Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
PARAGONARE LA FUGA DI ESSERI UMANI DA GUERRE E POVERTA’ A UNA MIGRAZIONE DI GREGGI DI MANDRIE E’ DI UNO SCONCIO UNICO… SE POI NON CONOSCE IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE TORNI ALLE SCUOLE MEDIE
L’immigrazione? “Una transumanza”. Termine che, nel dizionario italiano, identifica la migrazione dei greggi delle mandrie e dei pastori. A parlare così di uomini e donne che lasciano i paesi africani per raggiungere l’Europa è Andrea Giambruno, compagno della premier Giorgia Meloni e conduttore della trasmissione di Rete4 Diario Del Giorno.
Nella puntata del 29 settembre del programma Giambruno, già finito al centro delle polemiche nei mesi scorsi per le sue teorie negazioniste sul clima e per le sue uscite sugli stupri e contro le vittime di violenza, ha dedicato ampio spazio a Silvio Berlusconi in occasione del compleanno postumo del Cavaliere celebrato nella tre giorni della kermesse di Forza Italia a Paestum.
Parlando del fondatore di FI il giornalista Mediaset ha detto “Ho sentito dire, da politici italiani (che magari ricoprono ruoli molto importanti), che Berlusconi è stato un formidabile visionario geopolitico. Cioè è stato forse il più grande ministro degli Esteri che il Paese abbia avuto negli ultimi 30 anni. Aveva già capito tutto della transumanza, se così possiamo definirla, dall’Africa verso l’Europa…”. Ed ecco la nuova gaffe: la migrazione che, nelle parole del compagno di Meloni, diventa “transumanza”. I migranti come pecore.
Parole, quelle di Giambruno, che scatenano la polemica sui social. “Strano non abbia proposto di trasportarli in altri centri accoglienza utilizzando i carri bestiame”, scrive su X (l’ex Twitter) un utente. “Forse da piccolo sognava di fare il capotreno di un vagone per bestiame”, ironizza un altro utente e c’è chi accusa: “Transumanza? Ma un pochino di vergogna?”.
(da La Repubblica)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO NON SA PIU’ CHE FARE PER BLOCCARE GLI SBARCHI: IL PIANO MATTEI È ANCORA UN LIBRO DEI SOGNI E I RIMPATRI SONO IMPOSSIBILI
Il video minaccioso di Giorgia Meloni per tutte le tv tunisine è già pronto: “Non partite, se arrivate in Italia, verrete rimpatriati”. Dissuadere i migranti con campagne di comunicazione, distruggere i barchini, individuare e sequestrare i cantieri in cui vengono costruiti, intercettare, lungo le rotte di terra, coloro che partono dai Paesi subsahariani e convincerli a tornare a casa con una piccola somma di denaro per la realizzazione di un progetto.
Un delirio, perchè violerebbe la giurisdizione di Tunisi e la propria territorialità. Chi sequestra cosa in un altro Stato? Siamo alla follia.
Troppo lontana la prospettiva del Piano Mattei, praticamente impossibili da realizzare i rimpatri delle migliaia di persone destinatarie di un provvedimento di espulsione, Palazzo Chigi e Viminale, dopo il fallimentare bilancio del primo anno di politiche migratorie, passano ad una fase 2 operativa.
La lotta alla Ong resta un’ossessione per il governo nonostante i numeri irrisori del 2023, appena 6.000 i migranti soccorsi dalle navi umanitarie, la metà dei quali su richiesta della guardia costiera italiana, il 5% dei 133.000 sbarcati dell’anno.
Mantovano insiste sulla teoria del pull factor (anche questa smentita dai numeri) e torna ad insinuare presunte connivenze con i trafficanti, ma chi tratta con i trafficanti è il governo italiano, visto che finanzia il governo libico e la Guardia costiera libica collusi con i trafficanti, come ampiamente dimostrato.
Ed ecco il piano B di Matteo Piantedosi, rimpatri volontari assistiti, che il ministro dell’Interno vorrebbe finanziato dall’Europa e attuato con la collaborazione delle agenzie dell’Onu, Unhcr e Oim, per alleggerire la pressione sulle coste del nord Africa. Non fare arrivare i migranti subsahariani lì per evitare che poi si imbarchino verso l’Italia.
Dai Paesi di transito indietro verso i Paesi di origine, possibilmente prima che arrivino in Libia e Tunisia, offrendo loro un’alternativa. In sostanza un aiuto economico una tantum, naturalmente non in contanti, ma condizionato alla realizzazione di un piccolo progetto di sviluppo economico, come una piccola attività commerciale o una piccola impresa familiare. Pura fantascienza.
(da agenzie)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO L’11% RITIENE CHE I POVERI BENEFICERANNO DELLE MISURE DEL GOVERNO… PAGNONCELLI: “DATI CHE CONFERMANO IL DISINCANTO SUL GOVERNO. CALANO LE ATTESE E SI RIDUCONO LE SPERANZE DI RIPRESA. IL RISCHIO È CHE LA DELUSIONE LASCI POSTO AL RISENTIMENTO”
La Nadef sembra registrare tutte le difficoltà che il Paese attraversa. La prima è relativa alla crescita economica: la fiammata della prima metà dell’anno, che ci collocava tra i Paesi migliori in Europa, è rientrata.
La seconda è invece relativa al deficit, in crescita, imputato principalmente agli effetti del Superbonus, con un’incidenza rilevante sul 2023. Infine, tende ad aggravarsi il costo del debito da finanziare, con lo spread che aumenta e gli interessi che salgono. Da qui la scelta di far crescere il deficit previsto dal 3,6% al 4,3%, recuperando risorse.
Gli italiani percepiscono solo in parte la gravità del contesto prima descritto: il 37% infatti ritiene che le risorse disponibili siano inferiori rispetto agli scorsi anni, mentre più di un quarto non vede grandi differenze. Opinioni naturalmente correlate alle posizioni politiche degli intervistati: più pessimisti gli elettori delle forze di opposizione, meno critici (ma certo non ottimisti) gli elettori del centrodestra.
Tre sono i temi cui i nostri intervistati prestano maggiore attenzione e rispetto ai quali si aspetterebbero interventi nella manovra: lavoro, sanità, sostegni al potere d’acquisto delle famiglie fortemente intaccato dall’inflazione. Le priorità rimangono identiche presso tutti gli elettorati, pur con accentuazioni almeno in parte differenti.
Richiesti però di una previsione su quali saranno i settori su cui si concentrerà la manovra, la maggioranza relativa non sa esprimersi (37%) e diminuiscono sensibilmente coloro che […] pensano che la manovra risponderà effettivamente alle attese prima manifestate.
L’esempio più evidente è relativo alla sanità: il 36% esprime la speranza che si intervenga in questo settore, ma solo il 10% pensa che lo si farà effettivamente. Cresce invece la percezione che la manovra interverrà sul fisco.
Nel giudizio sull’efficacia della manovra emergono grandi perplessità: meno di un terzo, infatti, pensa che essa avrà un influsso positivo sulla crescita del Paese, mentre la maggioranza assoluta (53%) ritiene che sostanzialmente non ci saranno effetti.
Anche qui differenze nette per orientamento politico: vedono rosa gli elettori di FdI (due terzi scommettono sugli effetti positivi), ottimisti ma con evidenti aspetti critici gli altri elettori di centrodestra, fortemente negativi gli elettori di opposizione.
Prevale infine la certezza che a beneficiare di queste scelte non saranno i più poveri: lo pensa solo l’11%, mentre il 27% ritiene che ne beneficerà chi è già ricco e il 15% crede che se ne avvantaggerà il ceto medio. Sono gli elettori di centrodestra a pensare che staranno meglio i meno ricchi, mentre l’opposizione vede una manovra sbilanciata verso i più abbienti.
Rimane infine da dire del Superbonus. I pareri espressi dai nostri intervistati vedono sostanzialmente appaiate due opinioni: la prima (32%), nettamente critica, di chi ritiene che il Superbonus abbia aperto una voragine nei conti pubblici; la seconda (30%) più sfumata, di chi da un lato ritiene che si sia aumentata la spesa pubblica, ma pensa anche che il Superbonus abbia apprezzabilmente contribuito alla crescita del Paese dopo la pandemia.
I dati di oggi confermano la sensazione di «disincanto» che abbiamo cominciato a vedere agli inizi di questo mese trattando delle opinioni sul governo. Calano le attese e si riducono le speranze di ripresa e di risposte ai ceti più in difficoltà. Il rischio, per chi guida il Paese, è che la delusione lasci progressivamente posto al risentimento.
Nando Pagnoncelli
(da il “Corriere della Sera”)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
LA SPESA SANITARIA PRO-CAPITE, PUBBLICA E PRIVATA, E’ SOTTO LA MEDIA EUROPEA… LA GERMANIA SPENDE IL DOPPIO DELL’ITALIA, ANCHE FRANCIA E SPAGNA FANNO MEGLIO, TUTTA COLPA DEI TAGLI ALLA SANITA’
L’Italia, fra i Paesi avanzati e con sistemi sanitari universalistici, è uno di quelli con i più bassi livelli di spesa sanitaria, pubblica e privata, pro-capite, sia in termini assoluti che in relazione al Pil.
In Europa, nel 2022, ben 15 Paesi hanno destinato alla sanità più risorse pro-capite rispetto a quanto fatto dall’Italia. Non solo. Siamo sotto la media, sia nei confronti dell’Europa che guardando ai Paesi Ocse, anche per la quota di prodotto interno lordo utilizzata per la salute dei cittadini.
A sottolinearlo è la statistica, elaborata partendo dal database Oecd Stat aggiornato al 3 luglio 2023, della Fondazione Gimbe. «Il nostro Paese – non usa mezzi termini il presidente, Nino Cartabellotta – ha urgente bisogno di invertire la rotta. Altrimenti sarà l’addio al diritto costituzionale alla tutela della salute».
Un confronto impietoso
Tanto la media dei Paesi Ocse che quella europea sulla percentuale di Pil destinata alla sanità, nel 2022, è del 7,1 per cento. L’Italia si attesta 0,3 punti percentuali più indietro, con il 6,8 per cento.
La Germania, seconda nell’Ocse alle spalle degli Stati Uniti, ha una quota del 10,9 per cento. Ma anche Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Austria, Belgio, Finlandia, Danimarca, Svizzera, Repubblica Ceca, Spagna e Islanda, solo per restare al nostro continente, impiegano a tal fine percentuali superiori del Pil, con la Norvegia sui nostri livelli.
Quanto alla spesa pro-capite, lo scorso anno lo Stato ha speso in sanità 3.255 dollari per cittadino.
La media Ocse, in questo caso, è di 3.899 dollari, 644 in più dell’Italia, e ancor maggiore (873 dollari) è il divario con la media dei Paesi europei, attestata a 4.128.
Così, se rispetto alla classifica sulla quota di Pil superiamo la Spagna, ci sopravanzano però in quest’altra graduatoria anche Norvegia e Lussemburgo. Sempre saldamente prima in Europa la Germania, a 6.930 dollari: più del doppio dell’Italia, che si lascia alle spalle solo Portogallo, Grecia e quasi tutti i Paesi dell’Est.
Il gap con gli altri Stati europei si è ampliato progressivamente dal 2010, «a seguito di tagli e definanziamento pubblico», sino a raggiungere 590 dollari nel 2019. Negli anni della pandemia, poi, si è ulteriormente allargata la forbice.
«Al cambio corrente dollaro/euro – quantifica Cartabellotta – il gap con la media dei Paesi europei dell’area Ocse oggi ammonta ad oltre 808 euro pro-capite. Che, tenendo conto di una popolazione residente al 1° gennaio 2023 di oltre 58,8 milioni di abitanti, si traduce nella cifra monstre di oltre 47,6 miliardi di euro».
Viene quindi definito “impietoso” il confronto con gli altri Stati del G7 sul trend della spesa sanitaria pubblica tra il 2008 e il 2022. La prima considerazione è che, escluso il Regno Unito, l’effetto della crisi finanziaria del 2008 ha appiattito le curve solo in Italia, mentre altrove la crescita della spesa pubblica pro-capite in sanità è continuata, se non addirittura si è impennata. Da noi, che già eravamo in coda, la curva si è invece appiattita. E le distanze, dopo 15 anni, per Cartabellotta «sono ormai divenute incolmabili».
Definanziat
L’imponente sotto-finanziamento, la progressiva carenza di personale sanitario, i modelli organizzativi obsoleti, l’incapacità di ridurre le diseguaglianze e l’inevitabile avanzata del privato hanno determinato la progressiva erosione del diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare nelle Regioni del Sud. «I princìpi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – dichiara poi Nino Cartabellotta – universalità, uguaglianza, equità, sono stati traditi e oggi sono ben altre le parole chiave del nostro SSN: infinite liste di attesa, affollamento dei pronto soccorsi, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure».
In questo contesto, il tema del finanziamento pubblico per la sanità infiamma da mesi il dibattito politico, vista l’enorme difficoltà delle Regioni a garantire un’adeguata qualità dei servizi, la mancata erogazione da parte del Governo dei “ristori Covid” e, più in generale l’assenza del tema “sanità” dall’agenda dell’Esecutivo. «Per tale ragione – spiega Cartabellotta – con l’imminente Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) e, soprattutto, in vista della discussione sulla Legge di Bilancio 2024, la Fondazione GIMBE ha analizzato la spesa sanitaria pubblica nei Paesi dell’Ocse al fine di fornire dati oggettivi utili al confronto politico e al dibattito pubblico ed evitare ogni forma di strumentalizzazione».
Trend negativo
Ritornando sul confronto con gli altri Paesi del G7, sul trend della spesa pubblica 2008-2022, emergono alcuni dati di particolare rilievo. Innanzitutto, negli altri Paesi del G7 (eccetto il Regno Unito) la crisi finanziaria del 2008 non ha minimamente scalfito la spesa pubblica pro-capite per la sanità: infatti dopo il 2008 il trend di crescita si è mantenuto o ha addirittura subìto un’impennata. In Italia, invece, il trend si è sostanzialmente appiattito dal 2008, lasciando il nostro Paese sempre in ultima posizione. In secondo luogo, spiega Cartabellotta «l’Italia tra i Paesi del G7 è stata sempre ultima per spesa pubblica pro-capite: ma se nel 2008 le differenze con gli altri Paesi erano modeste, con il costante e progressivo definanziamento pubblico degli ultimi 15 anni sono ormai divenute incolmabili».
Infatti, nel 2008 tutti i Paesi del G7 destinavano alla spesa pubblica pro-capite una cifra compresa tra i 2.000 e i 3.500 dollari e il nostro Paese era fanalino di coda insieme al Giappone; nel 2022 mentre l’Italia rimane ultima con una spesa pro-capite di 3.255 dollari, la Germania l’ha più che raddoppiata sfiorando i 7mila. Infine, commenta il Presidente «se per fronteggiare la pandemia tutti i Paesi del G7 hanno aumentato la spesa pubblica pro-capite dal 2019 al 2022, l’Italia è penultima poco sopra il Giappone». Ma soprattutto, dopo l’emergenza Covid-19 il gap con gli altri Paesi europei del G7 continua a crescere: infatti, nel nostro Paese la spesa sanitaria pubblica nel 2022, rispetto al 2019, è aumentata di 625 dollari, quasi la metà di quella francese (1.197 dollari) e 2,5 volte in meno di quella tedesca (1.540 dollari).
L’analisi della Fondazione Gimbe punta dunque il dito su «l’imponente sotto-finanziamento, la progressiva carenza di personale sanitario, i modelli organizzativi obsoleti, l’incapacità di ridurre le diseguaglianze e l’inevitabile avanzata del privato».
Un insieme di fattori che «hanno determinato la progressiva erosione del diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare nelle regioni del Sud». Da qui l’urgenza di riscontrare un’inversione di tendenza con «segnali già visibili nella NaDEF 2023 e, soprattutto, nella prossima Legge di Bilancio», invita Cartabellotta.
(da TPI)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
OGNI OCCASIONE E’ BUONA PER FARE PASSERELLA… METTETE IL FERMO ALLA PORTA O VE LO VEDETE COMPARIRE ANCHE SUL BALLATOIO
Non si ferma un attimo, Matteo Salvini. Nemmeno lui probabilmente ricorda più quando ha deciso che la campagna elettorale per le europee doveva cominciare. Certo è che ha bruciato tutti in partenza sulla linea del via.
Se la premier Giorgia Meloni predilige gli aerei per scorrazzare nei cinque continenti tessendo le sue relazioni su scala internazionale, il ministro delle Infrastrutture è un infaticabile pendolare, su e giù per la penisola con macchine, treni e aerei. Tra feste, fiere e nastri da tagliare, Salvini ha già macinato quasi 10 mila kilometri, solo da inizio settembre.
A consultare il suo calendario c’è da farsi venire il mal d’auto: il mese di ripresa dei lavori del governo è stato tutto un su e giù, est e poi ovest, con puntate a Roma una volta in settimana e mai per più di 72 ore per un totale di circa 10 giorni nella Capitale. Tutti a ridosso dei consigli dei ministri o dei question time in parlamento e sempre con l’obiettivo riuscito di inserire in agenda qualche evento pubblico collaterale, meglio se all’aperto e in mezzo alla gente.
Del resto, che il suo ufficio tra le quattro mura di via Nomentana gli fosse poco congegnale è stato chiaro sin da subito.
Come ogni abile organizzatore di viaggi, tuttavia, Salvini sa sempre trovare il giusto compromesso tra lo svago e la campagna politica, sovrapponendoli e cercando di incastrare il più possibile eventi pubblici a cui far partecipare anche la compagna Francesca Verdini.
AL LIDO
Il mese di settembre, infatti, è iniziato sul red carpet di Venezia, dove ha sfilato abbracciato a Francesca, con baci in favore di fotografi. Due giorni tra i comfort della Laguna, a cui è seguita una trasferta a Monza, ad accarezzare il cofano rosso della Ferrari nei box del Cavallino.
Pazienza che in quegli stessi giorni si fosse consumata la tragedia sul lavoro di Brandizzo, nel torinese, dove sono morti 5 operai sui binari del treno. Il ministro dei trasporti avrebbe forse dovuto pensare a fare un salto anche lì, tra uno spostamento e l’altro, ma il calendario evidentemente era già troppo fitto di impegni. «Voglio sapere cosa è successo», ha tuonato in smoking e papillon a margine di una conferenza stampa al Lido, e tanto ci si è dovuti far bastare. Ad andare a Brandizzo, invece, è stato il capo dello Stato Sergio Mattarella che era in visita nella vicina Torino, e accanto ai binari ha posato una corona di fiori.
Dopo la due giorni tra lustrini e paillettes, Salvini è tornato a indossare i panni del ministro e ha inserito un intervento al forum Ambrosetti di Cernobbio, approfittando dell’assenza della premier e avversaria almeno da impensierire alle Europee. Meloni, infatti, ha dribblato il grigio consesso di economisti e si è diretta al gran premio di Monza, dove Salvini l’ha raggiunta ma tenendola a debita distanza.
Nella splendida cornice del lago di Como, il leader leghista ha però seminato una delle pillole del suo programma: «In 10 anni conto che la prima produzione derivante dal nucleare potrà essere inaugurata da questo governo», ha detto sognante, magari immaginando però se stesso a palazzo Chigi.
Anche se a Salvini, da buon lombardo, Roma è sempre stata stretta, nella seconda settimana di settembre una capatina nella capitale è stata necessaria, per partecipare al primo consiglio dei ministri.
Una discesa proficua, però, perchè è stata per il leghista occasione di partecipare ad un evento del quotidiano Il Tempo, un collegamento con Dritto e Rovescio, la trasmissione «dell’amico Paolo del Debbio» come lui stesso lo definisce sui social, e infine una puntata a Formello.
Qui è stata l’occasione di un bagno di folla per la sesta edizione di Itaca, la kermesse della cittadina, dal cui palco è ritornato a battere su uno dei tasti più dolenti per il governo Meloni: la necessità di «alzare le pensioni» come priorità della prossima finanziaria.
Nel suo peregrinare, Salvini preferisce nettamente l’accoglienza del nord ma sa che, nel suo progetto di Lega nazionale anche il meridione non può essere trascurato.
Così via, la fine della settimana dopo il primo cdm in cui ha tenuto banco la raccomandazione di Meloni sulla spending review ministeriale in vista della legge di bilancio è stata a Bari, alla Fiera del Levante. Il fiore all’occhiello della Puglia è anche un crocevia di incontri e Salvini non si è fatto scappare l’occasione di inaugurarla, tra strette di mano ai vari stand e un rapido intervento dal palco. Con l’occasione c’è stata anche una capatina a Silvi Marina, ridente località balneare in provincia di Teramo, a regalare qualche selfie agli attivisti presenti alla festa locale della Lega e scambiare due chiacchiere con il fedele sottosegretario Luigi D’Eramo, che presidia per la Lega il ministero dell’Agricoltura di Francesco Lollobrigida.
LE PROVINCIALI
Il nord, però, rimane il vero cruccio del segretario leghista: da strappare all’onda meloniana conservando ogni centimetro di terreno. Così, il 10 settembre la giornata del ministro è stata tutta dedicata al Trentino, che il 22 ottobre voterà per le elezioni provinciali. Qui la Lega è riuscita a strappare una seconda corsa per il governatore uscente, Maurizio Fugatti, ma solo dopo un estenuante braccio di ferro con Fratelli d’Italia e l’imposizione di un ticket con Francesca Gerosa, che in caso di vittoria ha già ipotecato il posto da vicepresidente della provincia.
Salvini non ha lesinato sforzi perché si tratta di un territorio in bilico dove il centrosinistra sta lentamente cercando di rialzare la testa e c’è il rischio della competizione interna, visto che l’ex senatore leghista Sergio Divina – cui era stata fatta annusare l’ipotesi di candidatura – ha scelto di correre comunque con quattro liste a sostegno. Quindi via: prima Trento, poi Riva del Garda e infine Molina di Ledro, con il prossimo passaggio trentino già fissato nell’agenda ai primi giorni di ottobre. Poi di nuovo in macchina, per spostarsi a Brugherio dove è in corso un’altra festa locale del partito e infine a Milano, all’ennesimo evento latamente connesso al tema dei trasporti, che ogni tanto fanno capolino come tema nella fittissima agenda del Capitano.
IL PROCESSO
Dopo qualche giorno obbligato a Roma, anche il processo Open Arms in cui Salvini è imputato in Sicilia è occasione buona per un tour isolano. Prima a Caltanissetta alla canonica festa della Lega, poi a Palermo dove si è aperto con la prima udienza il processo, al suo fianco l’avvocata e presidente leghista della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno. Un’occasione da non farsi scappare per ritornare sul tema dei migranti ma anche per un colpo di teatro: «Citeremo come testimone Richard Gere», che però nei giorni successivi ha fatto sapere di essere impegnato sul set di un film e dunque ha chiesto il rinvio della sua testimonianza.
I giorni successivi – siamo a metà settembre – sono quelli del mega raduno di festa a Pontida, dove Salvini ha accolto l’amica francese Marine le Pen disturbando i piani di Meloni che negli stessi giorni stringeva la mano di Emmanuel Macron cercando di recuperare l’asse francese.
Qui, tra una salamella e un sorso di vino rosso, torna a fare capolino anche Francesca Verdini, anche lei inseguita per i selfie. Le tappe successive sono serratissime: prima nella Capitale per il cdm e il convegno sulle “Buone leggi” della collega Elisabetta Casellati, poi Genova al salone nautico. C’è spazio anche per un salto rapido a Barcellona per il consiglio informale dei ministri dei Trasporti dell’Ue e una foto opportunity a bordo del nuovo Frecciarossa 1000, ma Salvini giramondo si ferma meno di 24 ore, essendo atteso a Rimini all’EXPO Aid. Senza contare la trasferta straniera, siamo già a quasi 8000 kilometri e settembre non è ancora finito, ma l’ultima settimana è tutta dedicata all’amata Lombardia, tra Milano e Monza per stringere la mano al vecchio amico Adriano Galliani, che corre alle suppletive per conquistare il seggio che fu di Silvio Berlusconi.
Proprio alla memoria del Cavaliere, cui è stato intitolato il belvedere del Pirellone nel giorno del suo compleanno, Salvini non fa mancare la presenza, che è anche l’occasione di uno scambio a quattrocchi con il fratello Paolo, che negli ultimi giorni si è molto espresso sul futuro di Forza Italia. Con l’ultima tappa del mese, a Macerata, Salvini la trottola sfiora così i 10 mila kilometri, adottando il mantra di ogni ciclista: prima di ogni sfida importante, vanno messi abbastanza kilometri nelle gambe. A questo ritmo il ministro – che della sua delega certamente preferisce i trasporti rispetto alle infrastrutture – arriverà alle europee ben allenato.
(da editorialedomani.it)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
ALL’ORIGINE DEL CALO DEL PIL CI SONO L’INFLAZIONE E IL RIALZO DEI TASSI
«Al calo di industria e costruzioni si affianca la battuta d’arresto nei servizi». Sono queste le ragioni individuate da Confindustria per spiegare il calo del Pil Italiano del secondo trimestre di quest’anno e le attese «non migliori» previste per terzo e quarto trimestre. Gli industriali sono critici della politica della Bce, che negli ultimi mesi ha costantemente e regolarmente aumentato i tassi d’interesse, facendo crescere il costo del denaro e di conseguenza abbassando l’inflazione che sta effettivamente calando, seppur lentamente secondo il giudizio degli industriali. Il tasso è passato dal 10% di gennaio 2023 rispetto al gennaio 2022, al 5,4% di agosto 2023 rispetto allo stesso mese dello scorso anno. L’altra faccia della medaglia è un rallentamento dell’economia: «Il credito è in caduta insieme alla liquidità, il costo dell’energia torna a salire. Ne risentono consumi e investimenti, mentre latita la domanda estera», scrive Confindustria nella congiuntura flash di fine settembre.
(da agenzie)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DI CATANIA LIBERA GIUSTAMENTE TRE MIGRANTI DEL CENTRO DI POZZALLO: “IL DECRETO DEL GOVERNO E’ ILLEGITTIMO”… CHI HA FIRMATO UN DECRETO CONTRARIO ALLA LEGGE IN UN PAESE CIVILE SI SAREBBE GIA’ DIMESSO, TANTO ERA EVIDENTE LA MANCATA CONOSCENZA GIURIDICA… UN GOVERNO ANIMATO SOLO DA ODIO IDEOLOGICO
Il tribunale di Catania sconfessa il recente decreto approvato – tra non poche polemiche – dal governo Meloni che prevede la possibilità alle persone richiedenti asilo, provenienti dai paesi cosiddetti «sicuri», di pagare una cauzione di quasi 5mila euro per evitare la detenzione nei Centri di Permanenza e di Rimpatrio (Cpr).
Tacciando il provvedimento di illegittimità e contrasto con la normativa europea, i magistrati siciliani hanno accolto il ricorso di una persona migrante, di origini tunisine, sbarcata il 20 settembre a Lampedusa e portata nel nuovo centro di Pozzallo, aperto solo cinque giorni fa nel Ragusano, e ha disposto la sua liberazione.
È questo l’esito delle prime udienze di convalida dei richiedenti asilo trattenuti nel centro e che – stando a quanto si apprende dagli avvocati – si applica in tutto a 3 migranti che erano stati portati a Pozzallo.
Mentre per un quarto il provvedimento non è stato esaminato perché il richiedente asilo avrebbe rinunciato alla domanda.
Intanto, il Ministro dell’Interno ha già fatto sapere che presenterà ricorso contro la decisione di Catania.
Le motivazioni della sentenza
Illegittimo e in contrasto con la normativa europea. Con queste motivazioni il tribunale di Catania ha bollato il decreto del governo. Fonti legali fanno sapere che la parte contestata principalmente dai magistrati è proprio la nuova procedura di trattenimento e la cauzione di 4.938 euro da pagare per non finire nel centro.
Secondo i giudici, l’illegittimità si presenta alla luce della sua incompatibilità con il diritto comunitario – nello specifico della direttiva Ue 2013, più conosciuta come «direttiva accoglienza» – e della Costituzione italiana. «Il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda e il trattenimento deve essere una misura eccezionale e limitativa della libertà personale ex art. 13 della Costituzione», è una delle argomentazioni.
Valutare caso per caso e la questione dei «Paesi sicuri»
L’Associazione per gli Studi Giuridici spiega, infatti, che «trattenere chi chiede protezione senza effettuare una valutazione su base individuale e chiedendo una garanzia economica – da versare in un’unica soluzione con fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa e precludendo la possibilità che sia versata da terzi – come alternativa alla detenzione è illegittimo perché incompatibile con gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33».
Nei giorni scorsi un tentativo di far chiarezza sul tema da parte del Viminale era stata la precisazione che i quasi 5mila euro non si riferivano alle persone trattenute nei Cpr, ma alle nuove strutture di trattenimento dei richiedenti asilo (come quella di Pozzallo) provenienti da «Paesi sicuri».
Secondo i giudici di Catania, però, va escluso – alla luce di principi della Costituzione – che la sola provenienza del richiedente asilo da un Paese sicuro «possa automaticamente privargli di fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale».
Il contrasto con la normativa Ue
La parte riguardante il contrasto con la normativa europea si rivela centrale se si considera che, nei giorni scorsi, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi aveva tentato di correre ai ripari dalle critiche sostenendo che il decreto è stato introdotto semplicemente con un emendamento del governo che recepisce proprio la direttiva europea del 2013.
Successivamente, però, la stessa Commissione Europea aveva smentito questa versione dichiarando che la cauzione di 4.938 euro non è in linea con le indicazioni dell’Europa perché non rispetta due principi fondamentali: quello della proporzionalità (non può esserci un importo standard uguale per tutti) e quello delle decisioni da prendere «caso per caso».
La rabbia di Fdi: «Decisione ideologica». Anm replica
La scelta del tribunale di Catania non va proprio giù a Fratelli d’Italia. La deputata di Fdi responsabile del Dipartimento immigrazione, Sara Kelany, taccia la sentenza dei magistrati siciliani come vittima di «decisioni ideologiche e politiche» e aggiunge: «Mentre il Governo lavora per fermare l’immigrazione illegale di massa e la tratta di esseri umani, una parte della magistratura ideologizzata fa di tutto per ostacolarlo».
Accuse che il presidente dell’Anm – Associazione Nazionale Magistrati – rigetta del tutto. «È la democrazia», replica a Fdi. «Noi non partecipiamo all’indirizzo politico e governativo, facciamo giurisdizione. È fisiologico che ci possano essere provvedimenti dei giudici che vanno contro alcuni progetti e programmi di governo. E – chiosa – questo non deve essere vissuto come una interferenza».
(da Open)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
DA QUANDO LA SORELLA D’ITALIA, ARIANNA MELONI, È DIVENTATA RESPONSABILE DEL TESSERAMENTO DEL PARTITO, AD AGOSTO, A ROMA SONO STATE RINNOVATE SOLO UN TERZO DELLE TESSERE (4MILA SU 13MILA)… PER RIMEDIARE, SONO STATI ALLUNGATI I TEMPI DI DUE SETTIMANE: UN MODO PER PROVARE A STOPPARE FABIO RAMPELLI
In Fratelli d’Italia si parla di “effetto Arianna”, ma al contrario. Il partito di Giorgia Meloni e della sorella, nominata ad agosto a capo del tesseramento e segreteria politica, in questi giorni è in difficoltà sul rinnovo degli iscritti annuali.
Il caso più emblematico riguarda la federazione di Roma dove, secondo due dirigenti informati della questione, sarebbero state rinnovate solo un terzo delle tessere. Stiamo parlando di circa quattro mila sulle 13 mila della Capitale. Per questo si è deciso di prorogare di due settimane la scadenza per chiudere il tesseramento in città: non sarà più oggi ma il 16 ottobre.
Uno slittamento che alimenta il sospetto che all’interno della federazione romana del partito si stia già consumando una guerra in vista del congresso, l’unico dove si potrebbero scontrare le due anime del partito, quella di Meloni e quella dei “gabbiani” di Fabio Rampelli.
Per i meloniani dovrebbe correre uno tra Francesco Filini (molto vicino a Giovanbattista Fazzolari) e Marco Perissa, i rampelliani invece stanno pensando di candidare Massimo Milani o Lavinia Mennuni. Con così poche tessere rinnovate il timore dei meloniani era che i rampelliani potessero averne di più: da qui è nata l’idea della proroga.
Il partito romano è stato commissariato a febbraio scorso, alla viglia delle elezioni regionali in Lazio, quando Meloni deciso d’imperio di sostituire proprio Milani con il responsabile organizzazione Giovanni Donzelli. Ora, dopo l’assemblea del 12 settembre, è stato deciso di fare i congressi provinciali entro la fine dell’anno: le regole saranno scritte da una commissione di 32 persone presieduta da Arianna Meloni e Donzelli da cui sono stati esclusi i rampelliani.
È in questo contesto che si inserisce il tesseramento nella Capitale: il controllo degli iscritti sarà fondamentale in vista del congresso. Il problema però non riguarda solo Roma ma anche altre federazioni in tutta Italia: l’obiettivo di rinnovare le 200 mila tessere attuali sembra lontano. Per questo negli ultimi giorni, Arianna Meloni ha dato l’ordine ai dirigenti di concentrarsi proprio sul rinnovo delle tessere.
(da il Fatto quotidiano)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
“HA AUMENTATO LA SPESA PREVISTA, UNA MOSSA CHE NON SOLO METTERÀ A DURA PROVA LA FIDUCIA DEGLI INVESTITORI, MA FARÀ AGITARE I POLITICI EUROPEI”…LA PREVISIONE: “QUALSIASI AUMENTO DEL DEFICIT SARÀ ACCOLTO NEGATIVAMENTE DALLA COMMISSIONE”
L’eurozona si trova di fronte alla prospettiva che la sua terza economia diventi ancora una volta il suo più grande grattacapo. Il governo italiano, guidato dal primo ministro di destra Giorgia Meloni, sta lottando per far quadrare i conti e ha aumentato significativamente la spesa netta prevista, in una riunione dei ministri del Consiglio dei Ministri tenutasi mercoledì.
La mossa non solo metterà a dura prova la fiducia degli investitori, ma metterà anche in agitazione i politici europei, poiché farebbe saltare i limiti dell’UE in un momento in cui la crescita economica sta rallentando.
“Credo che i membri della Commissione [europea] si occupino di politica e quindi… sicuramente capiranno la situazione come molti altri ministri delle finanze, che si trovano a dover gestire una situazione di rallentamento economico o, in alcuni casi, addirittura di recessione”, ha dichiarato il ministro delle Finanze italiano Giancarlo Giorgetti in una conferenza stampa mercoledì sera.
L’Italia prevede ora un deficit – la differenza tra le entrate e le spese del governo – del 5,3% in rapporto al PIL quest’anno e del 4,3% nel 2024, rispetto alle cifre precedentemente previste del 4,4% e del 3,5%.
Dopo due anni di crescita superiore alla media dell’eurozona, si prevede che l’Italia torni ai tassi di crescita anemica dello “zero virgola” – che l’hanno afflitta per decenni e che sono diventati un freno per il blocco valutario – mentre lotta con una montagna di debito seconda solo a quella della Grecia.
“Il governo della Meloni si trova ad affrontare un dibattito sul bilancio molto impegnativo e sicuramente faticherà a conciliare gli impegni di spesa con i crescenti vincoli fiscali, dovuti al rallentamento della crescita e all’aumento dei costi del debito”, dichiara Mujtaba Rahman, direttore per l’Europa di Eurasia Group, una società di analisi del rischio politico.
La coperta è troppo corta
Qualsiasi aumento del deficit sarà quasi certamente accolto negativamente dalla Commissione, che controlla i bilanci nazionali dei Paesi. In primavera ha detto a Roma di “garantire una politica fiscale prudente” e si è impegnata a sanzionare tutti i Paesi che quest’anno violeranno la regola del 3% di deficit annuale.
Gli italiani hanno un modo di dire per definire le sfide che la Meloni deve affrontare: la coperta è troppo corta. In altre parole, i soldi che arrivano sono pochi e non riescono a coprire la gamma di cose per cui il governo intende spenderli.
“Faremo una legge di bilancio prudente, tenendo conto delle regole fondamentali della finanza pubblica”, ha dichiarato Giorgetti all’inizio del mese. Anche se la coalizione della Meloni sta cercando di essere fiscalmente responsabile, consapevole del suo grande debito, non ci sono abbastanza soldi per tutti.
Sanità, tagli fiscali
Sul fronte delle spese, la ragione principale della revisione al rialzo del deficit è il credito d’imposta per le ristrutturazioni domestiche, o “Super Bonus”, precedente al governo Meloni e continua a pesare sui conti pubblici.
All’inizio di quest’anno il governo ha ridotto l’importo delle spese ammissibili al credito d’imposta dal 110 al 90%, ma alla fine di agosto il costo della misura ammontava a 86 miliardi di euro dal 2020, ben oltre i 72 miliardi di euro preventivati.
Anche la spesa per il debito sta aumentando a causa del forte aumento dei tassi di interesse. Il conto ammontava a 83,2 miliardi di euro nel 2022 – un aumento di quasi un terzo rispetto all’anno precedente – ed è destinato a crescere ulteriormente negli anni a venire.
Mentre la cifra del 2023 è ancora sconosciuta, Giorgetti ha detto che nel 2024 la spesa per interessi aumenterà di 14 miliardi di euro, portando i costi annuali del servizio del debito oltre la soglia da capogiro di 100 miliardi di euro all’anno. Questo significherebbe “14 miliardi sottratti agli aiuti, alla sanità, agli sgravi fiscali”.
Anche sul fronte delle entrate la situazione non è delle migliori. L’istituto nazionale di statistica ha registrato una contrazione nel secondo trimestre di quest’anno, dovuta in gran parte al crollo del settore manifatturiero, strettamente legato alla performance della Germania. La Commissione europea ha recentemente rivisto al ribasso di 0,3 punti percentuali il PIL italiano previsto per quest’anno e per il prossimo, rispettivamente allo 0,9% e allo 0,8%.
Inoltre, lunedì l’Italia ha richiesto la quarta tranche di pagamento del Pnrr, pari a 16,5 miliardi di euro, che spera di vedere erogata entro la fine dell’anno. Questo è tecnicamente possibile, poiché la Commissione deve approvare gli esborsi entro due mesi, ma un precedente pagamento di 18,5 miliardi di euro quest’anno è stato ritardato per mesi a causa di disaccordi con Bruxelles sul fatto che Roma avesse soddisfatto tutte le riforme e gli investimenti richiesti.
Se ciò dovesse ripetersi, il governo si troverebbe ad affrontare un deficit di 16,5 miliardi di euro nel suo bilancio. Nel tentativo di far quadrare i conti, l’Italia ha introdotto in agosto un’imposta sui profitti inattesi delle banche, che però è stata successivamente annacquata e che avrebbe portato solo entrate limitate.
Mentre i mercati hanno mantenuto la calma nel primo anno di governo della Meloni, c’è una rinnovata attenzione su ciò che il governo farà in politica economica, specialmente quando la Banca Centrale Europea terminerà il suo programma di acquisto di obbligazioni che ha dato copertura ai paesi dell’eurozona fortemente indebitati.
“I partecipanti al mercato applicheranno un maggiore scrutinio sulle prossime misure di politica fiscale del governo italiano”, ha scritto in una nota Filippo Taddei, economista europeo senior di Goldman Sachs.
(da Politico)
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