Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile SENZA LA PRESIDENZA DEI CONSERVATORI, NON AVRA’ PIU’ ALCUN PROBLEMA DI RAPPRESENTARE I DUE PARTITI REIETTI: IO PARLO PER ME, NON PER GLI ALTRI
Giorgia Meloni lascerà la presidenza del partito dei
“Conservatori e riformisti”. Lo farà il prossimo giugno, dopo le elezioni europee. «La stiamo sottoponendo a un forte stress psicofisico. Le abbiamo chiesto troppo», conferma Nicola Procaccini, copresidente del gruppo al Parlamento europeo e fedelissimo della premier
Meloni era stata confermata alla presidenza di Ecr nel dicembre del 2021, una volta scaduto il suo mandato, su pressione delle delegazioni degli altri Paesi membri, che premevano per mantenere la sua guida, pochi mesi dopo la vittoria elettorale in Italia, pensando di poter sfruttare il ritorno di immagine di un premier conservatore eletto in uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea.
Della successione non si è ancora discusso apertamente, per non destabilizzare il gruppo in vista delle Europee, ma il grande favorito sembra essere il leader del Partito democratico civico Petr Fiala, anche lui alla guida del suo governo, in Repubblica Ceca. Un modo, questo, utile anche a liberare Meloni da una posizione ambigua, in cui si trova costretta a parlare con i suoi alleati sia da Presidente del consiglio che da membro dell’opposizione al Parlamento europeo. «È costretta a cambiare il lessico, ma le sue idee restano sempre quelle. Anche “troppo coerente” come scherzo spesso con lei», assicura Procaccini.
Alle prossime elezioni, a Bruxelles, «il baricentro si sposterà ancora di più verso il centrodestra», ragiona Carlo Fidanza, capodelegazione di FdI al Parlamento europeo. «Il nostro gruppo dovrebbe crescere dagli attuali 57 a 82 europarlamentari, secondo gli ultimi sondaggi».
Eppure sarà fondamentale costruire nuove alleanze per scardinare – il tandem tra Popolari e Socialisti che ha guidato finora l’Ue. Viene quindi vista da Procaccini come «una forzatura» quella di Antonio Tajani di «mettere dei paletti, escludendo fin da ora possibili alleanze con il Front National di Marine Le Pen e con i tedeschi di Alternative für Deutschland».
Anche perché al Parlamento europeo le maggioranze sono sempre molto fluide, se si esclude il voto con cui si elegge la presidenza della Commissione Ue. «E la Lega soffre il cordone sanitario che le è stato messo attorno. Un cordone molto forte e molto ingiusto […] ». Poi, certo, con Le Pen e Afd – ammette il copresidente di Ecr – ci sono delle «differenze forti sul futuro europeo nella Nato, così come sul sostegno alla guerra in Ucraina o su questioni di bilancio europeo, ma su tanti altri temi abbiamo spesso votato insieme».
(da La Stampa)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile STANDO AI SONDAGGI, L’ALLEANZA CONSERVATORI-PPE NON AVRÀ I NUMERI PER GOVERNARE, E LA PREMIER, PER ENTRARE NELLA STANZA DEI BOTTONI DI BRUXELLES, SARÀ COSTRETTA A FARE UN EURO-INCIUCIONE CON SOCIALISTI E LIBERALI. CIOÈ, CON SCHOLZ E MACRON
Fra un anno in Europa si invertiranno i ruoli e Meloni sarà ciò che era Salvini nel 2019. Per sfuggire a un destino che oggi appare inesorabile, il leader della Lega userà contro la premier il tema della «coerenza» come arma elettorale.
Perché secondo il capo del Carroccio «coerenza vorrebbe che lei annunciasse per tempo la sua contrarietà a una maggioranza di larghe intese» nel Parlamento europeo.
Dietro le schermaglie con Tajani sull’opportunità di aprire a Le Pen invece che a Macron, tiene nel mirino Meloni: ha sempre in testa il suo slogan, «mai con la sinistra», che la leader di FdI usò per svuotarlo di consensi durante la fase del governo Draghi. Confidando di restituirle il colpo, il vicepremier glielo rammenterà, «perché dopo le elezioni non potrà pensare di chiudere l’accordo anche con il Pse come niente fosse».
La manovra di Salvini — intenzionato così a sottrarre voti da destra a Meloni — parte dal convincimento che Ppe, Ecr e Liberali non avranno i numeri per formare una maggioranza. Tesi che in fondo viene condivisa anche dai maggiorenti di FdI, secondo i quali però l’alleanza a Strasburgo non potrebbe allargarsi agli estremisti francesi e tedeschi, come chiede il Carroccio, siccome i primi ad opporsi sarebbero i Popolari. Ed è così che si tornerebbe alla casella di partenza, cioè alla grossa koalition, a cui si unirebbero i Conservatori di Meloni.
Che ha un obiettivo: «Entrare nella stanza dei bottoni anche dell’Europarlamento» e porre fine a una condizione politica schizofrenica. Insomma, tutte le previsioni portano nella stessa direzione. Anche se non è infondato il ragionamento svolto dal ministro Crosetto, che solleva un problema di sistema: «Che senso ha il voto se poi si torna al solito patto tra forze diverse? Come non comprendere che l’alternanza di governo è un modo per aprire un passaggio verso una democrazia compiuta in Europa, restituendo valore alle scelte dei cittadini?».Sono argomentazioni che però si infrangono sugli scogli dei rapporti di forza e (anche) dell’interesse nazionale. Perché in ogni caso — come spiega un autorevole ministro — «il giorno dopo le elezioni, dovremmo poi fare i conti con Scholz e con Macron», sui problemi che assillano l’Italia: «E se quelli tolgono le chiavi di casa, noi restiamo fuori».È un richiamo al principio di realtà, che risponde a dossier dai nomi diversi (patto di Stabilità, Pnrr, Mes) e che non lasceranno molti margini a Meloni. Perciò, e in vista di questa prospettiva, i suoi fedelissimi definiscono «strumentale» l’idea che il leader della Lega medita di attuare.
Cioè sfidare la premier sul terreno della «coerenza»: «Anche perché lo stesso Salvini, se vuole per esempio i soldi dall’Europa per il Ponte sullo Stretto, dovrà trattare con i ministri di Scholz e di Macron».§
Scuote la testa uno dei maggiorenti di governo: «Siamo un Paese che corre sul ciglio del burrone, tra irresponsabili e ignoranti». Il catalogo di Meloni è questo. E la sfida del capo del Carroccio si somma a una preoccupazione: la tenuta di Forza Italia nelle urne.
Il partito azzurro dovrà superare lo sbarramento elettorale, altrimenti metterebbe a repentaglio la tenuta dei suoi gruppi parlamentari nazionali e complicherebbe i rapporti con il gruppo del Ppe. Per questo un mese fa, quando Lupi ha chiesto lumi sulla collocazione di Noi moderati nelle liste di FdI, Meloni lo ha invitato ad accordarsi con Forza Italia per rafforzare l’area di centro». Ma se questo schema non offrisse garanzie di –«successo, tra ottobre e novembre la premier potrebbe decidere di cambiare schema. Lanciando il progetto di rifondazione del centrodestra.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile PER SOPPERIRE ALLA MANCANZA DI MANODOPERA, DUE IMPRENDITORI SVIZZERI PAGANO FINO A 16.500 FRANCHI AL MESE SULLA BASE DEL FATTURATO MENSILE
La carenza di personale nel settore della ristorazione e del
turismo è un problema che non riguarda solo l’Italia, coinvolge molte altre nazioni europee. In Svizzera, però, c’è chi accumula candidature sulla scrivania: molte persone si riscoprono desiderose di lavorare in bar e ristoranti, nonostante i turni spesso massacranti, gli orari di lavoro notturni, nei weekend e nei giorni festivi.
Com’è possibile? La risposta è una sola: lo stipendio di questi lavoratori è parametrato al fatturato dell’azienda. E così un cameriere sul lago di Zurigo arriva a guadagnare fino a 16.500 franchi svizzeri al mese (più di 17mila euro), mance escluse, retribuzione che farebbe invidia anche a un top manager.
Proviamo a capire meglio, ma soprattutto a spiegare perché alcuni considerano questa soluzione conveniente sia per il lavoratore sia per l’imprenditore e se il boom del turismo potrebbe cambiare gli stipendi degli stagionali anche in Italia.
Salari proporzionati al fatturato in Svizzera
Se in Italia un cameriere con un regolare contratto di lavoro guadagna non meno di 1.300 euro lordi al mese, in Svizzera riceve molto di più: 3.750 franchi svizzeri (quasi 4mila euro), ma bisogna considerare che lì il costo della vita è molto più alto.
In alcuni locali però la paga si aggira tra gli 8.000 e i 12.000 franchi svizzeri al mese (8.350 – 12.500 euro circa), con mance a parte, cifre record che fanno gola a tutti.
Succede nelle catene di ristorazione Michel Péclard e Florian Weber (16 in tutto), molto conosciute oltre il Gottardo, dove i salari della manodopera variano in funzione del fatturato. Per essere più precisi, cameriere e camerieri guadagnano tra il 7 e l’8% dell’incasso mensile al netto dell’Iva, a seconda del locale.
Michel Péclard ha rivelato a un settimanale svizzero che il salario più alto versato finora è stato di 16.500 franchi. Si tratta di un’eccezione, ha specificato l’imprenditore ricordando che stiamo assistendo a un periodo molto positivo per il turismo. Sicuramente si tratta della cifra più alta percepita al mondo da un cameriere. A conti fatti, però la remunerazione di un addetto al servizio ai tavoli in un ristorante in riva al lago di Zurigo supera di gran lunga quella di un manager laureato, rendendo molto attraente un lavoro snobbato da molti negli ultimi tempi.
Quanto guadagna un cameriere in Italia
In Italia la situazione è molto diversa, soprattutto per gli stagionali, come emerge anche dalle inchieste di Today.it realizzate da Chiara Tadini, Charlotte Matteini e Christian Donelli, che hanno più volte raccontato le esperienze da incubo di queste categorie di lavoratori. La fotografia scattata sulla riviera romagnola, solo per fare un esempio, è questa: turni di 60 ore settimanali, straordinari gratis e parte della paga in nero, con offerte di lavoro che arrivano a 3 euro l’ora. Stiamo parlando di circa 800 euro al mese per 10 ore di lavoro, che poi nei weekend diventano 14. E il giorno libero? Non esiste.
Cosa cambia con la fine del reddito di cittadinanza
Da tempo assistiamo alla solita querelle: lavoratori stagionali che denunciano condizioni di lavoro proibitive a fronte di una busta paga da schiavi; imprenditori che continuano a dare la colpa della carenza di manodopera al reddito di cittadinanza, sostenendo che i “giovani non hanno più voglia di lavorare” e “non vogliono fare la gavetta”. Ora però siamo a un punto di svolta, perché il governo Meloni ha deciso di mettere la parola fine al reddito di cittadinanza. Cosa succederà?
Probabilmente gli imprenditori disonesti smetteranno di lamentarsi perché troveranno qualcuno che per ‘tirare a campare’ sarà costretto ad accettare paghe da fame (a meno che non scattino i tanto annunciati e necessari controlli sulle condizioni di lavoro). Peccato, però, perché in Italia ancora troppi pochi manager hanno capito quanto sia importante la soddisfazione economica dei dipendenti.
Eppure a maggio l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, dopo aver annunciato profitti record ha dichiarato di voler introdurre la partecipazione dei dipendenti agli utili. “Ho chiesto al nostro interno di studiare questa possibilità, la vedrei bene”. Insomma per il momento questa mentalità è ancora poco diffusa in Italia, ma qualcosa sta cambiando.
Partecipazione dei dipendenti agli utili: perché conviene
In Italia, specie nel settore della ristorazione e del turismo, siamo ancora molto lontani dai salari proporzionati agli utili della Svizzera. Eppure secondo alcuni esperti il salario parametrato al fatturato rappresenta un vantaggio per tutti, vediamo perché. Niente di nuovo, si chiama partecipazione agli utili dell’azienda, esiste da sempre ma viene contemplata solo per le figure apicali delle imprese, per manager e top manager. E se fosse applicata a tutti i lavoratori? L’idea spaventa soprattutto gli imprenditori, ma secondo gli esperti si tratta di una soluzione che avvantaggia entrambe le parti. I dipendenti fanno del loro meglio per far sì che l’azienda guadagni, mentre gli imprenditori non devono sopportare costi aggiuntivi. A causa del forte incremento del fatturato, infatti, i costi del personale, anche se più elevati, risultano percentualmente inferiori a prima.
In Svizzera, però, non sono tutti d’accordo. “Ci hanno già rimproverato di distorcere il mercato”, ha dichiarato Péclard mentre i sindacati pur non essendo contrari sostengono che questo modello non può essere adottato in tutti gli ambiti, perché ci sono troppo inconvenienti. Nel caso della ristorazione e del turismo i benefici sono piuttosto evidenti, visto che il personale è sempre a contatto con il pubblico e che il servizio è una parte fondamentale del gradimento della clientela. Con più sorrisi e disponibilità da parte dei camerieri il fatturato cresce, portando un vantaggio economico indiretto anche ai dipendenti, in una spirale che si autoalimenta. “I nostri impiegati – chiosa Michel Péclard – lavorano come se l’azienda non ci appartenesse ma appartenesse a loro”, questo il vero segreto del successo della misura che ha risolto tutti i problemi di carenza di personale dell’imprenditore.
(da Today)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile “INIZIAMO NOI IMPRENDITORI A FARE IL NOSTRO, ADEGUANDO I COMPENSI A DELLE GIUSTE SOGLIE”… FINALMENTE UN IMPRENDITORE VERO INVECE CHE TANTI “PRENDITORI” DEI FAVORI DI STATO
“Penso che le imprese italiane in generale paghino troppo poco i collaboratori, lo dicono i dati Ocse. Iniziamo noi imprenditori a fare il nostro adeguando i compensi a delle soglie giuste dopodiché gli altri ci seguiranno”. Nel giorno dell’apertura della 49esima edizione del forum di Cernobbio, il “padrone di casa” Valerio De Molli, amministratore delegato di The European House – Ambrosetti, parlando con Ilfattoquotidiano.it, pone l’attenzione sul tema dei salari italiani. E lo fa con parole forti e con una premessa, e cioè che le sue parole potrebbero risultare impopolari “in questo contesto fatto di imprese”.
Il tema, spiega De Molli “non è tanto il dogma del salario minimo, ma il senso di responsabilità del salario giusto”. “Chissenefrega della soglia minima ma ci devono essere dei salari giusti per lavori onorevoli. Il lavoro è un diritto, lo dice la Costituzione, lo dobbiamo favorire, dobbiamo crearlo e dobbiamo fare in modo che si paghino le persone quello che meritano”.
Un messaggio ribadito anche nell’intervento d’apertura del festival nel quale l’ad ha citato le statistiche Ocse sui salari italiani: “Tra il 1992 e il 2022 i salari medi sono diminuiti dell’1 per cento in Italia, unico paese dell’Ocse, a fronte di un aumento medio negli altri paesi del 30 per cento”.
Che fare dunque? Il salario minimo può essere la strada da seguire? “Se il salario minimo è una strada perché no, diciamo che non sono necessariamente contrario, però sarei d’accordo a far crescere tutti gli stipendi”, commenta De Molli”. Che, appunto, specifica: “Mi rendo conto di dire una cosa a rischio di grande critica e impopolarità in questo contesto fatto di imprese, perché significa far crescere la struttura dei costi. Però è nell’interesse degli stessi imprenditori fare in modo che ci sia più denaro in tasca delle famiglie, più potenzialità di spesa. Quindi è un circolo virtuoso e non vizioso perché si liberano forze dell’economia”.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile A DETERMINARE LA FLESSIONE È LA DOMANDA INTERNA: LE FAMIGLIE NON SPENDONO PER COLPA DELL’INFLAZIONE GALOPPANTE, E LE IMPRESE PRODUCONO MA NON VENDONO. E I POSTI DI LAVORO INIZIANO A RIDURSI
L’economia italiana non cresce più. Se per alcuni mesi era stata
la più rapida in Europa ad agganciare la ripresa post-Covid, la spinta ora sembra esaurita. Nel secondo semestre si aspettava una battuta d’arresto, ma non così marcata: il prodotto interno lordo […] è sceso dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, contro lo 0,3% atteso. Il tendenziale della crescita, rispetto allo scorso anno, passa dallo 0,8 allo 0,4% tra il primo e il secondo trimestre.
La crescita dell’economia che sarebbe già acquisita per il 2023 è dello 0,7%, se nella seconda parte dell’anno si registrasse lo stesso prodotto del secondo semestre 2022, previsione che ora qualcuno comincia a considerare ottimistica. Ciò che è sicuro è che la frenata del Pil crea altre forti complicazioni per la manovra di bilancio 2024 del governo che contava su una crescita, quest’anno, dell’1%.
A determinare la flessione del Pil e’ stata soprattutto la domanda interna, sottolinea l’Istat, mentre quella estera ha fornito un contributo nullo. Sul piano interno, l’apporto dei consumi privati è stato pari a zero, mentre sia quello della spesa delle Amministrazioni pubbliche sia quello degli investimenti è risultato negativo. L’inflazione a questi livelli sta frenando i consumi delle famiglie, che non spendono, mentre le imprese producono e non vendono (scorte +0,3%). I redditi netti pro-capite, mentre i posti di lavoro si sono ridotti dello 0,3%, sono aumentati dello 0,8%.
Per giunta l’inflazione non rallenta. Nel settore delle costruzioni dal quale viene parte della poca spinta al Pil, i prezzi crescono a luglio dello 0,8% mensile, e di un altro 1,4% annuo. Secondo la Confesercenti, quest’anno la crescita non andrà oltre lo 0,7%. E le cose per il governo si complicano. Anche il vice premier di Forza Italia, Antonio Tajani, ammette che lo spazio per una manovra espansiva di bilancio si è ristretto.
L’opposizione attacca: «Questi numeri, insieme a quelli resi noti ieri sul calo dell’occupazione a luglio per la prima volta dopo sette mesi, confermano il deterioramento della condizione economica del Paese — dice il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani — e demoliscono la narrazione ottimistica che governo e maggioranza hanno continuato a sostenere nei mesi scorsi. È tutta Europa a rischiare la stagflazione e l’Italia non fa eccezione, con buona pace della propaganda della destra. La prossima manovra di bilancio è chiamata a fare i conti con la realtà».
«Oggi Meloni raccoglie quello che ha seminato in tutti questi mesi a Palazzo Chigi con il cappello in mano di fronte ai falchi dell’austerità», accusa il presidente del M5S Giuseppe Conte. «Meloni deve smettere di dare sempre la colpa a qualcun altro e deve rimboccarsi le maniche» dice l’ex premier.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile TANTA SCENA E POCA SOSTANZA, UNA SERIE INFINITA DI INCOMPIUTE… LA MELONI PRIMA CI METTE LA FACCIA E POI SPARISCE
Tre tragedie, tre passerelle. Lo schema è sempre lo stesso: una sfilata blindata con pochi contatti con l’esterno, discorsi e promesse strappalacrime ma soprattutto zero risultati concreti. Non solo nell’immediato, ma anche nel lungo periodo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha risposto così alle tre tragedie italiane da quando si è insediata al governo: prima il naufragio di Cutro il 26 febbraio con 94 morti accertati, poi a metà maggio l’alluvione in Emilia-Romagna con 17 vittime e infine gli stupri di Caivano ai danni di due cuginette di 12 anni. Meloni ha voluto essere sui luoghi del dramma: una presenza durata poche ore, tanta propaganda e poi via, il ritorno a Roma. Le soluzioni, però, latitano. Il Primo Maggio, invece, la premier aveva fatto anche una “passerella virtuale” con la scelta – tutta mediatica e simbolica – di convocare un Consiglio dei ministri per approvare il decreto lavoro con tanto di video-social dalle stanze di Palazzo Chigi. Alla strategia delle “passerelle” si sostituirà quella delle trasferte all’estero mentre inizieranno i problemi sulla legge di Bilancio: a settembre e ottobre Meloni farà un tour nel mondo a cui si è aggiunta una data nelle ultime ore, il summit per la Demografia di Budapest del 14-16 settembre.
Romagna I sindaci protestano “Giorgia non viene da maggio”
L’assenza più pesante di Meloni è quella nei territori alluvionati. Non solo i fondi per famiglie e imprese che sono state colpite non arrivano – il Commissario alla ricostruzione Francesco Paolo Figliuolo ha stanziato i primi 289 milioni per le somme urgenze solo nei giorni scorsi – ma la premier non si è più fatta vedere in Romagna. Eppure a maggio c’era stata due volte, la prima il 21 maggio tornando in anticipo dal G7 di Hiroshima per fare un sopralluogo privato tra gli alluvionati della Romagna: pochi minuti dopo iniziarono a uscire video e foto di cittadini inneggianti alla premier. Poi Meloni è tornata in Emilia-Romagna quattro giorni dopo con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con cui sorvolò le zone più colpite con un elicottero. In entrambe le visite Meloni aveva assicurato indennizzi e ristori per tutti, oltre ai fondi adeguati per la ricostruzione. Tre mesi dopo, però, è arrivato ben poco e la premier non si fa più vedere.“Così non va bene – attacca Michele De Pascale, sindaco Pd di Ravenna – noi abbiamo chiesto a più riprese di vedere Meloni e lei si è sempre negata”. Il primo cittadino dem spiega che non basta incontrare il Commissario alla ricostruzione: “Figliuolo e Meloni sono due figure diverse: il primo è un tecnico, la seconda è una politica. Noi abbiamo bisogno di confrontarci con Meloni perché deve capire che senza i ristori i cittadini e gli amministratori non ce la fanno. È come se un cittadino chiedesse di incontrarmi e io gli mandassi un assessore, non è la stessa cosa”. Eppure la premier non ha in agenda di tornare presto in Romagna né di incontrare gli amministratori a Palazzo Chigi. “C’è un commissario e decide lui, ci dicano cosa non va in Figliuolo”, replica il sottosegretario alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, dirigente di Fratelli d’Italia e riferimento del partito in Emilia-Romagna.
Caivano La trasferta blindata e piena di annunci
La passerella più recente invece Meloni l’ha fatta giovedì, quando è rimasta per tre ore al Parco Verde di Caivano dove nei giorni scorsi sono avvenute due violenze sessuali nei confronti di due ragazzine minorenni. Una visita, quella della premier, blindatissima, senza alcuna possibilità di contatti con l’esterno, né con i cittadini del posto né con i cronisti presenti. Dopo l’incontro con don Patriciello nella parrocchia del comune e un’ora di Comitato di Ordine e Sicurezza nella scuola “Francesco Morano”, la premier ha annunciato una serie di promesse per “bonificare” il luogo: trasformazione del centro polifunzionale “Delphinia Sporting Club” in una palestra della legalità, una nuova biblioteca, un progetto per assumere nuovi insegnanti e tenere aperta la scuola anche di pomeriggio oltre al presidio costante delle forze di polizia. Annunci a cui la premier vuole dare un seguito concreto chiedendo a tutti i ministri del suo governo di “venire regolarmente” a Caivano. “Qui lo Stato ha fallito”, ha detto la premier in maniera perentoria. “Ha preso degli impegni e noi le crediamo – ha detto don Patriciello – Abbiamo un desiderio grande di applaudire, ma se le promesse, come accaduto altre volte, non verranno mantenute sapremo anche fischiare”.
Cutro Dopo sei mesi, ancora niente ricongiungimenti
La prima “passerella” in ordine di tempo risale al 7 marzo scorso, due settimane dopo il naufragio di Cutro. La premier, per dare una risposta concreta, aveva deciso di fare una mossa in pieno stile berlusconiano: celebrare il Consiglio dei ministri proprio nella cittadina calabrese. E così è stato con tanto di ministri aviotrasportati da Roma insieme ai rispettivi staff. Peccato che la trasferta si sia trasformata in un boomerang: durante la conferenza stampa post-Consiglio dei ministri, la premier era stata fortemente contestata dai giornalisti per non essere andata a visitare la palestra di Crotone dove erano state messe le bare delle vittime. Fu proprio in quell’occasione che la premier, pochi minuti dopo la ripartenza per Roma, aveva annunciato di voler convocare i parenti delle vittime a Palazzo Chigi. L’incontro si è tenuto dieci giorni dopo, il 16 marzo, con la premier che ha commesso una gaffe chiedendo ai familiari delle vittime: “Conoscete i rischi della traversata via mare?”. Poi si era impegnata a continuare a cercare i corpi dei dispersi e a favorire i ricongiungimenti ma, come ha documentato Domani, questo non è ancora successo. Da marzo i parenti delle vittime di Cutro non si sono ancora ricongiunti in Italia: questo sarebbe dovuto avvenire per motivi “psicologici e di sicurezza”, ma in sei mesi il governo non ha ancora dato una risposta.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile “QUESTA MORTE CI SCUOTE COLLETTIVAMENTE, CI COLPISCE, CI INDIGNA, CI FA INSORGERE, CI INORRIDISCE. NON CI PUÒ LASCIARE INDIFFERENTI, POICHÉ È L’ENNESIMO SOPRUSO DEL FORTE NEI CONFRONTI DELL’INDIFESO, BESTIA O PERSONA CHE SIA. NON POSSIAMO RASSEGNARCI, PER VIA DI QUELLA VOCE CHE CI SUSSURRA DENTRO, LA VOCE DELLA NOSTRA UMANITÀ”
Soltanto pochissimi giorni addietro l’orsa Amarena, simbolo
della regione Abruzzo, aveva sfilato in un piccolo borgo della provincia dell’Aquila, San Sebastiano dei Marsi, insieme ai suoi orsacchiotti. La mamma li attendeva, si voltava ed eccoli giungere quasi rotolando- soffici palle di pelo bruno- sulle scale del paese.
In un video compare la famigliola felice e viene immortalato il momento nonché l’emozione che tale insolita visita ha suscitato negli abitanti del posto, bambini inclusi, che se ne stavano a pochi metri dal plantigrado senza mostrare alcuna paura né l’orsa appariva turbata o infastidita dalla presenza umana, tutt’altro.
Amarena nelle immagini risulta placida, serena, a suo agio, è una comune madre che sicura porta a passeggio la prole in centro e ne segue ogni minimo spostamento. il video ha destato in ciascuno di noi non solamente stupore ma anche e soprattutto tenerezza.
Ci siamo innamorati di questa orsa dal nome simpatico, avremmo desiderato essere anche noi lì, quella sera, in mezzo al gruppo di presenti che ha avuto la fortuna di assistere ad un simile spettacolo della natura. E ieri mattina la notizia che ci ha sconvolti: Amarena è stata fucilata. Una mamma è stata strappata via ai suoi cuccioli, giustiziata senza colpe, ammazzata crudelmente. Due creature restano quindi orfane per volontà e a causa di un uomo che ha preso l’arma e ha sparato contro un essere indifeso, che non rappresentava affatto una minaccia.
Lo abbiamo visto tutti che Amarena era inoffensiva. Le prove non mancano. C’è addirittura chi giura che era lei a sembrare intimidita dalle persone, tanto era docile. L’orsa non si è introdotta nella proprietà di chi l’ha trucidata per rubare, per violentare, per assassinare, non aveva intenzione di invadere lo spazio altrui, di compiere un reato, neppure di disturbare.
La bestiola stava semplicemente passeggiando nel suo habitat naturale e, con la sua ingenua e pura coscienza animale, non era in grado di riconoscere paletti e confini che dividono e distinguono la proprietà pubblica da quella privata.
Di sicuro non avrebbe potuto prevedere che uno di quegli esseri umani che la osservavano con meraviglia le avrebbe potuto fare del male. E così è morta. E questa morte ci scuote collettivamente, ci colpisce, ci indigna, ci fa insorgere, ci inorridisce.
Non ci può lasciare indifferenti, poiché è l’ennesimo sopruso del forte nei confronti dell’indifeso, bestia o persona che sia. Ed è per questo che non possiamo rassegnarci, per via di quella voce che ci sussurra dentro, la voce della nostra umanità, che ancora – evidentemente – è viva.
Colui che ha preso a fucilate Amarena giovedì sera, interrogato dai carabinieri, ha raccontato di avere fatto fuoco per paura, senza l’intento di stroncare l’orsa. Per quanto mi riguarda, ho difficoltà a credere a questa ricostruzione. Del resto, se vuoi indurre un animale ad allontanarsi, al massimo spari un colpo in aria e non più colpi verso l’essere disarmato.
Inoltre, che Amarena si aggirasse da quelle parti con i cuccioli e che fosse incapace di fare del male persino ad una mosca erano cose arcinote . Intanto, mentre scrivo, oltre un centinaio di carabinieri e forestali sono impegnati nella ricerca dei figli di Amarena che, dopo avere assistito impotenti alla macellazione della propria mamma, sono fuggiti spaesati smarrendosi nella vegetazione. Anche loro adesso, soli al mondo, rischiano la vita. Anche loro sono le nostre vittime.
(da Libero)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile I VIGILANTES NON SOLO SARANNO PAGATI, MA ANCHE COMANDATI DAL SINDACO: RISPONDERANNO SOLO AI SUOI ORDINI, COME UNA “MILIZIA PRIVATA”
Stefano Bandecchi, il sindaco che aveva auspicato cecchini contro il degrado porta in città i “suoi” vigilantes.
Dopo avere sfilato sotto il palazzo comunale, a Terni ha preso servizio un plotone di guardie giurate private.
Dieci autopattuglie, in livrea bianca con una pantera disegnata sulla fiancata, che di notte stazioneranno nei luoghi sensibili della città, contro microcriminalità e atti vandalici. La particolarità inedita è che i poliziotti privati saranno finanziati con 870mila euro da Unicusano, l’università telematica fondata dal primo cittadino. Per essere più chiari, i soldi per la sicurezza cittadina, come ha rimarcato lo stesso Bandecchi, “ce li mette il sindaco”.
“Le proprietà del comune di Terni sono luoghi più sicuri”, ha celebrato l’evento sui propri social il primo cittadino ed ex paracadutista, con un filmato della sfilata delle auto che si posizionavano nel parcheggio del palazzo comunale. “Ventiquattro occhi in più” a disposizione della sicurezza cittadina, che per un anno saranno puntati dalle 22 alle 7 su “cimiteri, fontane, borghi, palazzi storici, monumenti” e risponderanno alle indicazioni della centrale operativa dei vigili urbani, in attesa che l’amministrazione Bandecchi riesca a integrare l’organico della municipale con nuove assunzioni.
In pratica, oltre ad essere finanziati dal sindaco, i vigilantes saranno anche comandati dal sindaco. Bandecchi, infatti, aveva rimarcato che la polizia municipale dovesse rispondere direttamente ai suoi ordini, in forza della delega alla sicurezza che ha mantenuto per sé. Una sorta di milizia privata del sindaco, che avrà il compito di vigilare e segnalare alle forze dell’ordine spaccio di droga, furti o situazioni di degrado.
La sperimentazione consiste in un progetto pilota per “una attività di ricerca – si legge nell’atto numero 78 dell’esecutivo – finalizzata ad analizzare l’impatto sulla sicurezza urbana e sull’ordine pubblico, attraverso iniziative di partecipazione da parte di terzi alla tutela dei beni e degli spazi pubblici”.
I “terzi” sono le guardie giurate, che saranno impegnate in un servizio di “vigilanza gratuito”, per una non meglio precisata ricerca universitaria interdisciplinare, mirata “ad acquisire dati scientifici”,
Vantaggi diretti per Unicusano? Nessuno, ammette lo stesso sindaco. “La mia università spenderà 870mila euro per fare questa ricerca – commenta Bandecchi a Repubblica – e il beneficio che avrà è praticamente zero. Lo stesso vale per me. Invece il beneficio per la città di Terni è mille”.
Sul possibile conflitto di interessi, di un sindaco che finanzia il controllo del territorio, Bandecchi allarga le braccia. “Non so se ci sia un conflitto di interessi, nel caso sposteremo il progetto a Roma o a Perugia”, replica il capo della giunta ternana, che assicura nessuna invasione di campo nei compiti delle forze dell’ordine. “Già da quando Roberto Maroni era ministro – dice – le guardie giurate possono contribuire al servizio della sicurezza, coordinandosi con la questura”.
(da La Repubblica)
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Settembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile A DECIDERE SONO STATI I CITTADINI CON UN PLEBISCITO: IL 90% HA DETTO SÌ AL BANDO PROPOSTO DALLA SINDACA, ANNE HIDALGO…AUTOMOBILISTI E PEDONI DELLA VILLE LUMIERE ERANO ESASPERATI DAGLI SVALVOLONI CHE SFRECCIANO CONTROMANO E SI ESIBISCONO IN PERICOLOSE ACROBAZIE
Parigi è la prima capitale europea senza più monopattini in
«sharing» o a noleggio nelle strade. Ieri è stata l’ultima giornata parigina di attività per la «trottinette», il monopattino elettrico a libero noleggio che – dal giorno del suo varo nel 2018 – è stato oggetto di discussioni e polemiche per l’impossibilità di riuscire a stabilire delle regole per il suo utilizzo.
Da oggi, nel rispetto del voto popolare che a maggioranza ha detto stop ai monopattini a noleggio, i tre operatori che si spartivano il settore non potranno più essere attivi nella capitale. Lime, Tier Mobility e Dott hanno visto scadere senza rinnovo il loro contratto con il municipio.
Parigi diventa così la prima capitale europea a vietare completamente il monopattino a nolo, con grande sollievo del 90% dei votanti (che però sono stati soltanto il 7,46% degli iscritti nelle liste) che a primavera hanno detto stop. Decisiva l’esasperazione degli automobilisti che vedevano spuntare ovunque e senza alcuna regola le trottinette – e quella dei pedoni, che li vedevano scorrazzare giorno e notte sui marciapiede. Impossibile anche multarli, nonostante fossero parcheggiati ovunque. Persino la sindaca Anne Hidalgo, paladina delle biciclette e ostile alle automobili, aveva fatto campagna per il divieto.
(da agenzie)
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