Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile GLI ISCRITTI SONO DECUPLICATI IN QUATTRO ANNI, E IL BILANCIO È PASSATO DA 98 MILA EURO DEL 2018 A 1,2 MILIONI DELL’ULTIMO ANNO… NEL FRATTEMPO, IL GRUPPO DIRIGENTE SI È CHIUSO A RICCIO, CON IL PARTITO “CONGELATO”. E “CONGRESSO” È UNA PAROLA TABÙ
Le tessere in mano alla sorella Arianna, l’altra Meloni, la
comunicazione coordinata da uno dei due bracci destri storici, Giovanbattista Fazzolari, mentre i dirigenti sono tutti al governo e il partito è congelato al punto che, sul suo sito, si chiedono ancora le dimissioni del dem Nicola Zingaretti dalla guida della regione Lazio.
Allo scoccare di un anno dalla vittoria del 25 settembre, mentre la premier Giorgia Meloni registra il suo primo calo nei sondaggi (meno tre il governo, meno uno il partito), Fratelli d’Italia ha preso la curiosa forma di Saturno. Altro che Tolkien e compagnia dell’anello: siamo al pianeta degli anelli.
Il pianeta è la leader, la sua stretta cerchia, la famiglia, i famigli. Gli anelli è tutto ciò che gli si è addensato attorno, nel volgere di pochi anni vertiginosi, e che in termini di influenza conta assai meno: in Regione Lazio, dove la linea di faglia è più visibile, li chiamano “aggregati” (distinti e sempre più opposti ai cosiddetti “nativi”, ai quali ambiscono sottrarre qualche poltrona: tutta una tensione che ha attraversato sottotraccia l’intero caso di Marcello de Angelis, dall’innesco alla conclusione)
Il fenomeno è ancora più anomalo se inserito all’interno dell’exploit di Fratelli d’Italia negli ultimi cinque anni: una crescita esponenziale sul piano dei consensi, un aumento del potere, anche dei soldi che entrano in cassa. Tra tesseramenti, contributi volontari, proventi del due per mille, i soldi sono pressoché raddoppiati ogni anno, passando complessivamente da 1,2 milioni del 2017, a 4,4 milioni del 2021 a 8,7 milioni del 2022 (ci sono anche i 26 mila euro di Twiga srl); le sole tessere sono aumentate del 40 per cento dall’anno scorso, arrivando a 200 mila unità, i relativi proventi sono decuplicati in quattro anni: da 98 mila euro del 2018 a 1,2 milioni dell’ultimo bilancio.
Un lievito vertiginoso, cui è corrisposta invece una contrazione del gruppo dirigente. Acuita dopo la vittoria: invece che l’apertura a ulteriori nuovi mondi, per conquistare ancora più consenso, c’è stata la chiusura a riccio. Già durante la campagna elettorale, del resto, i nuovi aggregati, quelli accorsi al richiamo dell’imminente successo, erano chiamati dal cerchio magico «esercito di Mordor». Indicati cioè come un’armata ostile, da temere.
E adesso, paradossalmente, con tutti i soldi e il potere che ha, il primo partito d’Italia sembra immobile, congelato al giorno della vittoria. Un comitato elettorale di Giorgia Meloni, più che altro: per propaganda, organizzazione di eventi, manifestazioni e altri servizi nell’anno elettorale 2022 sono andati via 5,8 milioni, d’altra parte
Per non parlare delle notizie dalle Regioni: il Piemonte è fermo a un anno e mezzo fa, nel Lazio chiedono ancora le dimissioni di Zingaretti (ha lasciato la Regione a novembre 2022), il Molise non è pervenuto (eppure si è votato a giugno), dall’Umbria si leva solo la voce di Marco Celestino Cecconi, oggi capogruppo di Fdi a Terni e in tale veste quasi assalito la settimana scorsa dal sindaco Stefano Bandecchi: peccato i suoi due comunicati risalgano al 2018, quando era assessore.
Il tutto, mentre “congresso” è una parola tabù. L’ultimo, che era poi solo il secondo, risale al 2017. Lo statuto prevederebbe che si tenesse ogni tre anni (e ne sono passati sei) ma l’eventualità è stata in ultimo stroncata anche dal responsabile dell’organizzazione, Giovanni Donzelli, con l’argomento che «non ci sono leadership alternative»: come se i congressi servissero soltanto a cambiare il capo, mentre la storia dei partiti insegna l’esatto opposto.
Al contrario, il giro di nomine nei 26 dipartimenti procede come da programmi, instaurando un livello di familismo mai riscontrato prima, almeno nell’Italia repubblicana (non volendo scomodare il Ventennio). Arianna Meloni a fine 2022 non ha più rinnovato i contratti a termine alla Regione Lazio, dove lavorava da vent’anni, in estate è entrata ufficialmente nei ruoli che lei stessa ha rivendicato essere informalmente suoi da sempre. Un segno di forza, per alcuni.
Un segno certamente di potere, e di un certo modo di intenderlo: Re Giorgia non ha mai pensato ad un luogotenente, a un vero e proprio numero due, vuol restare la capa per interposta sorella-consigliera-terminale, secondo quello che da tempo i perplessi di Fdi chiamano con levità «modello Gheddafi»; il rapporto tra le due è del resto simbiotico, come si evince anche dal profilo social di Arianna che una volta ha raccontato addirittura (al Foglio): «I nostri Dna sono sovrapponibili, come quelli di due gemelle omozigote».
Un segno di grande fragilità, questa nomina, per una leadership che vede di fatto così confermata una delle previsioni più pesanti per il partito che ha creato: l’assenza di una classe dirigente. Al netto del gruppo di potere che è lo stesso dai tempi in cui Giorgia Meloni diventò presidente di Azione Giovani e che oggi, raccontano in Regione Lazio, è «affamato di poltrone più di quanto non sia fornito di una filiera» di persone che le occupino.
Al vertice sono sempre gli stessi: è impressionante in questo senso scorrere la lista fornita ad esempio a suo tempo da Francesco Boezi nel libro simpatizzante “Fenomeno Meloni” (2020). Da Fazzolari a Salvatore Deidda, da Augusta Montaruli a Carlo Fidanza passando per Antonio Iannone, Nicola Procaccini, Galeazzo Bignami, Federico Mollicone, ci sono praticamente tutti i nomi di coloro che avrebbero poi preso posti di potere (manca giusto Arianna, chissà perché).
Si capisce che, come primo gesto post vacanze, Giorgia Meloni martedì abbia voluto raccogliere attorno a sé – e a una calamarata tricolore a Palazzo Brancaccio – duecento tra parlamentari, ministri e sottosegretari.
In una sfilata di auto blu degna dei socialisti del “Portaborse”, ma senza il cognato-ministro Francesco Lollobrigida, e la consorte-sorella Arianna. Per serrare le fila, si dice in gergo: anche se il problema parlamentare di Fratelli d’Italia è più specifico e, per certi versi, più allarmante. In questo primo anno in Parlamento da partito di maggioranza, infatti, più di una volta FdI ha mostrato pesanti sviste sulla capacità di tenere compatti i parlamentari e gli alleati.
Il primo inciampo risale al 27 aprile quando, nel bel mezzo di un ponte tra le festività, alla Camera la maggioranza andò sotto al momento di votare lo scostamento di bilancio, con relative crisi di pianto tra i Fratelli, il whatsapp «sono senza parole» scritto a Londra dalla Meloni, votazione ripetuta a tempo di record. In quel caso la vox transatlantici buttava il peso sulle spalle di Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento che avrebbe attirato le ire della premier in quanto troppo spesso assente e comunque poco verificante.
Poi è arrivato un inciampo in commissione sul decreto primo maggio e a seguire il primo Aventino al contrario della storia: non avendo trovato un accordo sul Mes la maggioranza ha disertato la Commissione Esteri della Camera, dove, quindi, il testo favorevole alla ratifica è stato approvato dall’opposizione.
C’è poi stato, l’esilarante caso dell’ordine del giorno con cui Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) impegnava il governo a valutare l’opportunità di introdurre una patrimoniale: l’esecutivo, per bocca della sottosegretaria Fdi Paola Frassinetti, ha dato parere favorevole, l’impegno è stato adottato.
In quel caso le voci additarono la responsabilità alla viceministra del Lavoro Maria Teresa Bellucci, psicologa, docente a contratto, più esperta di volontariato che di trappole parlamentari. È dai tanti anelli di Saturno, insomma, che Meloni dovrà guardarsi. Potrebbero finire per abbattersi sul suo pianeta. O modificare l’orbita, proprio nell’anno delle Europee.
(da L’Espresso)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile LE AUTORITA’ ITALIANE HANNO IMPOSTO ALLA NAVE DI LASCIARE A TERRA TUTTE LE ATTREZZATURE PER EFFETTUARE SALVATAGGI DI NAUFRAGHI, ALTRIMENTI SCATTA L’ARRESTO… LA ONG: “ORDINE OLTRAGGIOSO E INACCETTABILE”
Rinunciare a tutte le attrezzature necessarie per il soccorso in mare, o rischiare l’arresto.
Questa è la decisione che il governo italiano avrebbe messo davanti alla nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea saving humans, secondo quanto riferito dalla stessa Ong.
L’organizzazione, che da anni effettua operazioni di salvataggio di migranti, ha infatti fatto sapere che “è stato ordinato dalle autorità alla Società armatrice della nostra Mare Jonio di ‘rimuovere dalla nave prima della partenza le attrezzature e gli equipaggiamenti imbarcati a bordo per lo svolgimento del servizio di salvataggio’. Pena la violazione dell’art. 650 del Codice penale che prevede l’arresto fino a tre mesi e sanzioni pecuniarie”.
Nell’annunciare la notizia, i responsabili di Mediterranea hanno commentato: “In questi anni pensavamo di averle viste tutte nella insensata guerra dei governi italiani contro il soccorso civile in mare: i codici di condotta e i porti chiusi, i controlli strumentali e le detenzioni tecniche, le inchieste per favoreggiamento e le multe milionarie, da ultimi gli sbarchi selettivi, i porti lontani e gli ingiustificati fermi amministrativi. Ma con l’assurdo ordine impartito alla Mare Jonio si fa un ulteriore passo nella direzione della disumanità”.
Formalmente l’imposizione è legata a un dettaglio, sempre secondo Mediterranea, che è stato segnalato dopo una “ispezione lunga, approfondita e severa” a cui la Mare Jonio – l’unica nave con bandiera italiana che effettua soccorsi in mare – è stata sottoposta.
Le operazioni sono andate avanti dal 22 agosto al 6 settembre, e al termine sono stati rinnovati tutti i documenti per la navigazione. Uno, invece, non è stato concesso: la certificazione come nave “da salvataggio/rescue”.
Il motivo è strettamente tecnico-burocratico: con due circolari emanate tra il 2021 e il 2022, le autorità marittime italiane hanno deciso che per ricevere questa certificazione una nave deve avere “particolari caratteristiche tecniche dello scafo corrispondenti al codice internazionale SPS emanato nel maggio 2008”, ha spiegato Mediterranea. Una “pretesa in sé assurda”, anche perché la nave è già certificata nel Registro navale italiano proprio perché è riconosciuto che abbia l’equipaggiamento adatto a operazioni di ricerca e soccorso (Sar).
In più, “il governo italiano vorrebbe far diventare questo lo standard per tutte le bandiere europee, in modo da ostacolare l’intera flotta civile”, ha denunciato la Ong.
“Che senso ha imporre a una nave, che si prepara a navigare nel tratto di mare più pericoloso e mortifero del pianeta – dove oltre 2.300 persone hanno perso la vita dall’inizio dell’anno – di privarsi di salvagente, battelli gonfiabili, farmaci ed equipaggiamenti medicali e quant’altro è necessario per salvare vite umane in pericolo?”, ha chiesto Mediterranea. “Questo ordine è per noi semplicemente oltraggioso e inaccettabile, così come la minaccia di conseguenze penali per i nostri armatori. Insieme a tante e tanti altri lo rifiutiamo e da subito contesteremo questo provvedimento in ogni sede”.
(da Fanpage)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile TUTTI I POLITICI E I GRUPPETTINI CHE SGOMITANO IN UN’AREA AFFOLLATA
In vista delle prossime elezioni europee, l’area politica del centro
sembra piuttosto affollata. Matteo Renzi ha annunciato la sua candidatura è ha lanciato la sigla “Il Centro”. Ma le formazioni centriste potrebbero dividersi in tre tronconi, disperdendo i voti.
Il centro. Più partiti che voti. Il “brand” se lo è preso Matteo Renzi, lanciando in conferenza stampa la sua candidatura alle elezioni europee del prossimo anno. Ma il lancio del marchio “Il Centro” sancisce la fine definitiva dell’alleanza tra Italia Viva e Azione di Carlo Calenda. E quindi, di fatto, la nascita di un altro centro.
Calenda, Bonino e il centro della sinistra
E infatti se Renzi corteggia Beppe Fioroni, l’Udc, Noi Moderati di Maurizio Lupi e sogna un accordo con Forza Italia di Antonio Tajani, a presidiare il settore moderato del centrosinistra sono rimasti proprio i calendiani e gli ex radicali di +Europa, partito fondato da Emma Bonino e guidato da Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova. Un’aggregazione in cui Calenda e i suoi sperano di attirare i delusi dalla svolta autonomista di Renzi. Magari i parlamentari di Italia Viva che sono ancora vicini alla coalizione di centrosinistra.
Abbiamo già elencato sette partiti, raggruppati in due tronconi. “Il Centro” renziano, equidistante tra i due poli, ma con una strizzata d’occhio al centrodestra, poi Azione e +Europa che dovrebbero rimanere ancorati ai progressisti. Anzi, addirittura in Parlamento c’è chi ipotizza una corsa di Calenda e Bonino all’interno della stessa lista del Pd, magari con in piccolo i loghi dei due partiti. Molto dipenderà dall’abbassamento o meno della soglia di sbarramento per conquistare seggi nel prossimo Parlamento europeo. Con un mantenimento della soglia del 4%, resterebbe ancora in piedi lo scenario dei centristi vicini al Pd candidati direttamente nella lista dei dem.
Lo strano centro di De Luca, Castelli, Moratti, Emiliano
Ma non ci sono soltanto Renzi, Calenda, Bonino e i centristi che ancora sono nella coalizione di centrodestra. Alle europee è pronto a correre pure un “terzo centro”, anche se Cateno De Luca, uno degli animatori di questo tentativo, rifiuta la definizione. Il sindaco di Taormina e mister preferenze alle ultime elezioni regionali in Sicilia (500mila voti) preferisce parlare di un movimento che punti all’ “equità territoriale” tra Nord e Sud. A partire proprio dalla nuova denominazione del suo partito, che da Sud chiama Nord è diventato Sud con Nord.
In questa strategia rientra la candidatura di De Luca per il collegio senatoriale di Monza, che è stato di Silvio Berlusconi. “È una mossa per avere più visibilità”, dicono dall’entourage di “Scateno”. Ma l’avventura brianzola serve anche a tentare un radicamento al Nord. E non mancano i contatti, con l’obiettivo di costituire un listone autonomista trasversale.
I protagonisti del “terzo Centro”
Quindi, nel terzo centro potrebbero trovare posto i leghisti delusi dalla svolta nazionale di Matteo Salvini. Su questo fronte sono in corso contatti con l’ex ministro della giustizia Roberto Castelli e altri movimenti nordisti che un tempo gravitavano nell’orbita del Carroccio. Al Nord De Luca tratta con Letizia Moratti, cercata anche da Renzi per il suo progetto de “Il Centro”. E poi c’è il Mezzogiorno, con i contatti tra Sud con Nord e le liste civiche che in Puglia e Campania hanno sostenuto rispettivamente i governatori del Pd Michele Emiliano e Vincenzo De Luca.
Più partiti che elettori
E così alle europee il centro potrebbe essere presidiato da tre liste: i centristi che guardano a sinistra di Calenda e +Europa, “Il Centro” di Renzi e l’alternativa autonomista dello strano centro di De Luca, Castelli, Moratti ed Emiliano. Senza contare i movimenti dei centristi che sostengono il centrodestra. Dall’Udc a Noi Moderati di Lupi, fino a Forza Italia.
(da true-news.it)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile RADIO 1 E’ DIVENTATO UN CANALE DI PROPAGANDA LEGHISTA
Gentili radioascoltatori, ecco il palinsesto di Radio1Rai, in vigore da oggi. La sveglia suonerà alle 6,30: Il caffè, condotto da Roberto Poletti, il biografo di Salvini, autore de “Il Matteo pensiero dalla A alla Z”.
Alle ore 9,05, Giù la maschera, ai microfoni Marcello Foa, il presidente Rai durante il governo gialloverde, noto per un suo tweet contro Sergio Mattarella, e il cui figlio bazzicò per un certo periodo lo staff di Salvini. Con una squadra composta da Peter Gomez, Luca Ricolfi, Alessandra Ghisleri e Giorgio Gandola (giornalista de La Verità), prende il posto della coppia Luca Bottura–Marianna Aprile.
Un’ora dopo, Ping Pong, dal martedì al venerdì con la salviniana di ferro Annalisa Chirico e Cristina Tagliabue. Il lunedì invece tocca a Federico Ruffo, il volto di Mi manda Rai 3. Dopo di lui Savino Zaba, direttore del Teatro Mercadante di Cerignola, dato in quota Lega.
Alle ore 10,30 scocca l’ora di Formato famiglia, si suppone quella tradizionale.
Alle 11 irrompe Epurator Francesco Storace, attuale giornalista d’assalto a Libero. Condurrà Il Rosso e il Nero. Il Nero, si capisce, è lui. Sul Rosso c’è stato qualche patema. La prescelta era Luisella Costamagna, ma il numero zero avrebbe sancito l’incompatibilità tra i due (voci di redazione riferiscono di una litigata rumorosa) e ora pare che sarà Luxuria a sostituirla, dopo che era stata sondata anche Francesca Fagnani.
Del vecchio palinsesto mattutino si sono salvati Radio anch’io, la storica trasmissione di Giorgio Zanchini, ma decurtata di un’ora (inizia alle 7,30) e Un giorno da pecora dei graffianti Geppi Cucciari e Giorgio Lauro. Non ci sono più Giovanna Zucconi che parlava di libri, Massimo Recalcati che dialogava di psicanalisi, la virologa Antonella Viola, il botanico Stefano Mancuso, la scrittrice Carlotta Vagnoli, che aveva un format su donne e violenza di genere.
Ma proseguiamo con la programmazione pomeridiana.
Alle ore 16 c’è Il Pomeriggio di Radio1 con Simona Arrigoni, che forte di entrature leghiste balzò anni fa da 7 Gold a inviata di Anni 20, la trasmissione di Rai2 con Alessandro Giuli, poi chiusa.
Ore 17,40 Cantiere Italia, con Monica Setta, da una vita estimatrice di Salvini, che in questi anni è stata a Iso Radio.
Iso Radio è stata una grande cantera leghista durante la direzione di Angela Mariella, e da lì è stato pescato anche Igor Righetti, il nipote di Alberto Sordi, che condurrà alle 20,30 Igorà tutti in piazza.
Zapping, l’approfondimento delle 19,30 di Giancarlo Loquenzi, è stato tagliato di mezz’ora.
I padrini di questo ribaltone sono Igor De Biasio, consigliere d’amministrazione Rai d’area Lega, incarico che cumula con quello di presidente di Terna, e Francesco Pionati, il direttore dei Gr e della rete radiofonica.
Di Pionati si erano perse le tracce nel 2013, dopo la fine dell’esperienza parlamentare: era finito in una stanza al Rione Borgo. Lì, per dieci anni, è rimasto distaccato presso Rai Com, «alle dirette dipendenze dell’amministratore delegato». In quel parcheggio dorato lo pizzicò un cronista di Repubblica nel 2016, perché la stessa Rai aveva rivelato il suo stipendio: 203mila euro l’anno. «Guardate il mio curriculum non solo la busta paga», si difese con invincibile prontezza Pionati, e del resto se parlate con lui dopo cinque minuti avete l’impressione di essere il suo miglior amico. Il figlio del sindaco demitiano di Avellino, assunto in Rai a 26 anni, volto del pastone del Tg1, poi due volte deputato dell’Udc, era entrato in quella stanza democristiano e ne è uscito leghista.
Com’è possibile? Da capo dei Responsabili pro Berlusconi, (quelli di Scilipoti e Razzi), aveva conosciuto Denis Verdini, da lì la folgorazione per Salvini è stata un attimo. Certi miracoli accadono solo in Rai.
(da agenzie)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile “ORA A CHIEDERCI LO ZAINO E L’ASTUCCIO E’ IL VICINO DI CASA”
“Ormai a chiederci lo zaino e l’astuccio è il vicino di casa”. Le parole
di Stefania Fumagalli, membro della Caritas, descrivono bene l’impoverimento diffuso che trova un riscontro significativo con l’inizio dell’anno scolastico. Dalla Lombardia alla Sicilia, decine di Comuni, associazioni, parrocchie, sedi Caritas raccolgono materiale didattico da consegnare a chi non riesce ad arrivare a fine mese: e tutte queste realtà confermano che sono in forte crescita le famiglie che non riescono a comprare uno zaino, le penne e le matite ai loro figli per poterli mandare a scuola: parliamo di un ceto medio impoverito, a volte anche composto da professionisti (soprattutto nelle metropoli dove il costo della vita è altissimo) che è costretto a chiedere una mano sul “corredo” scolastico, perché una spesa aggiuntiva nel mese di settembre diventa insostenibile per il bilancio familiare. Al punto da mettere a rischio anche la possibilità di soddisfare bisogni primari.
A fare la fila si ritrovano persone con storie diverse, unite dalla difficoltà economica: c’è il rider, il ristoratore che ha dovuto abbassare la serranda a causa del Covid, lavoratori che hanno dovuto ripiegare su un’occupazione saltuaria, papà e mamme separati e poi badanti che hanno portato in Italia i loro figli o coppie di migranti con quattro o cinque figli. E una buona metà di coloro che hanno necessità di aiuti didattici sono italiani. D’altro canto la perdita di potere d’acquisto, unita ai rincari e in alcuni casi anche alla perdita del reddito di cittadinanza, sta mettendo in ginocchio molte famiglie italiane: secondo Federconsumatori, il corredo scolastico, quest’anno, può comportare una spesa media di 600 euro a studente. Senza contare il costo dei libri di cui “Il Fatto Quotidiano.it” si è già occupato nelle scorse settimane.
Il prezzo – a detta di Eurostat e Uil Scuola – del materiale utile agli studenti come penne, matite, carta, gomme, temperamatite e forbici è salito del 13% tra gennaio e maggio 2023. I numeri, le percentuali di crescita dei prezzi di libri o corredo, descrivono solo in parte il problema, che è quello dell’impoverimento sempre più diffuso e quindi dello scivolamento verso la povertà di un ceto che si era sempre considerato (ed era sempre stato) medio. Una situazione che si riscontra in tutta Italia, con punte soprattutto nelle zone in cui il costo della vita è più alto.
A Milano a dare una mano alle famiglie in difficoltà, tra gli altri, c’è la Caritas con i suoi empori, 440 centri di ascolto, 300 doposcuola attivi dove arrivano le richieste di materiale didattico. Qui si incontrano – come racconta il direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti – molti cittadini che un lavoro ce l’hanno, ma è largamente insufficiente per vivere: “Il vero problema, in una città come Milano, è avere un contratto di lavoro, spesso precario, che non ti permette di arrivare a fine mese”. A chiedere lo zaino per i figli, nella Milano da bere, sono sempre più le persone con la casa di proprietà ma senza un reddito sufficiente per affrontare le spese. “A noi si rivolge anche chi è vittima di usura e che arriva a quel punto per poter mandare a scuola i figli, ma poi si rende conto di non farcela più”. Una questione sempre più delicata nel capoluogo lombardo, dove spesso chi ha bisogno del corredo per i figli deve superare l’imbarazzo e il senso di colpevolizzazione per farsi aiutare. Nel capoluogo lombardo, a raccogliere materiale per i bambini che tornano tra i banchi c’è anche la fondazione “Somaschi” con la campagna “A scuola uguali”. Un’attività fatta soprattutto per gli oltre 210 ragazzi accolti nelle loro comunità ma anche per le tante famiglie in housing sociale o in case Aler. “Lavoriamo – spiega Luigi Poggesi, responsabile della raccolta fondi e della comunicazione – in ogni settore, anche tra i camminanti, i rom, con le case rifugio per le donne che hanno subito maltrattamenti ma da noi vengono anche i rider o famiglie che lavorano all’ortomercato o donne che hanno figli e si prostituiscono per vivere. Una povertà di questo livello non si era mai vista”.
Fuori Milano, la musica non cambia. A Gorgonzola, 21 mila abitanti, alle porte del capoluogo lombardo, in questi giorni le cartolerie Rebecca e del Campanile, il Comitato genitori del Molino Vecchio, Mani Tese e la Gente del MaGo, la Fondazione Somaschi e #Gate33, MondoAlegre, Cav e Lilt, Acli, Caritas e molti altri, hanno lanciato la campagna “Nessun bimbo resti senza” con quattro punti di raccolta in luoghi diversi della città: “Anche nella nostra città – dice Stefania Fumagalli – la povertà è sempre più crescente. La distribuzione di cibo è raddoppiata da un anno con l’altro e ora abbiamo famiglie dove l’incidenza del costo del materiale didattico pesa gravemente sulle spese”. A Gorgonzola sono andati anche oltre la raccolta: “Abbiamo proposto –racconta Jessica Benucci, della cartoleria Rebecca – a chi veniva al banchetto, l’affido culturale, per dare la possibilità di andare al cinema, al museo a qualche bambino che non può permetterselo perché anche questa è povertà”. A Crema, 35 mila abitanti, immersa nella ricca Pianura Padana da vent’anni c’è Renato Stanghellini del gruppo “I Pantelù” che ogni anno ad agosto e settembre raccogliere quaderni, matite, pastelli e altro per le famiglie che hanno bisogno. “La richiesta maggiore è arrivata ben prima del Covid. E’ in quel periodo che ho osservato che la situazione si stava aggravando”.
Da Milano, dalla Lombardia, a Roma dove ad occuparsi di questo problema è l’Odv “Nonna Roma” che dal 2018 organizza “Matita sospesa”. Insieme al diritto al cibo, alla casa, al lavoro si occupano del diritto allo studio: raccolgono nelle cartolerie articoli di cancelleria, per poi piazzarli negli empori dove le famiglie in difficoltà, attraverso una tessera a punti, possono in autonomia, rifornirsi del necessario. Lo scorso anno hanno aiutato circa 50 nuclei famigliari, quest’anno solo con le richieste raccolte fino ad oggi sono arrivati già a 120. Ma la questione non è solo numerica. “E’ cambiato chi ha bisogno”, spiega Andrea Simone. “Non si rivolgono a noi – continua il responsabile del progetto – solo famiglie migranti o italiane con prole numerosa ma anche professionisti, famiglie mononucleari con persone in età lavorativa. E’ la nuova povertà. La metà di chi fa richiesta sono italiani che hanno perso il lavoro dopo il 2018 e ora hanno occupazioni saltuarie. Gente che senza il reddito di cittadinanza ha meno possibilità per questo tipo di spese. Si rivolgono a noi anche adulti, senza figli che devono affrontare una formazione per un tirocinio o acquisizione di nuove competenze”.
Più a Sud la situazione è la stessa. A Racale, in provincia di Lecce, l’ Amministrazione Comunale con l’ufficio servizi sociali, insieme con le Associazioni Racale Cam, il Comitato Genitori, la Consulta giovanile, il Consiglio Comunale dei Ragazzi e la Proloco hanno organizzato nei giorni scorsi la raccolta del materiale didattico. “Fino a pochi anni fa avevamo – dice Matteo Stamerra, tra i volontari – solo due punti di raccolta, ora sei. Su 12 mila famiglie, ben quaranta hanno bisogno”. Un’analisi confermata dall’assessore Elisabetta Francioso che ci spiega: “Qui c’è gente che non ha la possibilità di comprare il grembiule. Si rende conto? Il problema esiste da prima la pandemia e non è migliorato dopo il Covid. Ad avere bisogno di materiale didattico è il papà con uno stipendio da 1.200 euro con tre, quattro figli e un affitto nelle case popolari”.
Una situazione conosciuta anche a Benevento dove il “Centro Solidale Bene-Attivi” della Pro loco Samnium, ha attivato lo “Zaino sospeso”. A restituirci la fotografia dell’iniziativa è Giuseppe Petito, presidente della Pro Loco: “La pandemia ha distrutto le famiglie. Conosco commessi, baristi che hanno bisogno di zaini, quaderni. La spesa per la scuola incide pesantemente nella vita di queste persone. Noi fino a qualche anno fa aiutavamo due-tre famiglie, ora sono 150. Ci chiedono una mano le stesse scuole superiori soprattutto i professionali e gli alberghieri”.
Uno spunto interessante arriva anche dalla Coop che dal 2017 ad oggi organizza “Dona la spesa” una colletta solidale di materiale scolastico che poi finisce nelle mani di associazioni che distribuiscono il tutto alle famiglie che hanno bisogno. Sei anni fa gli enti che chiedevano alla Coop di poter avere la spesa didattica donata erano 374, nel 2022 sono stati 699. Ma accanto a questi numeri c’è un altro dato che preoccupa: se nel 2017 erano stati raccolti 639 mila articoli; nel 2022 sono persino diminuiti a 571 mila: le famiglie donano meno. Anche chi può dare una mano, fa più fatica.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile L’ASSEMBLEA DI FDI E’ IL MOMENTO CELEBRATIVO DI UNA CLASSE DIRIGENTE SCELTA PER FEDELTA’ ALLA LEADER
In pochi, nel dicembre 2012, avrebbero pensato che il progetto di Fratelli d’Italia potesse portare alla guida del paese. Forse nemmeno Giorgia Meloni lo immaginava, quando si muoveva da vera underdog, come ha rivendicato nel suo discorso programmatico alla Camera nello scorso ottobre. Erano gli ultimi giorni del governo Monti, quando si consumava la scissione nel Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi.
Era stata la risposta aggressiva di Meloni e dei suoi fratelli politici alla mancata organizzazione delle primarie di coalizione per la leadership alle elezioni politiche. FdI, però, era lontana dai riflettori mediatici. Il battesimo elettorale, nel 2013, non fu un successo, il risultato fu addirittura inferiore al 2 per cento.
Insieme alla giovane leader c’erano alcuni ex missini che non potevano restare indifferenti al richiamo della fiamma, come Ignazio La Russa e Fabio Rampelli, più un manipolo di trentenni o poco più cresciuti tra la miltanza in Azione giovani e una manifestazione di Atreju. La star era Guido Crosetto.
Dieci anni dopo, nel settembre 2023, Fratelli d’Italia si prepara a festeggiare la grande ascesa con l’assemblea nazionale di domani e un soggetto diverso dagli esordi che nutre l’ambizione di essere il fulcro della politica italiana. Con il pericolo che si staglia all’orizzonte: rivelarsi una delle tante bolle degli ultimi anni, con leader e partiti che hanno registrato rapide scalate e altrettanto veloci picchiate.
CELEBRAZIONE DECENNALE
L’assemblea nazionale del 12 settembre di Fratelli d’Italia è insomma un appuntamento politico per dare la direzione futura al partito, in vista delle sfide che lo attendono. Ma è soprattutto il momento celebrativo di un piccolo partito, nato con le stigmate di una ridotta postfascista e identitaria di destra, trasformatosi forza di maggioranza relativa in questa legislatura
L’ambizione dichiarata è il 30 per cento alle Europee. Un balzo che renderebbe FdI simile a quel partito della Nazione vagheggiato da molti, su tutti Matteo Renzi. Un soggetto dal consenso stabile, una sorta di Balena bianca – almeno nei numeri – del nuovo Millennio come profetizzato dal deputato di FdI ma con un lungo cursus honorum berlusconian-democristiano, Gianfranco Rotondi.
«Quando capiranno che Giorgia Meloni non è il nuovo fascismo, ma la nuova Dc, per loro sarà tardi», ha detto con il solito stile felpato, bacchettando gli avversari. Un mantra, il suo, sul melonismo come la terra promessa dei democristiani.
La teoria di Rotondi cozza con le decisioni contraddittorie della leader, che da un lato apre a politiche di stampo meno sovraniste e più pragmatiche. Ma dall’altro non cede un millimetro alla struttura familistica del partito.
La collocazione saldamente atlantista, la prudenza sui conti per la prossima manovra così come l’archiviazione della smania anti-europea incarnano lo spirito della “nuova FdI” con uno spostamento verso il moderatismo.
«La recente linea politica si avvicina più a un Partito popolare europeo, che a soggetti come Vox. Le radici restano quelle note, ma le issues politiche su economia e società sono mutate in maniera significativa», dice a Domani Paolo Natale, docente dell’università di Milano ed esperto di flussi elettorali. «C’è stata un’evoluzione nelle parole d’ordine. Basti pensare alle idee sull’euro, l’economia. Davvero non c’entrano più nulla con quelle del passato».
Cambiano così pure gli interlocutori. Salvatore Vassallo, docente di scienza politica all’Università di Bologna, coglie infatti «un certo disallineamento con i governi ungheresi e polacchi, storicamente vicini alla linea di Fratelli d’Italia, anche se viene fatto di tutto per conservare una buona relazione».
FRATELLI DI LEADERSHIP
Ma se la strategia politica vive un’evoluzione, se non una mini-rivoluzione, il gruppo dirigente resta cristallizzato nella solita cerchia ristretta, nel segno del familismo o del fideismo verso le leader. La promozione a capo della segretaria di FdI di Arianna Meloni, sorella della premier e compagna di vita del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è il termometro di un partito arroccato sui legami personali e parentali.
Certo, non ci sono solo i fratelli e le sorelle di sangue, ma una fratellanza anche politica. Così si spiega la nomina del sottosegretario e mentore della premier, Giovanbattista Fazzolari, al ruolo di coordinatore della comunicazione del governo, mentre è stato messo alla porta Mario Sechi, ex capo dell’ufficio stampa della premier. Al momento non è stato indicato un sostituto. «Ce n’è davvero bisogno?», sostiene qualche fonte governativa.
Giorgia Meloni continua quindi a lasciare il potere nelle mani di pochi, i soliti noti. Ed è una delle motivazioni per cui il deputato e responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, e il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, sono stati difesi ventre a terra di fronte alle rivelazioni di informazioni segrete.
È scattata la protezione automatica di quella che è «la terza generazione del Movimento sociale italiano che non ha più problemi di accreditamento», osserva Vassallo. L’eredità della fiamma non rappresenta un peso. Il motivo? «C’è una continuità nei tre partiti della fiamma (Msi, An e FdI, ndr), ma ci sono anche degli elementi di discontinuità», aggiunge il politologo. «Fratelli d’Italia ha raccolto un’eredità politica, ma arriva anche dopo quasi vent’anni dalla svolta di Fiuggi».
Un lasso temporale in cui è cresciuta la generazione Atreju, legata all’evento annuale in cui la “giovane destra” si è ritrovata a Roma, tra il simbolismo tolkeniano e l’attualità politica. Nell’elenco spicca Galeazzo Bignami, viceministro alle Infrastrutture e probabile candidato alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, la presidente della commissione antimafia, Chiara Colosimo, l’eurodeputato Nicola Procaccini, il presidente della commissione cultura della Camera, Federico Mollicone e altri.
Insomma, i post missini cresciuti all’ombra della leadership di Meloni in Azione giovani, conquistata a Viterbo nel 2004 a danno Carlo Fidanza, all’epoca candidato scelto dall’establishment capeggiato da Gianni Alemanno.
Già allora la futura premier «dimostrava di saper mettere insieme le diverse istanze tra le correnti della destra ex Msi, divise anche dalla collocazione internazionale. C’erano atlantisti più filoamericani e la destra sociale più critica nei confronti degli Usa», racconta una fonte che ha seguito quel percorso.
TRANSUMANZA A DESTRA
L’immagine è quella di una leader equilibrista, simil dorotea, che si muove nel territorio della destra radicale, in grado di unire anime in conflitto. Fino a fonderle nel pensiero unico del melonismo che pervade oggi il partito. Alle ultime elezioni FdI ha provato a dare un segnale di apertura.
Nelle liste sono stati inseriti candidati esterni da quel mondo, dall’ex presidente del Senato, Marcello Pera, all’ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, passando per l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Nomi altisonanti nel centrodestra, che hanno riconquistato la rielezione in parlamento. Solo che non hanno ottenuto un riconoscimento sul piano degli incarichi: si sono dovuti accontentare di qualche presidenza di commissione.
«Ancora non è chiaro come può evolversi la classe dirigente di Fratelli d’Italia. Ma resta il quesito se quello attuale sia un reticolo organizzativo soddisfacente», osserva ancora Vassallo. La sfida vera inizia dai prossimi mesi fino alle politiche del 2027 con il passaggio intermedio delle Europee. Sui territori la tendenza è quella prevedibile della gara a salire sul carro dei vincitori.
Da Milano a Palermo i dirigenti locali abbracciano la causa meloniana in uno scambio reciproco di interessi. Fratelli d’Italia garantisce un tetto politico e loro portano in dote il pacchetto di voti a disposizione. Di esempi se ne contano a decine.
A inizio anno l’ex coordinatore nazionale dei giovani di Forza Italia, Marco Bestetti, ha aderito a FdI con cui è stato eletto nel consiglio regionale in Lombardia alle ultime elezioni. A Verona, l’ex sindaco Federico Sboarina aveva fatto da apripista a questa tendenza: ha dismesso i panni del civico per prendere la tessera di Fratelli d’Italia.
Più a sud, a poche ore dalle politiche di settembre, il partito della premier ha fatto il pieno di ex amministratori locali nelle municipalità di Napoli, come Alberto Pierantoni e Maurizio Tesorone.
In Sicilia il trasferimento è altrettanto imponente. Solo ad Adrano (comune di oltre 30mila abitanti in provincia di Catania), a luglio, sono arrivati tre consiglieri comunali, i Melita Saitta, Massimiliano Zignale e Cataldo Dell’Erba. Una lista di nomi poco noti alla ribalta nazionale, che tornano utili per comprendere la dinamica in atto. Solo che i portatori di voti devono limitarsi a questo, c’è poco spazio per ruoli dirigenziali.
IMPRESE TIEPIDE
La chiusura all’esterno alimenta una diffidenza tra le varie realtà, che si riverbera sul rapporto con le imprese, una galassia filogovernativa per antonomasia. Il Nord-est produttivo ha concesso elettoralmente fiducia a Fratelli d’Italia alle politiche del 2022 con il 32,7 per cento in Veneto e il 28 per cento in Lombardia. Le realtà produttive sono però rimaste tiepide sul sostegno economico.
La mappa delle donazioni indica una certa predilezione degli imprenditori per altri partiti, Lega e Forza Italia nel centrodestra, e Azione e Italia viva nell’area liberal-democratica. Certo, le elargizioni economiche sono aumentate, ma non quanto altri competitor.
La traccia del sentiment imprenditoriale è stata data da Leopoldo Destro, presidente Confindustria Veneto Est: «Al governo do la sufficienza, ma deve fare di più, specie in un momento in cui le cose sono critiche». Il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, è in una posizione attendista.
Fratelli d’Italia è così al bivio: diventare davvero la Dc del terzo millennio, come sostenuto da Rotondi, o fare i conti con il rischio di un veloce declino.
Un film già visto con Matteo Renzi, che da segretario del Pd era arrivato al 40 per cento salvo poi precipitare al 18 per cento. E sulla stessa falsariga si è mosso il Movimento 5 Stelle, passato dal 33 per cento del 2018 a meno della metà quattro anni e mezzo dopo.
Al momento Meloni non ha competitor nella coalizione: la morte di Silvio Berlusconi ha privato Forza Italia del suo leader e Matteo Salvini ha già giocato, male, le sue possibilità all’inizio della scorsa legislatura, con l’apice toccato al Papeete nel 2019.
Il pericolo può sorgere da un’ipotetica nuova leadership in quell’area politica. «In Italia esiste una fascia di popolazione vicina alla destra» dice Natale, «che storicamente è circa il 45 per cento dell’elettorato italiano, che tende a votare il maggior partito della coalizione. Così gli elettori passano da Berlusconi a Salvini o a Meloni, senza particolari traumi».
L’assemblea di domani è il crocevia per le Europee. «Il voto arriva dopo la prima vera manovra economica del governo, visto che la precedente era in parte impostata da Draghi», osserva Lorenzo Pregliasco, direttore di YouTrend e co-fondatore di Quorum.
«È un tagliando che rischia di essere difficile – prosegue – nonostante il centrodestra arrivi da un risultato positivo dalle Amministrative, una tornata elettorale non sempre favorevole a quella coalizione. Solo che non è affatto scontato che ci sia una conferma del consenso di Fratelli d’Italia. Entriamo in una fase in un cui può svanire l’effetto della luna di miele».
Il rischio si annida poi nella particolarità del voto: «Gli elettori – conclude Pregliasco – scelgono più a cuor leggero. Non c’è una decisione netta per la maggioranza del paese». Al netto dell’esito elettorale, comunque, per Meloni e i suoi fratelli non ci sono scorciatoie: dalla compilazione delle liste si capirà quale direzione è stata intrapresa tra moderatismo post democristiano, con un partito aperto a energie fresche, o la tentazione d’antan del sovranismo, nel segno del familismo. E l’arroccamento, oggi, sembra l’opzione prediletta.
(da Editorialedomani)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile METÀ DEGLI ITALIANI HA FATTO MENO DI UNA SETTIMANA DI VACANZE, IL 25% NE HA FATTE UNA O DUE, MENTRE UN MESE DI FILA HA RIGUARDATO SOLO IL 5% DELLE FAMIGLIE… GLI OPERATORI DEL TURISMO GODONO LO STESSO: CON L’AUMENTO DEI PREZZI NON HA SPAVENTATO I RICCONI STRANIERI
Il verdetto sull’estate 2023 del turismo in Italia è questione di punti
di vista. Per le famiglie italiane il bilancio è nettamente negativo. Assoturismo (gli operatori del settore associati a Confesercenti) rileva che i pernottamenti degli italiani in vacanza sono diminuiti del 5,7%, con forte contrazione soprattutto in agosto: – 10% (rilevazione Coldiretti/Ixè).
E dietro a questi numeri di sintesi ci sono milioni di persone che hanno dovuto rinunciare del tutto a muoversi, costrette dai loro redditi familiari stagnanti e dai prezzi in aumento, mentre altrettanti milioni hanno tagliato il periodo delle trasferte. Ma anche coloro che sono andati in vacanza, inclusi i più benestanti che non hanno avvertito alcun sacrificio durante le ferie, si sono trovati comunque a pagare parecchio di più dell’anno scorso.
I turisti stranieri sono invece aumentate del 3,6%. Poi c’è un terzo punto di vista, quello degli operatori di settore. A loro è andata piuttosto bene. «L’estate 2023 è una stagione positiva» dice a La Stampa la presidente di Federturismo (associazione di settore di Confindustria) Marina Lalli, pur facendo «una media fra situazioni molto diversificate». È vero che il -5,7% delle presenze turistiche italiane e il +3,6% di quelle straniere si sintetizza in un -1,4% totale (sono ancora i numeri di Assoturismo). Ma a fronte di questo lieve calo nei pernottamenti c’è stato un nettissimo aumento degli introiti da ogni singolo turista.Tirando le somme: gli operatori del turismo, nel complesso, hanno guadagnato molto di più dello scorso anno.
Inoltre c’è stato il tutto esaurito per le crociere, da Msc a Costa e a Star Clippers: dal “fronte del porto” il direttore generale di Msc Crociere, Leonardo Massa, segnala «numeri record e tutto esaurito nel Mediterraneo». Per quanto riguarda le famiglie italiane, le cui difficoltà economiche sono evidenti, la presidente di Federturismo Marina Lalli segnala che «metà dei turisti italiani ha fatto meno di una settimana di vacanze, il 25% ne ha fatte una o due, mentre la classica vacanza di una volta, cioè un mese di fila, riguarda ormai meno del 5% delle famiglie».
La presidente è critica con chi «ha alzato i prezzi dei servizi turistici non in linea con la semplice inflazione», però sottolinea che «era da diversi anni che i prezzi delle vacanze non venivano adeguati».
(da La Stampa)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile IL TEAM ITALIANO HA RACCONTATO ALLE AGENZIE L’INEFFICIENZA DEI SOCCORSI MAROCCHINI. E SCOPPIA UN CASO DIPLOMATICO
Sta creando più di un problema diplomatico la mini-missione in aiuto dei terremotati del Marocco del Roe della protezione civile italiana presieduto da Cicchetti Marchigiani partita da Roma arrivando ad Adassil.
Il team composto da 4 persone è stato infatti prodigo di dichiarazioni alle agenzie sulla inefficienza dei soccorsi marocchini che in alcune zone non sarebbero ancora arrivati. Il Roe- Raggruppamento operativo emergenza, colonna mobile della protezione civile italiana, si è mosso infatti volontariamente senza coordinarsi né con le autorità italiane né con quelle marocchine. Il team è entrato in Marocco compilando come tutti la fiche di entrata che consente la permanenza nel paese per 90 giorni dichiarando “turismo” come motivo del viaggio.
Le autorità diplomatiche marocchine secondo quanto risulta ad Open non hanno preso affatto bene quella missione di scouting nelle zone terremotate, e hanno protestato con la presidenza del Consiglio italiana, che ha chiamato Cicchetti Marchigiani per avere spiegazioni e gli ha chiesto di fare una dichiarazione poi rilasciata all’Ansa, precisando: «Siamo qui in forma privata e non c’entra niente lo Stato italiano». Ma non sembra che questo abbia placato l’ira delle autorità marocchine: «Quel team ha dichiarato il falso», spiega ad Open una fonte diplomatica marocchina, «e questo comporterà problemi con l’Italia». Per altro le autorità marocchine fanno notare che non si viene in forma privata indossando la divisa blu del Roe della Protezione civile italiana.
Perché il Marocco non vuole esser aiutato
Come ha spiegato in una intervista a Le Monde Sylvie Brunel, ex direttrice dell’associazione umanitaria Action contre la faim, il Marocco è molto attento alla propria sovranità anche in un caso drammatico come questo: «Re Mohamed VI -ha spiegato- vuole mantenere l’autorità sul Paese. È anche una forma di orgoglio nazionale. Mettetevi al posto del Marocco. In caso di catastrofe naturale in Francia, immaginate ong marocchine o americane che si precipitano? L’aiuto umanitario internazionale va sempre dai Paesi sviluppati in direzione dei non sviluppati. In quanto Paese emergente, che vuole essere interlocutore dell’Europa ed aspira a uno status di potenza regionale, Rabat vuole dimostrare che è sovrana, capace di pilotare i soccorsi e non comportarsi come un Paese povero devastato che tutti vanno pietosamente a soccorrere».
(da Open)
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Settembre 11th, 2023 Riccardo Fucile SECONDO L’INVIATO DEL NEW YORK TIMES IN INDIA, IL PRESIDENTE AMERICANO, CHE S’E’ FERMATO A SCAMBIARE DUE CHIACCHIERE PERSINO CON I RAPPRESENTANTI DELLE ISOLE COMORE, NON AVREBBE AVUTO NESSUNA INTERAZIONE CON LA DELEGAZIONE ITALIANA
Giorgia Meloni è uno dei pochi leader con cui il presidente Biden
non ha parlato durante il G20 di New Delhi, almeno secondo quanto riferisce l’inviato del New York Times Peter Baker, nel messaggio di informazioni ufficiale che ha mandato a tutti gli inviati al seguito della Casa Bianca.
Non ci sono spiegazioni specifiche sul motivo. Quando il capo della Casa Bianca è in viaggio, c’è sempre un pool ristretto di giornalisti che lo segue 24 ore al giorno, per poi inviare informazioni costanti a tutti gli altri colleghi accreditati, che in quel preciso momento non possono partecipare alle attività del presidente perché l’accesso è limitato. Quindi Baker dal Vietnam ha spedito un’informativa a tutti, dove si legge che l’Italia è uno dei pochi paesi con cui non ci sono stati colloqui specifici diretti tra i leader
Il messaggio dice: “Secondo la Casa Bianca: al vertice del G20, il presidente Biden ha parlato con i leader dei seguenti paesi, in un ordine non particolarmente motivato: Canada, Australia, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Nigeria, Francia, Regno Unito, Germania, Cina, Arabia Saudita, India, Bangladesh, Argentina, Sudafrica, Corea del Sud, Giappone, Turchia, Comore”.
In pratica tutti, tranne Meloni. Mentre era a Delhi, a causa del poco tempo a disposizione, Biden ha avuto un bilaterale ufficiale solo con il padrone di casa Modi. Poi l’ufficio stampa ha rivelato interazioni con un paio di altri leader asiatici. Quindi quelli indicati da Baker non sono incontri formali, ma conversazioni rapide ed occasionali accadute durante gli incontri. Curioso che Meloni sia in pratica l’unica non citata.
La presidente del Consiglio è stata ricevuta alla Casa Bianca il 27 luglio scorso, e Biden ha apprezzato in particolare la sua fermezza sull’Ucraina. A Delhi poi la premier ha di fatto annunciato l’uscita dalla Via della Seta, come auspicato da Washington, durante il suo bilaterale con il premier Cinese.
È vero che l’amministrazione ha qualche riserva su alcune politiche adottate sul fronte domestico, come quella riguardo la comunità Lgbtq, mentre anche la linea sui migranti e il rapporto teso con l’Unione Europea fanno discutere, però non sono elementi che finora hanno giustificato problemi bilaterali. È possibile che sia stata una dimenticanza casuale, e Meloni abbia avuto qualche scambio con Biden non riportato, ma resta la curiosità di come sia avvenuta questa esclusione dall’elenco.
(da La Repubblica)
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