Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
QUEST’ANNO HA ORGANIZZATO LA KERMESSE “FENIX”, CON DIBATTITI SULL’ANTIMAFIA E SULLA SCUOLA… PERÒ, TRA GLI ISCRITTI, C’È CHI PARTECIPA A RADUNI SUPREMATISTI E INNEGGIA ALLE SS E A PRIEBKE
Lato A. Accreditamento nel Consiglio nazionale dei Giovani sul cui sito spicca il logo della presidenza del Consiglio dei ministri.
Lato B. Partecipazione a raduni suprematisti dove si inneggia al “White Lives Matter”, alla teoria etno-nazionalista del “sangue e suolo”, e risuonano canzoni dedicate alle SS e a Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine.
Lato A. La kermesse mediatica Fenix: una nuova Atreju.
Lato B. Gli onori alla XMas, a gerarchi e squadristi, a Léon Degrelle, “il figlio adottivo di Hitler”, nazista belga delle Waffen SS. E ancora.
Lato A. I dibattiti su mafia, scuola, futuro.
Lato B. L’osmosi con Azione Studentesca e Casaggì
Per capire che cos’è davvero Gioventù nazionale – l’organizzazione giovanile di FdI che alla sua festa a Roma (titolo: “Fenix – lo chiameremo futuro”) ha ospitato dibattiti e politici di primo piano – bisogna posare la lente su superfici (quasi) opposte. Lato A e lato B.
Roma, via Sommacampagna 29. Zona Termini-Castro Pretorio. Qui c’è la sede romana di Gn, il nucleo duro degli under 21 di Giorgia Meloni. Lo dicono i numeri e la storia. Dei 50mila iscritti a Gioventù, che come il partito ha la sede nazionale in via della Scrofa, la maggior parte, 8 mila, sono nella Capitale.
Dopo il trionfo elettorale di FdI alle Politiche 2022, a ravvivare gli interni della sede di Gn ci ha pensato il segretario capitolino. Simone D’Alpa, 32 anni, grafico. Sui muri delle stanze un tempo missine risplende il pantheon dei patrioti-young. Tra citazioni di Tolkien (a Fenix il ministro della Cultura Sangiuliano ha annunciato una mostra per i 50 anni dalla scomparsa), ci sono: l’acronimo XMas; i ritratti di D’Annunzio, Ettore Muti (squadrista ed ex segretario del Partito nazionale fascista), Italo Balbo (quadrumviro della Marcia su Roma); Filippo Corridoni (sindacalista amico di Mussolini).
“Patrioti contro globalisti”. La scritta nella home page di Gn fa pensare che sotto il cielo dei giovani meloniani (età: dai 14 ai 21) ci sia posto per molti. Ma, gira e rigira, i riferimenti culturali, quelli sono. Decisiva l’opera di diffusione della casa editrice Passaggio al Bosco.
Alcuni titoli usciti. L’inganno antirazzista ; White Guilt – il razzismo contro i bianchi al tempo della società multietnica ; Il tramonto del mondo bianco ; La cancellazione della civiltà europea . Ecco la teoria della sostituzione etnica evocata da Meloni e dai suoi colonnelli. Ed ecco il citato “White Lives Matter”.
A luglio 2022, a Verona, lo slogan razzista nato in risposta al “Black Lives Matter” campeggia a Fortress, il raduno del gruppo neonazista Fortezza Europa. Dopo le lezioni anti “maschio debole”, il gender, l’anti migrazionismo, sul palco si esibisce la crème del fascio-rock. Rdd, Hobbit, Ultima Frontiera. E i Gesta Bellica, che omaggiano Priebke e le SS. Un brano s’intitola Giovane patriota . F
orse, per assonanza, è gradito ai baby patrioti di Gioventù, che sono lì. Il 9 luglio 2022 sulla pagina Ig gongolano: «Oggi siamo presenti alla festa degli amici di Fortezza Europa a Verona: una grande giornata di cultura, musica, comunità».
Laghetto dell’Eur, un mese fa. Fabio Roscani, classe 1990, deputato, presidente di Gn. Chiude Fenix con toni trionfali: «Si è parlato tanto della generazione Atreju che oggi ha la responsabilità di guidare la nazione. Accanto alla generazione Atreju sta crescendo una generazione Fenix che sarà pronta a prendere quel testimone…».
Ha ancora nelle orecchie le parole della guest-star Ignazio La Russa. «La fiamma nel simbolo è conseguenza, l’importante è avere nel cuore una fiamma che arde per la patria ». Roscani snocciola i numeri di Gn: 50 mila iscritti, 20 coordinamenti regionali, 100 federazioni provinciali e metropolitane, 31 mila followers su Fb, Ig e Twitter. Qualcosa sfugge. Il 31 marzo 2021 la federazione di Verona commemora su Fb Léon Degrelle. Post: «Per tutti coloro che ancora sognano un secolo di cavalieri ». Da FdI Roma, silenzio.
Insomma: Gioventù di lotta e di governo. La facciata più pulita? L’accreditamento nel Consiglio nazionale dei Giovani. È l’organo consultivo cui è demandata la rappresentanza dei giovani in Italia. Ne fanno parte, tra le tante sigle, anche Libera e i Giovani democratici Pd.
Si legge sul sito: «Il Consiglio rappresenta i giovani con le istituzioni per ogni confronto politico», «può essere sentito dal presidente del Consiglio dei ministri», «esprime pareri e formula proposte», «collabora con le amministrazioni pubbliche», «si impegna a riconoscere e promuovere il dialogo».
(da La Repubblica)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
“DELL’UTRI, DA BUON SICILIANO, SAPEVA A CHI RIVOLGERSI PER TRATTARE, LO FANNO TUTTI”… UN INFAME INSULTO A CHI HA DENUNCIATO E HA SACRIFICATO LA VITA PER COMBATTERE LA MAFIA… QUESTA SAREBBE LA DESTRA DELLA LEGALITA’?
“Berlusconi? Può aver avuto contatti con la mafia all’epoca in cui in Sicilia si facevano saltare i ripetitori Mediaset. La mafia voleva essere pagata per non farli saltare e forse avrà utilizzato Dell’Utri il quale, da buon siciliano, sapeva a chi rivolgersi per trattare. Se questo si considera reato allora sarebbero dovuti essere rinviati a giudizio un bel po’ di imprenditori italiani, perché tutti sanno che, per quieto vivere, si deve arrivare a compromessi per poter operare in Sicilia”.
Così, con questa incredibile motivazione, mercoledì 26 luglio la consigliera comunale di Macerata di Fratelli d’Italia, Lorella Benedetti, ha spiegato in aula il suo sostegno alla proposta di Forza Italia di intitolare una via o una piazza a Berlusconi.
Parole che hanno scatenato la bufera politica in consiglio, con le opposizioni sulle barricate. “Sono affermazioni che non hanno bisogno di una nostra dichiarazione di sdegno, si commentano da sé” si legge in una nota di Sinistra Italiana. “La destra maceratese normalizza i rapporti di chiunque con la malavita organizzata, un insulto a tutti i Libero Grassi di questo paese, alle Lea Garofalo, ai Falcone, ai Borsellino, alle loro scorte e a tutte e tutti noi che crediamo fermamente nella lotta al cancro più letale d’Italia”
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
AL CENTRO, LA SFIDA PER IL POSTO DI CAPOLISTA È TRA NICOLA ZINGARETTI E MARTA BONAFONI, VICINISSIMA ALLA SCHLEIN, PER IL SUD AVANZANO SANDRO RUOTOLO E LA “SARDINA” JASMINE CRISTALLO. AL NORD-OVEST SI FA IL NOME DI CECILIA STRADA. AL NORD-EST LA SEGRETARIA VUOLE GIOCARSI LA CARTA BONACCINI
Le speranze sono ben riposte: le europee sono un voto di opinione, non ci sono alleanze da fare, al Pd basta puntare sopra il 20 per cento e il gioco è fatto, i 5stelle sono sempre andati male e ci sarà un travaso. Elly Schlein ha buoni motivi per puntare tutte le sue carte sulle elezioni per il rinnovo del parlamento Ue.
Ma poi ci sono i trascina-consenso e i capilista da scegliere. E qui cominciano i guai, tanto che le malelingue sostengono che la segretaria non escluda di presentarsi lei stessa capolista in tutte le circoscrizioni. Un azzardo a cui pochi credono. Tanto che le varie tribù dem scalpitano per capire chi saranno i prescelti nelle cinque circoscrizioni. Nicola Zingaretti o Marta Bonafoni, Stefano Bonaccini o Alessandro Zan, le sardine oppure…
Registrare le voci di corridoio al Nazareno sui movimenti di truppe, anche nella rivoluzionaria era Schlein, è utile per capire i fiumi di veleni sotterranei che scorreranno nei prossimi mesi
Sulla carta, la circoscrizione più affollata di pretendenti è Italia Centro: in lista ci sono 15 posti, come per tutti gli altri partiti e l’ultima volta nel 2019 il Pd ne elesse 4. Alla Pisana, sede della Regione Lazio, da mesi si parla dei candidati in pectore: raccontano che già sarebbe in corso un derby per guidare la lista dem tra Marta Bonafoni, consigliere regionale, coordinatrice della segreteria vicinissima a Schlein e Nicola Zingaretti, ex segretario appena nominato presidente della Fondazione Pd.
I bookmakers danno Bonafoni favorita anche perché Schlein vorrebbe tutte capolista donne, anche se così non sarà.
Italia centro avrà altri candidati e tra questi in pole position ci sono il sindaco di Firenze, Dario Nardella, bagaglio di preferenze di tutto rispetto e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro. Ma anche Camilla Laureti, entrata in Europa al posto di Sassoli, che Schlein non vedrebbe male anche come candidata governatrice dell’Umbria, dove si voterà l’anno prossimo. Ambisce a un posto pure Alessia Morani rimasta fuori dalle liste alle politiche.
Nel toto-nomi dei più titolati figurano anche Laura Boldrini e il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni.
Della segreteria Schlein si fanno i nomi di Sandro Ruotolo, giornalista che gode di una certa popolarità e quindi potenziali preferenze, la calabrese Jasmine Cristallo, uno dei volti più noti del movimento delle Sardine, da pochi mesi entrata a far parte della direzione nazionale del Pd, mentre sarebbe incerta la ricandidatura di Pina Picierno, vice presidente del Parlamento europeo, sostenuta nel 2019 da Letta e Franceschini e oggi in freddo sia con Bonaccini sia con Schlein.
Anche qui le voci dal territorio si sprecano: una di queste darebbe come possibile capolista Chiara Gribaudo, eletta nel cuneese, giovane vicepresidente del Pd. Un’altra ipotesi è l’ingresso in lista di Cecilia Strada, la figlia del fondatore di Emergency. C’è poi il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, così come il milanese Emanuele Fiano, esponente di punta del Pd della passata legislatura rimasto fuori dagli scranni di Montecitorio.
Sopra le rive del Po il più accreditato capolista è Stefano Bonaccini. Il governatore emiliano è al suo secondo mandato, trovare un candidato che non faccia perdere la regione rossa sarebbe un problema, ma il suo largo bacino di preferenze farebbe da traino alla lista dem. Che potrebbe essere anche guidata dal responsabile diritti della segreteria, Alessandro Zan, mentre pare confermata Alessandra Moretti. E una new entry sarebbe il leader delle Sardine Mattia Santori.
(da La Stampa)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
E SUGLI ANNUNCI IMMOBILIARI, QUALCUNO HA COMINCIATO A SCRIVERE: “IL PALAZZO SI TROVA ACCANTO A UNA BATTERIA DELL’ANTIAEREA”
È questo il vero bersaglio dei droni ucraini. Ancora prima di colpire obiettivi strategici come caserme, centri di comando, centrali di hacker dei servizi segreti russi, uffici del ministero della Difesa o il Cremlino – tutti presi di mira negli ultimi mesi da attacchi arditi e spettacolari che però non hanno procurato molti danni – lo scopo dei velivoli lanciati su Mosca è quello di squarciare il muro di gomma che la isola dalla realtà brutale della guerra.
Perché tutti si rendono conto, come scrive l’analista militare britannico Lawrence Freedman, che una guerra cominciata da Mosca deve finire a Mosca, e lo scopo ultimo di tutte le mosse dell’Ucraina e dei suoi alleati è quello di infliggere alla Russia un colpo tale da costringere Vladimir Putin a fermarsi.
In altre parole, il prezzo di una guerra iniziata (anche) per tornare a piacere ai propri sudditi deve diventare troppo pesante per chi la sostiene, e per chi fa finta che non esista. Lo strillo della ragazza che ieri in uno dei primi filmati sull’attacco dei droni alla City di Mosca gridava istericamente «Andiamocene!» è una reazione di terrore e choc, come se non fossero esistite le città ucraine bombardate per 500 giorni, come se la guerra per lei fosse iniziata soltanto in quel momento.
Volodymyr Zelensky ieri ha chiamato «naturale e giusto» riportare la guerra in territorio russo. Per gli ucraini, l’obiettivo non è solo quello di vedere anche i russi provare almeno un milionesimo della loro paura e del loro dolore: si tratta di saggiare le difese, e di mostrare la vulnerabilità di Mosca, e di un regime che appare incapace di difendere la propria capitale molto più di quando sia difesa Kyiv.
Qualcuno ha già aggiunto nelle inserzioni sulla vendita degli immobili, accanto a vantaggi come la vista e il parcheggio, anche la nota «il palazzo si trova accanto a una batteria dell’antiaerea».
In un Paese normale, due droni che colpiscono il quartiere degli affari, la vetrina più moderna e scintillante dell’ambizione moscovita, volando indisturbati per 600 chilometri (o venendo lanciati direttamente dal territorio russo, che forse sarebbe ancora più clamoroso), avrebbero provocato come minimo una polemica.
Ma la televisione, invece delle macerie e delle esplosioni, mostra Putin che a Pietroburgo ammira la sfilata della marina militare, e anche chi è andato in Rete a vedere le notizie non censurate torna rapidamente all’attività principale del moscovita medio: fare finta di niente.
I cronisti indipendenti della cooperativa Bereg hanno raccolto le reazioni degli abitanti dei grattacieli della City: dopo il primo spavento, qualcuno resta fiducioso, qualcuno decide di accelerare la propria fuga dalla Russia, qualcuno chiede (inutilmente) di abbassare l’affitto o di venire spostato in home working, ma nessuno trae conclusioni che vadano oltre una tattica di sopravvivenza personale.
(da La Stampa)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
PER SALVINI I CONTI SONO INUTILI, TANTO LO PAGANO GLI ITALIANI
Il livello della squadra che Giorgia Meloni ha portato al governo è di per sé deludente, per questo nessuno si stupisce che Matteo Salvini, da ministro delle Infrastrutture, giri l’Italia a inaugurare cantieri promettendo la cura del cemento come soluzione al declino italiano fingendo di non ripetere la stessa filastrocca di chi l’ha preceduto negli ultimi decenni.
Eppure la vicenda del Ponte sullo Stretto di Messina riesce a essere perfino più grottesca di così.
Come noto, Salvini ha deciso di ripristinare per decreto il vecchio progetto di Eurolink (capitanato dalla Webuild di Pietro Salini) bocciato nel 2013 dal governo Monti come uno spreco inutile di soldi.
Il presidente dell’Autorità anticorruzione, Giuseppe Busia, ha provato a spiegare che così facendo si fa un regalo enorme a un costruttore privato in causa con lo Stato per 700 milioni, soprattutto se, come probabile, alla fine l’opera non si farà.
L’opposizione l’ha lasciato solo e il ministero di Salvini lo ha trattato come un prevenuto che non sa leggere i testi, come se non fosse un giurista che si occupa di contratti pubblici ai massimi livelli da anni.
È sulle grandi opere infatti che si manifesta tutto il fanatismo della classe dirigente.
Quattro anni fa l’economista Marco Ponti e gli altri autori dell’analisi costi-benefici sul Tav Torino-Lione, chiamati dal governo Conte 1, mostrarono quel che tutti sanno da sempre: il tunnel è uno spreco di risorse. I sedicenti competenti li hanno massacrati accusandoli di essere prevenuti. Come è andata a finire è noto e il team di Ponti è stato congedato.
Stavolta il problema si risolve alla radice: Salvini non ha nessuna intenzione di sottoporre il Ponte a un’analisi del genere, che considera un’inutile incombenza. “Bisogna osare”, ha spiegato, tanto più che il ponte “è un diritto degli italiani” e si deve partire nel 2024. Fare i conti per avere un quadro completo, se del caso da ignorare, non serve.
Per fortuna qualcuno ha pensato di farlo lo stesso. L’economista dei trasporti Francesco Ramella, già nel team di esperti chiamati ad analizzare Tav&C., ha pubblicato un’analisi per Bridges Research, l’associazione fondata da Ponti.
Breve premessa: l’analisi costi-benefici (Acb) non misura la sostenibilità finanziaria di un’opera, ma i suoi effetti economici, sociali e ambientali. Serve insomma a valutare se è meglio dirottare quei soldi altrove. Gli economisti dei trasporti usano criteri standard per calcolare il beneficio alla collettività. Se si prendesse solo la redditività finanziaria, non si costruirebbe quasi niente.
Fatta la premessa, quella del Ponte – il cui costo preso in considerazione è quello della sola opera in concessione (13,5 miliardi secondo il Def) – è negativa per circa 3,6 miliardi, cifra che scenderebbe se il ponte si limitasse alla sola parte stradale.
Il problema principale è dovuto al tasso di crescita della domanda di utilizzo. Il report, forse ottimisticamente, assume che l’opera, una volta realizzata, assorbirebbe tutti i traffici serviti oggi dai servizi di traghettamento tra Villa San Giovanni e Messina (il 90% dei flussi nello Stretto) a cui non verrebbe chiesto pedaggio.
Il ponte apporterebbe significativi benefici in termini di riduzione dei costi di trasporto per le province di Messina e Reggio Calabria (che vedrebbero un forte aumento della mobilità), molto meno per il resto delle due Regioni e quasi niente per le lunghe distanze.
È probabile, scrive Ramella, che il ponte determini lo spostamento su ferrovia dei traffici passeggeri oggi serviti via aereo tra Catania e Napoli e parte di quelli tra Catania e Roma (nell’ipotesi, peraltro generosa, che venga realizzata l’Av Salerno-Reggio Calabria), ma l’effetto sarebbe marginale – visto l’elevato divario di tempi – sui flussi da e per il Centro-Sud e quasi zero per i collegamenti con il Nord Italia.
I passeggeri spostati sull’itinerario terrestre sono stimati in 1,5 milioni mentre il traffico merci in 1,7 milioni di tonnellate, il quadruplo di quelle oggi trasportate su ferrovia. Il break even ambientale (il saldo zero tra emissioni di cantiere e quelle risparmiate) verrebbe raggiunto dopo 17 anni.
Perché, nonostante questo trasferimento modale, il risultato è così negativo? Perché la crescita della domanda di utilizzo è sostanzialmente nulla, secondo Ramella. Per evitare un risultato negativo, dovrebbe crescere dell’1,7% l’anno per i prossimi 40 anni, portando il numero di utilizzatori a 40 milioni, numeri incompatibili con le prospettive demografiche ed economiche.
Se queste ultime fossero diverse, il discorso cambierebbe ma non può essere il ponte a generare un’inversione: la letteratura economica, spiega Ramella, non assegna alla riduzione dei tempi di percorrenza effetti economici particolarmente rilevanti per le aree coinvolte.
Il ponte sarà un diritto degli italiani, ma forse anche conoscere questi numeri lo è.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
È PASSATO UN GIORNO E ARRIVA LA STRONCATURA DELL’ISTAT: NEL SECONDO TRIMESTRE IL PIL CALA A SORPRESA DELLO 0,3% RISPETTO AL TRIMESTRE PRECEDENTE
“Sono stata descritta come un mostro che non sono. Non c’è nulla che voglio dire a coloro che mi criticano. L’unico modo in cui mi piace rispondere è con i risultati: stiamo crescendo di più delle altre economie, abbiamo un livello alto di occupazione stabile, di occupazione femminile. Le cose stanno andando bene”. Lo afferma la premier Giorgia Meloni in un’intervista a Fox.
Cala la crescita in Italia: nel secondo trimestre del 2023 il Pil, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente (quando era cresciuto dello 0,6%) ed è aumentato dello 0,6% in termini tendenziali. La stima è inferiore alle previsioni degli economisti. Lo comunica l’Istat diffondendo la stima preliminare.
Alla luce dei dati del secondo trimestre, la crescita acquisita del Pil per il 2023 (ovvero la variazione che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri dell’anno) è pari allo 0,8%.
La flessione del Pil registrata nel secondo trimestre dell’anno (-0,3%), è dovuta ad «una flessione sia del settore primario, sia di quello industriale, a fronte di una moderata crescita del comparto dei servizi». Dal lato della domanda, invece, la flessione «proviene dalla componente nazionale al lordo delle scorte, con la componente estera netta che ha fornito un apporto nullo».
Migliora invece l’economia nell’area euro dopo un primo trimestre piatto. Nel secondo trimestre del 2023 il Pil destagionalizzato dell’area euro è invece aumentato dello 0,3% ed è rimasto stabile nell’Ue, rispetto al trimestre precedente. Lo stima Eurostat. Nel primo trimestre del 2023 il Pil era rimasto stabile nell’area dell’euro ed era aumentato dello 0,2% nell’Ue. Su base tendenziale, invece, nell’area dell’euro il Pil ha registrato un aumento dello 0,6% mentre, nella Ue, l’incremento è stato dello 0,5 per cento.
Il periodo di sovraperformance economica dell’Italia è terminato, scrive in una nota l’economista Franziska Palmas di Capital Economics. Il Paese, inoltre, appare più vulnerabile rispetto agli altri dell’area dell’euro al rialzo dei tassi d’interesse, data la sua quota di mutui a tasso variabile e a seguito della fine degli incentivi fiscali che avevano alimentato l’edilizia, afferma Palmas.
«L’Italia non sta più superando i suoi omologhi e pensiamo che nella seconda metà del 2023 subirà un calo della produzione più marcato rispetto agli altri grandi dell’eurozona», afferma Palmas.
(da il Sole24Ore)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
SONO PRATICAMENTE LE STESSE PAROLE DEL MINISTRO TEDESCO KARL LAUTERBACK, AL QUALE IL SIGNOR MELONI HA RISPOSTO PICCATO (“SE NON TI STA BENE STAI A CASA TUA. NELLA FORESTA NERA, COSÌ STAI BENE, NO?”)
“Il sud dell’Europa perderà massicciamente turisti, soprattutto nei classici periodi dell’anno. I flussi si sposteranno verso alla fine dell’estate fino ad ottobre”. Lo dice alla Tiroler Tageszeitung il futurologo austriaco Andreas Reiter.
“Le montagne e i laghi saranno avvantaggiati. Con 40 gradi non stai sull’Adriatico”. Le affermazioni del docente dell’università di Krems e direttore del Zukunftsbuero di Vienna, in qualche modo, fanno eco a quelle del ministro tedesco Karl Lauterbach.
A causa del cambiamento climatico “il Mediterraneo sarà interessante in altri periodi dell’anno. Andrò in Italia tra ottobre e aprile”, sostiene. “Tra 20 anni – prosegue – le vacanze estive ‘sole e spiaggia’ sul Mediterraneo non saranno più come ora. Ci andrò in autunno e in primavera, perché le temperatura (d’estate, ndr.) saranno insopportabili”.
Questo avrà ovviamente effetti sulla scelta delle mete turistiche delle famiglie, che a causa della chiusura delle scuole sono legate all’estate.
Le vacanze estive – secondo Reiter – per una fetta importante della popolazione saranno troppo care. Il sud della Svezia e l’Olanda registreranno un boom di vacanzieri, ma – a suo avviso – saranno proibitive per la maggioranza dei cittadini. Con l’innalzamento delle temperatura cambierà anche il turismo invernale. “Le località sciistiche più basse avranno sempre meno neve. Il Tirolo e l’Austria potranno però recuperare massicciamente d’estate”, conclude.
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
DA QUI AL 2024, IL FONDO SANITARIO NAZIONALE SI RITROVERÀ CON UNA CAPACITÀ DI SPESA PIU’ BASSA DI 15 MILIARDI RISPETTO AL PREVISTO… OLTRE 500 STRUTTURE SANITARIE E CASE DI CURA ESCLUSE DAI FONDI DEL PNRR
Corroso dall’inflazione, smangiucchiato dai costi dei rinnovi contrattuali dei medici, con un miliardo di rimborsi da parte delle industrie del biomedicale che balla, il finanziamento pubblico della nostra sanità nel 2024 si perde per strada qualcosa come 15,2 miliardi.
Basta infatti fare due conti sui dati del Def, il documento di economia e finanza del governo, per scoprire che dal 2021 al 2024 il fondo sanitario nazionale salirà pure da 127,8 a 132,7 miliardi, pari a un più 4,9 miliardi, ma in termini di reale capacità di spesa fa un salto all’indietro dell’11,5%, a causa dell’inflazione sanitaria, anche più alta di quella generale, e dei 2,5 miliardi per il rinnovo contrattuale 2019-21 dei camici bianchi.
Oltre la metà dei governatori vede all’orizzonte lo spettro del commissariamento e dei piani di rientro, che si traducono poi in taglio delle prestazioni e blocco delle assunzioni. Tutto il contrario di quel che serve in questo momento per accorciare le chilometriche liste di attesa e recuperare i milioni di prestazioni saltate durante il Covid.
Per non parlare del fatto che le nuove strutture sanitarie territoriali, case e ospedali di comunità, sono sì finanziate dal Pnrr, ma solo per quel che concerne mura e macchinari, mentre i costi non indifferenti per medici e infermieri che dovranno lavorarci dovranno spuntare dal sempre più asfittico fondo sanitario.
Tutto questo lo sa bene il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che domani si presenterà davanti al collega dell’Economia Giancarlo Giorgetti per chiedere 3-4 miliardi aggiuntivi nella prossima manovra.
Il resto di quel che manca nel piatto dovranno metterlo le Regioni, risparmiando su cure inappropriate e reparti ospedalieri che vanno sotto giri con tassi di occupazione dei letti a volte sotto il 50%, mentre in altri non c’è spazio. Ma, spalleggiato da spezzoni importanti della maggioranza di governo, Schillaci calerà sul tavolo del Mef un jolly, quello di una tassa sul gioco d’azzardo per finanziare la sanità.
L’idea l’ha già fatta sua il senatore di Fratelli d’Italia Franco Zaffini, presidente della commissione Sanità e Lavoro di Palazzo Madama. «La sanità per una volta deve fare “bingo” – dice il senatore – e allora quale modo migliore che pensare a una “fiche” su giocate e scommesse effettuate con strumenti di pagamento elettronico, attualmente non soggette al prelievo erariale, a un suo incremento sulle vincite e ancora a un aumento dei canoni di concessione dei giochi online».
In più sui conti della sanità pesano altri due macigni oltre a quello dell’inflazione. Il primo è il rinnovo del contratto dei medici. Quello del triennio 2019-21 finirà per andare alla firma a settembre per le resistenze dei sindacati a chiudere senza garanzie su turni di lavoro meno massacranti e recupero delle ore extra effettuate, che portano i camici bianchi a regalare in media 300 ore a testa l’anno.
Nonostante si parli di aumenti mensili in busta paga contenuti tra i 240 e i 290 euro lordi, il costo dell’intesa supera i due miliardi e mezzo per via degli arretrati, oltre 10 mila euro a medico. Soldi che il governo ha già stanziato e che sono nel fondo sanitario di quest’anno, ma che tra via libera della Corte dei Conti e approvazione del Consiglio dei ministri finiranno nelle tasche dei dottori con il nuovo anno.
Ma la stangata più grossa arriverà con il rinnovo del contratto 2022-24, quello che deve recuperare le quote di retribuzione divorate dall’inflazione e senza il quale i sindacati di categoria, compresi quelli del restante personale sanitario, promettono scioperi a rischio paralisi di Asl e ospedali.
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
A POCHI CHILOMETRI DAI CASALI SCELTI DAI BENESTANTI, LAVORANO BRACCIANTI STRANIERE COSTRETTE A FATICARE SOTTO IL SOLE PER DODICI ORE AL GIORNO CON UNA PAGA ILLEGALE
Nei borghi turriti c’è il paradiso: le case antiche scelte da artisti, intellettuali e manager per vacanze in un’atmosfera rinascimentale. Nei poderi, a pochi chilometri di distanza, c’è l’inferno: braccianti straniere umiliate e sfruttate, costrette a lavorare sotto il sole per dodici ore. Accade nella Maremma grossetana dei casali con piscina, nei dintorni di Arezzo dove si moltiplicano i castelli trasformati in resort, nella Val Cornia livornese che sta diventando l’ultima frontiera dei viaggiatori illuminati.
È il lato oscuro dell’idillio toscano, una violazione di qualsiasi diritto a danno soprattutto di donne straniere che qui sembrano invisibili: vengono prelevate prima dell’alba dai furgoni dei caporali e al tramonto scompaiono. Quasi una beffa per queste persone spesso arrivate dall’Africa, sopravvissute alle violenze dei trafficanti e alla traversata del Mediterraneo. Per poi ritrovarsi in mercé di altri aguzzini, trattate come “animali” – come testimonia una di loro – nelle coltivazioni che producono ortaggi, vini e oli di qualità per gli scaffali della grande distribuzione: dietro i sapori autentici della cucina più celebrata c’è pure il loro dramma.
“Certo, la situazione in Libia è peggiore perché possono spararti – spiega Mary, venuta dalla Nigeria, mentre tiene un neonato sulle spalle e fa le treccine all’altra figlia di quattro anni – ma lì non accadeva che lavorassi senza essere pagata. Qui in Toscana ho fatto la vendemmia, riempito cassette di pomodori, cipolle, insalata, spinaci dalle 7 del mattino alle 18.30. Pure quando ero incinta, fino al settimo mese. Tante volte poi però i caporali mi hanno pagato molte ore meno del dovuto. È tutto molto difficile”.
E lo dice una donna che rischiato la vita sul barcone per la Sicilia: “Il viaggio in mare è stato terribile. Ho visto persone morire, mi sono salvata per miracolo: dopo lo sbarco mi hanno ricoverata in un ospedale italiano per una settimana”.
Alcune indagini della Guardia di Finanza negli scorsi mesi hanno aperto uno squarcio nella cappa di silenzio che protegge questo business crudele.
Adesso un’inchiesta dell’ong WeWorld in collaborazione con Tempi Moderni ha setacciato in maniera sistematica per sei mesi le spietate condizioni delle lavoratrici nei campi dove crescono i carciofi violetti, le uve DOCG, i pomodori di prima scelta. Con grande difficoltà hanno ottenuto le testimonianze delle persone che soffrono un doppio e talvolta triplo sfruttamento: “Siamo donne, straniere e nere. Ci danno molto meno che agli uomini. Quanto? All’inizio promettono anche 5 euro l’ora per quasi dodici ore al giorno poi a fine mese nella busta ce ne sono solo seicento”.
“Dalla Libia all’Italia solo per venire ancora sfruttata”
Le donne nigeriane ad esempio vanno direttamente dai centri d’accoglienza ai poderi: pianure fitte di piante o di alberi che proseguono a perdita d’occhio. Avvicinarle nelle coltivazioni è impossibile. Sono sorvegliate da guardiani brutali: “Ci dicevano sempre ‘Veloce, veloce!’ e non avevamo mai pause. Solo qualche minuto anche per bere. Dovevi mangiare praticamente di nascosto. Alcune non mangiavano nemmeno, aspettavano la sera per il pasto al centro d’accoglienza”.
“La stagione più dura è quella dei pomodori”, aggiunge Mary. “Lavoravamo anche nelle ore più calde. Non c’era ombra. Non avevi scampo. Mio marito ha visto che stavo male e si è lamentato, ma non ci hanno dato neanche un cappellino”. Pure l’inverno è duro. Sonya, cittadinanza indiana, ha avuto un aborto spontaneo: “Il dottore del Pronto Soccorso ha detto che trascorrevo troppe ore in piedi tutti i giorni. E poi tante ore con le mani immerse nell’acqua ghiacciata per lavare gli ortaggi e la frutta. Non avevamo guanti: facevamo tutto a mani nude. L’acqua ghiacciata è tremenda, ti gela tutto il corpo”.
Guai a lamentarsi. In Val Cornia le insultavano: ”Siete animali! Siete schiave!”. La romena Adriana porta i segni di questo logoramento: “Dopo anni passata a stare piegata e a raccogliere carciofi, spinaci e meloni, oggi cammino male, ho difficoltà a muovere la schiena, ho l’artrite alle mani”.
La loro vita è nelle mani dei caporali, quasi sempre pakistani e in rari casi indiani: sono loro a decidere quali saranno ingaggiate, quando e come verranno retribuite. Le prelevano con furgoni dai vetri scuri e a fine giornata le riportano via: non hanno nessun rapporto con le comunità del luogo, sono come fantasmi.
“Il padrone non c’era quasi mai con noi – prosegue Sonya -. Faceva tutto un giovane caporale del mio Paese. Il padrone si fidava completamente di lui, ma lui se ne approfittava. Un paio di volte ci ha maltrattate davanti al padrone, forse per fargli vedere quanto era bravo”.
L’aspetto più inquietante evidenziato dall’inchiesta realizzata dal ricercatore Federico Oliveri per WeWorld e Tempi Moderni è come in Toscana si stia affermando un nuovo modello di agricoltura che in nome del profitto riveste con un’apparenza di legalità i metodi illeciti. Uno stil novo che abbatte i rischi e sorregge la rispettabilità degli imprenditori, grazie a schiere di professionisti compiacenti che coprono con documenti, certificati e cedolini una realtà che viola le regole e la dignità delle persone.
Molte volte le braccianti firmano contratti regolari, che non vengono rispettati. Tutto è manipolato: si registrano il minimo delle ore e delle giornate, si gonfiano le deduzioni, si omettono alcune voci del salario. C’è un dato che permette di capire questa evoluzione dello sfruttamento: la Toscana è la seconda regione dopo la Puglia per numero di ore di lavoro “appaltate” a “società contoterziste”: sono le “aziende agricole senza terra”, che forniscono braccia ad altri.
Partite Iva individuali, srl o cooperative, in molti casi gestite da stranieri, che mettono a disposizione manodopera con costi estremamente bassi. Il padrone fa un contratto che comprende ogni aspetto dell’attività agricola: è consapevole che solo violando le regole quei risultati saranno raggiunti, ma non è responsabile davanti alla legge. Così i prezzi stracciati dei discount o l’offerta speciale delle primizie nei supermarket di marca di Firenze o Milano vengono pagati dalle persone più vulnerabili: le braccianti straniere, l’ultima ruota di un carro che gli nega qualsiasi possibilità di negoziare salari e orari.
“Quando abbiamo chiesto un aumento ci hanno minacciato – dichiara Adriana -. Non avevamo quasi più soldi da mandare a casa in Romania, per mia madre e i miei due figli. Uno di loro è malato, ha bisogno di cure”.
La nigeriana Grace è stata vittima della tratta e poi si è ritrovata nelle aziende agricole aretine: “Non pensavo che il lavoro sarebbe stato così duro. Mi consideravo forte, ma ho dovuto ricredermi. Non era solo stanchezza fisica. A volte mi sentivo stanca dentro: sentivo gli occhi degli uomini che lavoravano con me sempre addosso”. Molestie e abusi sessuali sono frequenti: “Ho sentito di una romena che si era rifiutata di ‘andare in bagno’ con il padrone italiano – riferisce Sonya -. Allora lui l’ha insultata e licenziata da un giorno all’altro”.
Ad Arezzo Sonya ha cercato di aiutare un’altra giovane, una bengalese di 23 anni rimasta orfana perché il padre era morto nei cantieri di Marghera. Lei si occupava di mantenere la madre: “Tutti sapevano che il caporale andava a letto con quella ragazza, altrimenti non avrebbe lavorato più. Mi disse che il padrone sapeva tutto perché gliene aveva parlato il caporale. E stava bene a tutti. Alcune volte anche il padrone la toccava mentre lavorava. Lei faceva finta di nulla. Lasciava correre. Ma so che soffriva tantissimo”. Un’omertà radicata: “Quando il caporale o il padrone ti ordinano di fare qualcosa, devi obbedire! Quelli ti mandano subito via e prendono subito un’altra”.
“In Toscana abbiamo scoperto donne che hanno già subito ingiustizie e sfruttamento, prima di riviverlo nei campi – commenta Margherita Romanelli, coordinatrice area progetti Europa & Advocacy di WeWorld -: proprio per questo spesso sono disposte a sopportare un lavoro che le priva dei più basilari diritti umani. Bisogna intervenire per combattere quelle condotte imprenditoriali irresponsabili che creano gravi violazioni alle braccianti, ma anche ai consumatori che sempre più richiedono prodotti etici e si trovano, loro malgrado, ad essere parti inconsapevoli di un meccanismo di prevaricazione”.
Mary ci parla da un podere dove ogni ulivo ha il suo canale di irrigazione e i filari delle vigne sono perfetti: le piante di pregio vengono trattate meglio delle persone. “Quando ho visto al supermercato i prezzi della verdura che raccolgo, mi sono chiesta perché ci pagano così poco…”.
In Toscana però ci sono sindacati e istituzioni pronte a sostenerle, anche se chi denuncia sa che non troverà più un lavoro. Come è successo a Ecaterina: “Ho 55 anni, lavoro nei campi da quando sono arrivata dalla Romania, quasi tredici anni fa. Prima non mi pesava così tanto. Ora sento di non riuscire più ad alzarmi quando mi piego a terra. Cosa farò, dove andrò se mi licenziano? mi chiedevo. Chi darà lavoro a una donna straniera, vecchia e debole? E così andavo avanti, sopportando il dolore. Poi ho detto basta”.
(da agenzie)
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