Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile IL PIL E’ IN CALO, I PREZZI SALGONO, LE FAMIGLIE TAGLIANO I CONSUMI… I SOVRANISTI SI DEVONO RIMANGIARE LE PROMESSE E ALLORA SCARICANO LA RESPONSABILITA’ SU UE E SINISTRA (CHE NON GOVERNA)
Per Giorgia Meloni e il suo governo del Merito e della Sovranità alimentare l’autunno è già arrivato. La presidente del Consiglio ha in mente per il 25 settembre una grande celebrazione del primo anniversario della vittoria elettorale della destra, una manifestazione di orgoglio patriottico e di risultati brillanti, in un’Italia che rinasce e conquista la posizione che gli compete nel mondo, accompagnato dai nouveaux philosophes, il parà Vannacci e l’anchorman Andrea Giambruno.
Se questo era il programma, meglio rettificarlo. Non c’è aria di festa nel Paese. Per Meloni l’effetto vacanze è finito subito. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il leghista che riusciva parlare con Mario Draghi, avverte che «non si può fare tutto» per la prossima manovra finanziaria.
Anche il collega Raffaele Fitto, già nei guai per il Pnrr che proprio non riesce a realizzare, ricorda che «ci siamo dimenticati del convitato di pietra: il Patto di Stabilità». Ma chi sono questi disfattisti? Ci manca solo che l’Italia sia richiamata dall’Unione europea a rispettare il rapporto del 3% tra deficit e Pil, come prima della pandemia, e sarebbe un massacro sociale.
La manovra per il 2024 deve (dovrebbe) essere la prima prova della concreta realizzazione del programma nazional-sovranista: cuneo fiscale esteso per l’intero anno per i redditi fino a 35mila euro, riforma del fisco, pensioni con Quota 41, Ponte sullo Stretto, assegno di inclusione, il ritorno della rete Tim in mano allo Stato (anche se con il sostegno vorace del fondo yankee) e poi ci sarebbe da finanziare il varo dell’autonomia regionale differenziata.
Non ci siamo, bisogna sfrondare le promesse elettorali. Non c’è un euro da buttare. Settembre, infatti, porta notizie inquietanti per la ciurma di governo.
L’economia rallenta, perde vigore. Quindi lo slogan dell’«Italia che cresce più degli altri in Europa» non è più credibile e la presidente del Consiglio non può più usarlo per galvanizzare le truppe. La flessione del secondo trimestre è stata rettificata al ribasso: il Pil è sceso dello 0,4%. Potrebbe essere un problema raggiungere a fine anno la crescita dell’1%, obiettivo scritto da Meloni nel Documento di Economia e Finanza.
La minaccia per i prossimi mesi ha un aspetto poco piacevole: i consumi interni non vanno, è la rivolta delle famiglie che non comprano più, non spendono perché redditi e salari non sono stati salvaguardati in un periodo troppo lungo di alta inflazione.
Prima il gas, l’energia, le bollette e tutti gli effetti della guerra in Ucraina. Poi accanto ai rincari delle materie prime si è innestata una spirale speculativa che ha colpito la fiducia e i bilanci delle famiglie. Chi ha potuto andare in vacanza è stato maltrattato da prezzi insostenibili, a partire dalla benzina. E le statistiche iniziano a rilevare una chiara contrazione della domanda di generi alimentari perché nell’ultimo anno i prezzi dei beni di consumo acquistati dalle fasce più deboli sono aumentati in misura maggiore rispetto alle merci acquistate dai ceti benestanti.
Questa debole tendenza economica, per la verità, non è solo italiana, riguarda larga parte dell’Europa, comprese la Germania e la Francia.
In questo contesto forse ci vorrebbe maggiore cautela, evitando eccessi non sopportabili dalle finanze pubbliche. La destra di governo, in difficoltà, ha già adottato uno schema classico della politica italiana: se Meloni non riesce a realizzare il suo piano, la colpa è di quelli che c’erano prima che hanno buttato i soldi e hanno sbagliato le scelte.
Quindi è colpa del Superbonus e del Reddito di cittadinanza voluti dai grillini di Conte, dell’Europa che non vuole estendere la sospensione del Patto di stabilità, della Bce che tiene i tassi di interesse troppo alti, e pure di Elly Schlein che si ostina a chiedere il salario minimo legale. La realtà, per ora, è che a un anno dal trionfo elettorale, la destra ha già portato il Paese in mezzo al guado. E miracoli all’orizzonte non se ne vedono.
(da TPI)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile IL CLIMA ALLA KERMESSE DEI GIOVANI FORZISTI È DI SMARRIMENTO… LA TASSA SUGLI EXTRA-PROFITTI DELLE BANCHE, CHE HA PORTATO ALLA ROTTURA TRA MELONI E MARINA BERLUSCONI, SEGNA UN PUNTO DI NON RITORNO
Se le feste di partito sono il luogo in cui devono manifestarsi le
ambizioni di ogni forza politica, quella dei giovani di Forza Italia “Azzurra libertà” a Gaeta ha invece rispecchiato il momento di incertezza che l’ex-movimento di Berlusconi sta attraversando a quattro mesi dalla scomparsa del Fondatore.
I sondaggi segnano una discesa lenta ma costante. La tendenza è così negativa che se non si trova un modo di invertire la rotta esiste perfino il rischio che gli eredi politici berlusconiani non riescano a superare la soglia di sbarramento del 4 per cento necessaria per entrare nell’Europarlamento.
Tajani ha guidato fin qui Forza Italia su una linea di prudenza e in un certo senso di sottomissione a Meloni, di cui è diventato strettissimo collaboratore, grazie all’incarico che ricopre, a differenza dell’altro vicepremier Salvini, che non perde occasione per punzecchiarla, soprattutto in vista delle europee.
Dopo la tassazione a sorpresa dei super profitti delle banche, una decisione che la premier non ha neppure sentito il bisogno di comunicare prima al suo vice, Forza Italia ha perso anche il ruolo di braccio parlamentare delle imprese della famiglia Berlusconi, tanto che alla Camera gira una battuta che dice che Forza Italia è riuscita a far tassare Mediolanum, la banca costruita nel recinto dell’impero di Arcore e al momento cespite prezioso del patrimonio familiare.
Tajani è corso subito ai ripari annunciando una dura battaglia di emendamenti contro il provvedimento del governo. Ma come si dice, ormai il dado è tratto, e non saranno le modifiche a limitare o annullare gli effetti del decreto.
Per questa strada, insomma, Forza Italia sembra avviata a diventare presto o tardi una costola di Fratelli d’Italia: o con una vera e propria annessione da parte di Meloni, che si limiti a salvare un ruolo per Tajani, o come alleato minore, magari, in vista della fusione, favorito nell’assegnazione dei seggi alle Politiche.
(da La Stampa)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile PERPLESSITA’ ANCHE SULLA PROROGA DEL SUPERBONUS: “MEGLIO SPECIFICARE CHE SI PARLA DI LAVORI GIA’ INIZIATI”
I dubbi sulla tassa dedicata agli extraprofitti bancari sono stati molteplici in questi mesi. Ora, però, arriva la frenata anche dai tecnici del servizio bilancio del Senato.
Nella valutazione del decreto asset scrivono che «va preso in considerazione un possibile rischio legato all’eventuale incompatibilità costituzionale della disposizione».
I tecnici sottolineano peraltro che l’incostituzionalità «potrebbe essere dichiarata dopo l’avvenuto introito e la conseguente spesa delle somme in questione, il che determinerebbe un peggioramento dei saldi, corrispondente alle risorse che dovessero essere restituite alle banche per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale».
Nel dossier che analizza il provvedimento, i tecnici parlano di possibile disparità di trattamento. «Si osserva anzitutto che l’imposta in questione incide in modo rilevante (il 40%) su importi inerenti ad una specifica voce del conto economico delle banche (il margine di interesse), la quale, come base imponibile del prelievo, dovrebbe preliminarmente essere considerata come idoneo indice di effettiva capacità contributiva». Insomma potrebbe essere che alcune banche, che hanno guadagnato molto sui margini di interesse abbiano però risultati complessivamente meno positivi di altre banche tassate di meno: «Sussistendo la possibilità che soggetti che presenteranno risultati molto positivi in relazione a tale voce del conto economico, destinati quindi ad essere pesantemente incisi dall’imposta straordinaria, registrino tuttavia risultati di bilancio inferiori (anche significativamente) a quelli conseguiti da soggetti meno incisi dal prelievo, non sembra si possa escludere l’ipotesi di un’alterazione del nesso fra imposizione fiscale e capacità contributiva, fra l’altro nell’ambito della medesima categoria di contribuenti, con possibile sindacato negativo di costituzionalità». Certo, aggiungono, non è detto che lo stop alla norma arrivi effettivamente visto il “carattere straordinario del prelievo».
Impossibile stimare l’introito
Per la tassa sugli extraprofitti delle banche, poi, non è neppure chiaro di quanto saranno gli incassi: «Sarebbe opportuna l’acquisizione di dati che consentano di stimare il livello di entrate che si prevede di conseguire, perlomeno in linea di massima». Dunque, l’ufficio di bilancio di palazzo Madama evita di fare stime «in via prudenziale». Questi dovranno comunque essere destinati alla riduzione della pressione fiscale e al rifinanziamento del fondo di garanzia per i mutui prima casa.
La preoccupazione sul superbonus
Frenata anche per la parte dedicata al Superbonus per le villette, per fare in modo che la norma non comporti effettivamente nuovi oneri a carico dello Stato. «Come per la precedente proroga (da marzo a settembre 2023 – DL 11/2023) – si legge nel documento -, andrebbe confermato che anche relativamente alla presente proroga il differimento si riferisce a lavori già comunicati all’Enea, i cui effetti finanziari risultano scontati a legislazione vigente nelle previsioni di bilancio con riferimento all’intera platea dei potenziali beneficiari, e, avendo carattere infrannuale, non determina variazioni rispetto ai profili temporali degli oneri già considerati a legislazione vigente». Inoltre, dicono ancora da palazzo Madama, «al fine di confermare l’assenza di oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, appare necessario che siano forniti maggiori elementi di dettaglio su come sono state costruite le previsioni a legislazione vigente, al fine della conferma che gli effetti finanziari dei lavori in esame già comunicati all’Enea risultano integralmente già scontati a legislazione vigente nelle previsioni di bilancio, a prescindere dalla circostanza che tali spese potevano usufruire del beneficio del 110 per cento solo se sostenute fino al 30 settembre 2023 e non per il periodo successivo a tale data».
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile GAFFE A RIPETIZIONE, CONFLITTI DI INTERESSE, DISTORSIONI DELLA STORIA E DELLA REALTA’
Un anno fa di questi tempi le strade di tutte le città italiane erano
tappezzate di manifesti elettorali con il volto in primo piano di Giorgia Meloni accompagnato da uno slogan rassicurante: «Pronti a risollevare l’Italia».
Dodici mesi dopo, il Governo dei “patrioti” si avvicina alla sua seconda Legge di Bilancio frugandosi nelle tasche alla disperata ricerca di quattrini: mancano all’appello una ventina di miliardi di euro per far tornare i conti. Ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lo ha già detto chiaro e tondo: «Non si potrà fare tutto».
Molte delle promesse che erano state sbandierate in campagna elettorale – dal superamento della Legge Fornero al taglio delle accise sui carburanti – resteranno incompiute anche per il 2024. Anzi, la presidente del Consiglio Meloni ha ordinato a ciascuno dei suoi ministri di ridurre le spese al minimo indispensabile. Torna l’austerity, dunque.
Nemmeno l’improvvisata tassa sugli extraprofitti delle banche – annunciata a sorpresa senza essere prima ragionata – aiuterà a fare cassa come si era inizialmente pensato. E non basteranno neanche i 3,5 miliardi di euro che si risparmieranno con l’abolizione del Reddito di cittadinanza (comunicata ai diretti interessati con un laconico sms di mezz’estate).
La guerra ai poveri – che passa anche per l’ostinato No al salario minimo legale – è una delle poche battaglie identitarie realizzate fin qui dal Governo. Anche l’occupazione quasi totale della Rai – portata avanti in maniera ancora più avida rispetto ai precedenti esecutivi – procede come da programma nel solco della nuova «egemonia culturale» che la destra vuole imporre.
Si è invece infranta contro il muro della realtà e dei diritti umani l’idea di attuare il blocco navale per impedire ai barconi carichi di migranti di salpare dalle coste nordafricane (e intanto gli sbarchi sono più che raddoppiati).
Quanto al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, ci sono voluti dieci mesi di tempo prima di conoscere quali erano le modifiche a lungo invocate da Meloni in campagna elettorale: e così sono stati depennati dal Piano progetti per 16 miliardi di euro, tra cui misure di welfare e lotta al dissesto idrogeologico.
A proposito di dissesto idrogeologico, a più di centoventi giorni dall’alluvione in Romagna e nelle Marche, i cittadini di quei territori stanno ancora aspettando i soldi promessi dalla premier nella sua visita a maggio.
Eppure non è solo per la lunga lista di impegni traditi o per certi provvedimenti controversi che il primo anno del Governo Meloni merita una bocciatura. Ciò che più ha colpito in negativo è piuttosto l’inadeguatezza rispetto alla carica ricoperta messa in luce dalle parole e dalle azioni di molti dei suoi ministri.
Uscite a vuoto
Il polverone più recente lo ha sollevato Francesco Lollobrigida, delegato alla Sovranità alimentare, affermando che in Italia «spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi»: tesi evidentemente ribaltata rispetto alla realtà dei fatti, come dimostrano decine di studi e statistiche (ma per averne conferma, basta farsi un giro in un qualsiasi discount).
Lollobrigida, che fra parentesi è anche cognato di Meloni, già in precedenza aveva messo a segno almeno un paio di uscite strampalate: prima aveva evocato la teoria complottista della «sostituzione etnica», poi aveva parlato di una fantomatica «etnia italiana» da tutelare.
Non solo: nei giorni del naufragio di migranti a Cutro una giornalista di Piazza Pulita aveva fatto notare al ministro che sulle dinamiche della tragedia non c’era chiarezza; la risposta di Lollobrigida era stata fra lo sprezzante e l’offensivo: «Le crea frustrazione questo?».
Dopo la strage davanti alle coste calabresi, anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva rilasciato una dichiarazione ai limiti dell’irricevibile: «La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli», disse il responsabile del Viminale, arrivando a rimproverare le vittime del naufragio per essere state imprudenti.
Un concetto simile, nella sostanza, a quello recentemente espresso dal compagno di Meloni, il giornalista di Mediaset Andrea Giambruno, a proposito delle ragazze che subiscono violenza sessuale: «Se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi».
Del resto, anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, preferisce puntare il dito contro le vittime. Lo scorso luglio, appena ha saputo che suo figlio Leonardo Apache era indagato per stupro, il co-fondatore di Fratelli d’Italia ha diffuso una nota in cui sottolineava: «Lascia oggettivamente molti dubbi il racconto di una ragazza che, per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio».
Il dossier più caldo
L’intera estate di La Russa è stata segnata da notizie che lo hanno messo in serio imbarazzo. Solo la ministra del Turismo Daniela Santanchè regge il confronto, indagata com’è dalla Procura di Milano per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio.
I pm meneghini vogliono vederci chiaro sulle disavventure finanziarie delle società Visibilia e Ki Group, riconducibili alla ministra. Agli atti dell’inchiesta, però, ci sono episodi che coinvolgono più o meno direttamente anche lo stesso presidente del Senato (il quale non risulta indagato).
La Russa, in qualità di avvocato, ha firmato alcune lettere per conto di Visibilia. E sua moglie ha realizzato, insieme al compagno di Santanchè, una maxi-plusvalenza a tempo di record che ha fatto drizzare le antenne a Bankitalia: nel gennaio di quest’anno i due hanno comprato una villa a Forte dei Marmi per 2,45 milioni di euro e appena 58 minuti dopo l’hanno rivenduta per 3,45 milioni. L’operazione è stata segnalata come sospetta alla Guardia di Finanza ed è stata inserita nel fascicolo d’inchiesta della Procura di Milano (nemmeno la signora La Russa, peraltro, è indagata).
Quanto a Santanchè, gli accertamenti sulle sue aziende riguardano anche una presunta truffa ai danni dello Stato: una dipendente di Visibilia avrebbe continuato a lavorare normalmente nonostante fosse stata messa – a sua insaputa – in cassa integrazione a zero ore. Se e quando arriverà il rinvio a giudizio, la ministra dovrà risponderne davanti ai giudici: staremo a vedere.
Intanto però, grazie ai voti della maggioranza, si è salvata dalla mozione di sfiducia presentata contro di lei dalle opposizioni.
Incompatibili
Ma le indagini giudiziarie in corso non sono l’unica ombra che pesa sulla figura di Santanchè. Quando ha giurato al Quirinale da ministra del Turismo, l’esponente di Fratelli d’Italia era ancora socia del Twiga, l’esclusivo stabilimento balneare della Versilia: una posizione che la poneva in palese conflitto d’interessi.
Nel tentativo di scrollarsi di dosso le polemiche, a novembre dello scorso anno, circa un mese dopo la nomina nell’esecutivo, Santanchè ha ceduto le proprie quote societarie al suo compagno. Ma il conflitto d’interessi rimane, sebbene adesso sussista per interposta persona.
Inopportune, per lo stesso motivo, sembrano anche le cariche governative di Guido Crosetto e Marina Elvira Calderone. Il primo è ministro della Difesa nonostante sia stato per otto anni presidente di Aiad (l’associazione delle imprese dei settori aerospazio, difesa e sicurezza) e consulente di Leonardo.
Per due anni, inoltre, Crosetto è stato presidente di Orizzonte Sistemi Navali, joint venture tra Fincantieri e la stessa Leonardo. Appena nominato ministro, il co-fondatore di Fdi si è dimesso da tutte le cariche respingendo le accuse di incompatibilità fra la sua recente attività imprenditoriale e l’incarico alla Difesa.
Eppure lui stesso, un anno fa, alla vigilia delle elezioni politiche, ospite del TPI Fest a Bologna, aveva risposto a una domanda del nostro vicedirettore Luca Telese che non avrebbe fatto il ministro: «Mi sembrerebbe inopportuno, dato il mio lavoro», disse. Ma forse il suo era solo un depistaggio da campagna elettorale.
Analogamente, Calderone ora siede sulla poltrona di ministra del Lavoro benché dal 2005 al 2022 sia stata presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, incarico che nel corso degli anni l’ha vista presentare una serie di interpelli rivolti proprio al ministero che ora dirige.
Nominata da Meloni, Calderone ha pensato bene che fosse il caso di dimettersi dalla presidenza dell’Ordine. Peccato che il posto lasciato vacante sia stato occupato da Rosario De Luca, suo marito. Alla faccia della discontinuità.
Patrioti alla ribalta
Il familismo è un tratto caratterizzante dei fratelli d’Italia che hanno conquistato il governo: basti pensare ad Arianna Meloni, sorella maggiore della premier Giorgia e moglie del ministro Lollobrigida, recentemente nominata responsabile della segreteria politica di FdIi «Dio, patria, famiglia», d’altronde, è sempre stato il mantra della casa.
E intanto alla guida del ministero della Famiglia c’è Eugenia Roccella, un’ex attivista dei radicali rimasta folgorata sulla via dei pro-vita: «L’aborto – sostiene – non è un diritto: c’è una legge che garantisce la libertà alla donna di scegliere anche fino in fondo. Al massimo c’è un diritto di scelta, ma non un diritto ad abortire». La sua ricetta contro le violenze sessuali? Limitare la fruizione del porno ai minori.
Un altro campione di dichiarazioni – diciamo così – scivolose è Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione. Appena un mese dopo l’insediamento del Governo, se ne uscì con una riflessione che lasciò interdetta la platea del convegno di cui era ospite a Milano: «L’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità».
Valditara è lo stesso ministro che lo scorso febbraio aveva bollato come «del tutto impropria» la lettera contro il fascismo scritta dalla preside di un liceo fiorentino dopo che alcuni studenti erano stati pestati da un gruppo di ragazzi di estrema destra.
In materia di inciampi sul Ventennio, però, è Ignazio La Russa a non avere rivali. Ad aprile il presidente del Senato ebbe addirittura il coraggio di dichiarare, in un’intervista a La Repubblica, che «nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo».
Solo qualche settimana prima La Russa si era dovuto scusare pubblicamente per aver affermato che i nazisti uccisi dai partigiani in via Rasella a Roma nel 1944 erano in realtà solo «una banda musicale di semipensionati»: una clamorosa falsificazione della storia.
Intervenne anche Meloni, bollando l’uscita del collega come una «sgrammaticatura istituzionale»: un termine che curiosamente la presidente del Consiglio non aveva ritenuto di dover usare, invece, in precedenza, per il caso Donzelli-Delmastro, quando un deputato di Fdi (Giovanni Donzelli) aveva rivelato durante un dibattito a Montecitorio i contenuti di atti coperti da segreto di cui era venuto a conoscenza tramite il suo coinquilino sottosegretario alla Giustizia (Andrea Delmastro).
L’onorevole Donzelli, per la cronaca, è colui che una volta è andato in tv a difendere il collega di partito, nonché viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, criticato per una vecchia foto carnevalesca con indosso un’uniforme nazista: «Io mi sono vestito da Minnie a Carnevale, vuol dire che sono Minnie?», ha chiosato davanti alle telecamere il deputato ritenendo di poter chiudere così in modo definitivo la spiacevole vicenda.
Donzelli viene da Firenze, una città speciale per i “patrioti”: secondo il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, infatti, Dante Alighieri è stato «il fondatore del pensiero di destra» in Italia. Dalla Divina Commedia in giù, Sangiuliano ha fatto sapere di essersi «autoimposto», da quando è ministro, di leggere un libro al mese: una media non poi così eccezionale, gli è stato fatto notare.
Purtroppo però l’ex direttore del Tg2 non ha trovato il tempo di leggere i libri finalisti del Premio Strega 2023, di cui era membro della giuria. Lo ha candidamente ammesso lui stesso, incalzato da un’incredula Geppi Cucciari durante la cerimonia di consegna del premio: «Proverò a leggerli», ha detto. Salvo poi provare a rimediare così: «Sì, li ho letti perché ho votato, però voglio, come dire, approfondire questi volumi».
Opposizione dove sei?
Dunque, ricapitolando: il primo anno del Governo Meloni è stato scandito da gaffe a ripetizione, distorsioni della storia e della realtà, conflitti d’interesse, inchieste giudiziarie. Una mescolanza che dovrebbe agevolare il compito alle opposizioni, se solo queste sapessero sfruttare efficacemente le debolezze dell’avversario.
E invece i sondaggi elettorali continuano a dare ai partiti suppergiù le stesse percentuali di dodici mesi fa, con il centrodestra saldamente in vantaggio. Anche in questo caso, insomma, vale la vecchia massima teatrale di Aristodemo: «Se Atene piange, Sparta non ride». E intanto il popolo dell’astensione continua a crescere.
(da TPI)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile ELLY SCHLEIN PRONTA AD APPOGGIARE IL REFERENDUM DI LANDINI CHE PUNTA A CANCELLARE (ANCHE) IL JOBS ACT
E venne il giorno dell’opposizione preventiva al «referendum Landini». Preventiva, se non altro, perché di questo pacchetto emendativo ancora non si conosce il testo.
Ciononostante, l’annuncio fatto a fine agosto in una intervista al Quotidiano Nazionale dal segretario della Cgil ha già prodotto un curioso record: aver spaventato i politici (soprattutto di centrosinistra) prima ancora che siano stati formalmente presentati i quesiti.
La levata di scudi di questi gironi era inimmaginabile. C’è persino nel Pd, dove la segretaria Elly Schlein ha aperto alla proposta del leader della Cgil («Condividiamo la forte preoccupazione sulla precarietà del lavoro in Italia, che ha toccato livelli assurdi. Seguiremo con grande attenzione le iniziative del sindacato»). Domanda: ha i suoi dirigenti con sé?
Ecco perché è importante capire cosa è successo esattamente in questa estate, proprio poco prima della terribile strage ferroviaria che – per dirne una – ha riproposto il tema del subappalto.
Quando Landini ha annunciato (a sorpresa) la raccolta firme («Serve un referendum contro la precarietà»), spiegando che i consulenti giuridici della Cgil sono già al lavoro sui testi degli articoli per emendare le leggi che in questi anni hanno precarizzato il lavoro, l’immediata reazione a sinistra è stata quasi di sconcerto.
La prima legge nel mirino è il Jobs Act, la contro-riforma voluta da Matteo Renzi, e ovviamente il suo punto più controverso: l’abolizione dell’Articolo 18. Ma ci sono anche le tante norme stratificate negli anni, che costituiscono una vera e propria giungla di contratti flessibili.
Era prevedibile l’opposizione strenua di Renzi, condita di veleno nei confronti degli ex compagni del Pd: «Cari Gentiloni, Pinotti, Lorenzin, Madia, Franceschini, Delrio, vi ricordate – ha detto Renzi – che voi eravate in Consiglio dei ministri in quei giorni? Cari Guerini e Serracchiani, vi ricordate che voi eravate i vicesegretari di quella squadra? Quale faccia indosserete per recarvi al seggio? Io un referendum l’ho perso, ma meglio quello che perdere la dignità».
Parole che per una volta sono in sintonia con quelle del fratello-coltello centrista Carlo Calenda: «Appoggiare il referendum contro il Jobs Act – ha tuonato il leader di Azione – è un grave errore del Pd. Non bisogna ingessare il mercato del lavoro!».
Tuttavia, se l’opposizione dei terzopolisti si poteva mettere in conto, era molto meno prevedibile l’imbarazzo che si respira nel Pd, proprio tra i dirigenti “nominati” da Renzi, che non commentano o si mantengono “sulle uova” con grande difficoltà.
E considero sintomatica di questo malessere la risposta per me incredibile che, a domanda diretta, mi ha dato la vicepresidente del Pd Chiara Gribaudo (ex orlandiana, ex orfiniana, oggi in maggioranza, e persino ex coinquilina della Schlein).
Leggete con attenzione: «Che ci fossero delle parti critiche nel testo del Jobs Act lo avevamo messo già in evidenza in commissione, poi il Governo, come è noto, fece altre scelte… Ma questo testo è stato già emendato dalla Corte costituzionale… Noi avevamo evidenziato delle criticità sugli indennizzi dei licenziamenti collettivi, ma quelle parti sono state già messe nel cassetto dalla Corte!». E poi: «Il Jobs Act ha sette anni, è stato sostanzialmente superato dal mercato del lavoro, ma ha anche parti buone…».
Così le dico: «Sa che lei non sembra molto entusiasta di questa battaglia della Schlein?». E la Gribaudo, quasi fredda con lei: «La segretaria all’epoca non era nel Pd, ed era molto critica con le parti che la Corte giustamente ha emendato. Ma ormai quei temi sono superati…». La provoco: «E allora voti No». Lei si arrabbia: «La battaglia di oggi è un’altra: il salario minimo».
Il punto è che la Gribaudo votò, come quasi tutti i 250 parlamentari del Pd, quel testo, e ora si arrampica sugli specchi. E la verità è che su questo tema o ha ragione Landini o Renzi. O precarizzare era giusto o è sbagliato. Il resto sono solo supercazzole. , la stragrande maggioranza degli elettori del Pd non ha dubbi.
(da TPI)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile SALARIO MINIMO, SANITA’ PUBBLICA E CAPOLISTA ALLE EUROPEE IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI: OBIETTIVO 23% E RIDIMENSIONARE I CAPIBASTONE
Ce l’ha una strategia Elly Schlein. Una strategia per poter
cominciare a fare davvero la segretaria del Pd. Perché sa la leader uscita dalle primarie a metà, quelle che hanno incoronato Stefano Bonaccini fra i dirigenti ufficiali democratici e lei nei gazebo fra il popolo comune, che per essere il capo deve vincere qualcosa del tutto. E questo qualcosa riguarda le prossime elezioni, le Europee del 2024.
Giocano a favore di Elly le regole elettorali. Perché quelle elezioni che potrebbero cambiare volto al Parlamento di Strasburgo si basano su una legge elettorale proporzionale.
Vale a dire che ogni partito corre per se stesso, che non ci sono alleanze e soprattutto che non c’è Giorgia Meloni da battere, ma questa volta da sconfiggere ci sono i propri potenziali alleati, togliendo più voti possibili al Movimento 5 Stelle e confinando le sinistre residuali al di sotto della soglia di sbarramento.
Ecco dove punta Elly. Ed è per questo che corre in solitaria anche in questi mesi, forte delle parole d’ordine di una sinistra che non c’entra molto con la vocazione maggioritaria necessaria in Italia per poter competere al governo, ma molto utili per radicalizzare il voto e superare quella soglia psicologica del 20% di un numero sufficiente di punti per staccare Giuseppe Conte e i suoi Cinquestelle di almeno 10 lunghezze. Se riuscirà a fare questo, il Pd sarà il secondo partito italiano con una percentuale che garantirà a lei di essere la calamita naturale di qualunque operazione politica avvenga dal giorno dopo quelle elezioni europee, diventando il leader naturale di una coalizione che a quel punto dovrà scegliere se stare con lei o contro di lei.
Per vincere questa partita Elly punta al 23%, con l’obiettivo considerato dai vertici attuali del Partito Democratico una vittoria su tutta la linea fissato al 25. E il sogno, per ora proprio un sogno, di riuscire in questa corsa solitaria e addirittura competere con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per segnare il podio al primo posto.
Nel qual caso il risvolto sugli equilibri di maggioranza in Italia sarebbe a dir poco eclatante ma proprio per questo non è stato posto fra gli obiettivi necessari. Per ora il Pd vincerebbe la sua partita anche se arrivasse al secondo posto, proprio perché questa in realtà è una partita tutta interna alle opposizioni.
Sul piano dei temi Elly sta giocando con chiarezza su due colori: l’intestazione del salario minimo, sul quale ha superato i freni culturali della sinistra sindacalista, e che nella sua logica può avere lo stesso effetto che ebbe il reddito di cittadinanza alle elezioni politiche, l’elemento elettorale che garanti a Giuseppe Conte non solo la sopravvivenza ma addirittura il rilancio dei pentastellati.
E come si è visto sul salario minimo per ora Elly Schlein i suoi punti li ha segnati, avendolo trasformato nel dibattito centrale della scena politica italiana, costringendo anche il premier Meloni a un atto di avvicinamento e a una apertura culturale, benché frenata da mille paletti e dubbi, perché è molto chiaro al premier che lasciare il campo aperto a queste due parole adesso è gestibile, fra tre mesi potrebbe essere un errore. Al salario minimo il Pd intende aggiungere il tema della sanità pubblica, che già nelle ultime ore è andato al centro dei discorsi di fine estate del segretario.
Ma che al Nazareno è considerato un elemento capace di attrarre entro poche settimane l’attenzione degli italiani allo stesso livello del salario. Ma c’è una terza carta, l’asso nella manica, che non riguarda questa volta il centrodestra ma riguarda proprio questo clima di guerra civile che dal giorno dopo le primarie che hanno incoronato la ex vicepresidente dell’Emilia Romagna al vertice del partito è scoppiata in casa democratica.
Schlein intende, spinta dai suoi fedelissimi, mettere il proprio nome come capolista in tutti i collegi delle elezioni europee. Secondo un principio per cui non si tratta di una candidatura multipla ma, parafrasando proprio Giorgia Meloni sul caso di Caivano, la necessità di mettere la faccia e di candidare la sinistra italiana nel suo insieme a un ruolo di grande rilievo nel prossimo Parlamento Europeo.
E’ evidente che nel popolo della sinistra questa candidatura avrebbe il vento in poppa sul piano delle preferenze personali, fatto che sta spingendo i democratici a ipotizzare che proprio quei dirigenti che contestano la leader e che fanno mille distinguo sulla linea del partito, come se il Pd avesse una storia di unità reale, e non solo confinata alle interviste e ai discorsi di filosofia, si candidino tutti e si contino alle urne.
Il combinato disposto, per dirla alla democristiana, di queste due decisioni sta scatenando il putiferio in casa democratica. Perché è chiaro a tutti che lo scivolone è dietro l’angolo per molti volti noti dei dem, a partire da quei governatori che da un po’ di tempo secondo il Nazareno alzano troppo la cresta nei confronti del leader.
Ed ecco che di fronte a questa prospettiva una candidatura non supportata da un consenso molto forte segnerebbe la fine della stella in questione, mentre la rinuncia a correre sarebbe di per sé un gesto di resa alla leadership uscita dalle primarie del Pd. Ed ecco perché le frasi come quella strappata a Zingaretti dal Foglio, dove l’ex governatore del Lazio avrebbe messo in dubbio la forza elettorale di Schlein, vaticinando un diciassette per cento come risultato elettorale, trova una spiegazione in questo piano strategico che sta facendo andare ai matti il gotha storico del partito.
Poco male, perché al centro si muove Renzi e quella sembra ormai essere l’unica porta di uscita di sicurezza per chi non gradirà la linea ufficiale per le europee. Portando molti volti noti dei dem di fronte a un bivio davvero difficile da affrontare sul piano elettorale. Bivio che rende molto più spiegabile l’idea del referendum contro il Jobs Act, un referendum in pratica contro se stessi, ma che assume un significato diverso se visto come garanzia preventiva consegnata di fatto ai vertici del Pd di una impossibilità materiale di saltare giù dal carro all’ultima curva per salire su quello di un Renzi che a quel punto sarà diventato un avversario formale di chi invece ha scelto di sostenere la strada dell’abolizione di quella riforma che connotò certo la segreteria dell’ex rottamatore ma tutta l’epoca di governo dei democratici nel secondo decennio del 2000.
(da Identità)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile LA VITTIMA E’ LA COORDINATRICE DI “LABORATORIO UNA DONNA”… L’ORDINE DEI CLAN ERA DI FERMARE L’INIZIATIVA
Ancora una aggressione a Tor Bella Monaca: i clan hanno tentato di fermare con la violenza i residenti, le associazioni e gli operatori di Ama che stavano pulendo e bonificando la strada e la piazza di spaccio nei palazzi Ater di via Scozza, fortino dei clan Moccia e Sparapano.
Una iniziativa organizzata dai residenti con il supporto di Ama: presenti anche 15 operatori della municipalizzata, il presidente del Municipio Nicola Franco, il direttore generale di Ama Alessandro Filippi e il prete antimafia don Antonio Coluccia anche lui aggredito pochi giorni fa di fronte a un’altra piazza di spaccio in via dell’Archeologia.
Come associazioni erano presenti l’attivista antimafia Tiziana Ronzio fondatrice di Torpiùbella e Maricetta Tirrito coordinatrice di “Laboratorio Una Donna”: entrambe da mesi accompagnano don Coluccia nelle iniziative contro la droga a Torbellamonaca.
A fare le spese dell’aggressione è stata proprio Maricetta Tirrito, colpita alla spalla con una bottiglia di birra piena, lanciata con violenza da uno dei reggenti della piazza di spaccio
La bonifica è iniziata poco dopo le dieci del mattino, quando il gruppo si è presentato nel parcheggio e nei locali al pianoterra nei pressi delle Torre Ater fra via Scozza e via Santa Rita, dove abitano alcuni componenti delle famiglie Sparapano e Moccia.
“La tensione è salita subito appena abbiamo portato via un divano che era usato come ufficio dai pusher per spacciare e costringere alcune donne tossicodipendenti a prostituirsi, fra cui una minorenne”, racconta il presidente del Municipio Nicola Franco che al momento dell’aggressione si trovava al fianco di Maricetta Tirrito ed è stato fra i primi a soccorrerla.
“Subito dopo che abbiamo portato via il divano è apparso un signore che ha cominciato a urlare e inveire ma noi abbiamo continuato. Poi io stesso ho trovato un machete a poca distanza dal divano, e lui si è innervosito ancora di più”. La tensione è salita alle stelle e dalla strada le vedette hanno ricevuto l’ordine dai capiclan, che giravano con i suv lungo la via, di bloccare l’iniziativa. E poco prima di pranzo la tensione è sfociata in violenza. “L’uomo continuava a urlare da dietro un cancello e all’improvviso abbiamo visto volare una bottiglia che ha preso in pieno Maricetta, colpendola alla spalla destra”, continua Nicola Franco.
Rottura del capitello radiale, braccio ingessato dalla spalla alle dita e 25 giorni di prognosi. Illesi residenti e operatori, ma è successo il finimondo. Nicola Franco si è scagliato contro l’aggressore, che è stato fermato e portato in caserma dai carabinieri di scorta a Tiziana Ronzio mentre Tirrito veniva portata al pronto soccorso del policlinico Casilino. “Nonostante i tentativi di fermarci non ci sono riusciti e oggi gli abbiamo impedito di spacciare”, spiega Maricetta Tirrito.
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile LA STORIA SCONVOLGENTE DI DARIO E NICOLA, DI 4 E 6 ANNI, TENUTI IN UNO STATO DI TOTALE ABBANDONO… IL MIRACOLO DEL POLICLINICO UMBERTO I
È una storia terribile quella di Dario e Nicola (i nomi sono di
fantasia), due fratelli di 6 e 4 anni che sono stati salvati dalle forze dell’ordine mentre si trovavano in uno stato di totale deprivazione e abbandono, con addosso i segni di violenze e abusi fisici ripetuti nel tempo.
Una storia però con un lieto fine: dopo due mesi di ricovero al Policlinico Umberto I sono stati trasferiti in una casa famiglia e ora sono stati dichiarati adottabili.
Quando sono arrivati in ospedale Dario e Nicola erano in condizioni gravi, tanto da far temere per la loro vita e sulla possibilità di un loro recupero completo.
Spiega Ugo Sabatello, il neuropsichiata infantile che li ha avuti in cura, ai microfoni di Fanpage.it: “Sono stari ricoverati con grossi problemi dal punto di vista somatico. Cera una cecità incipiente, abbiamo riscontrato delle lesioni e dei traumi. Ma abbiamo registrato anche una situazione grave dal punto di vista neurologico e psichiatrico, nel senso che erano bambini fortemente deprivati, bambini che probabilmente avevano avuto quanto era necessario per restare in vita e poco altro”.
Pazienti che non avevano bisogno solo di essere curati nel fisico, ma anche di sentirsi al sicuro e accolti.
Per la prima volta all’Umberto I hanno scoperto un ambiente dove percosse e maltrattamenti non erano all’ordine del giorno. “Il fatto che potessero affidarsi e fidarsi del personale era un aspetto fondamentale sia per poterli curare, ma anche per poterli far star bene”, aggiunge il medico.
Sabatello nel corso della sua carriera ne ha visti tanti di bambini maltrattati, ma difficilmente dei bambini così piccoli con alle spalle già anni di percosse: “Hanno rischiato effettivamente la vita”.
Una sfida anche per il personale quello di curare e accogliere i fratellini. “Il primo impatto è stato particolare, molto pesante pesante, perché vedevo una situazione dove era evidente che due bambini erano in sofferenza, sia fisica che ovviamente psicologica. – racconta Andrea Tomba, infermiere – Però è stato altrettanto bello vedere il passaggio, giorno dopo giorno da una condizione molto precaria a una condizione sempre migliore, soprattutto un rapporto di fiducia sempre più presente. E questo è stato fondamentale per tutti e due i bambini, soprattutto per quello più piccolo che non riusciva neanche a camminare”. Ci sono voluti 20 giorni perché Nicola riuscisse di nuovo a mettere i piedi a terra e a muoversi.
Proprio il fratello minore era il più diffidente verso gli adulti, e conquistare la sua fiducia non è stato facile: “Era molto più diffidente e evidentemente i traumi erano ancora freschi rispetto a quelli del fratello. Abbiamo vissuto una marea di emozioni nei due mesi che sono stati qui. Erano disidrati, a uno stato di malnutrizione talmente elevato che questo bambino non aveva un filo di muscolatura praticamente”.
A stringersi attorno a Dario e Nicola non è stato solo il personale, ma anche i genitori degli altri bambini ricoverati: “C’è stato addirittura chi ha chiesto di poterli adottare lì per lì”.
Ora per loro una nuova vita: “Ci auguriamo che per loro ci sia la possibilità di trovare una famiglia che gli dia tutto quello che non hanno avuto fino adesso”.
(da Fanpage)
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Settembre 9th, 2023 Riccardo Fucile ERA PROFESSORE EMERITO DI SOCIOLOGIA DEL LAVORO ALLA SAPIENZA
Il sociologo Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove è stato preside della facoltà di Scienze della comunicazione, è morto stamane all’età di 85 anni.
A darne notizia è il Fatto Quotidiano, testata con cui collaborava. De Masi se ne è andato dopo una fulminante malattia. Fondatore della S3.Studium e Past Presidente AIF De Masi ha insegnato ininterrottamente dal 1961 in poi: prima come assistente, poi come professore associato, quindi come professore ordinario e come preside. Ha da sempre approfondito le tematiche socio-organizzative, il post-industrialismo e di recente anche il fenomeno del lavoro agile (oggi trasformatosi in smart working).
De Masi ha elaborato un suo paradigma sociologico, partendo dal pensiero di maestri come Tocqueville, Marx, Taylor, Bell, Gorz, Touraine, Heller e la Scuola di Francoforte. Si parla del paradigma post-industriale, secondo cui, a metà del Novecento l’azione congiunta del progresso tecnologico, la globalizzazione, la diffusione dei mass media e della scolarizzazione di massa abbia prodotto un tipo nuovo di società centrata sulla produzione di informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Questo crea nuovi assetti economici, nuove condivisioni del tempo libero e nuove forme della convivenza.
De Masi ha concepito l’ozio creativo come combinazione di lavoro, studio e gioco. Grande promotore del lavoro agile durante la pandemia da Covid-19, recentemente lo ha criticato in negativo se vincolato a orari e senza obiettivi finali da raggiungere. Spesso seguito dal Movimento 5 stelle, De Masi è intervenuto, con illuminanti analisi, anche in merito al Reddito di cittadinanza.
Il ricordo dei 5 stelle
«Oggi è una giornata molto triste, perché la scomparsa di Domenico De Masi ci priva non solo di un grandissimo studioso e di uno dei più grandi sociologi del nostro tempo. Ci priva soprattutto di un vero uomo di cultura, una mente lucidissima le cui analisi hanno avuto il merito di sfidare le convenzioni tradizionali sul lavoro e sulla società, spingendo le persone a riflettere sul significato del loro tempo e delle loro passioni. Il suo punto di vista sulle cose ha sempre rappresentato un punto di riferimento importante per la comunità del Movimento 5 Stelle, che oggi piange quello che è stato prima di tutto un amico di tante e tanti di noi. Ma è ai suoi familiari e persone più strette che rivolgiamo un pensiero di affettuosa vicinanza e il più sincero cordogli». Lo scrivono in una nota gli esponenti del M5S in Commissione Cultura alla Camera e al Senato.
(da Open)
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