Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
“L’OCCIDENTE NON HA FATTO NULLA PER AIUTARCI, LOTTIAMO CONTRO LO ZAR RUSSO FINO A QUANDO POTREMO”
Non dissimuliamo solo noi stessi e ci rendiamo diafani come fantasmi. Dissimuliamo pure l’esistenza degli altri. Non nel senso che commettiamo azioni deliberate e violente (questo solo in alcune circostanze estreme). Li dissimuliamo in modo più definitivo e radicale: li trasformiamo in Nessuno. Il nulla diventa individuo, si fa corpo e persona. L’esempio più recente, in triste fila subito dopo i siriani, i sudanesi, i tigrini, i saharawi, i migranti eccetera, sono gli armeni del Nargorno Karabakh. Da quando “l’operazione speciale” degli azeri ha completato, con fulminante successo, il programma di pulizia etnica (una volta la chiamavamo così… ) degli armeni dell’Artsakh che la Storia ha rinchiuso nello Stato azero, con determinazione e prontezza l’Occidente, parolaio e implacabile nel difendere i Diritti, ha dissimulato la loro esistenza. Agisce come se non esistessero. Li nullifica, li annulla, verrebbe da coniare una verbo audace: li nessunizza.
Novantatremila son già fuggiti in Armenia portandosi dietro un calvario di miseria disperazione tragici racconti di violenze stupri ladrocini, umiliazione: l’Artsakh, chiamavano così la loro disgraziata enclave vittima di una Storia contorta, non esiste più. Smacchiata dalle carte geografiche, hanno annunciato gli azeri vincitori. L’alternativa concessa agli armeni: la valigia, ma in qualche caso non è concessa neppure quella, o vivere da minoranza, che vuol dire sparire più lentamente. A loro si aggiungeranno forse gli abitanti della regione armena di Suynik: Baku dice che fu un errore di Stalin, un corridoio perfetto per riunirsi ai fratelli turchi.
Così gli armeni del Nagorno sono diventati l’assenza dei nostri sguardi, la pausa nei nostri impegnati discorsi da parte giusta del mondo, la omertà, questa si davvero mafiosa, del nostro silenzio. Gli armeni di questo frammento insanguinato e derelitto del Caucaso sono la nostra omissione. Che spesso è peccato più grave dell’azione, dell’atto. Non abbiamo fatto nulla per salvarli o alleviare in parte il loro destino. A meno di non considerare qualcosa i cento dollari che l’Unione europea ha regalato a ogni profugo. Una elemosina vergognosa per far che? Qualche pasto, trovare un albergo di fortuna, ubriacarsi e dimenticare? Bruxelles e la sua Commissione: una volta di più un tempio in mano a una congrega di mercanti, capaci di ragionare solo su quanto occorre pagare per scansare i guai e sorreggere la ipocrisia di essere quello che diciamo di essere e non siamo. Per ottusità viltà interesse.
«È tutta colpa di Putin, era lui che doveva difenderli’»: così abbiamo giustificato la nostra voluta impotenza. Traendone anche soddisfatte e sconclusionate conferme del fatto che il presidente russo è indebolito perfino nel suo cortile di casa.
Attendete ancora qualche giorno e questi armeni saranno uno dei tanti nomi che dimenticheremo, quasi ci fosse uno strano destino che ci regala opportune smemoratezze. Saranno gli eterni assenti al nostro comodo banchetto dei diritti umani, gli invitati che non invitiamo, il vuoto che non riempiamo. In cui si installerà invece tronfio e gaudente l’ennesimo lestofante, l’emiro azero, che ci serve, che ci dà una mano energetica e petrolifera. Che custodiamo nelle foto di famiglia con il suo sguardo da baffuto Caliostro negli album dei presidenziali uffici di Bruxelles, di Roma o di Washington: autocrate ma collaborativo, aggressore ma disponibile a ben pagati rifornimenti di emergenza…
Il cerchio si chiude. Chiese e cimiteri si copriranno di erbacce, spariranno sotto il peso dell’incuria, i centoventimila armeni del Nagorno diventeranno rapidamente profughi, rifugiati e poi migranti e clandestini da qualche parte, niente paura sono già milioni, in qualche modo ai “flussi secondari” si provvederà. La loro ombra cala su di noi, non sugli azeri soddisfatti e gesticolanti nel tripudio, ci ricoprirà tutti e poi tornerà a regnare il silenzio più forte delle dichiarazioni, dei disappunti, dei discorsi laici e delle preghiere della domenica, delle religioni e delle rivoluzioni. Lo riempiremo a poco a poco con il nostro presente intatto, a tutto tondo, ben rifinito di danza e di baldoria. E di gravi preoccupazioni, il rialzo delle temperatura, l’inflazione che erode… Dovremmo parlarne agli armeni di tutto questo: tra cinquanta anni saremo tutti morti di clima, altro che il Nagorno e le vostre beghe di un mondo che non sembra cambiato dalla Genesi e che solo il mito può avvicinare, l’esilio, le bombe… Ne trarranno, essendo cristiani, amplissima consolazione nel loro sciagurato presente.
Gli armeni ci sono abituati ad attraversare la vita come scorticati. Dai tempi del criminale triunvirato Talal, Enver e Cemal autori del primo genocidio del Novecento, la loro storia di popolo è piena di punti di sospensione, nei loro silenzi ci sono pieghe tragiche, sfumature orrende, nuvoloni, minacce decifrabili e rari arcobaleni. Per questo sanno rendersi invisibili, farsi passare inavvertiti senza rinunciare mai al loro essere. Ci sono popoli interi nel mondo dominato degli Alyiev, dei Putin, degli Erdogan, ma ahimè! Anche dei Biden e dei Borrell che sono obbligati a contrarsi, a diventare ombre e fantasmi, flebili eco. Non marciano sgusciano, non urlano piangono a bassa voce per non far rumore. Per questo, a furia di soffrire, uomini e donne armeni sono diventati invulnerabili e stoici. E forse è per invidia che non li sopportiamo, per la loro capacità di resistere alla sofferenza. Che noi non abbiamo più. Siamo egoisti anche nel dolore.
Dollari, milioni di dollari miliardi sepolti nelle steppe desolate, nascosti sotto le sabbie sporche di nafta del Caspio che il petrolio uccide lentamente da secoli. In attesa paziente nelle sacche turgide di gas. È con questo tesoro che Aliyev, un satrapo figlio illegittimo del bolscevismo, ho potuto regolare i conti con la fastidiosa spina armena ereditata dalla Storia. Tra i mercanti russi dell’inizio del Novecento circolava questo proverbio: «Chi ha vissuto un anno tra i proprietari di petrolio di Baku non può ridiventare una persona per bene».
Ilham Aliyev ha ereditato dal padre Haydar, che si era fatto le ossa alla Lubianka ai tempi di Andropov, il potere e il gusto per l’intrigo, la abilità nello sfuggire alle congiure, la pazienza per le vendette implacabili e silenziose.
Mettiamo a confronto due personaggi: Putin e Aliyev. Le somiglianze sconcertano: autocrati, discendenti diretti o indiretti del Kgb, strateghi di “operazioni speciali” per smontare popoli molesti, ucraini e armeni, protetti da complici potenti, la Cina e la Turchia, ricchi di gas e petrolio. E poi: Suynik fu un “errore” staliniano, la Crimea ucraina un “errore” di Kruscev…Perché allora lottiamo contro Putin «fino a quando sarà necessario» e perdoniamo le aggressioni di Aliyev?
(da La Stampa)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
NON SOLO SPREAD, IL 3 NOVEMBRE TORNA IL REBUS MES, L’EUROPA CI ATTENDE AL VARCO
Matteo Salvini lo faceva almeno con le pinne. Giorgia Meloni fa prove di Papeete, in cappotto, a novembre. A Malta, rispondendo ai giornalisti, ha dichiarato: “I soliti noti vorrebbero il governo tecnico”. Il Papeete tecnico, per paradosso, lo assembla lei. A causa della sua bellissima (e sciagurata) coerenza, la premier intende tenere, ancora, ostaggio l’Europa sul Mes. Il 3 novembre scade il rinvio della proposta di legge di ratifica a firma Luigi Marattin. Il governo, e si può scrivere con sicurezza, prenderà tempo. Rinvia. Sarà ancora ammuina. E’ Meloni che tifa “avanti professori!” (o Crosetto).
Come Salvini, ma senza il mojito, la premier si sta bevendo il suo governo. Il suo cocktail è il Mes che non approverà di certo “non prima della sessione di bilancio”. Quel tempo rimandato, questa ammuina, si sta ripercuotendo sulla credibilità del paese, scoraggia la Bce a comprare i nostri titoli di stato. Il governo, ogni giorno, suggerisce, e fa bene, di acquistare Btp come fosse il latte del compositore Nino Rota, “bevete più latte, prodotto italiano, rimedio sovrano per tutte le età”. Ma questo latte può marcire. Era estate quando Meloni e il suo ministro, Giancarlo Giorgetti, si sono tirati fuori dall’impiccio Mes, la prigione maledetta della destra, rimandando l’esame. Luigi Marattin, presidente della Commissione Finanze, deputato, da un anno insegue la premier, il suo partito, i suoi alleati: “Rispondete!”. Scrivere di Mes è una noia pure per i giornalisti, se non fosse che sul Mes, Meloni, sul serio, si gioca la carriera. La proposta di ratifica di Marattin è impantanata, come anticipato, fino al 3 novembre. Pure le date sono tristi; non portano bene.
La premier, una leader dai modi spicci, ed è il segreto del suo consenso, si servirà dei soliti stratagemmi parlamentari: dilatare, spalmare, portare avanti. Sono tutti attrezzi, verbi, cari ai governi stinti, quelli che perdono colore. Dice Marattin al Foglio: “Al governo vogliono fare ostruzionismo per buttare la palla in avanti qualche altra settimana? Lo facciano pure. Il momento in cui dovranno affrontare il voto, in Aula, si avvicina, non lo possono evitare. Li aspettiamo lì”. Lunedì 2 ottobre, verranno emessi ancora dei Btp valore. E’ la seconda emissione nel giro di pochi mesi. Non c’è motivo di non scommettere e di non acquistarli, ma cosa accade se la Bce smette di scommettere sull’Italia? Dopo la diffusione dei dati Nadef lo spread ha toccato 200 punti. Per carità, ieri, è sceso e non ci sono uccelli di malaugurio in volo, come pensa la premier, ma se un sottosegretario accorto, accordato (è un melomane) che fa di nome Federico Freni, leghista, a Radio 24, spiega che “200 non è affatto un tasso preoccupante”, per poi aggiungere che la soglia critica è “340”, viene da pensar (male) suo malgrado. Nel 2011 era 500 la zona rossa. Di Freni ci si può fidare, ma Freni si fida dei fanatici della coerenza?
Ogni giorno, ministri, uomini di governo, dicono che non siamo di fronte a un nuovo 2011 ma a furia di esorcizzarlo viene il dubbio che il 2011 il governo lo prepari. Preso atto, e lo conferma chi abita a Palazzo Chigi, che non esiste lo “scambio Mes-deficit” con la Ue, e che, “non possiamo più utilizzare l’arma Mes per trattare”, il governo sarà costretto a ratificarlo. E si sa. E però, quando Meloni sente le tre lettere salta sulla sedia. Si infastidisce. Ha sempre precisato che non lo utilizzerà. E infatti non si è mai parlato di usarlo, ma solo della ratifica. La premier ha un gradimento così alto che gli italiani le crederebbero. Ma Meloni è troppo innamorata della vecchia Meloni. Se Meloni leggesse con attenzione gli articoli delle firme economiche, giornalisti che hanno sempre scritto con rigore ed equilibrio, ma che da settimane si sono scatenate come fossero tutte Giorgio Bocca, capirebbe che c’è molto di più dell’asprezza dei commentatori. Uno di quei banchieri che lavorano a Londra, sì, proprio uno dei poteri forti (è così forte che può parlare solo con il cognome omesso) dice che “il governo è solido, ma ha scelto una politica aggressiva, un deficit alto, in un momento dove tutti i governi esplodono”. E quindi? “E quindi lo spread oggi conta molto più di prima”. E che c’entra lo spread con il Mes? “Non c’entra se non come prova che gli italiani fanno perdere tempo. Lei presterebbe denaro a un creditore che dopo avere ricevuto il suo denaro le parcheggia pure l’auto di fronte al garage, la mattina?”.
A novembre, anche la Lega ha un buon motivo per dare tutta la colpa a Meloni. Attende l’autonomia. Il ministro Calderoli lavora, infaticabile, per accelerare sulla riforma, ma per avere l’autonomia servono Lep (i livelli essenziali) capaci di soddisfare le regioni del sud. Per avere buoni Lep servono risorse economiche che non ci sono. Dato che è stata Meloni a scherzare sul governo tecnico, impallidirebbe se venisse a conoscenza dell’intera “fantasia” tecnica. Si fa il nome di Guido Crosetto come suo possibile sostituto. Ovviamente, e giustamente, Crosetto, quando qualcuno, anche solo per provocazione glielo chiede, urla: “Ma che dite!”, e cambia strada. In nome della coerenza Meloni fa male a Meloni mentre basterebbe cambiare idea con il sorriso, quello di Altan. In una sua celebre vignetta si esprimeva così sulla coerenza: “E’ ovvio che non sono coerente. Altrimenti dove va a finire il pluralismo?”.
(da ilfoglio.it)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ALLA RICERCA DI UN NEMICO INVECE DI AMMETTERE LA PROPRIA INCAPACITA’
Mancava solo il complotto dei soliti noti nell’enciclopedia delle cazzate sparate in un anno di governo dalle destre. Non che quelle precedenti fossero meno grandiose, a partire dal dietrofront sulle favole elettorali per colpa dei bonus edilizi, come se questi incentivi non li avessero votati o cavalcati pure Salvini e Meloni, a rimorchio dei 5 Stelle. Il problema è che i nodi dell’esecutivo stanno arrivando tutti al pettine – dal rapporto confuso con l’Europa alla gestione dei migranti – e per salvarsi la premier deve inventarsi ogni giorno una scusa o un nemico a cui addossare i suoi fallimenti.
Così un giorno ci vanno di mezzo le Ong, anche se sbarcano il 5% dei disperati che approdano in Italia, un altro giorno la Francia o la Germania, poi la Lagarde, i mercati, la sinistra, i poteri forti… mancano solo paperino e topolino. Come i pusillanimi, che di fronte ai problemi cercano le scuse e non le soluzioni, la premier ha dunque ammesso che c’è da preoccuparsi per lo spread, e cioè per l’aumento del costo del nostro debito pubblico, ma non ne ha scaricato la responsabilità sulla propria manovra finanziaria tutta in deficit, giammai, bensì su un non meglio precisato complotto dei soliti noti.
Ma noti a chi? Io sono Giorgia di nomi non ne ha fatti, parcheggiando le sue accuse tra i luoghi comuni, tipo la palla è rotonda o non ci sono più le mezze stagioni. Tanto i suoi fan si accontentano. Sono quelli che ci guardano dall’estero, noti e anche ignoti, che invece si domandano: con questa serietà dei governanti c’è da fidarsi dell’Italia?
(da La Notizia)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
LO SPETTRO DELLO SPREAD E L’ARMA DEL VOTO ANTICIPATO
Dall’Auberge de Castille i cavalieri di Malta difendevano il bastione di San Giacomo. Cinquecento anni dopo, Giorgia Meloni trova ispirazione dal contesto. Scende in piazza, prende a pretesto una domanda sull’impennata dello spread ed evoca la resistenza contro lo spettro di un governo istituzionale: «La sinistra continui a fare la lista dei ministri dell’esecutivo tecnico, noi intanto governiamo. Non vedo questo problema, ma la speranza da parte dei soliti noti. E mi fa sorridere». Ce l’ha con i presunti congiurati che lavorano al complotto. Nega lo scenario del ribaltone, ma l’effetto è disegnare in modo più nitido i contorni di una tempesta perfetta che incombe. E che Meloni, comunque, non considera sufficiente per provocare la nascita di una nuova maggioranza in questa legislatura, senza lei al comando: per quanto mi riguarda – il senso della sua posizione – dopo di me c’è solo il voto.
Da settimane, Palazzo Chigi avverte questo senso dell’assedio. Come non fosse un problema di Pil in calo e di debito pubblico fuori controllo, teme che l’establishment stia costruendo le condizioni per una crisi finanziaria capace di determinare la defenestrazione della presidente del Consiglio. Una cospirazione ordita dalla grande finanza, da ambienti confindustriali e dall’euroburocrazia lungo l’asse Milano-Bruxelles. Certo è che la preoccupazione del mondo bancario per le scelte di finanza pubblica è ormai palese. Non riguarda la gestione di Giancarlo Giorgetti, ma piuttosto l’influenza del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari su ogni scelta di politica economica.
Il primo colpo è arrivato quando Marina Berlusconi si è esposta contro la tassa sugli extraprofitti delle banche. Senza dimenticare l’aggressiva campagna di Matteo Salvini sui migranti, giudicata dalla leader come un’operazione costruita a tavolino per ottenere un unico risultato politico: chiedere un riequilibrio di governo a favore della Lega il giorno dopo le Europee.
Più della politica, quindi, pesa l’assedio del mondo finanziario e dei vertici continentali. Segnali che guidano Meloni nella dolorosa operazione di unire i puntini di un’angoscia: la nomina di Mario Draghi ed Enrico Letta, ingaggiati come “consulenti” da Bruxelles, la presa di posizione dei giornali economici internazionali, i mercati nervosi che soffiano sullo spread, i dati macroeconomici in calo, una Nadef che pecca di ottimismo e una manovra inevitabilmente austera. E poi, ovviamente, l’atteggiamento di Paolo Gentiloni, che tormenta ossessivamente le notti della destra di governo, che reagisce indicandolo come il “gran manovratore” del presunto complotto. Ecco, a questi timori Meloni ha il dovere di contrapporre messaggi rassicuranti. Partendo proprio dal differenziale con il Bund tedesco: «L’Italia è una nazione solida, ha una previsione di crescita superiore alla media europea per il prossimo anno. Lo spread che lanciate come se fosse la fine del governo sta scendendo: è adesso a 192 punti, a ottobre scorso era a 250. E gli investitori hanno letto anche i numeri della Nadef». E dunque, nessun allarme, nessun precipizio in vista: «So leggere la politica e so leggere la realtà. Questa preoccupazione la vedo soprattutto nei desideri di chi immagina che un governo democraticamente eletto, che fa il suo lavoro, che ha una maggioranza forte e stabile, debba andare a casa. Temo che questa speranza non si trasformerà in realtà». Eppure, a Palazzo Chigi non si parla d’altro. Anche Meloni, riservatamente, ha offerto la propria interpretazione sui rischi dell’immediato futuro: «Ci giochiamo tutto da qui alle Europee, i mesi difficili sono i prossimi». Come a dire: è assai più probabile un incidente prima del voto per l’Europarlamento, che dopo la chiusura delle urne.
Un segnale, in particolare, è considerato significativo: la ristrutturazione in corso negli equilibri del Pd. Non solo in caso di fallimento di Schlein, ma anche della presidente del Consiglio. Tre giorni fa, alla Camera, nei capannelli dem si scambiavano impressioni sui possibili sviluppi. Come oracoli, ipotizzavano scenari alternativi che Meloni potrebbe lanciare in caso di crisi, citando soprattutto Giancarlo Giorgetti come un possibile traghettatore al voto. Sospetti, paranoie, scommesse. Ma abbastanza per alimentare la voglia di resistenza in una piazza di Malta
(da La Repubblica)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
SORA GIORGIA E’ NERVOSETTA, DIETRO LE QUINTE SI STAGLIANO I FANTASMI DEL 2011
Giorgia Meloni teme il Grande Complotto del governo tecnico. E pensa che dietro gli aumenti dello spread e le liti con la Germania sulle Ong ci sia un piano per farla sloggiare da Palazzo Chigi.
Lo ha detto lei stessa a La Valletta durante i lavori del vertice EuMed9. «La preoccupazione la vedo soltanto nei desideri di chi immagina un governo democraticamente eletto debba andare a casa per essere sostituito da un governo che nessuno ha scelto. Mi diverte molto il dibattito. Si fanno già i nomi dei ministri. Ma temo che questa speranza non si tradurrà in realtà. L’Italia rimane una nazione solida, che ha una previsione di crescita superiore alla media europea. E a quella di Francia e Germania», ha sostenuto per esorcizzarlo.
Dietro le quinte
Il nervosismo della premier però si sostanzia soprattutto dietro le quinte. Dove si stagliano i fantasmi del 2011, quando la caduta del governo di Silvio Berlusconi mandò a casa il centrodestra e lo vide per le due successive legislature perdere le elezioni. L’obiettivo di Meloni è di durare cinque anni.
Ma la premier, fa sapere oggi un retroscena del Corriere della Sera, con il suo staff ha maturato una certa consapevolezza: «Sicuramente non cadrò per un complotto. Non succederà a me quello che è successo ad altri prima di me. Se andrà male sarà per colpa nostra, per qualcosa di concreto».
Sullo spread, fa sapere, il differenziale tra BtP e Bund «è inferiore di cinquanta punti rispetto ad un anno fa». Ma soprattutto, dice: «Io so leggere la politica e la realtà». Il quotidiano ricorda che sei mesi fa, mentre infuriava il caso Cospito, sempre Meloni avvertì: «Nessuno pensi di cavalcare la strategia della tensione».
La strategia della tensione
Anche all’epoca la premier era a caccia di chi pensava di «logorare il suo governo». E poi c’è il dato dei sondaggi, che ancora la conforta nonostante i primi scricchiolii per l’esecutivo:
Ma chi c’è dietro il Grande Complotto? «Giornali, poteri forti e sinistra». Mentre in caso di caduta «non sosterrò alcun governo tecnico. Per me si torna a votare». Anche perché, è il ragionamento dentro Fratelli d’Italia secondo La Stampa, proprio aver detto no a quello di Mario Draghi è stato alla base delle fortune elettorali del partito.
La ricerca del nemico
Per il resto, aggiunge il quotidiano, la tecnica è sempre uguale. Ovvero mettere le mani avanti alla ricerca di un nemico. Un giorno è la Germania «che non vuole un governo di centrodestra». Un giorno tocca ai quotidiani e alle forze oscure della finanza internazionale. Anche se per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari non c’è «nessun complotto e nessuna preoccupazione”.
Mentre i colonnelli di Meloni, sotto garanzia di anonimato, pronosticano: «Solo i giudici o un fattore esterno possono farci perdere».
(da La Repubblica)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO UNA HA RICEVUTO FINANZIAMENTI DAL GOVERNO DI BERLINO
Le navi delle Organizzazioni Non Governative attualmente nel Mar Mediterraneo sono 10. Quelle che battono bandiera tedesca sono sette, ma due di loro fanno avvistamento e non soccorso.
E di queste sette soltanto una ha ricevuto finora finanziamenti dal governo di Berlino.
Mentre nel 2023 l’intero sistema di salvataggio delle Ong ha preso in carico meno del 10% del totale dei migranti arrivati in Italia via mare, che ammontano in totale 133.171. Lo scorso anno la percentuale dei soccorsi ha raggiunto il 14%. Ma i numeri complessivi erano minori.
Le stime sono ancora più basse secondo il governo: una settimana fa il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva affermato che quel dato si attestava intorno al 5%. Anche se Giorgia Meloni, mentre rievoca il grande complotto del governo tecnico, dice che la Germania fa solidarietà con i confini degli altri.
L’elenco
L’elenco delle navi delle Ong nelle acque del Mediterraneo e in quelle italiane lo fornisce oggi il Corriere della Sera.
Secondo la ricognizione del quotidiano per oggi a Pozzallo è atteso lo sbarco della Louise Michel con 45 naufraghi a bordo, soccorsi al largo della Libia.
L’imbarcazione ha bandiera tedesca, ma è finanziata dall’artista Banksy e non riceve soldi dalla Germania.
Poi c’è l’Ong tedesca Sea Watch, che ha in acqua la Lampedusa e l’Aurora. La portavoce Giorgia Linardi spiega che le loro operazioni si svolgono in maniera del tutto indipendente e non ha ricevuto soldi da Berlino.
C’è poi la nave italiana ResQ-People di Cecilia Strada. Anch’essa ha bandiera tedesca ma non riceve soldi da Berlino.
In mare ci sono anche le tedesche Trotamar III e la Nadir, usate per attività di avvistamento ma non di soccorso.
La Humanity 1 della Ong tedesca Sos Humanity è l’unica che ha ricevuto 790 mila euro dalla Germania.
Le altre
E ancora. In arrivo a Civitavecchia è attesa la Geo Barents, nave di Medici Senza Frontiere che batte però bandiera norvegese, con a bordo 61 migranti.
E in navigazione in acque italiane risulta la nave con bandiera spagnola della Ong spagnola Open Arms.
Infine, ferma in porto è l’imbarcazione della Ong italiana Emergency, la Life Support con bandiera panamense, in partenza per la zona di ricerca e soccorso nei prossimi giorni.
Intanto è l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) a fornire le cifre su sbarchi e Ong. L’agenzia di stampa Ansa fa sapere che in totale sono dieci le navi delle Ong che battono bandiera tedesca. Ma alcune sono ferme nei porti. Tra queste c’è la Sea Eye, con sede a Ratisbona. Anche per lei arriverà un finanziamento del ministero degli Esteri di Berlino insieme alla comunità di Sant’Egidio.
I finanziamenti
La ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock ha confermato che per tre casi i finanziamenti di Berlino sono imminenti. La Sea Eye ha inoltre confermato che dalla Germania riceverà per il 2023 «in totale 365 mila euro». Alcune sono in lite con l’Italia e l’Ue.
Nel 2022 la tedesca Sea Watch ha presentato davanti alla corte di giustizia dell’Unione europea una denuncia contro Frontex (l’agenzia europea della guardia di frontiera) per un caso di respingimento verso la Libia nel 2021. L’11 ottobre è prevista la prossima udienza.
La francese Sos Mediterranée (la sua nave Ocean Viking batte bandiera norvegese) ha invece ricevuto da poco il cosiddetto premio Nobel alternativo. Nella motivazione del riconoscimento si legge che il premio è stato assegnato per «le sue operazioni umanitarie di ricerca e salvataggio che hanno consentito di salvare vite umane nel mare Mediterraneo».
(da Open)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
UNA VERGOGNA: MIGRANTI NEI CPR TRATTATI CON GLI PSICOFARMACI, E’ TORTURA… “SALVINI, TOGLITI QUEL CROCIFISSO DI DOSSO”
Si chiama Ors Service Ag, fa parte del gruppo Ors e ha sede in Svizzera. Mentre in Italia «non ha una sede operativa ma soltanto una legale in uno studio di commercialisti». E secondo la senatrice di Alleanza Verdi Sinistra Ilaria Cucchi ha però una società di lobbying per curare i suoi interessi in Parlamento.
Quali? La gestione dei Centri di Permanenza e di Rimpatrio per i migranti. E quanto più ci sono ospiti, quanto più rimangono, guadagna di più.
Cucchi si rivolge alla premier Giorgia Meloni e al «grande ministro» Matteo Salvini, chiedendo ai leader di Fratelli d’Italia «di spiegarci come tutto ciò possa essere compatibile con i loro programmi di governo». Che puntano il dito contro chi trae profitto dall’immigrazione. E a entrambi domanda: «Come mai non ve ne siete mai accorti?».
Cucchi va all’attacco del governo in un articolo pubblicato oggi su La Stampa. Nel quale racconta anche la sua visita al Cpr di Ponte Galeria: «Ne sono uscita in lacrime di fronte alla resa dello Stato alla disumanità di trattamento di persone che, disperatamente alla ricerca di un futuro migliore, anziché trovare la terra promessa, sono cadute in veri e propri luoghi di tortura senza motivo e priva di alcun senso», dice Cucchi. Come se la tortura potesse avere un qualche senso o ragione. Vivono in gabbie, talvolta nel loro sterco, senza possibilità di comunicare con l’esterno. Sopravvivono giorno dopo giorno in attesa di poter capire il perché della loro condizione. Sono abbandonati a se stessi e, se si ammalano, è veramente un grave problema. Sembrano polli in un allevamento intensivo con la differenza che, soffrendo spesso la fame, non ingrassano», conclude.
Gli psicofarmaci
Poi la senatrice aggiunge che ai migranti detenuti nei Cpr viene offerta una sola soluzione per andare avanti: gli psicofarmaci. Gliene vengono somministrate quantità industriali «perché così non disturbano».
Il 90% dei detenuti senza pena dei Cpr è sotto l’effetto di droghe. «Sono entrata in quel luogo munita di telecamera. È tutto documentato», aggiunge.
E chiude: «Ministro Salvini, si tolga quel crocifisso di dosso. Presidente Meloni, i Cpr vanno contro la legge degli uomini e contro la legge di Dio. Solo degli sprovveduti possono credere che il business dell’immigrazione sia solo quello degli scafisti. Lo abbiamo in Parlamento e ciò sarà fino a che non porrete fine a tutto questo».
(da La Stampa)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
GIA’ LIBERO IL PRIMO OSPITE DEL CENTRO DI POZZALLO…IL TRASFERIMENTO CONFLIGGE CON LA SUPERIORE LEGGE EUROPEA: IL DECRETO PIANTEDOSI SUI 5.000 EURO DAI MIGRANTI E’ GIA’ UN FLOP
Un altro provvedimento del governo sui migranti. Un’altra giudice che lo smonta. Stavolta tocca al decreto del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Quello che stabilisce in cinquemila euro l’importo della “garanzia finanziaria” tramite la quale i cittadini stranieri arrivati da “Paesi sicuri” possono evitare di essere bloccati nei “centri per il trattenimento” (da non confondere con i Cpr). La prima di queste nuove strutture è entrata in servizio qualche giorno fa a Pozzallo, in provincia di Ragusa. È lì che si trovava un cittadino tunisino di 27 anni, adesso tornato libero. Il suo “trattenimento” è stato bocciato dalla sezione Immigrazione del tribunale di Catania. Una decisione che, di fatto, mette in discussione il decreto Piantedosi, valutandolo in contrasto sia con la normativa europea sia con la Costituzione.
Il primo caso a Pozzallo
Il 27enne per il quale la giudice Iolanda Apostolico ha disposto “l’immediato rilascio” è arrivato a Lampedusa il 20 settembre 2023. Dall’isola delle Pelagie, il giovane tunisino è stato poi trasferito al centro per il trattenimento di Pozzallo una settimana dopo e ha formulato la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale. A quel punto, però, si legge nel provvedimento, il ragazzo “non ha consegnato il passaporto”, o un altro documento valido, “e non ha prestato idonea garanzia finanziaria secondo le disposizioni del decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro della Giustizia e il Ministro dell’Economia e delle Finanze, del 14 settembre 2023”. Cioè il decreto Piantedosi.
Per questi motivi, il questore di Ragusa ha emesso nei suoi confronti un provvedimento di trattenimento. La cui convalida è stata discussa ieri, 29 settembre 2023, alla sezione Immigrazione del tribunale di Catania. A difendere il 27enne, lo sportello legale del Centro Astalli di Catania, con il contributo scientifico di alcuni soci dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione). In videocollegamento – come previsto dal decreto Cutro – dal centro pozzallese appena allestito, il ragazzo ha raccontato prima la fuga dalla Tunisia “per questioni essenzialmente economiche e per minacce che aveva ricevuto da alcuni suoi creditori”. E poi l’arrivo a Lampedusa e l’immediata richiesta di accedere alla protezione internazionale. Quando, però, il decreto Piantedosi era già entrato in vigore.
Non potere pagare non è una colpa
È a questo punto, alla richiesta di convalida del trattenimento, che interviene la decisione degli uffici giudiziari catanesi. Citando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e la stessa direttiva comunitaria del 2013 menzionata nel decreto governativo, la giudice Apostolico ricorda che “un richiedente protezione internazionale non può essere trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità”. E cioè per il solo fatto di non potere pagare i 4.938 euro di “garanzia finanziaria” decisi dal governo italiano sulla base del “costo medio del rimpatrio”. Senza contare che i metodi di pagamento previsti (fideiussione bancaria o assicurativa) “precludono”, inoltre, la possibilità che la quota sia versata da terzi. Per esempio, parenti rimasti in patria.
Di più, aggiunge la giudice citando ancora la Corte di Giustizia Europea: non è neanche possibile che “tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata e senza che siano state esaminate le necessità e la proporzionalità di una siffatta misura”. Per Apostolico, inoltre, si sbaglia il luogo dove si pretende di fare valere la normativa UE: la “procedura accelerata” che sta alla base del decreto Piantedosi si applica alle frontiere. Come sarebbe Lampedusa. E non Pozzallo, dove i migranti vengono “coattivamente” portati “in assenza di precedenti provvedimenti coercitivi”
La normativa europea supera quella italiana
Poiché la normativa interna “incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale”, il confinamento nel centro della provincia di Ragusa, per il tribunale catanese, non è da convalidare. A queste osservazioni la giudice Iolanda Apostolico collega infine l’articolo 10 della Costituzione, che sancisce il diritto d’asilo. Sulla base del quale “deve escludersi” che il solo fatto di arrivare da un Paese definito “sicuro” possa impedire a una persona di chiedere la protezione internazionale facendo ingresso nel territorio italiano.
Un motivo dopo l’altro, dopo sei pagine di spiegazioni, “non sussistono i presupposti per il trattenimento del richiedente asilo”. Il 27enne tunisino è dunque libero di lasciare Pozzallo, nell’attesa che la sua domanda di protezione internazionale venga valutata. Ma è solo il primo caso, per un decreto che comincia da subito a scricchiolare nelle aule giudiziarie.
(da Fanpage)
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Settembre 30th, 2023 Riccardo Fucile
LO SCOPO SAREBBE QUELLO DI RIEMPIRE POSTI DI LAVORO E FARE FIGLI IN PATRIA… MA QUELLI STANNO BENE DOVE SONO E NON CI PENSANO PROPRIO, NON SONO FESSI
«Auguro buon lavoro alla Consulta dei Veneti nel mondo e al Coordinamento dei giovani veneti e giovani oriundi veneti residenti all’estero i cui lavori sono iniziati ieri e si concluderanno sabato 30 settembre a Vicenza. Auspico che venga affrontato il tema del possibile ritorno in Patria dei discendenti degli oriundi veneti, in particolare dei giovani. Un tema di grande rilevanza da allargare naturalmente agli oriundi italiani nel mondo».
Parole dell’Assessore al Lavoro della Regione del Veneto, Elena Donazzan (FdI), responsabile nazionale del Dipartimento imprese e mondi produttivi, che ha incontrato un mese fa il Presidente dei Veneti nel mondo Aldo Rozzi Marin.
«Nell’incontro ho anticipato la mia volontà di aprire un ragionamento per riportare forze nuove in Patria, guardando prioritariamente ai Veneti nel mondo. Ciò nella consapevolezza che l’Italia e il Veneto oggi vivono una stagione di grande difficoltà, l’inverno demografico. Da una parte abbiamo tanti posti di lavoro vacanti e offerte formative interessanti, dall’altra parte sappiamo che c’è almeno un’altra Italia nel mondo con radici, tradizioni, cultura, origine italiana e veneta. Il Veneto, terra di forte migrazione dalla fine dell’Ottocento, all’inizio del Novecento e tra le due guerre, da sempre mantiene legami culturali con le nostre comunità dei Veneti nel mondo. La comunanza di radici mi porta ad avere uno sguardo particolarmente aperto verso le Nazioni che hanno accolto i nostri emigranti, con l’obiettivo di poter riallacciare un legame non solo culturale, ma anche di lavoro, economico, di istruzione e formazione».
L’obiettivo è quello di esplorare nuove progettualità su input dell’Assessore Donazzan: «Ho già dato mandato all’ente strumentale Veneto Lavoro di ragionare sulla possibilità di aprire sportelli online dedicati alle Nazioni in cui sono presenti i Veneti nel mondo, dove possiamo trovare anche Istituzioni disponibili a ragionare con noi. Sportelli lavoro che immagino come punti di riferimento in grado di rilevare il fabbisogno occupazionale del nostro territorio in modo dettagliato per poi fornire tutte le informazioni ai discendenti degli oriundi veneti, dal punto di vista lavorativo e delle documentazioni necessarie. Il tutto per costruire un flusso regolare tra Paesi di partenza e il Paese di origine, l’Italia. È un tema che ho condiviso anche nel recente incontro con l’Onorevole Andrea Di Giuseppe (FdI) che si sta muovendo da tempo su questo fronte».
(da agenzie)
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