Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
I MEDICI IN GRAN BRETAGNA: “INDOSSATE LE MASCHERINE”… IN ITALIA IL GOVERNO LATITANTE
Aumentano costantemente i casi di Coronavirus in Italia. Sono 21.309 nell’ultima settimana, dato che supera del 44% quello dei sette giorni precedenti, quando erano 14.866. I dati emergono dal bollettino settimanale del Ministero della Salute e dell’ISS.
Le autorità sanitarie fanno sapere che «l’infezione si mantiene bassa seppur in aumento da tre settimane». Fa registrare un incremento anche l’incidenza dei casi ogni 100 mila abitanti, che passa dai 24 della settimana scorsa a 31 di quella corrente.
Per quanto riguarda le ospedalizzazioni, anche queste fanno registrare un crescita, seppur lieve. I ricoveri in area medica occupano il 3% dei posti disponibili (erano il 2,7% sette giorni prima) per un totale di 1.872 posti letto occupati. Al momento risultano impegnate lo 0,6% delle terapie intensive, rispetto allo 0,4% della settimana precedente.
Attenzione e mascherine all’estero
L’Italia, quindi, non si sottrae al trend internazionale che vede i casi in aumento anche negli Usa e nel Regno Unito a causa della variante Eris, che deriva da Omicron, e del rientro a scuola.
Gli esperti non escludono che l’arrivo del freddo possa dare un’ulteriore spinta ai contagi a causa del maggior tempo passato al chiuso. La nuova variante non mostra grosse differenze dalle precedenti, ma ciò non significa che non sia importante, ha spiegato il professor Massimo Palmarini, alla direzione del Centro di Ricerca sui virus dell’Università di Glasgow alla Bbc.
Il rischio è sempre lo stesso, che il virus colpisca individui anziani e già debilitati che potrebbero non trovare spazio negli ospedali. Per questo, alcuni esperti nel Regno Unito stanno spingendo affinché si ricominci a usare le mascherine. Il Paese ha visto un incremento dei casi durante la stagione estiva anche a causa del meteo particolarmente piovoso che ha costretto la popolazione a passare più tempo negli spazi chiusi.
(da agenzie)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
NOVE MEDICI AVREBBERO FAVORITO CONOSCENTI E PROPRI PAZIENTI PRIVATI, STRAVOLGENDO LE LISTE D’ATTESA
Nei mesi di luglio ed agosto, i carabinieri dei Nas, di concerto con il ministero della Salute, hanno effettuato un’intensa attività di controllo, su tutto il territorio nazionale, per verificare la gestione delle liste di attesa per l’erogazione di prestazioni ambulatoriali, riconducibili a visite specialistiche ed esami diagnostici, afferenti al servizio sanitario pubblico. Le ispezioni sono state eseguite presso presidi ospedalieri e ambulatori delle aziende sanitarie, compresi gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché presso le strutture private accreditate, con la finalità di accertare il rispetto dei criteri previsti dal piano nazionale di governo delle liste di attesa (Pngla), stilati per assicurare un corretto accesso alle prestazioni fornite dal servizio sanitario pubblico ed uniformare un’equa e tempestiva erogazione dei servizi sanitari a favore dei cittadini.
La truffa aggravata
Sono stati effettuati accessi presso 1.364 tra ospedali, ambulatori e cliniche, sia pubblici che privati in convenzione con il Ssn, analizzando 3.884 liste e agende di prenotazione per prestazioni ambulatoriali relative a svariate tipologie di visite mediche specialistiche e di esami diagnostici. Gli accertamenti dei Nas hanno consentito di individuare condotte penalmente rilevanti che hanno determinato il deferimento all’autorità giudiziaria di 26 tra medici e infermieri, ritenuti responsabili di reati di falsità ideologica e materiale, truffa aggravata, peculato ed interruzione di pubblico servizio.
Le liste saltate e le raccomandazioni
Tra i casi più rilevanti, i Nas di Milano, Torino, Perugia e Catania hanno deferito 9 medici per aver favorito conoscenti e propri pazienti privati, stravolgendo le liste d’attesa, consentendo loro di essere sottoposti a prestazioni in data antecedente rispetto alla prenotazione ed eludendo le classi di priorità.
Peculato a Reggio Calabria
Il Nas di Reggio Calabria ha deferito, per l’ipotesi di peculato, 3 medici di aziende sanitarie per aver prestato fraudolentemente servizio presso un poliambulatorio privato sebbene contrattualizzati in regime esclusivo con le aziende sanitarie pubbliche.
Attività privata in ospedale
Il Nas di Perugia ha invece individuato un medico radiologo svolgere attività privata presso un altro ospedale, pur trovandosi in malattia, nonché due infermieri che svolgevano esami ematici a favore di privati attestando falsi ricoveri.
Le carenze funzionali ed organizzative
L’attività ispettiva svolta sull’ingente mole di dati e di riscontri relativi a oltre 3 mila 800 agende ha consentito, inoltre, di rilevare 1.118 situazioni di affanno nella gestione delle liste di attesa e superamento delle tempistiche imposte dalle linee guida del piano nazionale, pari al 29% di quelle esaminate. Tra le cause più frequenti degli sforamenti delle tempistiche sono state accertate, su 761 agende, carenze funzionali ed organizzative dei presidi ospedalieri e degli ambulatori, diffusa carenza di personale medico e tecnici specializzati che, unitamente alla mancanza di adeguati stanziamenti ed attrezzature, ha determinato il rallentamento dell’esecuzione di prestazioni sanitarie. Tale slittamento si ripercuote anche nel mancato rispetto delle classi di priorità (urgente, breve e differibile) ricollocate, in 138 casi, in tempistiche entro i 120 gg (programmabili), non compatibili con i criteri di precedenza ed urgenza.
Operatori assenti e agende chiuse
In 195 situazioni i nas hanno riscontrato la sospensione o la chiusura delle agende di prenotazione, in parte condotte con procedure non consentite oppure determinate dalla carenza o assenza di operatori senza prevederne la sostituzione. Gli accertamenti svolti dai nuclei di Palermo, Reggio Calabria, Latina e Udine hanno consentito di rilevare vere e proprie condotte dolose, deferendo all’autorità giudiziaria, 14 dirigenti e medici ritenuti responsabili del reato di interruzione di pubblico servizio, per aver arbitrariamente chiuso in modo ingiustificato le agende di prenotazione a luglio/agosto, posticipando conseguentemente le prestazioni diagnostiche, al fine di consentire al personale di poter fruire delle ferie estive o svolgere indebitamente attività a pagamento.
La mancata deontologia professionale
Alle carenze di organico si integrano anche comportamenti non allineati ad una corretta deontologia professionale, come nel caso di un dirigente medico di una Asl della provincia di Roma che, sebbene responsabile degli ambulatori di gastroenterologia e colonscopia per cui vi fosse indisponibilità presso l’intera Asl, lo stesso esercitava le medesime prestazioni in attività intramoenia extramuraria – regolarmente autorizzata – presso un poliambulatorio privato, con una programmazione fino ad 8 esami giornalieri. In tale contesto, sono state anche individuate 21 irregolarità nello svolgimento di attività intramoenia per esubero delle prestazioni concordate con le Asl e omesse comunicazioni sullo svolgimento delle attività esterne da parte dei medici pubblici.
Lo stop alle doppie prenotazioni
Un ulteriore aspetto emerso dai controlli è la mancata adesione di cliniche e ambulatori privati, già convenzionati, nel sistema di prenotazione unico delle aziende sanitarie o a livello regionale, aspetto che riduce la platea di strutture utili per l’erogazione delle prestazioni mediche specialistiche e diagnostiche. L’intervento dei Nas ha consentito di segnalare ai rispettivi enti di riferimenti locali e regionali le problematiche riscontrate nel corso del monitoraggio, al fine di attuare adeguate misure correttive, permettendo in numerosi casi l’immediata riapertura delle agende di prenotazione che erano state chiuse o sospese, in particolare nel delicato periodo estivo, nonché il ripristino della funzionalità di alcuni sistemi informativi di prenotazione. Esteso anche l’obbligo di annullamento delle doppie prenotazioni effettuate dall’utente in più strutture, anche mediante il ricorso a sistemi informativi automatici nonché attraverso una campagna di sensibilizzazione civica.
(da La Repubblica)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
I TRE PRINCIPALI GIORNALI SOVRANISTI IN MANO AL RE DELLE CLINICHE PER DETTARE IL VERBO DEI PATRIOTI DELLA DOMENICA
Una rete mediatica ampia e trasversale in quotidiani e tv, ma che ha il suo cuore nel gruppo editoriale ormai riferimento unico della destra, quello di Antonio Angelucci: ras della sanità laziale e deputato eletto con la Lega ma ormai in grande sintonia con la presidente del Consiglio.
Se per anni il leader dei governi di centrodestra Silvio Berlusconi ha potuto contare sui cannoni di fuoco mediatici che aveva in casa, Giorgia Meloni adesso punta sul sostegno di una vasta rete che ha il fulcro nei giornali di Angelucci: il Tempo, Libero e il neo acquisto del Giornale rilevato proprio dalla famiglia Berlusconi, che ne detiene oggi solo una quota di minoranza.
Ma Meloni può contare anche su direzioni di Tg Rai e su buona parte di conduttori e di programmi a Rete4. Un sistema di comunicazione ispirato alla galassia populista trumpiana che in America ruotava attorno a Steve Bannon insieme alla Fox. E non a caso tra i nuovi editorialisti del Giornale a trazione Angelucci ci sarà l’ex segretario di Stato di Donald Trump, Mike Pompeo.
Angelucci ieri ha dato il via libera al valzer di poltrone nelle direzioni del suo gruppo editoriale che, come sostiene, «sarà riferimento del centrodestra e anche critico». Di certo prima dell’ufficializzazione dei passaggi ha fatto una visita a Palazzo Chigi, insieme al figlio, per illustrare i piani editoriali alla presidente del Consiglio.
Non proprio una visita di cortesia, ma la conferma di una certa sintonia. Non è un caso che l’ex portavoce di Meloni, Mario Sechi, andrà adesso a dirigere il nuovo Libero: giornale che diventerà sempre di più, secondo i rumors in casa meloniana, il riferimento di Fratelli d’Italia e sarà la punta avanzata dell’area populista di destra cavalcata da Meloni in campagna elettorale e anche nel primo anno al governo. Con Sechi andrà come direttore editoriale Daniele Capezzone, ex portavoce forzista che ha preso la via della destra a trazione Meloni: firme fisse saranno anche quelle di Pietrangelo Buttafuoco, Annalisa Chirico, Giordano Bruno Guerri e Marco Patricelli.
Al Giornale invece Angelucci ha messo al vertice come direttore responsabile Alessandro Sallusti e come direttore editoriale Vittorio Feltri.
Nelle intenzioni del patron dell’editoria di destra il quotidiano fondato da Indro Montanelli dovrà assumere il ruolo di foglio che parla ai moderati del centrodestra, all’area centrista che una volta aveva come stella polare unica Forza Italia e adesso si è sparpagliata anche tra Lega e FdI. Ma il vero riferimento resta comunque Meloni: non a caso sbarca sul giornale anche il vignettista preferito di Giorgia, Federico Palmaroli in arte Osho.
La presidente del Consiglio nella sua rete di riferimento mediatico può contare poi su altre pedine piazzate in posti chiave e che in questi mesi stanno dando i risultati da lei sperati: come Gian Marco Chiocci, nominato alla guida del Tg1, il telegiornale dell’ammiraglia Rai. Ma anche il direttore del Giornale Rai Francesco Pionati, nominato in area Lega, dicono si stia spostando verso il vertice di Palazzo Chigi.
Mentre su Rete4, con il via libera della famiglia Berlusconi, il compagno di Meloni, Andrea Giambruno, è stato promosso alla guida di un programma.
E confermatissimi in casa del Biscione sono anche i talk guidati da conduttori che sanno parlare alla pancia del Paese: da Mario Giordano a Paolo Del Debbio. Conduttori che piacciono tanto a Matteo Salvini, ma ultimamente anche alla presidente del Consiglio.
(da La Repubblica)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
RIENTRAVA DA UNA VACANZA A BETLEMME CON LA FAMIGLIA… QUANDO SI TRATTA DI ISRAELE LE “GRANDI DEMOCRAZIE” TACCIONO E PERMETTONO ABUSI
Khaled Al Qaisi è un cittadino italo-palestinese, studente di lingue orientali alla Sapienza di Roma, di cui da giorni non si hanno più notizie. Lo scorso 31 agosto, mentre rientrava con la famiglia dalle vacanze, è stato arrestato dalle autorità israeliane. Era con la moglie e il figlio di 4 anni. Tornavano da un soggiorno a Betlemme.
Al controllo bagagli è stato ammanettato sotto gli occhi increduli di chi era con lui. Non è stata fornita loro alcuna spiegazione sui capi d’accusa né sui motivi che hanno portato alla misura cautelare. Per questo, organizzazioni come Amnesty International e l’Onu sono intervenuti con forza per chiedere la liberazione del ragazzo.
In una lunga lettera-appello alle autorità italiane Francesca Antinucci e Lucia Marchetti, rispettivamente moglie e madre del giovane italo-palestinese hanno scritto: “Immaginiamo Khaled in completo isolamento, senza contatti col mondo esterno, senza percezione reale dello scorrere del tempo, sotto la pressione di continui interrogatori, in pensiero angosciato per la sorte del proprio figlio e di sua moglie lasciati allo sbaraglio con l’unica immagine negli occhi relativa alla sua deportazione in manette”.
A spiegare cosa sta succedendo in Medio Oriente a Fanpage.it è Francesca Albanese Relatrice Speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi.
Come sta Khaled?
“Non posso darle questa informazione perché non ho contatti diretti con lui. So che è stato fermato mentre era con la sua famiglia, tra cui un bambino di 4 anni. Si è visto ammanettare e portare via. Immagino che ciò gli abbia creato una situazione di stress e di squilibrio. C’è una apparente violazione di alcuni diritti fondamentali”.
Di che diritti parla?
“In base alle notizie che sono state fatte circolare e alle dichiarazioni della famiglia, emerge che ci sia stata una violazione al diritto alla sicurezza della persona, che va sempre protetta da forme di detenzione arbitraria. È un principio assodato che, a meno che non ci sia un pericolo evidente e confermato, non si sottopone a custodia cautelare una persona. In ogni caso, sono situazioni che vanno giustificate. Non si conoscono i capi d’accusa, non si conoscono le ragioni della custodia cautelare, si sa solo che la sua famiglia è stata costretta a prendere la via della Giordania senza i mezzi per farlo. È questo è un trattamento disumano.
Non mi sembra neppure che gli sia stato garantito il diritto a un processo equo né che sia stato condotto davanti a un giudice nei tempi richiesti dalla legge. C’è stato un isolamento senza comunicazione a legali e a famiglia per molti giorni. Tutto questo non è conforme al diritto internazionale”.
In che contesto politico è avvenuto l’arresto di Khaled?
“C’è questo assunto per cui Israele avrebbe l’autorità di arrestare i palestinesi che ritiene ‘soggetti pericolosi’, però l’occupazione opera al di là di quello che è permesso dal diritto internazionale, perché dura da 56 anni e con l’imposizione di misure altamente discriminatorie e definite – a giudizio di tanti – di ‘apartheid’.
C’è una repressione dei diritti di base che va avanti da tre generazioni. Non hanno cittadinanza israeliana e non hanno possibilità di interferire con le decisioni che riguardano la loro vita. Le leggi alle quali sono sottoposti sono scritte da soldati, applicate da soldati e riviste in sedi di corti militari. Vivono da 56 anni sotto la legge marziale e con leggi d’emergenza che risalgono all epoca del Mandato britannico. In Italia questa cosa non la si vuole capire. Non ci sono forze contrapposte, ma un popolo occupato e una forza occupante”.
Per altro – ha denunciato Amnesty – quello di Khaled non è un caso isolato…
“Oltre cinquemila persone del territorio occupato, che sia Giordania, Gaza e Gerusalemme Est, sono detenute, di cui l’80% nelle carceri di Israele. Già questa è una violazione del diritto internazionale gravissima, è un crimine di guerra, si chiama deportazione perché le persone del territorio occupato non possono essere detenute fuori dallo stesso territorio occupato. Inoltre, più di 1200 di queste persone sono arrestate sulla base di prove segrete, che non vengono rese note né ai detenuti né ai loro legali. La chiamano detenzione amministrativa, che è prevista in casi di urgenza in cui la sicurezza della forza occupante è in pericolo. Ma qui stiamo parlando di una forza occupante che è li da 56 anni. Israele confonde la sua sicurezza in quanto Stato con la sicurezza del suo disegno di annessione del territorio occupato. Chi si oppone a questo disegno viene punito ed arrestato. A ciò si aggiunga un secondo strato di repressione a causa degli arresti praticati dalle autorità palestinesi”.
Cosa può fare la comunità internazionale?
“Ha un obbligo fondamentale: quello di far applicare il diritto internazionale senza doppi standard. Così come si riconosce occupata la Crimea e si ritiene un’aggressione l’attacco della Russia all’Ucraina in violazione del diritto all’autodeterminazione, così è una violazione all’autodeterminazione quella posta in essere da Israele nei confronti dei palestinesi nei territori occupati. Le colonie sono un crimine di guerra. Solo così si può riportare pace e stabilità in quella regione tormentata. È questo è nell’interesse sia degli israeliani che dei palestinesi”.
Cosa può fare invece l’Italia nello specifico per Khaled?
“Le autorita italiane devono garantire che i diritti di El Qaisi siano rispettati, che sia informato delle ragioni della detenzione immediatamente e che se non vi siano gli estremi, venga immediatamente rilasciato. E che abbia un processo equo, con tutti i diritti garantiti dal patto internazionale sui diritti civili e politici di cui Israele é parte.”.
(da Fanpage)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO AVER SOSTENUTO CHE IL PRIMO ATTO DEL GOVERNO SAREBBE STATO QUELLO DI RIDURLE… LA PRESA PER IL CULO PER CHI VUOLE FARSI PRENDERE PER IL CULO
Ora Salvini dice che tagliare le accise sulla benzina sarebbe una presa in giro
Confermare l’aumento di stipendi e pensioni. È questo l’obiettivo primario del governo, al di là di quanto emerge quotidianamente sulle discussioni interne alla maggioranza. Matteo Salvini vuole scacciare i dubbi, nei giorni in cui si comincia a parlare seriamente di manovra e l’accordo con il resto del centrodestra sembra ancora lontano.
La lista della spesa è lunga e i soldi a disposizione sono molto pochi, come ha ribadito anche la presidente Meloni questa sera in conferenza stampa.
“Se abbassassimo le accise si avrebbe lo stesso risparmio anche per chi guadagna mille euro al mese e ciò non avrebbe senso, sarebbe una presa in giro”. Va detto che per anni il leader della Lega, così come la presidente Meloni, ha promesso il taglio delle accise una volta al governo. Nessuno ha mai pensato al problema del reddito. Almeno fino a ora.
(da Fanpage)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
GLI AUTORI UN GRUPPO DI UBRIACHI E DROGATI SIA ITALIANI CHE STRANIERI, PRESENZA FISSA A CHIESA NUOVA
Tassista aggredita al Parione. L’episodio, riporta Repubblica, risale allo scorso 3 settembre e ha avuto come teatro la stazione dei taxi di Piazza della Chiesa Nuova.
La donna si trovava all’interno della sua vettura quando è stata circondata da due uomini che hanno iniziato a colpire il mezzo con violenza. Hanno così danneggiato il paraurti e frantumato il lunotto posteriore. Il tutto mentre la vittima provava a darsi alla fuga e a chiedere aiuto.
Da un video girato all’interno dell’auto, si sente uno dei due aggressori intimare alla donna di consegnargli le chiavi. E poi la stessa che, in preda al terrore, urla ai passanti di avvisare la polizia. Ma per fortuna alla fine la sua fuga le ha evitato conseguenze gravi. Ma ciò che fa più rabbrividire è che l’episodio sia avvenuto alla luce del sole, poco dopo le 15.
Si cercano ora i due violenti. I quali potrebbero far parte del gruppo, una decina di persone, spesso ubriache e drogate, che abitualmente frequenta la piazza. Giovani di nazionalità varia, anche italiana, che si rendono a volte protagonisti di intimidazioni e violenze. Dato però che la tassista non li conosceva, ha potuto sporgere denuncia solo contro ignoti.
Sul caso si è mosso anche l’assessore capitolino ai Trasporti Eugenio Patanè. Che prima ha chiamato la tassista per sincerarsi delle sue condizioni ed esprimerle solidarietà. Poi in una lettera, ha illustrato i gravi fatti al prefetto. Facendo inoltre presente come la paura abbia spinto i tassisti a disertare la zona.
(da agenzie)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
SANNO SOLO PARLARE DI REPRESSIONE, E’ IL LORO UNICO ORIZZONTE MEDIATICO
Dopo la visita istituzionale al Parco Verde di Caivano, il governo ha approvato un altro decreto legge per il “contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”. I diversi ministri, e la presidente, hanno presentato le varie misure contenute nel provvedimento. Al di là dei proclami, come già in passato, anche questo intervento mostra un volto repressivo, di propaganda e di sostanza, che già emerge dalle parole di Giorgia Meloni in conferenza stampa, ma che si ritrova anche nelle modifiche normative approvate. È il caso allora di analizzare prima il discorso della presidente e poi gli elementi più problematici del decreto in questione.
Bonificarne uno per bonificarli tutti
La presidente arriva una ventina di minuti dopo l’inizio della presentazione. Quando tocca a lei si scusa per il ritardo, e perché forse ripeterà quel che è stato già detto. L’esordio è nel segno dell’ormai classica narrazione eroica: il governo avrebbe potuto non mettere la faccia su temi difficili, ma ha deciso di farlo comunque. Mette le mani avanti di fronte al possibile fallimento, spostando l’attenzione dal fallimento che implicitamente già si ammette: le venti assunzioni nelle scuole di Caivano vantate dal ministro Valditara o i quindici vigili che potranno essere reclutati con procedure semplificate sono una soluzione emergenziale a un problema che esisteva già prima dello stupro perpetrato ai danni di due bambine al Parco Verde. Il ministro dell’Istruzione e del Merito ha pensato solo dopo quella notizia che a Caivano potrebbe servire lo stanziamento di un po’ di fondi (comunque fino all’anno scolastico 2024/2025)?
A poco vale la considerazione che Giorgia Meloni fosse all’opposizione fino all’anno scorso, e che in un anno sia impossibile risolvere questioni complesse. È vero, certo. Ma non si può trascurare la presenza di Piantedosi da più di un decennio al Viminale, la partecipazione di due forze politiche, Forza Italia e Lega, alla compagine del precedente esecutivo, la scelta emergenziale già operata dalla destra berlusconiana (di cui facevano parte anche gli attuali governanti) quindici anni fa, in Campania, o la carica di ministra della gioventù di Giorgia Meloni, che si sarebbe dovuta occupare già al tempo di devianze e politiche giovanili.
Oggi, la soluzione del governo a un problema sociale radicato, al netto delle misure penali che vedremo, è la nomina di un commissario straordinario: si sceglie ancora una volta una gestione emergenziale, calata dall’alto, per questioni profonde che andrebbero affrontate con una crescita dal basso. Si è insomma deciso che il Parco Verde debba diventare un simbolo. “Ce ne sono diversi di territori che versano nelle stesse condizioni” spiega Giorgia Meloni, “abbiamo deciso di prenderne uno”, come modello: uno per tutti, Caivano come esempio di bonifica (una scelta terminologica ardita, sia per i richiami storici, sia per il significato).
Per gli altri territori ci sono gli sgomberi, richiesti ai prefetti dal ministro Piantedosi, e le “operazioni ad alto impatto”, a cui la stessa presidente accenna, che, oltre a Caivano, hanno interessato ieri Tor Bella Monaca a Roma e i Quartieri Spagnoli a Napoli.
Il discorso di Meloni tra falsità e fallacie
Ma è nell’illustrare le misure contenute nel decreto appena approvato che Meloni si esibisce in stratagemmi retorici e informazioni errate, dimostrando una certa confusione, involontaria o studiata.
Inizia con un argomento fantoccio, citando un’ipotetica critica estremizzata, secondo cui ci sarebbe chi sta accusando il governo di voler “sbattere in galera i bambini di dodici anni”. Ingigantita la critica, ecco arrivare la confusione: secondo la presidente, l’ammonimento sarebbe per “reati gravi”, con il monito al minore e la convocazione dei genitori in questura. Questa spiegazione è, banalmente, falsa.
L’ammonimento può avvenire per gli adulti, e per i minorenni, solo fin quando non c’è una querela: è una misura di prevenzione, che si applica proprio quando il procedimento penale non può partire, ma il questore ritiene comunque di dover comunicare formalmente alla persona con pericolosità sociale di comportarsi meglio. È bizzarro che Giorgia Meloni non conosca, o si confonda, su una delle misure centrali del decreto Caivano.
Ma non è solo la presidente a veicolare informazioni sbagliate, anche se enfatizza quelle altrui: la ministra Roccella, ad esempio, continua a ribadire il dato secondo cui i giovanissimi accederebbero per la prima volta ai contenuti pornografici a sette anni, nonostante da più di una settimana sia stata smentita da Pagella Politica, che ha ricostruito le pubblicazioni scientifiche in materia (autorevoli studi internazionali, riferiti anche all’Italia, indicano 12 anni come la prima età di accesso).
Il dato falso di Roccella, non nuova a distorsioni simili, è utile comunque a Meloni per rintuzzare la narrazione sulla figura materna, mostrando preoccupazione e coinvolgendo le “mamme” (giornaliste) in platea: come già segnalato, infatti, la leader di Fratelli d’Italia sta basando la sua retorica degli ultimi anni sull’identità nella Grande Madre, un archetipo psicologico e narrativo che ribadisce ogni volta che richiama il suo ruolo di madre (italiana, cristiana, eccetera). Non solo: un dato abnorme come l’immagine di bimbetti di sette anni alle prese col porno aumenta l’allarme sociale, legittimando gli interventi emergenziali.
La notizia come guida politica, la repressione come unico orizzonte
Prima di affrontare i problemi di sostanza del decreto, due ultimi profili del discorso di Giorgia Meloni meritano di essere citati, perché rivelatori della sua linea di propaganda oltre che di governo.
Primo. Sulla criminalità minorile la presidente non cita dati, statistiche, informazioni ufficiali. Spiega il problema ripetendo per due volte di seguito la stessa frase: “Tutti i fatti dei quali noi stiamo parlando vedono come protagonisti dei giovanissimi”.
Ma l’azione politica di un governo non può essere una reazione alla cronaca: da esponenti politici che in campagna elettorale assicuravano di essere “pronti” ci si aspetterebbe una progettualità, non l’improvvisazione di misure sull’onda delle notizie.
Certo, l’interpretazione alternativa sarebbe quella secondo cui i provvedimenti repressivi sono già tra i progetti del governo, e l’eco mediatica di alcuni avvenimenti sia semplicemente sfruttata strategicamente per la loro approvazione con critiche ridotte.
Secondo. Giorgia Meloni si stupisce che, fino a ieri, la pena per l’inosservanza dell’obbligo d’istruzione fosse solo una multa da 30 euro, dimostrando con questo stupore di ignorare che esistono sistemi sanzionatori alternativi a quello penale, non per forza meno efficaci (anzi). La repressione penale non può essere l’unico orizzonte politico.
Di fronte a un bambino che non riceve un’istruzione, finora la priorità non è stata quella di punire chi non lo manda a scuola, ma casomai di innescare il monitoraggio del contesto familiare, attraverso l’assistenza sociale, per la tutela complessiva del minore.
Certo si tratta di misure più complesse da spiegare del tintinnio di manette che è possibile vantare quando si introduce l’ennesimo nuovo reato.
Il governo reintroduce una norma già dichiarata incostituzionale
Entrando nel merito del decreto appena approvato, è possibile notare diverse norme sul piano penale e procedurale (promulgate con decreto, con tutti i problemi che questa scelta normativa comporta). Il testo è un minuzioso collage di modifiche ad altre leggi: tra queste figura anche il D.P.R. 448/1988, cioè il codice del processo penale minorile, a dimostrazione che le norme per la repressione dei reati commessi dai più giovani già esistevano prima della lotta alle baby gang del governo Meloni.
Erano già previste e applicate, anche per i minori, misure come l’arresto in flagranza, il fermo e la custodia cautelare: il codice del processo penale minorile ricalca infatti in gran parte il sistema previsto per gli adulti, con alcuni criteri guida per evitare la stigmatizzazione e favorire il reinserimento sociale. In particolare, è vietata la diffusione mediatica di informazioni sull’identità dei minori coinvolti ed è prevista l’attivazione di servizi di assistenza minorile, oltre al coinvolgimento di chi esercita la potestà genitoriale.
Tra le varie modifiche del decreto Caivano al codice, ce n’è però una particolarmente grave, perché, oltre a calpestare i princìpi del diritto penale minorile, reintroduce una norma dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale. Il governo prevede infatti la custodia cautelare in carcere in caso di pericolo di fuga del minore, ossia la stessa identica norma che la Consulta dichiarò incostituzionale con la sentenza 359 del 2000.
La custodia in carcere, da evitare secondo i princìpi anche internazionali di diritto penale minorile per ridurre il rischio che il giovane entri in contatto con un ambiente criminogeno ancor prima di un’eventuale condanna, andrebbe disposta solo quando “sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero sussistano gravi esigenze di tutela della collettività”, tra cui non rientra il pericolo di fuga.
Tra Daspo, flagranza e ammonimenti tra prevenzione e discrezionalità
Oltre alla norma incostituzionale, quel che fa il decreto Caivano sul piano penale è inasprire le sanzioni e abbassare i limiti entro cui è possibile ricorrere, anche per i minorenni, a misure di prevenzione come il Daspo urbano, il divieto di accesso a locali pubblici, l’ammonimento del questore.
È una strategia già incontrata nel decreto Minniti, che ha introdotto o sviluppato queste misure, poi nei decreti Salvini e, più di recente, nei tentativi di criminalizzazione degli ecoattivisti: si anticipa la repressione, in ottica di prevenzione dei reati, valutata da autorità dipendenti dall’esecutivo sulla base di indizi di pericolosità sociale.
Come già denunciato, questo allargamento delle misure simil-penali per la tutela del decoro, con l’anticipazione della repressione, aumenta i rischi di discrezionalità nell’applicazione di provvedimenti che comunque limitano la libertà delle persone.
Si tratta di minacce che non vanno valutate pensando al giovanissimo criminale che spaccia per conto di un clan o che stupra due giovanissime minorenni, che già sarebbe sottoposto al processo penale minorile con le misure vigenti, ma anche allo studente che, in manifestazione, commetta il reato di resistenza a pubblico ufficiale, annoverato nel decreto tra i delitti che legittimano il ricorso a queste misure.
Il pregio del decreto Caivano
Se il decreto Caivano ha almeno un pregio è quello di rivelare plasticamente l’idea di società del governo Meloni. I finanziamenti alle scuole sono tardivi, ridotti, previsti per i prossimi due anni scolastici, tamponando situazioni di vulnerabilità già emerse da indagini precedenti. L’argine all’elusione scolastica, al di là delle parole di Giorgia Meloni sugli istituti aperti al pomeriggio e l’alternativa al “niente”, si limita all’approccio repressivo nei confronti dei genitori, che rischiano fino a due anni di reclusione e perdono l’assegno di inclusione (sempre che ne abbiano diritto, dopo la riforma), venendo ricacciati nella povertà economica e culturale.
Si continuano ad allargare le misure di prevenzione nelle mani di autorità dipendenti dall’esecutivo (con effetti pratici discutibili, visto che è lecito dubitare che la comunicazione formale di un questore abbia un qualche valore pedagogico nei confronti di un minore probabilmente privo di modelli virtuosi).
Il rispetto della legge è un tema complesso, che andrebbe affrontato con profondità d’analisi e creatività di soluzioni. Replicare il sistema di minaccia e repressione, uguale da secoli, è utile più alla gestione del potere che alla costruzione di una comunità, perché spinge le persone a rispettare le regole per timore della punizione, più che per adesione a un sistema di valori. Il risultato è, al più, una patina di decoro, basata sulla violenza e sulla paura: finché la soluzione è emergenziale o repressiva, e comunque calata dall’alto, il comportamento sarà, più che da cittadini, da sudditi, che rispettano le regole perché impauriti o che le violano perché la paura non è abbastanza contro la malvagità o il bisogno.
(da Fanpage)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
VISTI I SONDAGGI IN CALO, CONVIENE RIPRENDERE I TEMI POPULISTI. ED EVITARE DI PARLARE DEL VERO PROBLEMA DEL PAESE: L’INFLAZIONE ALTA, IL PNRR CHE ARRANCA E IL NEGOZIATO SUL PATTO DI STABILITÀ
Fosse un film, sarebbe un thriller con un finale western. Giorgia Meloni si fa attendere a lungo in conferenza stampa. Otto ministri […] intervengono senza sapere se davvero si mostrerà. «Sul serio ha cambiato idea?». Mistero, suspense. Alla fine, appare dalla scaletta laterale, a sorpresa. E si cala nella parte: mostrare il pugno duro della legge, far brillare sul portone di Palazzo Chigi la stella da sceriffi d’Italia.«Quelle del decreto Caivano non sono solo norme repressive – scandisce – sono norme di prevenzione ». Ed è proprio in quel «non solo» che si concentra una scelta tattica chiarissima: se l’economia toglie il sonno, se Matteo Salvini vuole rubarle l’anima e i voti, Palazzo Chigi si butta all’inseguimento della pancia securitaria del Paese.
Più del merito delle misure pesa il messaggio politico. La leader identifica un terreno a lei caro, quello su cui raccogliere il consenso di chi promette “legge e ordine”. Pone in cima alla lista delle emergenze il crimine minorile. Cerca di coprire le minacce economiche che incombono sull’Italia. E poi respinge alcune accuse circolate nelle ultime ore, ad esempio quella di voler mandare dietro le sbarre gli adolescenti: «Per i reati gravi c’è un ammonimento e la convocazione dei genitori. Non c’è il tema di sbattere in galera i dodicenni. C’è invece l’arresto in flagranza di reato per i ragazzi dai 14 ai 18 anni».
E’ una sfida aperta a Salvini, come detto. Uno scudo per mettersi al riparo dall’offensiva leghista sulla sicurezza e sull’emergenza migranti. Un rilancio in nome di antiche convinzioni di destra e recenti sondaggi in calo, che affliggono Fratelli d’Italia.
Puntare tutto sulla legalità significa tentare l’operazione impossibile di fermare con un dito i nuvoloni neri della crisi. Quella alimentata da un’inflazione ancora alta, dal Pil che arretra, da un Patto di Stabilità che ritorna e fa paura. C’è poco tempo, infatti, per stringere un nuovo accordo. Meloni lo sa. Ed è consapevole di non poter escludere il ritorno alle regole stringenti dell’era pre-Covid.
Dovesse accadere, «sarebbe drammatico perché si produrrebbe una contrazione delle economie già in sofferenza importante». Meglio, semmai, congelare i parametri emergenziali attualmente in vigore:«Senza un’intesa sulla riforma, lo proporrò».
Ma il segnale che qualcosa sta davvero cambiando arriva un attimo dopo. Domandano alla presidente del Consiglio degli attacchi di Salvini a Paolo Gentiloni, il Commissario europeo accusato di giocare contro gli interessi nazionali. È con lui che Meloni deve trattare ogni dossier sensibile: non solo il Patto, ma anche la manovra e il Pnrr.
Eppure, la premier sceglie di attaccare l’italiano, di non farsi scavalcare neanche pubblicamente dal suo vice: «Da quando ogni nazione ha il suo commissario, accade che questi tengano un occhio di riguardo verso la nazione che rappresentano. Penso sia normale e giusto. E sarei contenta se accadesse di più anche per l’Italia».
Sono parole durissime, che sconfessano una collaborazione obbligata. È la sintesi di una diffidenza antica, che coinvolge la leader e i suoi fedelissimi. Ed è un anatema pronunciato per almeno due ragioni. La prima: Meloni ha compreso fino in fondo l’impraticabilità del progetto di spostare gli equilibri continentali grazie a un’intesa tra popolari e conservatori, dunque reagisce preparando una campagna elettorale spostata più a destra. La seconda […]: è recente un duello durissimo tra la premier e Gentiloni. Un colloquio finito malissimo, in cui la prima ha accusato il secondo di non collaborare in nome dell’interesse nazionale sui dossier chiave per il Paese, a partire appunto dal Patto di stabilità. Meglio affidarsi a “legge e ordine” che rendere conto degli insidiosi parametri di cui ragiona Bruxelles.
(da agenzie)
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Settembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
INCONTRI NEL RISTORANTE DEL FIGLIO DI VERDINI E A CASA DEL LEGHISTA
L’ex Forza Italia Denis Verdini è sotto indagine a Roma per violazione degli obblighi degli arresti domiciliari. E tra gli incontri del senatore durante i permessi concessi per il dentista ce n’è anche uno che riguarda un esponente del governo Meloni.
Si tratta del sottosegretario leghista al ministero dell’Economia Federico Freni. Il quale però si giustifica sostenendo che non sapeva che Verdini fosse agli arresti domiciliari. Gli incontri risalgono al 2020/2021, quando Freni aveva lo stesso ruolo nel governo Draghi. Gli incontri si sono svolti al ristorante Pastation il 30 novembre 2021 e a casa di Verdini il 17 maggio 2022. Il locale è di proprietà del figlio Tommaso. La figlia Francesca è invece attualmente la compagna del leader della Lega Matteo Salvini.
L’indagine
La storia dell’indagine è stata rivelata ieri dal Fatto Quotidiano. Che ricorda oggi come gli incontri siano emersi durante un’altra indagine. Ovvero quella che riguarda proprio Tommaso Verdini e Vito Bonsignore, imprenditore, e Massimo Simonini, ex amministratore delegato di Anas. Secondo le accuse dei pm Verdini e altri promettevano incarichi ufficiali in Anas o in controllate oppure in altre società private in cambio della messa a disposizione delle loro funzioni pubbliche. Nel febbraio 2022 il tribunale di sorveglianza, informato degli incontri di Verdini, ha deciso di non revocargli i domiciliari. L’ordinanza arrivava in seguito alla lettera di Verdini a Marcello Dell’Utri in cui spiegava la sua strategia per far eleggere Silvio Berlusconi al Quirinale. Mentre secondo l’avvocato di Verdini l’incontro con l’ex Udc Lorenzo Cesa sarebbe invece stato frutto di una casualità.
Il sottosegretario smemorato
Freni, ascoltato da Valeria Pacelli sul Fatto di oggi, minimizza. Prima dice che la sera del primo incontro lui era in Commissione al Senato. Poi fa sapere che non conosceva gli obblighi di legge a cui doveva sottostare Verdini. Conferma, invece, gli incontri con il figlio di Denis: «A casa di Tommaso Verdini ci sono andato mille volte. È un palazzo dove peraltro utilizzavamo saltuariamente un appartamento per incontri di partito, anche con Matteo Salvini. Quindi non c’è nulla di strano che io andassi lì». Ma smentisce incontri in compagnia di Salvini: «Assolutamente no, mai». Infine, sugli argomenti in discussione negli incontri: «Una delle condizioni che ho posto quando sono stato nominato al Mef è di non dovermi occupare di nomine. È un tema che non mi interessa: mi occupo di politica economica».
(da agenzie)
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