Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
ITALO BALBO FU FATTO FUORI DA MUSSOLINI NELLO STESSO MODO DEL CAPO DELLA BRIGATA WAGNER… STALIN MANDÒ A CITTÀ DEL MESSICO UN AGENTE DEI SERVIZI SOVIETICI PER UCCIDERE TROTSKIJ CON UNA PICCONATA IN TESTA… SADDAM HUSSEIN FECE FUCILARE SUO CUGINO E GENERO KAMEL HASSAN AL-MAJID
Ammazzare i propri amici, compagni di partito o ex-alleati è una vecchia abitudine dei dittatori: se Vladimir Putin ha ordinato alla contraerea russa di abbattere l’aereo privato su cui viaggiava Evgenij Prigozhin, il presidente russo è stato l’ultimo di una lunga serie. Naturalmente, trattandosi di regimi totalitari, non sempre anzi quasi mai emergono le prove di vendette di questo genere.
Ecco qualche esempio dei precedenti in materia. L’aereo di Italo Balbo Uno dei partecipanti alla marcia su Roma, poi capo dell’aviazione e figura chiave del fascismo, Italo Balbo aveva preso le distanze da Mussolini, dissentendo dall’alleanza con Hitler, dalle leggi razziali contro gli ebrei e dall’entrata in guerra.
Fu spostato a governare la Libia, per tenerlo lontano: era troppo ingombrante per una defenestrazione in piena regola. Morì all’inizio del conflitto, il 28 giugno 1940, abbattuto sul suo aereo dalla contraerea italiana mentre volava su Tobruk. Ufficialmente per “errore”. La vedova sostenne che era stato ucciso per ordine del Duce.
Alla morte di Lenin nel 1924, Lev Trotskij era in convalescenza a una dacia sul mar Nero. Josif Stalin gli mandò la data sbagliata del funerale per tenerlo lontano da Mosca e poter tramare per diventare lui il successore del leader, contro il parere di Lenin.
Da allora la stella di Trotskij declinò rapidamente, fu espulso dal Politbjuro e dal partito, internato, quindi costretto all’esilio. Ma Stalin lo temeva anche lontano dalla Russia: nel 1940 fu assassinato a Città del Messico con un colpo di piccone alla testa da un agente dell’Nkvd, la polizia politica sovietica, precursore del Kgb.
Fucilate al genero di Saddam Hussein Kamel Hassan al-Majid era il genero e secondo cugino di Saddam Hussein. Aveva sposato una delle figlie del tiranno iracheno. Ma nel 1995, disgustato dalla corruzione e dall’inefficienza del regime, fuggì in Giordania con la moglie.
L’anno seguente, Saddam lo convinse a rientrare a Bagdad, assicurandolo che tutto sarebbe stato perdonato. Invece fu immediatamente costretto a divorziare, accusato di tradimento e ucciso in uno scontro a fuoco.
(da La Repubblica)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
AL CPR DI VIA CORELLI A MILANO DA TROPPO TEMPO NON VENGONO RISPETTATI I DIRITTI DEI TRATTENUTI MA CHI DI DOVERE NON INTERVIENE
È ormai fatto noto che il Centro di permanenza per il rimpatrio di
Milano è un luogo in cui i diritti non esistono. Fanpage.it da diversi mesi racconta le condizioni in cui sono costrette a vivere le persone trattenute all’interno della struttura. Cibo scadente, spesso con i vermi, materassi abbandonati in cortile, rivolte, atti di autolesionismo, tentativi di suicidio e abuso di psicofarmaci.
A questo, si aggiungono le difficoltà affrontate dai legali che assistono chi finisce nel Cpr. Colloqui lampo che non permettono agli avvocati di poter conoscere i propri clienti e poter comprendere le loro situazioni, uomini accompagnati alle frontiere per essere espulsi prima ancora che qualsiasi giudice possa esprimersi e ora, così come raccontato da uno degli avvocati proprio a Fanpage.it, l’impossibilità di poter accedere alle cartelle cliniche.
Per gli avvocati è impossibile accedere alle cartelle cliniche
L’assistenza medica dei trattenuti è gestita sulla base di una convenzione stipulata tra la Prefettura, l’Agenzia di tutela della salute della città metropolitana e l’ente che gestisce il Cpr. La documentazione medica viene conservata dalla Prefettura. Nonostante questo però, per gli avvocati è impossibile accedervi: “La Prefettura non ha mai risposto a nessuna delle mail in cui ho richiesto l’accesso agli atti”, spiega l’avvocata Simona Stefanelli.
Il disinteresse da parte delle persone trattenute nei Cpr da parte delle Istituzioni è lampante e non lo si registra solo nelle questioni mediche. La stessa legale racconta a Fanpage.it del caso di un ragazzo che chiede di poter tornare nel suo Paese di origine, ma nonostante questo continua a essere trattenuto nel Centro: “Questo ragazzo di origine albanese non ha mai commesso alcun reato. Nel suo Paese è stato minacciato di morte sulla base di quanto previsto dal Kanun, un codice non scritto albanese che prevede l’applicazione di regole di onore e di sangue. Arrivato in Italia ha fatto richiesta di protezione internazionale”.
Il giovane è poi finito nel Centro di Permanenza per il rimpatrio perché è stato trovato senza permesso di soggiorno. All’interno della struttura, la commissione territoriale ha rigettato la sua richiesta di asilo. Il ragazzo avrebbe potuto presentare ricorso, ma ha scelto poi di rinunciarci: “Su consiglio dell’ufficio immigrazione del Cpr di Milano ho inviato una mail alla Questura per formalizzare la sua rinuncia all’azione. Il mio cliente vuole rientrare volontariamente nel suo Paese, ma questo gli viene impedito”.
Il centro infatti ritiene che l’uomo debba rimanere in attesa per altri quindici giorni perché “l’espulsione non può essere eseguita in pendenza dei termini per il ricorso avverso al diniego di protezione internazionale, alla quale però il mio cliente ha espressamente rinunciato”. Un’azione in netto contrasto con quanto solitamente viene assicurato ai trattenuti: “Solitamente la formalizzazione della rinuncia all’azione dovrebbe consentire il rimpatrio immediato. Nel caso di D.X. invece dovrà aspettare 15 giorni o forse di più”.
La legge, come spiegato da Stefanelli, non prevede che in caso di rimpatrio volontario “per rinuncia all’azione giudiziaria si debba restare trattenuti. Il mio cliente piange ogni giorno perché vuole uscire dal Cpr. Si tratta di un’altra violazione dei diritti”.
(da Fanpage)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
ORA SI TEME LO SPOPOLAMENTO: MANCANO OLTRE 20.000 DOMANDE DI CONTRIBUTO ALLA RICOSTRUZIONE
C’è un motto, quasi uno slogan, che a ogni evento estremo, dai terremoti alle alluvioni, tutti ripetono: “Ricostruire dov’era, com’era”. Per il sisma del centro Italia, che il 24 agosto 2016 ha devastato le aree interne di quattro regioni, Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, però è stato da subito chiaro che sarebbe stato difficile far tornare tutto come prima. E a distanza di sette anni dalla prima scossa, l’impressione è rimasta la stessa. Lo raccontano i dati, che fotografano una terra sempre più destinata allo spopolamento, lo raccontano i borghi storici, molti dei quali ancora in “zona rossa”, lo raccontano le immagini che, in molte aree del cratere, sembrano rimaste ferme al 2016.
A fare i conti con una ricostruzione privata che solo oggi sta subendo un’accelerazione, una ricostruzione pubblica ancora in ritardo e circa 30mila persone tutt’oggi costrette a vivere fuori dalle loro abitazioni, da gennaio 2023 è arrivato il nuovo commissario Guido Castelli, espressione diretta del governo a guida Fratelli d’Italia che negli anni non ha mai smesso di criticare la gestione del sisma, tanto da fare del caso di Nonna Peppina un cavallo di battaglia per chiedere una “ricostruzione veloce”.
L’ex sindaco di Ascoli Piceno si è ritrovato come eredità da una parte una situazione sicuramente non semplice, esacerbata sia dall’aumento del costo delle materie prime sia dall’esodo di molte ditte che hanno dato priorità ai cantieri del 110%, dall’altra un Testo unico per la ricostruzione già approvato dal suo predecessore, che, insieme ad altri provvedimenti, come il decreto ricostruzione, ha facilitato l’accelerazione degli ultimi mesi.
Castelli si è però anche scontrato con i dati. Uno su tutti, gli sfollati. Proprio a loro il nuovo commissario, nell’introduzione al Rapporto sulla ricostruzione aggiornato a maggio 2023, ha rivolto il primo pensiero, sottolineando, nel testo stesso del report, che va scritta la parola “fine” su questa condizione che “oltre 30mila cittadini vivono ormai da 7 anni”.
A oggi, infatti, ancora oltre 14mila nuclei familiari di 294 comuni, cioè appunto più di 30mila persone, usufruiscono di una forma di assistenza abitativa “emergenziale”, che, nel concreto, vuol dire vivere nelle Soluzioni abitative di emergenza, le cosiddette “casette” che, racconta chi ci abita, “sembrano fatte di cartone”, oppure percepire il Cas, il contributo di autonoma sistemazione, pagato dallo Stato ed erogato mensilmente per far fronte alle spese di affitto.
Nello specifico, secondo gli ultimi dati comunicati dalla struttura commissariale, al 30 luglio ci sono ancora oltre 10mila nuclei familiari che percepiscono il Cas, 3400 che abitano in una casetta e 516 che sono assistiti in altri modi, ad esempio vivendo nei Mapre, i Moduli abitativi prefabbricati rurali emergenziali o in container. Questo vuol dire che dei 41mila sfollati conteggiati subito dopo le scosse che uccisero 303 persone, solo 11 mila hanno fatto ritorno nella propria abitazione.
Se si passa per i borghi colpiti, da Amatrice, ad Accumuli, fino a Pescara del Tronto e Arquata del Tronto, quel che salta subito all’occhio, però, è la lentezza della ricostruzione. Le case sventrate sono ancora lì, così come le chiese distrutte. A ricordare proprio che quel “ricostruire veloce”, chiesto e sbandierato negli anni passati dall’allora opposizione (oggi al governo), forse non è così semplice. Basti pensare che, secondo quanto denunciato dal sindaco di Amatrice, Giorgio Cortellesi, nella città reatina simbolo del sisma in sette anni è stato ricostruito solo il 30%.
Un numero che i dati generali sulla ricostruzione privata confermano. Secondo l’ultimo aggiornamento della struttura commissariale, fino a luglio 2023 sono state presentate 28.855 richieste di contributo, di queste 17.478 hanno ottenuto un decreto di concessione per un valore totale economico di 6,66 miliardi concessi e 3,3 miliardi liquidati in base all’avanzamento dei lavori. In tutto sono stati autorizzati 17.442 cantieri privati nel cratere, ma conclusi meno di 9.500. A pesare sull’avanzamento della ricostruzione sono però anche le richieste di contributo mancanti. Secondo la stima della struttura commissariale, dovrebbero essere 50mila le potenziali richieste di contributo per un valore di 20 miliardi di euro. Ne mancherebbero all’appello oltre 20mila.
I numeri, rispetto al 2022, quando i valori tra domande da presentare e presentate erano praticamente invertiti, hanno sicuramente subìto un’accelerazione e c’è da dire che sono circa 30mila le manifestazioni di volontà a richiedere il contributo, cioè persone che non l’hanno chiesto ma che dicono di volerlo fare.
Ma sarà sufficiente a evitare lo spopolamento? Lo spettro del calo demografico, nelle aree dell’entroterra e dell’Appennino centrale, c’è e rimane. Un tema di cui negli anni si è discusso molto.
Non è difficile, infatti, imbattersi in percettori di Cas che, non trovando una sistemazione nell’entroterra, si sono spostati a vivere sulla costa, e oggi quasi sicuramente non tornerebbero.
Anche un “Occasional paper”, pubblicato dalla Banca d’Italia lo scorso aprile, dal titolo “L’effetto del sisma del Centro Italia sullo spopolamento dei territori colpiti”, ha posto l’accento sul problema e, analizzando tra le altre cose i dati Istat che tra il 1° gennaio 2016 e il 1° gennaio 2022 evidenziavano un calo demografico del 6,3% nell’Area del Cratere, una diminuzione tra le più significative del Paese, è arrivato alla conclusione che, sì, il terremoto ha “significativamente accentuato la riduzione della popolazione dei comuni colpiti”.
Intanto sta partendo anche la ricostruzione pubblica che, negli anni, ha accumulato ritardi, tanto che, secondo il rapporto di maggio 2023, “il 45% degli interventi finanziati erano ancora da avviare”, con “progettazioni avviate dopo un tempo medio di 27 mesi” e “solo il 7,2% concluso”. Oggi, si legge in una nota della struttura commissariale, “prendendo in esame gli ultimi Piani delle Opere Pubbliche approvati per le 4 regioni del sisma, pari a un valore di oltre 1,1 miliardi, dei 1.053 interventi riscontrati, in meno di sei mesi sono state avviate più del 95% delle progettazioni”.
L’impegno della struttura commissariale, comunque, c’è. Tanto che, nel solo mese di luglio 2023, sono stati erogati oltre 131 milioni di euro alle aziende che operano nella ricostruzione, cioè, dicono dalla struttura “il più alto valore mai erogato da Cassa Depositi e Prestiti dall’avvio dell’operatività”. Numeri alti, certo, ma basteranno per accelerare?
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA MALAFEDE DEL GOVERNO: HA TOLTO IL SUSSIDIO DEL REDDITO DI CITTADINANZA SENZA PROVVEDERE AI CORSI DI FORMAZIONE INTENSIVI PER RENDERE QUESTE PERSONE OCCUPABILI
Un autunno molto pesante attende chi, per qualche motivo, si
trova in condizione di fragilità. Il servizio sanitario, fiore all’occhiello del nostro sistema di welfare, fa sempre più fatica a garantire il diritto alla cura, lasciando chi può permetterselo al privato e chi non può all’azzardo di lunghe attese.
La scuola a tempo pieno continua ad essere una chimera proprio là dove sarebbe più necessaria per contrastare la povertà educativa e lo stesso vale per gli asili nido.
Il lavoro povero, non solo perché a bassa remunerazione, ma perché temporaneo, intermittente, a part time involontario, continua a costituire una parte consistente del lavoro che c’è (3 milioni di individui, secondo le stime dell’Istat), lasciando molte famiglie prive dei mezzi sufficienti per soddisfare i propri bisogni e molti individui privi della possibilità di fare progetti, incluso quello di formare una famiglia, mentre l’inflazione erode il reddito dei ceti più modesti, inclusi coloro che prima bene o male ce la facevano.
Ciononostante il governo ha già tolto il reddito di cittadinanza ad oltre 170 mila persone perché le considera in grado di “attivarsi” e trovare un lavoro decente solo perché adulte e senza figli minorenni a carico.
La crisi della sanità pubblica, il sottodimensionamento dell’offerta scolastica e dei servizi per l’infanzia, il lavoro povero, l’inflazione non sono, ovviamente, esclusiva e neppure principale responsabilità del governo. Hanno, nel caso di sanità, scuola, e lavoro povero, origini più lontane e, nel caso dell’inflazione, esogene.
Ma il governo può contenere i danni e invertire la tendenza o viceversa peggiorarle. Purtroppo si è mosso più nella seconda direzione che nella prima.
Non solo ha tolto il reddito di cittadinanza a decine di migliaia di persone senza verificare se fossero effettivamente “occupabili” e ci fosse una domanda di lavoro alla loro portata.
Non ha neppure provveduto a ciò che pure si era impegnato a fare con la legge di Stabilità: la messa a punto di corsi di formazione intensivi (auspicabilmente con la collaborazione delle aziende interessate).
Siamo a fine agosto e al primo settembre chi, tra i più poveri di queste persone (con un Isee di 6.000 euro), vorrà accedere al più modesto e temporaneo sussidio che per loro sostituirà il reddito di cittadinanza, il Sostegno formazione lavoro, dovrà dimostrare di essere iscritto ad un corso di formazione per il quale, tuttavia, lo Stato, il governo, non si è preso nessuna responsabilità. È facile sospettare che molti saranno presi al laccio da corsi inventati e di nessuna utilità per poi essere abbandonati a se stessi.
Abbandono cui sono lasciati in modo definitivo coloro ai quali è stato tolto il RdC, ma hanno un Isee superiore a 6.000 euro, quindi non possono accedere al Sostegno formazione lavoro.
Si aggiunga che è probabile che a gennaio molte famiglie, “salvate” dall’esclusione dal RdC perché con minorenni, si troveranno escluse dal nuovo strumento che lo sostituirà, l’Assegno di Inclusione, a motivo della combinazione di una scala di equivalenza più punitiva nei confronti dei minori e dell’esclusione dal conteggio dei componenti adulti, salvo eccezioni stringenti.
Anche nel campo della sanità e della scuola si è proseguito con i tagli, immemori di quanto appreso con l’epidemia di Covid. È preoccupante che sanità, scuola e nidi siano i settori in cui l’attuazione del Pnrr è nel migliore dei casi rimandata, nel peggiore cancellata.
Eppure sono settori non solo di potenziale domanda di lavoro buono, ma di importanza cruciale per la riduzione delle diseguaglianze sia sociali sia territoriali, e, nel caso del tempo pieno scolastico e dei nidi, anche per la conciliazione famiglia-lavoro, le cui difficoltà impediscono a molte donne, specie dei ceti più modesti, di lavorare in modo remunerato, impoverendo loro e le loro famiglie.
Per quanto riguarda il lavoro povero, si è rimandata la discussione sul salario minimo e non si è proprio avviata, anche per responsabilità delle opposizioni, quella sulla precarietà (che per altro è stata parzialmente incentivata con la liberalizzazione dei rinnovi dei contratti a termine).
Le cose non vanno meglio, al contrario, sul versante immigrazione. Dopo aver tagliato gli importi per i costi dell’accoglienza, riducendola, quando va bene, alla sola sopravvivenza, e aver privilegiato le grandi strutture rispetto all’accoglienza diffusa, a fronte dell’aumento degli arrivi si scarica tutto sui Comuni.
Questi ora si trovano a fronteggiare, con risorse finanziarie e umane scarse, la doppia pressione dei migranti — spesso minorenni non accompagnati — e di chi, avendo perso il sostegno dello Stato, o non potendosi curare o avendo altre fragilità, si rivolge ai servizi comunali. Con il rischio di scatenare guerre tra poveri e/o reazioni anti-migranti.
Uno sbocco un tempo forse auspicato e persino sollecitato dalla destra, ma rischioso anche per lei ora che è al governo e sta dimostrando che l’immigrazione è un fenomeno complesso e non governabile con gli slogan.
(da La Stampa)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
“I MERCENARI WAGNER SONO BRACCATI, MA ALMENO 25 DEI 28 COMANDANTI SONO ANCORA VIVI, E NESSUNO AVEVA ACCETTATO DI PASSARE DALLA PARTE DEL PRESIDENTE. PUTIN RISCHIA DI PIÙ CON PRIGOZHIN MORTO. PUÒ UCCIDERE DEI CAPI, MA WAGNER ERA ORMAI SFUGGITA AL SUO CONTROLLO ED ERA DIVENTATA UN’IDEA”
Nella notte sull’edificio del Gruppo Wagner a San Pietroburgo le luci sono state accese a comporre una croce: come a dire siamo in lutto, ma siamo ancora qui. Esistiamo. Ora I mercenari sono braccati, ma almeno 25 dei 28 comandanti del “Consiglio dei comandanti” ddl Gruppo Wagner sono ancora vivi, e nessuno di loro ha “tradito” o aveva accettato di passare dalla parte di Putin (tranne uno, il comandante “Sedoy”).
Putin rischia di più, non di meno, con Prigozhin morto. Può uccidere dei capi, ma Wagner era ormai sfuggita al suo controllo ed era diventata un’idea. Folle, violenta, criminale, ultra nazionalista: ma un’idea, e un gruppo cementato di persone.
Qualunque cosa sia successa con esattezza all’aereo (è però quasi sicuro che sia stato colpito con un missile dalle forze armate russe), a Vladimir Vladimirovich gli anniversari piacciono. Lo testimoniano tutta la sua storia e la sua personale cabala. La rivolta di Prigozhin era stata esattamente due mesi fa, il 23 e il 24 giugno. Cifra tonda.
Molti, a Mosca, lo chiamavano già “l’ammutinamento del fine settimana”, con un mix di scherno ma anche di profondissima preoccupazione. Christo Grozev di Bellingcat aveva detto pochi giorni fa che o Progozhin sarebbe stato ucciso entro sei mesi, o ci avrebbe riprovato. Il golpe permanente come spauracchio per il Cremlino.
Non esisteva una terza opzione
Per Putin è evidentemente essenziale evitare l’opzione due. Farida Rustamova, una delle più preparate giornaliste indipendenti russe, ha ricordato che immediatamente dopo l’incidente, l’élite russa era sopravvissuta sgomenta, o perplessa, quasi pietrificata: nei due giorni del golpe siloviki, generali, oligarchi, non sapevano letteralmente cosa fare. A parte in qualche caso scappare all’estero. Surovikin, il generale forse più vicino a Prigozhin, o comunque quello che Putin considerava più complice, era stato tolto dalla circolazione subito dopo il golpe, e ieri è stato ufficialmente rimosso dalla guida delle forze aeronautiche della Russia.
L’abbattimento brutale del suo aereo è il segno che lo zar debole non poteva permettersi ulteriore manifestazione di debolezza. Un golpe era già troppo. Inizialmente sul jet caduto erano registrate sette persone.
Tra cui anche Dmitry Utkin, il “comandante Wagner”. In seguito si è saputo che nell’elenco dei passeggeri uccisi non figuravano solo Prigozhin e Utkin/Wagner, ma anche Valery Chekalov, il temuto capo della sicurezza di Prigozhin che negli anni era anche quello incaricato di sorvegliare e molestare i giornalisti che osavano indagare su Wagner.
I primi ad annunciare credibilmente che Prigozhin era morto sono stati quelli di Tsargrad, la tv dell’oligarca ortodosso Konstantin Malofeev, uno degli oligarchi che più avevano collaborato con Prigozhin citando sue fonti. Ma Tsargrad parlava di “incidente”. I corpi – sostiene – sono stati identificati. Nel prossimo futuro verrà effettuato un esame genetico. Grey Zone invece ha scritto testualmente che Prigozhin e Utkin sono stati uccisi “da traditori della Russia”. È chiaro che il traditore supremo per loro è Putin.
Mentre l’aereo del suo ex cuoco-macellaio, che lui stesso aveva integralmente creato, si schiantava, Putin stava premiando in diretta alcuni militari, ai quali appena conferito il titolo di Eroe della Russia. Un titolo che il presidente russo aveva dato anche allo stesso Prigozhin. […]. Adesso sappiamo bene che c’è una enorme quantità di mercenari Wagner, e di comandanti del Consiglio dei comandanti del Gruppo Wagner, che sanno di essere braccati. Ciò rende Putin più sicuro, o meno?
(da La Stampa)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL POLITOLOGO RUSSO MATVEEV: “LA CLASSE DIRIGENTE SI DOMANDA QUANTO VALE LA PAROLA DI PUTIN”
“La garanzia che Prigozhin potrà mettersi in salvo in Bielorussia è
parola d’onore del presidente”, aveva dichiarato il portavoce di Vladimir Putin Dmitry Peskov dopo l’abortita marcia su Mosca dei mercenari della Wagner, l’esercito privato dell’imprenditore pietroburghese.
Lo ricorda bene il politologo russo Ilya Matveev, che Fanpage.it ha raggiunto via Facebook Messenger nella località dove è emigrato per ragioni di sicurezza dopo l’invasione dell’Ucraina, che ha da subito condannato.
“Abbiamo toccato con mano quanto valga la parola del presidente”, dice ora appena appresa la notizia che l’aereo di Prigozhin si è schiantato al suolo uccidendo tutti i suoi occupanti compresi — ha confermato l’Agenzia federale del trasporto aereo — il fondatore della Wagner e il suo numero capo militare Dmitry Utkin. “Certamente la classe dirigente ha preso atto della poca affidabilità della parola di Putin. È vero che sono codardi e servili, ma è proprio la loro codardia che potrebbe spingerli a tradire il padrone, per la semplice ragione che le sue promesse e le sue garanzie non valgono niente”.
Mentre raccogliamo i commenti di Matveev, i canali Telegram vicini alla Wagner, tra cui Gray Zone, trasmettono la Cavalcata delle Valchirie in onore di Prigozhyn.
Dottor Matveev, ma siamo proprio sicuri che l’aereo di Prigozhin sia stato davvero abbattuto?
Dai video che vediamo sui social è abbastanza chiaro che è stato abbattuto dalla difesa aerea russa. Le autorità probabilmente proveranno a farlo passare come un incidente o un errore, dato che comunque molti droni ucraini hanno recentemente sorvolato la Russia centrale, e i sistemi anti-aerei sono in massima allerta.
Un errore? È un’ipotesi credibile?
È un’ipotesi ridicola: quante possibilità ci sono che ad esser colpito pe sbbaglio sia stato proprio l’aereo di Prigozhin e non un altro?§
E quindi?
Quindi la conclusione inevitabile è che l’aereo del capo della Wagner è stato abbattuto di proposito.
Su ordine di Putin?
È abbastanza chiaro il motivo per cui Putin voglia porre fine alla storia di Prigozhin in questo modo: lui stesso ha definito l’ammutinamento del giugno scorso “una pugnalata alle spalle”.
Però sembrava che Putin lo avesse più o meno perdonato. Lo aveva incontrato per tre ore, avevano discusso dei destini del suo esercito privato. Prigozhin era rimasto in libertà, gli son state restituite le somme confiscate, ha viaggiato tranquillamente tra Russia, Bielorussia e Africa. Sembrava quasi essere uscito vincitore dallo scontro. Molti analisti giuravano che Putin avesse ancora bisogno di lui.
E per la sicurezza di Prigozhin il presidente aveva garantito personalmente, tramite il suo portavoce Dmitry Peskov. Eppure l’aereo di Prigozhin è stato abbattuto. Allora quanto vale la parola di Putin dopo? Qual è il valore delle sue “garanzie”?
Ecco, appunto: qual’è? Quanto vale la parola di Putin?
È la domanda cruciale. Ed è ciò che si chiedono ora le élite russe.
Con quali possibili conseguenze per la stabilità del regime?
Nonostante Putin si sia sforzato in ogni modo per evitarlo, le conseguenze dell’ammutinamento di Prigozhin hanno continuato a essere altamente destabilizzanti per il regime. E potrebbero portare a ulteriori spaccature interne. Se Putin non può o non vuole impegnarsi in modo credibile nelle sue promesse, allora forse è il momento di trovare qualcun altro a cui affidare il comando? Questa è la domanda che in molti si pongono in questo momento a Mosca.
(da Fanpage)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
L’EX 007 RUSSO PASSATO CON GLI OCCIDENTALI ALEKSANDR LITVINENKO FU AVVELENATO CON UN TÈ AL POLONIO SERVITO DA DUE AGENTI SEGRETI RUSSI A LONDRA… LA GIORNALISTA ANNA POLITKOVSKAYA FU PRIMA AVVELENATA E POI FREDDATA DA UN KILLER SOTTO CASA NEL 2006… LA BIANCHERIA DI ALEKSEJ NAVALNY CONTAMINATA CON UN AGENTE NERVINO
Sembra proprio che mettersi contro Vladimir Putin non faccia bene alla salute. O almeno, diciamo, c’è una singolare ricorrenza di coincidenze tra due fatti, l’essere in disaccordo con il Capo supremo e l’avere problemi fisici che, spesso e volentieri, portano alla morte. In molti casi, poi, è innegabile che la persona misteriosamente deceduta era venuta in contatto, almeno negli ultimi giorni, con agenti sotto copertura dei servizi segreti russi.
Prendiamo Aleksandr Litvinenko, il primo e più celebre caso di avvelenamento con sostanze radioattive (specificamente: polonio), nel 2006. L’ex agente passato con gli occidentali fece il clamoroso errore di incontrarsi in un albergo di Londra con due ex colleghi che gli offrirono una tazza di tè corretto. Morì poco dopo in ospedale, nonostante i tentativi disperati per salvarlo.
Da quando è iniziata l’operazione militare speciale in Ucraina (come la chiama ufficialmente il Cremlino, che non ammette altre definizioni) ci sono stati almeno 39 decessi abbastanza misteriosi. Manager in disaccordo, oligarchi che avevano tentato di «sganciarsi» rifugiandosi all’estero, magari senza farsi troppo notare.
Negli ultimissimi tempi, da quando il generale Surovikin è scomparso dalla circolazione dopo essere stato visto proprio assieme a Prigozhin (proprio ieri è arrivata la notizia ufficiale della sua sostituzione), altri due alti ufficiali sono deceduti. Il 57enne generale Gennadij Zhidko, che era stato rimosso dal comando dell’operazione in Ucraina dopo le prime disastrose fasi, è scomparso «a seguito di una lunga malattia», secondo il comunicato ufficiale. Malattia che, evidentemente, tanto lunga non deve essere stata.
Anche il generale Gennadij Lopyrev se n’è andato per malattia. Ma lui era in carcere dal 2016, quando faceva parte della guardia personale di Putin. Non si è mai capito che cosa avesse fatto esattamente.
Naturalmente il caso che è maggiormente sotto la lente dell’opinione pubblica internazionale è quello del dissidente numero uno, Aleksej Navalny. Prima qualcuno ha tentato di toglierlo di mezzo con metodi sbrigativi. Poi, fallito l’attentato, gli sono piovuti sulla testa procedimenti penali a raffica. Per cui oramai è dietro le sbarre e non può più nuocere. Poi, si sa, le prigioni russe sono anche pericolose; per cui incidenti, magari letali, possono sempre accadere.
Mentre il blogger era fuori dall’albergo, gli specialisti contaminarono la sua biancheria intima con il Novichok, un agente nervino. Navalny sarebbe morto in volo, mentre l’aereo partito da Tomsk era in rotta verso Mosca. Ma le cose andarono storte per gli attentatori. Intanto perché il pilota reagì immediatamente non appena Aleksej si sentì male ed effettuò un atterraggio di emergenza a Omsk. Lì, poi, i sanitari capirono subito di cosa si trattasse e iniettarono della atropina che gli salvò la vita. […]
Anna Politkovskaya, la giornalista di Novaya Gazeta che pure aveva subito un tentativo di avvelenamento anni prima, fu freddata da un killer sotto casa nel 2006. E da un assassino prezzolato venne uccisa nel 2009 Natalia Estemirova, che si occupava di diritti umani. Stessa fine per altre due persone scomode, l’avvocato Stanislav Markelov e la giornalista Anastasia Baburova.
E per Boris Nemtsov, esponente di punta dell’opposizione: gli spararono vicino al Cremlino nel 2015. Era invece morto proprio in un misterioso incidente aereo (sul suo elicottero) nel 2002 il generale Aleksandr Lebed, stimatissimo militare, che avrebbe potuto correre contro Putin alle presidenziali del 2004.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
RESTANO PERÒ INTERROGATIVI: COSA HA SPINTO PRIGOZHIN A FIDARSI DELLE “GARANZIE DI SICUREZZA” DI PUTIN? PERCHÉ UN UOMO CON ESPERIENZE DI GOLPE IN AFRICA, RAID IN SIRIA E INTRIGHI IN RUSSIA SI È IMBARCATO SU UN AEREO INSIEME AL SUO BRACCIO DESTRO DMITRY UTKIN?
La notizia dello schianto dell’aereo con a bordo Evgeny Prigozhin è
arrivata esattamente due mesi dopo che il “cuoco di Putin” aveva lanciato la sua marcia su Mosca, e il giorno dopo l’annuncio del licenziamento del suo alleato Sergey Surovikin dalla carica di comandante delle forze aerospaziali russe.
Nulla sembra lasciato al caso in questo giallo che sembra scritto da un sceneggiatore di Hollywood, che chiude due mesi di una strana e impossibile convivenza tra il golpista e la sua mancata vittima. Perché la morte annunciata di Prigozhin mette la parola “fine” anche al dibattito su quanto il suo ammutinamento del 23-24 giugno scorso fosse stato un tentato colpo di Stato o solo un litigio alla corte del Cremlino: era un golpe, e Putin e i suoi generali l’hanno interpretato correttamente come tale.
Restano però interrogativi ai quali probabilmente nessuno potrà più rispondere: cosa ha spinto Prigozhin a fidarsi delle “garanzie di sicurezza” di Putin? Perché un uomo con esperienze di golpe in Africa, raid in Siria e intrighi in Russia si è imbarcato su un aereo insieme al suo braccio destro Dmitry Utkin – l’ufficiale dello spionaggio militare russo Gru amante di Hitler e del suo compositore preferito, il cui codice di battaglia aveva dato il nome ai “Wagner” – e gli altri comandanti del suo esercito privato?
E soprattutto, quali disposizioni aveva lasciato – non poteva non sapere che i signori della guerra non muoiono nel proprio letto – per i suoi miliardi, i suoi arsenali e soprattutto quell’immenso archivio di affari sporchi che aveva svolto per conto del Cremlino? I canali Telegram dell’“orchestra” promettono vendette, ma resta il dubbio che senza i propri leader i Wagner non possano rappresentare una vera forza, nonostante le vaste simpatie di cui godono sia nell’esercito che tra i nazionalisti più estremi. Parte dei mercenari si erano già trasferiti in altre compagnie di contractor, tra cui la Redut dell’amico di Putin, il petroliere Gennady Timchenko, altri probabilmente saranno pronti ad accettare offerte di lavoro in Africa.
La vittoria dei generali russi, a cominciare dal ministro della Difesa Shoigu, nello scontro con Prigozhin, è una buona notizia per gli ucraini. Per i russi invece, il risultato è più difficile da prevedere: gli altri eserciti privati a cui appaltare una guerra dello Stato difficilmente saranno altrettanto temibili, e i loro padroni saranno più prudenti. I rottami dell’aereo del “cuoco di Putin” dovrebbero essere, nelle intenzioni di chi l’ha fatto esplodere, un monito a tutti quelli che possono volere ancora criticare o ribellarsi. Ma sono anche un allarme: nessuna garanzia, nessuna promessa, nessuna fedeltà valgono nulla. Una lezione che sicuramente verrà imparata: il prossimo Prigozhin non si fermerà più a 200 chilometri da Mosca.
(da La Stampa)
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Agosto 24th, 2023 Riccardo Fucile
LE AGENZIE DI STAMPA UCRAINE INSISTONO SUL FATTO CHE CI FOSSERO IN VOLO NON UNO MA DUE AEREI DI PROPRIETÀ DELLA BRIGATA WAGNER, E CHE PRIGOZHIN POTREBBE ESSERSI SALVATO, ATTERRANDO A MOSCA SULL’AEREO CHE NON È CADUTO
Fuori uno. Ma rimane l’altro, e perciò la guerra continua come prima. Gli ucraini hanno sempre seguito con estrema attenzione l’evolversi dei rapporti tra il padrone della Wagner e il presidente Vladimir Putin, considerando il primo il criminale che ha schierato i suoi mercenari a Bakhmut, e non solo lì. E il secondo, un criminale più potente e politicamente più abile, che prima o poi avrebbe fatto fuori l’altro.
Una “guerra tra scorpioni”, insomma, da analizzare giorno per giorno. E dal 24 giugno, con la cosiddetta “parata” di Prigozhin verso Mosca, che è finita come è finita, hanno dedotto che Putin avrebbe regolato presto i conti, ed era solo questione di tempo.
Quindi, ora i conti sono regolati, se davvero Prigozhin è morto. Ma la questione ha riguardato direttamente l’Ucraina fino a quando la Wagner è stata schierata a Bakhmut, e lì l’esercito ucraino ha certo patito gli attacchi dei mercenari, disprezzando al massimo grado la strategia di combattimento del nemico: buttare al sicuro massacro la truppa, costituita per lo più da gente reclutata nelle carceri con la promessa della libertà dopo 3 mesi di servizio attivo.
Ma c’è un altro dato. Gli ucraini sono diffidenti, e fino a quando non avranno accertato che Prigozhin è davvero morto, non ci crederanno. Le agenzie di stampa ucraine insistono sul fatto che ci fossero in volo non uno ma due aerei di proprietà della PMC Wagner, e che Prigozhin potrebbe essersi salvato, atterrando a Mosca sull’aereo che non è caduto.
Quindi, cautela, fino a quando non avranno la sicurezza dei fatti, attraverso l’intelligence militare. Perciò, il consigliere del presidente Zelenski, Mykhailo Podoliak, ieri sera ha commentato così: «A proposito di Prigozhin: vale la pena aspettare che la nebbia si dissolva. Nel frattempo, è ovvio che Putin non perdona nessuno. Lui aspettava il momento».
Perché «è ovvio che Prigozhin avesse firmato una speciale condanna a morte nel momento in cui ha creduto alle bizzarre garanzie di Lukashenko, e all’altrettanta assurda parola d’onore di Putin». E «l’eliminazione dimostrativa di Prigozhin e del comando Wagner due mesi dopo il tentato golpe è un segnale di Putin alle élite russe in vista delle elezioni del 2024. Attenzione! La slealtà equivale alla morte».
(da la Repubblica)
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