari che siano allo Zar, concordano sul fatto che questa volta il suo cammino è irto di ostacoli.
Anche Ekaterina Shulman, ex membro del Consiglio per la società civile e diritti umani presso il presidente della Russia, da quando è stata dichiarata «agente straniero» professoressa ad Astana, capitale del Kazakistan, è rimasta colpita dal silenzio di quelle prime ore della marcia su Mosca. «La popolarità di Putin e i suoi indici di gradimento non sono altro che una conseguenza dello statu quo. Oggi il presidente sta saldo in piedi, ma se vacillerà un’altra volta, la caduta sarà rovinosa. Dopo Prigozhin, qualcun altro ci proverà. È solo questione di tempo».
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 28th, 2023 Riccardo Fucile IL LEADER DELLA WAGNER HA DOVUTO ACCELERARE IL PIANO DOPO ESSERE VENUTO A CONOSCENZA CHE I VERTICI RUSSI SAPEVANO DELLE SUE INTENZIONI
Yevgeny Prigozhin voleva catturare i leader militari russi nell’ambito nella rivolta armata da lui guidata della scorsa settimana. A rivelarlo è il Wall Street Journal che cita alcuni funzionari occidentali secondo i quali il leader della milizia Wagner avrebbe accelerato il suo piano di ribellione dopo essere venuto a conoscenza che l’intelligence sapeva della sua iniziativa. In particolare, Prigozhin – scrive il quotidiano americano – voleva catturare il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo dello stato maggiore dell’esercito Valery Gerasimov, nel corso di una visita in una regione a sud dell’Ucraina che i due stavano pianificando. Secondo l’intelligence occidentale, però, il Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa, noto con la sigla FSB, avrebbe scoperto il piano due giorni prima che venisse eseguito. Viktor Zolotov, il comandante della Guardia Nazionale della Russia, una forza militare interna che riporta direttamente al presidente Putin, ha affermato infatti che le autorità sapevano delle intenzioni di Prigozhin prima che quest’ultimo lanciasse la sua “marcia della giustizia”. I piani dell’ex cuoco di Putin sono stati scoperti analizzando intercettazioni e immagini satellitari.
Il leader della Wagner era inoltre convinto che una parte delle forze armate russe si sarebbe rivoltata contro i propri comandanti prima di unirsi alla marcia, mette in evidenza il quotidiano riferendo che i funzionari occidentali ritenevano che l’iniziale piano di Prigozhin avesse buone chance di successo ma è poi fallito quando c’è stata la fuga di informazioni che lo ha costretto ad accelerare i tempi. Tuttavia, il lancio prematuro dell’ammutinamento di Prigozhin, aggiunge ancora il Wall Street Journal, è fra i motivi che possono spiegarne il fallimento.
(da Open)
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