Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile CERNOBBIO, GLI IMPRENDITORI SERI A FAVORE DEL SALARIO MINIMO
“Il salario minimo spingerebbe gli stipendi verso il basso? È una stupidaggine. Al massimo alza quelli di chi sono al di sotto della soglia”. Marcello Masi è il presidente della Finmasi, gruppo di aziende che da oltre 60 anni opera nel settore siderurgico.
Mentre si aggira tra i velluti e i lampadari di cristallo di villa d’Este al Forum di Cernobbio racconta l’importanza dell’introduzione di un salario minimo in Italia. I suoi lavoratori guadagnano più della soglia di nove euro. Ma questo non vuole dire che se entrasse in vigore la misura abbasserebbe i salari dei suoi operai “perché un’azienda vale nella misura in cui sa far valere i propri lavoratori”.
Non c’è nessun timore che la misura possa “peggiorare le condizioni di molti lavoratori” come aveva scritto in una lettera al Corriere la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Anzi, sulle sponde del lago di Como, il consenso a questa misura sembra essere molto diffuso. Sonia Bonfiglioli è la presidente di Bonfiglioli Group, azienda a conduzione famigliare ma che opera a livello globale nel campo dei riduttori. I nove euro all’ora ipotizzati sono “una cifra più che ragionevole considerato che nel nostro settore metalmeccanico si superano ampiamente”.
Ma dal governo si aspetta che “venga fatto sempre di più per combattere il lavoro nero e l’evasione”. Accanto a lei annuisce Romano Pezzotti, presidente di Fersovere, l’azienda bergamasca che dal 1982 opera nel campo del recupero e riciclaggio dei materiali: “Sono assolutamente favorevole all’introduzione del salario anche perché mio padre mi ha insegnato che i collaboratori vanno retribuiti nel miglior modo possibile”.
Poco più in là l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ribadisce il concetto: “Questo per noi è un non problema perché tuti i nostri contratti sono sopra i nove euro dunque riguarda principalmente altri settori. Il tema vero è che ci sono comparti dove si applicano contratti pirata”. C’è poi chi, pur dichiarandosi “favorevole come principio”, non rinuncia a sottolineare degli aspetti da approfondire. Come il presidente del Polo del Gusto Riccardo Illy che fa notare che “il livello di reddito medio in Italia è diverso da regione a regione, dunque stabilire una soglia unica per tutta Italia rischia di portare più danni che benefici”.
A Cernobbio si registra un coro (quasi) unanime di sostegno all’introduzione salario minimo. Anche da quelli stessi imprenditori che operano in settori come quello della vigilanza dove vengono applicati contratti ben inferiori alla soglia dei nove euro. “Tutta la vita favorevole al salario minimo” dichiara Lorenzo Manca, ad di Sicuritalia, gruppo leader del settore della sicurezza e vigilanza privata. Eppure in questo settore fino a maggio si applicavano contratti da 5.49 euro all’ora, oggi passati a 5.78. E una cooperativa del gruppo è finita al centro di un’inchiesta “per sfruttamento e caporalato”. Quale dovrebbe dunque la soglia del salario minimo? “Domanda interessante” commenta l’amministratore delegato di Sicuritalia. Nove euro? “Forse per i nove euro occorrono degli studi per calibrarlo, non so”. Cinque euro e cinquanta sono una cifra dignitosa? “Dignitosa è una parola difficile a cui rispondere – conclude l’ad – sicuramente si può fare di meglio per avere delle persone più soddisfatte”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile IL MAROCCHINO CHE GRIDA “FORZA JUVE”, LE RISSE DEI LATINOS, UNO SPAZZINO MI PUNTA IL DITO: “TI HO VISTO IN TV E TU HAI PARLATO MALE DELLA MELONI. NON FARLO PIU’”. E PERCHÉ? “PERCHÉ È UNA DI NOI”
A Milano si può andare a Zurigo e a Timbuctù senza muoversi
da Milano. Basta andare alla stazione Centrale.
Precisazione, essenziale di questi tempi: Zurigo e Timbuctù non sono luoghi geografici, e neppure etnici. Sono il dentro e il fuori. Dentro ci sono anche molti neri ricchi, e fuori anche molti italiani poveri.
Alla stazione Centrale soltanto alcuni vanno a prendere il treno. Altri vanno a lavorare: oltre ai ferrovieri, baristi, tassisti, netturbini, poliziotti, ristoratori, librai, tranvieri.
Altri ancora vanno a vivere, o a sopravvivere: borseggiatori, spacciatori, mendicanti, contrabbandieri di sigarette, prostitute, profughi, clochard, lavoratori in nero e loro reclutatori, aspiranti campioni di skateboard, persone alla ricerca di un riparo e soprattutto di una compagnia.
Due mondi che non si vedono o fingono di non vedersi. Non si parlano, non interagiscono mai. O quasi mai.
Ore 7 Come in Svizzera La metropolitana di Milano, al confronto di quella di Roma, è davvero di efficienza elvetica. Di prima mattina tutti escono dai tornelli con biglietto, abbonamento o carta di credito, sotto lo sguardo attento di controllori, poliziotti, vigilantes. Ce n’è uno in divisa Italpol con mostrine tricolori: come va oggi? «Non sono autorizzato a dare informazioni a nessuno». Mi scusi, buon lavoro, rispondo porgendo la mano. Il vigilante non dà la mano.
Da fuori, la stazione Centrale è ancora il mausoleo assiro-babilonese che nel 1955 ad Anna Maria Ortese incuteva soggezione: «C’era nel grande traffico una sorta di immobilità, nella solennità di quelle mura un che di oppressivo e feroce, complicato da un minimo di ridicolo, che le rendeva più tetre…». Dentro, la stazione Centrale pare una clinica svizzera: illuminata, pulita, costosa, asettica.
I negozi dei grandi marchi ci sono tutti, anche se spesso vuoti. Dentro, a Zurigo, il cibo costa ovviamente molto più che fuori, a Timbuctù: al Juicebar una centrifuga 6 euro e 20; da Spizzico un trancio di margherita 6 e 50; al Bistrot centrale un tramezzino veg 6 e 90, l’insalata con la feta 12 e 90, l’hamburger con patatine 15 e 90; sempre meno che da Joe’s American, il barbecue di Joe Bastianich, dove un panino con il pastrami come appunto a New York può arrivare a 21 euro.
Ma il vero segno del cambiamento della stazione è il mezzanino. Fino a qualche anno fa, era un luogo di rifugio, da cui si potevano seguire a distanza le crisi umanitarie, pieno prima di albanesi, poi di somali, siriani, eritrei.
Oggi, appena scesi dalle scale mobili, un grande cartello indica che in fondo a destra — come da canzone di Gaber — ci sono le «nuove toilet a zero impatto ambientale», anzi «new sustainable toilet on the mezzanine floor». Entrare nel bagno sostenibile, qualunque cosa voglia dire, costa un euro; ci sono anche le macchinette per cambiare le banconote; si accettano le carte di credito.
A un tratto, Timbutcù fa irruzione dentro Zurigo. Un pezzetto del mondo di fuori si stacca e irrompe in stazione. È un signore con la maglietta rossa, che palesemente non è in sé. Ma lo conoscono tutti, e lo lasciano fare. Chiede sigarette ai viaggiatori, controlla se nelle macchinette dei biglietti è rimasta qualche moneta, aiuta un turista straniero a cambiare l’orario della prenotazione per Firenze, mentre il porter cingalese lo guarda: «Viene dal Marocco, è un po’ fuori di testa ma non è cattivo».
Arriva un vigilante dell’Italpol, si danno il pugnetto, «quanto hai bevuto oggi? Un goccetto? Due goccetti?». Arriva anche un poliziotto vero con due militari in mimetica, lui li saluta militarmente, loro sorridono, contraccambiano. Una mossa però la sbaglia. Passa un gruppo di giovani, il marocchino grida: «Forza Juve!».
Quelli lo circondano, con fare più scherzoso che minaccioso: «Cos’hai detto? Qui siamo a Milano! Grida: forza Milan!». Lui, eroico, rifiuta. Lo lasciano andare.
Ore 18 L’altra anima Non è che la stazione di un tempo — il rifugio, i borseggi — non esista più. Si è semplicemente spostata fuori. Prima sul piazzale. Poi nelle vie attorno. I bivacchi sono molti, e si animano man mano che cala il sole. L’unico gruppo rumoroso è quello dei ragazzi con lo skateboard: un nero, un bianco, un latino, un cinese, è l’unico melting pot, anche se nessuno si rivolge la parola, hanno tutti gli auricolari nelle orecchie; si esprimono e comunicano con i loro salti impressionanti, i viaggiatori in arrivo con il trolley devono slalomeggiare tra loro e le biciclette che passano a tutta velocità.
Gli altri abitanti di Timbuctù stanno in silenzio. Puoi osservarli per ore senza vederli fare nulla. Alcuni sono poveri: una bottiglia di birra in mano, pochi denti in bocca. Altri sono vestiti da rapper americani, felpa con cappuccio pure d’estate, berretti da baseball, due telefonini, cuffie nelle orecchie. Odore di marijuana. Ad avvicinarli, si viene accolti con simpatia: «Bianco vaffanculo!», «bianco non ci rompere i coglioni!».
All’angolo con via Galvani un clochard ha comprato al supermarket cosce di pollo con cui sta sfamando il suo molossoide: il cane deve essere a digiuno da tempo, la scena in sé non è pericolosa ma impressionante.
Un nordico maniaco della pulizia raccoglie con un fazzoletto i chewing-gum sputati, come se dovesse pulire casa sua, e li getta nel cestino. Attorno al cantiere infinito dell’hotel Michelangelo la strada si restringe, e scoppiano brutte risse tra gli automobilisti e i latinos che parcheggiano i loro Suv sull’angolo, impedendo il passaggio.
Ora ad esempio si è creato un ingorgo infernale con un Tir e un taxi, che suonano il clacson a martello nel tentativo di indurre il latino a interrompere la telefonata e spostare il Suv.
Dalla casa di fronte scende un signore con orecchini, capelli biondi ossigenati e una maglietta vintage con la scritta Versace a filmare la scena con il cellulare: «Maledetti! Vi credete i padroni del quartiere, stanotte per colpa della vostra musica non ho chiuso occhio!».
Passa una signora anziana, molto elegante, con un biglietto del treno per Venezia e un ombrellino destinato a parare più il sole della pioggia. Osserva e sospira: «Qui ci vorrebbe il generale Vannacci…». In realtà è bastata una stretta del Viminale e della questura per ridurre i reati. Il gabbiotto dell’Atm, un tempo fortino assediato e difeso da tranvieri con il tirapugni, ora è presidiato da tre vigilantes con taser e pistola vera.
L’anno peggiore fu il 2007: ventinove le rapine sui treni partiti dalla Centrale, innumerevoli i borseggi; a un commerciante bengalese fu staccato un orecchio a morsi; un migrante del Mali si impiccò a mezzogiorno calando una corda dalla stecca ferroviaria, le arcate del treno.
Nel 2013 la volante Vitruvio, istituita accanto a quelle storiche — Ticinese, Duomo, Magenta, Napoli, Accursio… — proprio per occuparsi della stazione, sgominò la banda delle catenine: uno fingeva di chiedere informazioni, l’altro strappava e scappava. Il Corriere pubblicò in prima pagina la foto del ragazzino che rubava un computer da un trolley senza che il viaggiatore se ne accorgesse; la polizia individuò 39 bambini rom e arrestò i loro 19 sfruttatori. Ci si è dovuti arrendere a Bilal, il superladro: gli esami ossei al Laboratorio di antropologia forense confermarono che aveva davvero 12 anni come dichiarava, al massimo 12 e mezzo.
Erano maggiorenni invece i 101 lavoratori in nero che la guardia di finanza ha scovato in un controllo nei locali attorno alla stazione. Questo non ha fermato i caporali. A un capannello si offre una donna: non è una prostituta, è una badante, alta e bionda.
L’affare si potrebbe concludere in una bisca di via Ponte Seveso, dove ogni tanto le bande facendo intravedere i coltelli trascinano i ragazzi di buona famiglia a farsi offrire birra e sigarette. Un musulmano si lava i piedi nella fontanella con lo stemma di Milano: sono le sue abluzioni, poi si inginocchia sul tappetino e recita le preghiere della sera in direzione della Mecca, cioè del McDonald’s della piazza.
(Piccolo aneddoto. Si avvicina uno spazzino e mi punta il dito: «Ti ho visto in tv e tu hai parlato male della Meloni». Rispondo che il giornalista ha il dovere di essere critico, ma lui tiene il punto: «Va bene, ma ti prego non parlare più male della Meloni». E perché? «Perché è una di noi». Vorrei replicare che lei fa il presidente del Consiglio, lui fa lo spazzino che è un lavoro dignitosissimo ma molto diverso, e come appartenente ai ceti popolari dovrebbe riconoscersi semmai nel partito democratico della Schl… ma qui la stessa vocina di prima mi consiglia di lasciar perdere).
Ore 24 La terra di nessuno I l confine tra l’odio e il disprezzo è sottile. Si odia chi riteniamo pari o superiore a noi; si disprezza chi consideriamo inferiore. C’è più disprezzo che odio nello sguardo con cui i rider in bicicletta, venuti a ritirare gli hamburger dell’ultima consegna, guardano gli spacciatori che con meno fatica, più guadagno e stesso rischio offrono la loro merce ai passanti.
A quest’ora i tornelli della metro vengono saltati con balzi che fanno ben sperare per i prossimi Giochi olimpici: l’eredità di Gimbo Tamberi è in buone gambe. Ci sono ancora taxi, che a dire il vero non sono mai mancati, almeno per oggi (ma spesso non riuscivano a caricare a causa degli ingorghi). Mezzanotte e mezza è l’ora della cacciata. La stazione chiude. È arrivato l’ultimo treno, l’Italo da Salerno, è partito il convoglio Trenord delle 0.25 per Pavia. Resta aperto un ristorante che secondo TripAdvisor è il peggiore di Milano, ma è sempre pieno.
«Sentivamo addosso la stazione Centrale come una montagna — scriveva ancora la Ortese — e, strano, quel senso di libertà e fuga ch’è in tutte le stazioni si faceva in noi limite e fine: di qui non si partiva più, si entrava, e la destinazione era ignota». Eppure la stazione Centrale di Milano, nel suo duplice volto di Zurigo e Timbuctù, resta uno dei rari luoghi dove ascoltare e annusare il respiro a volte corto e affannoso, a volte lento e solenne, a volte interrotto e disperato di una grande città .
(da Il Corriere della Sera)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile LA BBC HA CHIESTO A EX DIPLOMATICI COME SI E’ SFALDATA, EMERGE UN LAVORO LUNGO ANNI
La diplomazia russa un tempo era il punto di forza del Cremlino, anche sotto la guida di Vladimir Putin. Ma qualche anno prima dell’invasione in Ucraina qualcosa è cambiato. In peggio. I diplomatici, secondo quanto racconta oggi la BBC, sono stati esautorati dal loro ruolo, isolati, minacciati.
Comunicati letti al posto di incontri
Nell’ottobre del 2021, per esempio, il sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland si recò a una riunione presso il ministero degli Esteri russo a Mosca. L’uomo dall’altra parte del tavolo era il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, che la signora Nuland conosceva da decenni e con cui era sempre andata d’accordo. Si aspettava un dialogo con Rybakov ma nulla. Il diplomatico le ha letto la posizione ufficiale di Mosca da un foglio di carta e ha resistito ai tentativi della signora Nuland di avviare una discussione. Secondo due persone che hanno discusso con lei dell’incidente, l’americana è rimasta scioccata dall’atteggiamento del collega russo.
Diplomatici man mano inutili
Secondo quanto ricostruito dalla emittente inglese i diplomatici russi erano una parte fondamentale della squadra di Putin. Aiutavano a risolvere le dispute territoriali con la Cina e la Norvegia, guidavano i colloqui per una più profonda cooperazione con i Paesi europei e garantivano una transizione pacifica dopo la rivoluzione in Georgia. Ma man mano che Putin diventava più potente ed esperto, si convinceva sempre più di avere tutte le risposte in mano, rendendo i diplomatici non necessari. Ad affermare questa tesi alla BBC è Alexander Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center, che vive ora in esilio a Berlino. Il primo segnale dell’inizio di una nuova guerra fredda è arrivato nel 2007, con un discorso di Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. In una diatriba di 30 minuti, l’uomo del Cremlino ha accusato i Paesi occidentali di cercare di costruire un mondo unipolare. Un anno dopo, quando la Russia invase la Georgia, il ministro degli Esteri di Mosca Sergei Lavrov avrebbe imprecato contro il suo omologo britannico, David Miliband, chiedendo: «Chi sei tu per darmi lezioni?». Rhodes ricorda alla BBC che il Presidente Obama ha fatto colazione con Putin nel 2009. Putin al tempo era più interessato a presentare la sua visione del mondo, che a discutere di cooperazione. Il leader russo incolpò il predecessore di Obama, George W. Bush, di aver tradito la Russia. «Poi con lo scoppio della Primavera araba, il coinvolgimento degli Stati Uniti in Libia e le proteste di piazza in Russia nel 2011 e 2012, Putin ha deciso che la diplomazia non lo avrebbe portato da nessuna parte», afferma Rhodes.
L’ascesa di Maria Zakarova
Maria Zakharova, diventata portavoce del ministero degli Esteri nel 2015, è il simbolo di questo nuovo capitolo. «Prima di lei, i diplomatici si comportavano da diplomatici, parlando con espressioni raffinate», dice l’ex funzionario del ministero degli Esteri Boris Bondarev, che si è dimesso per protesta contro la guerra. «Ma con l’arrivo della Zakharova, i briefing del Ministero degli Esteri sono diventati uno spettacolo. La Zakharova ha spesso urlato contro i giornalisti che le ponevano domande difficili e ha risposto alle critiche di altri Paesi con insulti». Nonostante la diplomazia azzerata prima o poi una fiamma di dialogo con il Cremlino dovrà esserci, sostiene alla BBC Samuel Charap, analista del RAND. L’unica alternativa ai negoziati è la vittoria assoluta, che difficilmente Kiev o Mosca potrebbero ottenere sul campo di battaglia.
(da Open)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile LA VOCE, REGISTRATA DAL SERVER DI RTI, E’ QUELLA DELLA DIRIGENTE MOVIMENTO DELLA STAZIONE DI CHIVASSO CHE HA PARLATO DUE VOLTE CON L’UOMO RFI
Sono stati tre gli avvertimenti per non far scendere la squadra
sui binari della stazione di Brandizzo.
Tre alert che, se ascoltati, avrebbero cambiato il destino di cinque operai morti travolti da un convoglio, lungo undici vagoni, sulla linea Milano-Torino.
Repubblica calcola che gli avvertimenti sono avvenuti nell’arco di 26 minuti. L’ordine di «non procedere con i lavori» ribadito in due conversazioni che si susseguono. E poi lo schianto in diretta telefonica nella terza chiamata. Con i rumori che ricordano quelli di una bomba.
Gli avvertimenti da Chivasso
La voce, registrata dal server di Rfi, è quella della dirigente movimento della stazione di Chivasso che, nella notte tra mercoledì e giovedì, sta parlando al telefono con il collega Antonio Massa, 46 anni, uomo di Rfi che segue la squadra incaricata dei lavori sui binari alla stazione di Brandizzo. Massa risulta indagato con il capocantiere Andrea Girardin Gibin per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale. La prima telefonata avviene tra le 23.26 e le 23.29. «Possiamo cominciare? » chiede Massa alla tecnica di Chivasso, che risponde: «State fermi. Deve ancora passare un treno, che è in ritardo. Aggiorniamoci dopo». Ma nessuno sarebbe stato fermo. Gli operai a Brandizzo ricevono l’ok (orale) dai loro superiori stanno già sui binari. Dai filmati delle telecamere della stazione e dai rumori nella seconda telefonata (poco dopo le 23.30) si vedono e sentono i cinque operai spingere, con attrezzi rumorosi, sul binario. «Adesso possiamo andare?», chiede ancora Massa, in questa seconda chiamata all’addetta di Chivasso. E lei per la seconda volta risponde “no”, ribadendo un concetto già espresso nella comunicazione precedente: «Bisogna aspettare dopo la mezzanotte. Ci sono due fasce orarie possibili in cui lavorare dopo quell’ora, o prima o dopo l’una e mezza, ora in cui passerà un altro treno. Scegliete voi quale preferite». Gli operai sono sempre presenti sul binario. Poi la terza telefonata, brevissima, è quella della strage, in diretta.
Le due chiamate agli atti
Prima dell’incidente – riporta invece oggi il Corriere della Sera – tra l’uomo Rfi e la dirigente movimento di Chivasso si sentono quindi due volte, ma il «nulla osta» che serve per mettersi sul cantiere – questa l’ipotesi investigativa – non arriverà. Perché la circolazione, con un treno in ritardo, non è stata mai interrotta. I file audio, con le immagini della telecamera sul binario 1, fanno parte del materiale sequestrato dalla Procura di Ivrea, che sta cercando di ricostruire cosa è accaduto tra le 23 (arrivo della squadra) e l’ora dello schianto.
Le proposte temporali da Chivasso
Secondo quanto riporta il Corriere da Chivasso vengono proposte un paio di finestre di tempo per l’intervento di sostituzione dei binari, come quella tra mezzanotte e l’1.30, perché poi «doveva passare un altro treno». Quello fatale, invece, era previsto prima delle 23.30, ma era in «ritardo», appunto, di 20-25 minuti. Un ritardo che, stando alle registrazioni, sarebbe stato comunicato a Massa. Solo poco prima, sarebbe invece transitato un regionale che – ma sarebbe la sua versione – avrebbe forse confuso l’uomo di Rfi presente sul campo.
(da agenzie)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile IL MAGISTRATO CRESCIUTO ALL’OMBRA DI FINI STA SCONTENTANDO PIÙ DI QUALCUNO ANCHE COL PROGETTO DI RIFORMA DEI SERVIZI SEGRETI CHE PREVEDE L’ACCORPAMENTO DELL’AISI E DELL’AISE – IL FASTIDIO DI NORDIO E CROSETTO. IL DUALISMO CON IL COLLEGA FAZZOLARI
Le deleghe ufficiali sono quelle per i servizi segreti e il comando del dipartimento sulle politiche contro la droga. Ma il campo di azione di Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è molto più esteso, quasi illimitato, tracimando nelle politiche sull’immigrazione, in quelle per la sicurezza fino addirittura a dettare i tempi della strategia sulla natalità, una delle priorità del governo. Un’onnipresenza sui temi in agenda.
Del resto è noto che – quando c’è un nodo da sciogliere – la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, chiama Mantovano per chiedere consulto e quindi una soluzione. A conferma della massima fiducia nei suoi confronti, la premier gli ha affidato il coordinamento del comitato interministeriale sui migranti. Un organismo più formale che fattuale, comunque utile a indicare le gerarchie interne all’esecutivo. Mantovano, a quasi un anno dall’insediamento, si è insomma conquistato la definizione di uomo più potente a Palazzo Chigi. Per qualcuno è il vero vicepremier.
PIENI POTERI
Il sottosegretario legge in anteprima i provvedimenti più importanti in arrivo nei consigli dei ministri. Li valuta, li filtra e impone le modifiche laddove lo ritenga necessario, senza andare per il sottile o badare alle mediazioni. Il tratto caratteriale del sottosegretario resta rigido, con una salda formazione di destra vecchio stampo, con posizioni «al limite dell’oltranzismo», racconta chi ha dovuto trattare su alcuni dossier in questi mesi.
Il compromesso non è la sua migliore arte, a dispetto delle movenze da uomo mite, poco incline alla polemica. Mantovano inanella un altro incarico, seppure unofficial: è l’unico a tenere i contatti con il Quirinale per conto di Meloni. La premier si fida solo di lui e il sottosegretario ricambia con la professione di massima lealtà. Anche quando parla pubblicamente, non esprime i propri pareri ma «si fa portavoce del pensiero della presidente del Consiglio», si dice nei corridoi di palazzo Chigi.
Uno strapotere che attira ostilità trasversali, dal Viminale di Matteo Piantedosi al leader della Lega, Matteo Salvini. Le invasioni di campo sui temi di sicurezza e immigrazione restano indigeste. In particolare il ministro dell’Interno è infastidito dal commissariamento di fatto sul capitolo-migranti. La battaglia politica tra Piantedosi e Mantovano è destinata a durare e Salvini è fermamente schierato al fianco del ministro dell’Interno.
Sull’immigrazione attenderà al varco l’operato del sottosegretario plenipotenziario, pronto a mettere il dita nella piaga di un eventuale fallimento. Nella Lega il solo nome di Mantovano provoca un istantaneo irrigidimento: «Meglio non parlarne», replica più di qualche fonte. Ma c’è chi aggiunge: «Basta riascoltare il suo intervento all’ultimo meeting di Comunione e liberazione. Ha parlato di tutto, di guerra, energia e natalità. Non era l’intervento di un sottosegretario, ma la descrizione di un programma di governo a nome di Meloni».
OSSESSIONE INTELLIGENCE
Addirittura alla Farnesina di Tajani è arrivata l’onda lunga delle ingerenze firmate Mantovano, ha in mente il disegno di rafforzare il ruolo dell’intelligence nell’ambito della diplomazia. Così da relegare quasi a un ruolo di rappresentanza il ministro degli Esteri. Per Forza Italia il problema è pesante con un leader ridimensionato addirittura sulle proprie competenze.
E che il sottosegretario stia scontentando più di qualcuno emerge con il progetto di riforma dei servizi segreti, una vera ossessione quella dell’intelligence, che gli compete nei panni di autorità delegata. Il sottosegretario ha rilanciato il progetto di un accorpamento dell’Aisi e dell’Aise, che si occupano della sicurezza nazionale su due livelli, la prima sul piano interno, la seconda su quello esterno. L’ipotesi ha scatenato la contrarietà di organizzazioni tutt’altro che ostili al governo, come il Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia (Coisp).
«Prima come cittadino e poi come rappresentante della polizia, sono preoccupato dalla realizzazione di un’unica agenzia», dice a Domani Domenico Pianese, segretario del sindacato. Il motivo? «La pluralità di agenzie è una garanzia per la qualità della democrazia. L’unificazione prospettata nella riforma non evita sovrapposizioni, ma diventa la concentrazione di una serie di poteri. Non il migliore modello da seguire».
FRATELLI COLTELLI
Il fastidio verso i superpoteri attribuiti al sottosegretario non è circoscritto agli alleati o agli interlocutori esterni: riguarda anche Fratelli d’Italia. A Largo Arenula, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, avverte il fiato sul collo di Palazzo Chigi nella persona di Mantovano, suo collega magistrato, che vuole avere voce in capitolo sugli interventi in materia di giustizia. E qualche malumore è segnalato al ministero della Difesa con Guido Crosetto che non gradisce l’iper attivismo del compagno di partito.ù
Il vero dualismo interno si gioca a Palazzo Chigi con l’altro sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari, che dopo la vittoria elettorale ha accarezzato il sogno di essere il punto di riferimento alla presidenza del Consiglio, forte del legame con l’amica Giorgia. I rapporti di forza sono però imparagonabili. Una fonte di maggioranza li sintetizza bene: «Mantovano sposta i carri armati (politici, ndr), Fazzolari gioca a risiko».
Certo, Meloni ha cercato di blandire Fazzo, riconoscendogli un ruolo nell’ambito della comunicazione e creando un dipartimento ad hoc per l’attuazione del programma. Ma se sull’iter dei provvedimenti c’è qualche nodo scottante da sciogliere in parlamento, è Mantovano a telefonare ai presidenti di commissione o ai capigruppo per trasmettere il verbo della presidente del Consiglio.
Le ragioni di tanto potere hanno una radice politica profonda. Era già conoscitore dell’apparato statale, quando la premier era appena un’apprendista leader, che cresceva all’ombra di Gianfranco Fini. Meloni, già allora, ammirava Mantovano per la sua capacità di muoversi nei gangli del potere, conservando il saldo ancoraggio a destra.
Il legame si è consolidato con la nascita di FdI, nonostante la posizione più defilata assunta dall’attuale sottosegretario: era un suggeritore invisibile. E appena è stato necessario il cambio di passo, ha abbandonato il dietro le quinte per occupare uno spazio importante sul palcoscenico governativo. Al prezzo di indispettire sia gli alleati che i big del suo partito.
(da Domani)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile E’ STATA INVIATA ALLA TRASMISSIONE “ZONA BIANCA”
«Ho sentito parlare di ‘rieducazione’ per gli stupratori. Ma
come si fa a pensare di rieducare una persona e lasciarla nuovamente in giro dopo che ha rovinato una ragazza?».
Sono queste alcune delle parole che la ragazza vittima dello stupro di gruppo avvenuto a Palermo lo scorso 7 luglio ha deciso di affidare, con una lettera, a Zona Bianca, il programma condotto da Giuseppe Brindisi in prima serata su Retequattro, di cui è stata data un’anticipazione. «Perché lasciarmi condizionare l’esistenza così tanto da persone che vogliono solo questo? Devo andare avanti, voglio farlo, controvoglia, ma devo riuscirci. Non solo perché voglio una vita migliore ma anche per mia madre, che nonostante fosse molto malata e bloccata a letto, si faceva sempre vedere col sorriso». Il testo della lettera verrà letto integralmente questa sera nel corso della puntata.
Giorni fa, in un live sui social, la ragazza vittima dello stupro di gruppo aveva spiegato: «Mi scrivono delle ragazze che hanno subito violenza come me e mi dicono: avrei voluto avere la tua forza di denunciare».
(da agenzie)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile NELLO STATO DEL RIO GRANDE DO SUL, È POSSIBILE MANGIARE SOSPESI A 80 METRI D’ALTEZZA, A STRAPIOMBO SU UNA CASCATA
Chi ha il coraggio di stare sospeso a 80 metri d’altezza, per un pic-nic a strapiombo su una cascata?
Quella che vedete in questa foto, e nel video sottostante, è una coppia americana che si è immortalata in questa incredibile e vertiginosa esperienza sulla Cascata da Sepultura, in Brasile, nello stato meridionale del Rio Grande do Sul. Il loro video è diventato virale, ed è facile capire il perché.
Le immagini sono mozzafiato, così come non è da tutti avere il coraggio di calarsi nel vuoto con un tavolo da pic-nic, giusto per fare uno spuntino insolito.
Questa nuova “experience” viene proposta da Rota Aventura e non costa 5 mila dollari come fanno credere nella intro del loro post, ma “solo” 450 ogni 15 minuti, incluse immagini con il drone, ma non il pasto: quello è al sacco, e si porta da casa.
(da La Repubblica)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile L’AUMENTO DEI PREZZI RESTA IL PROBLEMA PIU’ SENTITO DEL PAESE… FDI SCEDE AL 26,5%
La “sindrome da rientro” – detta anche “back to work blues” –
presenta dei sintomi ben definiti dalla comunità scientifica come nervosismo e irascibilità, senso di stordimento, ansia… Una volta finita la pausa agostana, infatti, si ricomincia a riorganizzare la propria quotidianità cercando di pianificare l’anno che verrà e scontrandosi con la realtà accantonata nel limbo estivo per i più fortunati. Tuttavia, è ormai quasi un anno che l’aumento dei prezzi rappresenta la maggiore preoccupazione per le famiglie e per gli italiani. Un’ansia che non ha trovato conforto nell’estate che sta volgendo al suo termine, visto che l’aumento del costo della vita si è registrato sia tra coloro che si sono spostati per godere di qualche giorno o settimana di riposo, sia tra coloro che per problemi economici non hanno potuto godere di una vacanza.
Sicuramente l’aumento del carburante alla vigilia di quelle che sono da sempre definite partenze di massa non ha aiutato gli italiani ad essere più ottimisti nel futuro. Del resto, sapendo che nel nostro Paese i mezzi circolanti superano abbondantemente i 50 milioni, si può dire che praticamente in tutte le famiglie si è potuto toccare con mano l’incremento del costo del combustibile, nel ricordo – sempre presente – delle parole spese in campagna elettorale per l’eliminazione delle accise. Ora la routine ordinaria è alle porte e i cittadini iniziano a temere il confronto con le nuove spese tra bollette, carburanti e aumenti dei mutui per la casa, degli alimentari fino ai testi scolastici.
Nelle nuove rilevazioni di EuromediaResearch, un cittadino su due (49,6%) denuncia – ancora – il carovita e l’aumento dei prezzi, mentre uno su quattro (23%) notifica una crisi importante in merito al tema del lavoro. È doveroso sottolineare che questo ultimo dato è cresciuto nell’arco di un mese dell’11,2%.
Il continuo rialzo generale dei prezzi dei beni di più largo consumo preoccupa gli italiani che hanno poca fiducia in quell’attività di Governo che potrebbe calmierare e soprattutto controllare i continui aumenti.
Su questo argomento soltanto il 30,1% degli intervistati si è dichiarato fiducioso nell’operato della Maggioranza, mentre il 61,6% si dichiara poco o per nulla propenso a credere in una pianificazione utile ad affrontare il tema inflazione.
Nella classifica delle principali problematiche per il nostro Paese rimane saldo al secondo posto il tema dell’immigrazione e della sua gestione con un incremento del 3,4%. Se è vero che il periodo estivo con il suo buon tempo ha facilitato gli sbarchi, i numeri di quest’anno rappresentano dei record impressionanti che riecheggiano giornalmente su tutti i media.
Più di 114 mila arrivi in otto mesi, certificati sulla homepage del Ministero dell’Interno, dove comunque si ricordano anche i confronti con gli anni precedenti. Di poco meno di 10 mila sbarchi registrati è la differenza mese su mese con lo scorso 2022 (2021: 67.477; 2022: 105.131; 2023: 114. 604, fonte Dipartimento di Pubblica Sicurezza).
La differenza nell’approccio alla notizia è certamente il confronto tra il governo reggente dello scorso anno e l’attuale, nonché l’importanza data all’argomento durante la scorsa campagna elettorale. Non a caso il dato che salta all’occhio è proprio la denuncia su questi argomenti dei principali partiti che compongono la Maggioranza. In tutti questi passaggi la sostanza non muta: i cittadini italiani desiderano delle risposte dalla politica e in particolare dal Governo.
E per far sentire la loro voce si esprimono con grande severità sui temi che servono a identificare gli indici di fiducia del Presidente del Consiglio (37,5%) e del suo Esecutivo (34,6%), che registrano entrambi una perdita di quasi 3 punti percentuali nelle differenze con la rilevazione di luglio.
Giorgia Meloni scende sotto la soglia psicologica del 40%. Anche Fratelli d’Italia perde quasi un punto percentuale attestandosi al 26,5% quasi certificando, a distanza di poco meno di un anno, il risultato delle elezioni politiche e facendo lievitare la Lega di Matteo Salvini al 10,5%. Era dal mese di marzo che la Premier non registrava un calo di queste dimensioni.
Il 45,2% del campione intervistato reputa ancora stabile il Governo. Un valore che perde il 9,8% nel confronto con il mese di luglio; tuttavia, ben il 43,5% dei cittadini crede che siano in atto delle crepe all’interno dell’esecutivo. Questa percentuale è in notevole crescita rispetto ai mesi appena trascorsi aumentando dell’8,9% e facendo presa tra il 25% dell’elettorato della Lega.
Il racconto delle vicende politiche di questa estate non ha sicuramente aiutato, è come se si fossero composte all’interno dell’elettorato della Maggioranza due posizioni ben definite tra chi comprende l’utilità e le capacità di un’unica persona al comando che prende le decisioni per scegliere al meglio e pianificare una strada elettorale per il suo partito e chi, non identificando in essa il suo leader si sente escluso dalle scelte politiche, rimanendo anche a bocca asciutta dal punto di vista dei risultati. Siamo sullo starter di una campagna elettorale della durata di nove mesi di cui si sentono già le prime avvisaglie. Lo scorso anno l’unione era la forza per vincere, in questa lunga gestazione che porterà alle elezioni europee ognun per sé e vinca il migliore.
(da La Stampa)
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Settembre 3rd, 2023 Riccardo Fucile A SEGUIRE LA NOMINA DEL NUOVO CDA E DEI DIRETTORI: SALLUSTI DIRETTORE RESPONSABILE E FELTRI DIRETTORE EDITORIALE. A “LIBERO” VANNO SECHI, IN SOSTITUZIONE DI SALLUSTI, E CAPEZZONE, AL POSTO DI FELTRI… LA TRATTATIVA DEGLI ANGELUCCI PER “LA VERITÀ” SI RIAPRIRÀ ALL’INIZIO DEL 2024. ALLO STUDIO ANCHE L’ACQUISIZIONE DI UNA RADIO
La cessione della maggioranza de Il Giornale è giunta al suo perfezionamento: giovedì 7 settembre alle 11, come già anticipato in esclusiva da Il Giornale d’Italia, avverrà il passaggio di quote con cui Paolo Berlusconi cederà il 70% della Società Europea di Edizioni S.p.A., società editrice del quotidiano fondato da Indro Montanelli, al gruppo degli Angelucci.
Tutto pronto per l’operazione, l’autorizzazione dell’AGCOM è giunta nel mese di luglio: i dettagli
L’appuntamento è fissato alle ore 11.00 presso lo studio del notaio Cerasi in viale Tiziano a Roma e il Cda sarà costituito da sette persone, due di competenza del venditore e cinque del compratore. Paolo Berlusconi manterrà il titolo di Presidente onorario.
L’ordine del giorno prevede la cessione delle quote della See, Società Editoriale de Il Giornale agli Angelucci, assemblea straordinaria e ordinaria e la nomina del Cda.
Sarà quindi deliberata la cessione del 70% delle quote della See; il valore della testata fondata da Montanelli è stata definita in €20 milioni e dunque il 70% è fissato a 14 milioni, come anticipato in esclusiva da Il Giornale d’Italia. A questi 14 milioni dovranno essere tolte le perdite di circa 4-5 milioni maturate dal primo gennaio al 31 agosto; di conseguenza il prezzo netto dovrebbe aggirarsi tra i 10 e i 9 milioni.
L’assemblea ordinaria delibererà sul cambio di governance definendo un Cda di 7 persone di cui due nominate dal venditore, tra le quali il presidente onorario nella persona di Paolo Berlusconi. Sempre in tale sede Alessandro Sallusti verrà nominato direttore responsabile del Giornale e Vittorio Feltri il Direttore Editoriale; i due lasceranno sempre lunedì le loro cariche presso Libero Quotidiano.
Nella stessa giornata di lunedì avverrà anche il cambio al vertice che riguarda Vittorio Feltri, che torna al Giornale con Alessandro Sallusti alla direzione e l’attuale direttore Augusto Minzolini che li affiancherà come editorialista mantenendo la stessa retribuzione
Libero Quotidiano invece, il cui Direttore Editoriale Daniele Capezzone ha preso il posto di Vittorio Feltri, a differenza del Giornale che abbraccerà tutto l’elettorato del centro destra, rimarrà più focalizzato su Fratelli d’Italia. Insieme a Capezzone ai vertici anche Mario Sechi, che assume il ruolo di Direttore Responsabile tornando a Libero dopo che lo aveva lasciato nel 2006 per dissapori con l’ex direttore Maurizio Belpietro per approdare a Il Tempo quando era ancora di proprietà del costruttore Domenico Bonifaci. Alla guida della testata rimarrà l’attuale direttore Pietro Senaldi.
La Verità, la riapertura delle trattativa
La trattativa con la Verità, precedentemente arenatasi per via dei due nodi del prezzo d’acquisto e dei tempi della direzione di Maurizio Belpietro, riaprirà molto probabilmente all’inizio del 2024. Una volta portato a casa Il Giornale e “digerita” la relativa integrazione infatti, i numeri dell’anno appena chiuso e le difficoltà dei periodici del gruppo di Belpietro saranno più chiari, e Angelucci e Belpietro potranno scogliere i nodi.
Il progetto di una nuova radio
Sono inoltre in corso le trattative per acquisire una radio a copertura nazionale, il cui nome è però ancora sotto riservo. La radio dovrebbe integrare un’offerta sia informativa che commerciale del gruppo.
(da agenzie)
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