Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
LO DICONO I NUMERI DEI SONDAGGI: UN ASSE TRA ECR E POPOLARI OTTERREBBE POCO PIÙ DI 250 SEGGI (CHE SALIREBBERO A 325 CON L’AGGIUNTA, IMPROBABILE, DI IDENTITÀ E DEMOCRAZIA). CIOÈ MOLTO LONTANI DALLE 400 POLTRONE SU CUI POTREBBERO CONTARE SOCIALISTI, POPOLARI E LIBERALI
A nove mesi dalle elezioni Europee l’unica maggioranza possibile a Bruxelles è la stessa che attualmente governa l’Ue. Fuori dunque i conservatori guidati da Meloni e i lepenisti di Identità e democrazia.
Dentro socialisti, popolari e liberali: la cosiddetta maggioranza Ursula, quella che incoronò von der Leyen cinque anni fa e che al momento pare l’unica via percorribile per scongiurare l’impasse.
Una maggioranza di centrodestra non è sostenibile sul piano numerico. Secondo Europe Elects, conservatori e popolari, da soli, otterrebbero poco più di 250 seggi. E se per assurdo a questi si aggiungesse anche Identità e democrazia – ipotesi remotissima vista l’avversione del Ppe nei confronti di Marine Le Pen – si arriverebbe ad appena 325 eletti.
Numeri lontani anni luce dalla maggioranza (i seggi totali dell’Eurocamera sono 720). Ed ecco che diventa sempre più concreta l’ipotesi di un’intesa bis tra socialisti, popolari e liberali, che in Italia corrispondono, in ordine, a Pd, Forza Italia e al tridente moderato che raggruppa Azione, Italia Viva e Più Europa.
In tutto le tre grandi famiglie europee possono contare su una maggioranza di 400 seggi (145 per i socialisti, 165 per i popolari e 90 per i liberali). Il che significa che se anche Meloni con FdI decidesse di sganciarsi dal gruppo dei conservatori per aderire alla maggioranza Ursula, il suo contributo sarebbe pressoché irrilevante.
Di buono, per la premier, c’è che riuscirebbe a portare a casa un numero molto più alto di seggi rispetto alle scorse Europee. Passerebbe infatti da 8 a 25 eletti, secondo le stime di Europe Elects,
(da La Repubblica)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEI TRASPORTI: “QUALCUNO MI DICE CHE LE BATTERIE ELETTRICHE PRENDONO FUOCO PIÙ VELOCEMENTE DI ALTRE FORME DI ALIMENTAZIONE”… MATTIA FELTRI LO INFILZA: “DUE STUDI INFORMANO CHE C’È UNA PROBABILITÀ DI 90 VOLTE PIÙ BASSA CHE LE AUTO ELETTRICHE PRENDANO FUOCO RISPETTO A QUELLE TRADIZIONALI”
«Non è un problema di guard rail». A Mestre le indagini sull’incidente sono appena iniziate, eppure il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, il guard rail lo ha già assolto. Ha trovato persino un colpevole: «Qualcuno mi dice che le batterie elettriche prendono fuoco più velocemente di altre forme di alimentazione». Poi, lancia il vero messaggio politico: «In un momento in cui si dice che tutto deve essere elettrico, uno spunto di riflessione è il caso di farlo».
Salvini muove da tempo la sua crociata contro l’idea che le auto elettriche diventino, entro il 2035, obbligatorie in tutta l’Unione europea. «Si farebbe solo un enorme regalo alla Cina», è il suo mantra.
A lume di naso, l’attacco a sorpresa di Salvini contro le batterie al litio usate per i veicoli elettriciha un obiettivo principale e uno secondario.
Il principale è allontanare dalla sua competenza di ministro per i Lavori Pubblici le cause di un incidente che, pur non essendo ancora accertate, potrebbero essere fatte risalire al mancato intervento su una struttura che manifestamente aveva bisogno di essere rimessa a posto.
Se anche fosse confermato che la causa principale potrebbe essere stata un malore del conducente, un guard rail più solido oltre a un bordo in cemento più alto e più solido forse sarebbero riusciti a fermare l’autobus privo di guida. Ma il torpedone, appunto, era elettrico. E il magistrato che indaga, pur non avendo accertato alcun incendio, ha comunque sequestrato le batterie al litio per sottoporle a esame tecnico. Di qui il pretesto per la mossa di Salvini.
Il secondo obiettivo del leader leghista è entrare con una polemica, argomentata o meno, nella scia di impressione sollevata dall’incidente di martedì sera, per mostrarsi attento e in grado di fornire una spiegazione, vera o verosimile. E destinata al mondo dei social, dove non si va tanto per il sottile su qualsiasi terreno.
Salvini inoltre sa che la decisione a livello europeo di fissare al 2035 il termine per l’immatricolazione di automobili con motore a scoppio non solleva un grande entusiasmo nel popolo degli automobilisti italiani. L’Italia è un Paese con 40 milioni di veicoli circolanti, ma con un tasso di sostituzione vecchio/nuovo che tende al ribasso.
Soprattutto al Centro e nel Meridione, dove la maggior parte dei proprietari circolano con veicoli inquinanti che non rispondono neppure alle regole attuali (Euro 5 e 6). E lo fanno, anche a costo di rischiare multe salate, per la semplice ragione che l’acquisto di un’autovettura nuova non rientra nel budget familiare e i continui rincari dei carburanti rendono proibitivo, nella seconda parte del mese, anche l’uso di quella vecchia. È a questa larga platea, ancora una volta con un argomento sottilmente antieuropeo, che Salvini si è rivolto con la sua uscita contro le auto elettriche.
Intanto il National Transportation Safety Board (Stati Uniti) o la EV FireSafe (Australia) informano che le auto elettriche prendono fuoco meno facilmente di quelle ibride o tradizionali: c’è una probabilità di novanta volte più bassa. Così, per saperlo.
(da La Stampa)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
UN PAESE PER VECCHI, GOVERNATO DA VECCHI, PENSATO PER VECCHI IN CUI I SENTIMENTI DOMINANTI SONO LA PAURA E L’EGOISMO
Le reti Rai (ma soprattutto RaiUno) e quelle Mediaset, si danno un gran da fare, ogni giorno, nel proporre servizi su questi giovani italiani che sono maleducati, violenti, viziati e aggressivi.
Una narrazione incessante, fateci caso. È, insomma, come se la tv di Stato e quella privata, dopo aver propinato per anni programmi diseducativi, spesso indecenti, ora cadessero dal pero. Il parterre dei talk show è pieno di genitori famosi che dicono che serve mano ferma per questi disgraziati.
Che i genitori italiani dovrebbero imparare da loro come si fa. Loro, che i figli invece li marcano stretto e non li abbandonano a loro stessi. Genitori di serie A, insomma, che impartiscono la loro lenzioncina pedagogica su come va il mondo e su come invece dovrebbe andare. Loro lo sanno. E si sacrificano ogni giorno per raggiungere queste tribune televisive dalle quali migliorano il mondo del palinsesto pomeridiano.
La verità è che il governo Meloni (ma diciamoci la verità tutta, pure i governi che l’hanno preceduta) ha un problema con i ragazzi. Li odia. Li sente come un’anomalia, in una società sempre più vecchia. I politici italiani, e con loro tutto il popolo dei nickname sui social, hanno una rabbia così grande nei confronti dei giovani che vorrebbero vederli schiacciati, annientati. E se minimamente arriva una qualsiasi, una come me per esempio, a difenderli, a provare a capire almeno, piove subito una valanga di insulti e di offese di ogni genere.
“Sono degli scappati di casa”, “gentaglia dei centri sociali”, “fossero figli miei li ammazzerei di botte”, “ma non li vedi in faccia questi parassiti”, “comunisti con il Rolex”, “occhio a difenderli che questi sono seguaci dell’estrema sinistra che vorrebbe l’Ucraina in mano russa”, “che ca**o scrivi albanese di m**da” e tanti altri commenti di questo livello.
Aver espresso la mia opinione sui fatti accaduti a Torino, dire che trovo la violenza perpetuata dalla polizia contro i giovani indice dell’inciviltà di un paese che non ha fatto i conti con il passato, dire che il governo Meloni è incapace di gestire questi fenomeni, basta ad accendere il risentimento e l’odio più immotivato. Ma la verità è che la narrazione dei giovani italiani ineducati fa comodo a tutti. Alla destra, per brandire il manganello. Alla sinistra per blandire gli insegnanti (storico bacino di voti). Ma di questi paria in terra italica, dei giovani delinquenti narrati in tv, la politica ha un immenso bisogno perché si possono tirare per la giacchetta quando serve dare in pasto alla folla la brioche quotidiana sui notiziari. Perché questi paria italiani fanno sentire sicuri questi politici raccapriccianti che hanno la faccia tosta di salire in cattedra per dividere il mondo come fa loro comodo.
“Noi” che ci siamo fatti da soli… O meglio, “Noi” che abbiamo costruito il nulla sul debito pubblico a partire dagli anni Settanta, che abbiamo sperperato tutto negli anni Ottanta, che ci siamo lamentati per l’arrivo dell’euro che ci ha fatto i conti in tasca mettendoci davanti allo specchio per vedere quello che eravamo davvero. E “loro”, la generazione Z, a cui non abbiamo lasciato nulla, a parte il nostro narcisismo da quattro soldi e tanta mitomania. “Loro”, che hanno cercato uno spazio su internet, perché le sedie possibili nella realtà erano già tutte occupate. “Loro” che studiano non sanno nemmeno per cosa, vivono con la paghetta dei genitori, e frequentano università che non si sono mai poste il problema degli alloggi per il loro studenti. “Loro”, i giovani delinquenti, che vengono percepiti come parassiti e ai quali è negato persino il diritto a raccontarsi, un po’ come ai migranti. “Loro”, che vivono nella periferia esistenziale di un Paese che è un paese per vecchi, governato da vecchi, pensato per i vecchi, anagraficamente vecchio, e in cui, della vecchiaia, si ha l’unico sentimento dominante e l’unica emozione possibile: la paura.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO CONFONDE I POTERI PONENDOSI CONTRO LA COSTITUZIONE”
Il governo legifera “rincorrendo la cronaca”, “confonde i poteri” e “intimidisce i magistrati”, ponendosi quindi “contro la Costituzione”. Il giudizio del costituzionalista Michele Ainis è spietato e inchioda l’esecutivo di Giorgia Meloni a errori tecnici (la cattiva scrittura di alcuni decreti) e sgrammaticature istituzionali (lo scontro con le toghe), ricordando i vizi che hanno contraddistinto il primo anno della premier a Palazzo Chigi: troppi decreti e troppi decreti omnibus, ovvero con dentro provvedimenti su temi che non c’entrano nulla l’uno con l’altro.
Professor Ainis, in un suo editoriale su Repubblica ha parlato di governo “anticostituzionale”. Perché?
Sono ormai diversi i provvedimenti su cui esistono perplessità costituzionali, a partire dal decreto rave party, il quale teneva insieme norme sui medici no-vax e sull’ergastolo ostativo. Ma poi abbiamo avuto il decreto Caivano, con la custodia cautelare in carcere per i minori in caso di pericolo di fuga, già bocciata dalla Consulta in passato. E infine il decreto Cutro, con dentro la norma sulla “cauzione” da 5.000 euro per il richiedente asilo che non vuole finire nei Cpr. Qui vorrei fare una premessa.
Prego.
Se fossi stato nella giudice di Catania e avessi avuto quei dubbi, anche fondati, sulla legittimità del decreto, avrei sollevato la questione di fronte alla Consulta, piuttosto che disapplicare il testo. Detto ciò, nel merito credo che se fai un decreto in cui il diritto di asilo viene subordinato alla condizione economica del richiedente, allora stai violando la legalità costituzionale.
La giudice è accusata di avere in antipatia la destra e Matteo Salvini.
Ogni conflitto istituzionale deve essere spersonalizzato, perché altrimenti, se diventa uno scontro con il nome e il cognome di un giudice, allora assume un sapore intimidatorio e questo è assolutamente deprecabile. Purtroppo ci siamo abituati al fatto che la neutralità non faccia parte di questo mondo. E soprattutto viviamo in un sistema i cui i poteri non sono ben separati, ma ormai confusi al punto che la presidente del Consiglio fa la pm, il Parlamento fa le commissioni per sostituirsi alla magistratura e così via.
L’attacco alla magistratura nasconde errori materiali nella scrittura dei decreti?
Questo è un lato del problema. Il panpenalismo, l’abuso del diritto penale, deriva da una rincorsa frenetica alla cronaca e all’opinione pubblica, peraltro molto volatile. Andrebbe ripresa la lezione degli Illuministi per la quale ogni legge deve essere generale, e non fotografare la situazione del momento. In questa rincorsa, è più probabile che le norme siano scritte male.
A questo si aggiunge il problema dell’abuso dei decreti, spesso omnibus. Perché il Colle non riesce a limitare il fenomeno?
L’abuso di decreti è ormai una costante degli ultimi governi, ma l’ultimo rapporto di Openpolis ci dice che con Meloni abbiamo raggiunto un record. Questo avviene intanto perché siamo abituati a un sistema che funziona al rovescio, col governo che fa le leggi. Siamo in un mondo social in cui si reclamano risposte immediate. Io credo che il presidente della Repubblica si trovi quasi sotto ricatto, nel senso che spesso questi decreti omnibus contengono anche norme urgenti e necessarie, perciò si finisce per dare il via libera a tutto. Non solo: spesso si arriva ad approvare la legge di conversione al 59esimo giorno utile su 60. Il presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di firmare, ma il decreto perderebbe di efficacia.
C’è una soluzione?
Bisognerebbe che il Quirinale potesse promulgare soltanto la parte del decreto conforme e coerente con la sua intestazione. La cosiddetta promulgazione parziale mi sembra l’unica via d’uscita a questa degenerazione. È un azzardo interpretativo, certo, ma in passato era utilizzato nelle Regioni.
(da La Repubblica)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
NEL DECENNALE DEL NAUFRAGIO LA SCONCIA ASSENZA DEL GOVERNO ALLA COMMEMORAZIONE: IL DURISSIMO DISCORSO DELL’ARCIVESCOVO LOREFICE
Il memorandum con la Tunisia, lo scontro con la Germania, l’operato della giudice Iolanda Apostolico, le accuse tra partiti in campagna elettorale. Poi un messaggio di circostanza e un atto di accusa fortissimo. C’è tutto questo nel giorno del decennale del naufragio di Lampedusa, quando 368 migranti morirono a pochi metri dalle coste dell’isola siciliana.
Un anniversario per cui la premier Giorgia Meloni ha pensato bene di inviare una nota di qualche riga. “Profonda commozione”, “troppe tragedie si sono ripetute”, “nostro dovere porre fine alla strage”, “orrendo business“, “impegno incessante del governo nel nome delle vittime”: parole di circostanza, di lontananza.
Di assenza, almeno secondo l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, che ha firmato un intervento durissimo contro l’esecutivo, accusandolo per l’appunto di essere assente in una giornata che rappresenta uno spartiacque nella complessa vicenda di chi perde la vita nel Mediterraneo per raggiungere l’Europa.
Già il titolo dello scritto del monsignore è emblematico del tono usato: “A cuore aperto, sul Mare nostro che si vuole sempre più sbarrare”.
Dopo aver ricordato che il dolore non dipende dal ricordo di quei morti, ma dal fatto che nulla è stato fatto per evitare le successive 25mila vittime, Lorefice parla del Mediterraneo come di un mare “che si è fatto muro anziché ponte tra le sponde, che si è fatto cimitero di vite anziché incontro tra le vite”. Un dolore che scaturisce in rabbia “per lo scenario che si apre davanti a noi: è per ciò che sembra destinato ad accadere ancora nei prossimi dieci giorni, dieci mesi, dieci anni”.
Poi l’attacco alla politica, mai così duro. Testuale: “Oggi, a Lampedusa, sono assenti i rappresentati del Governo, gli stessi che meno di due settimane fa sono andati lì a snocciolare abusati ed esausti decaloghi di buone intenzioni, in breve tempo tradotti in misure – ha continuato l’arcivescovo di Palermo – che continuano a barricarci in un mondo sempre più piccolo e miope dal quale gli altri devono essere tenuti fuori, allontananti, respinti. In una parola, per molti di loro: semplicemente condannati a morte“.
E ancora: “I rappresentanti del governo, anziché essere a Lampedusa a occuparsi del destino di migliaia di persone in mare e dall’altra parte del mare – ha detto ancora Lorefice – preferiscono occuparsi di una persona sola: un giudice di Catania che ha fatto il suo lavoro secondo la legge e secondo coscienza, considerando illegittime quelle previsioni del Decreto Cutro che violano sia le norme europee sia innanzitutto la nostra Costituzione”.
A seguire il ricordo di don Pino Puglisi, “che se fosse stato ancora oggi tra noi lui sarebbe adesso proprio lì, sul molo di Lampedusa”. Infine l’esortazione: “Come farebbe Don Pino, tutti noi dobbiamo sentirci oggi chiamati su quel molo, ancora una volta non per vuote celebrazioni di strazianti anniversari, ma per assumere un impegno che è di ordine umano ed etico, prima ancora che sociale e politico”.
Perché “i migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati’, come ci ha appena esortato Papa Francesco a Marsiglia”
(da agenzie)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
LA CRISI BRUCIA ANCHE IL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE: -20 MILIARDI NEI PRIMI SEI MESI DEL 2023 A FRONTE DI UNA PERDITA DI POTERE D’ACQUISTO CHE NON SI È ANCORA FERMATA
L’ombra della recessione si allunga sui conti pubblici, ma nelle tasche degli italiani è già diventata realtà. Colpa dell’inflazione e della corsa dei tassi d’interesse. Se la prima erode il potere d’acquisto delle famiglie che vedono i consumi crescere solo a valore; la seconda brucia i risparmi accumulati. Un po’ perché le riserve servono a fare fronte ai costanti aumenti delle rate e della spesa, un po’ perché a scendere è proprio la propensione al risparmio. Un trend iniziato con la fine della pandemia.
La fotografia scattata dall’Istat al secondo trimestre dell’anno, lascia poco spazio all’immaginazione. Tra aprile e giugno, il Pil è calato dello 0,4%, mentre il reddito disponibile delle famiglie è diminuito dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti: i consumi registrano un +0,2%, mentre i risparmi si fermano al 6,3% – 0,4 punti percentuali in meno rispetto al primo trimestre dell’anno. E a fronte di una sostanziale stazionarietà dei prezzi su base congiunturale […] il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente.
Secondo Confesercenti, nei primi sei mesi di quest’anno la quota di risorse destinata al risparmio è calata di 20 miliardi. L’associazione parla di «un quadro allarmante: le famiglie stanno riducendo le proprie capacità di risparmio per conservare il livello dei consumi, a fronte di una perdita di potere d’acquisto che ancora non si è arrestata. Rispetto allo scorso anno, circa 8 miliardi di euro in meno in sei mesi, pari a oltre 300 euro in meno a famiglia.
Inoltre, al debito pubblico che ogni italiano si accolla – circa 48 mila euro a testa, in aumento dai 40 mila circa del pre-pandemia – si somma anche una veloce crescita del debito privato delle famiglie consumatrici: nel 2023 dovrebbe arrivare a sfiorare gli 11.500 euro pro-capite, circa 1.300 euro in più rispetto al 2019».
(da La Stampa)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
“AVEVAMO PASSATO UNA BELLISSIMA GIORNATA A VENEZIA. HO SENTITO UN RUMORE FORTISSIMO, COME UN TERREMOTO. HO PROVATO A DIFENDERMI STRINGENDO LA TESTA TRA LE MANI”
Dalla gita in piazza San Marco a un letto del reparto di Chirurgia toracica dell’ospedale all’Angelo di Mestre. Alexander Lomakyn, 38 anni, ucraino, stringe in mano lo smartphone, l’unico contatto con i familiari rimasti e con il mondo che parla di lui. Era in vacanza con il padre anziano Vasil e in un attimo è cambiato tutto.
«Ho sentito un boato, come un terremoto. Mi sono ritrovato in mezzo a corpi senza vita, sangue, persone ferite. Non capisco come possa essere successo», dice, consapevole di essere un miracolato, uno dei superstiti della tragedia che ha fatto il giro del mondo.
Risponde con un filo di voce, Lomakyn, dopo circa 24 ore trascorse nel reparto al secondo piano dell’Angelo. «Eravamo in vacanza», racconta. «Avevamo trascorso una bellissima giornata a Venezia, io e mio padre ». Alexander Lomakyn, che compirà 39 anni il 29 novembre, ha saputo solo nelle prime ore di ieri mattina che il padre non ce l’ha fatta.
Lui ha riportato ferite da schiacciamento e altrimenti non poteva essere, visto che nel salto mortale del pullman gli sono finiti addosso corpi morti e vivi, bagagli, zaini. «Ho provato a difendermi stringendo la testa tra le mani, l’urto è stato fortissimo», dice ancora, descrivendo con le poche parole rimaste ciò che ha provato mentre il bus precipitava senza controllo.
«Dopo l’incidente avevo perso di vista mio papà, sapevo che eravamo rimasti coinvolti in una tragedia, ma speravo che riuscisse a salvarsi». Mentre racconta con lo sguardo spento ciò che ricorda, gli occhi gli diventano lucidi.
Alexander e Vasil Lomakyn avevano scelto di farsi la vacanza in Veneto dopo aver trascorso un periodo molto difficile, conseguente allo scoppio della guerra nel loro Paese. Ma di questo ora non vuole parlare.
Il campeggio di Marghera l’aveva scelto proprio per la possibilità di conciliare la classica vacanza al mare con le gite a Venezia, città unica al mondo. «Adesso voglio solo capire cosa è successo, voglio sapere di chi è la responsabilità», ripete commosso. «Ho perso mio padre e tante altre persone hanno perso i loro cari. Penso sia giusto fare chiarezza».
(da la Repubblica)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
PERSI 700.000 RICOVERI… AUMENTANO LE LISTE DI ATTESA E I GUADAGNI DELLA SANITA’ PRIVATA
«C’è sempre una soluzione a tutto, ciò che conta è la salute», dice l’antico proverbio. Lo dice anche l’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Su questo diritto abbiamo costruito uno dei sistemi sanitari migliori al mondo, salvo poi svuotarlo piano piano nel corso degli anni, pentircene, e giurare di risanarlo. Bene, guardiamo com’è oggi la situazione in Italia con un’elaborazione in esclusiva di Dataroom su dati dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che fa capo al ministero della Salute, e che per la prima volta ci permettono di capire davvero cosa è successo negli ospedali italiani dopo i 2 anni orribili del Covid. Il 2022 dovrebbe essere stato un anno di ritorno alla normalità, in cui è possibile anche recuperare l’attività rimasta indietro nei mesi clou dell’epidemia
I ricoveri persi
Nel 2022 in Italia ci sono stati 6,9 milioni di ricoveri di cui 5,1 negli ospedali pubblici e quasi 1,8 nei privati accreditati con il servizio sanitario.
Rispetto al 2019 gli ospedali pubblici perdono 740.788 ricoveri, che diventano 833.749 se togliamo i 92.961 ricoveri Covid che nel 2019 non ci sono stati. Tradotto in percentuale fa un meno 13%.
È come se in Italia in 4 anni avessimo chiuso, nel silenzio più assoluto, oltre 17 mila posti letto. L’equivalente di 40 ospedali di medie dimensioni e oltre 800 reparti. Invece negli ospedali privati accreditati i ricoveri sono diminuiti solo del 4%, che al netto dei ricoveri per Covid la perdita è di 79.953 ricoveri.
Infatti se nel 2019 su 100 ricoveri 76 erano negli ospedali pubblici e 24 nel privato accreditato, ora il rapporto è 74 nel pubblico e 26 nel privato convenzionato.
Può sembrare differenza piccola, ma in realtà indica una tendenza progressiva in corso da tempo e ancora non visibile al cittadino comune. Per lui non fa differenza, quello che gli interessa è essere curato al meglio, e generalmente le più importanti strutture convenzionate funzionano bene. Del resto il servizio sanitario nazionale accredita gli ospedali privati per contribuire a completare l’offerta sanitaria e potere erogare ovunque i livelli essenziali di assistenza. Dunque sulla carta hanno stessi diritti e stessi doveri. Ma è davvero così? Per rispondere a questa domanda bisogna capire se gli ospedali privati accreditati, i cui ricoveri Covid nel 2022 sono ormai limitati al minimo (12.311), si fanno carico di compensare l’attività non svolta dal pubblico ancora in evidente difficoltà. Vediamo cosa dicono i numeri
Patologie oncologiche
Partiamo dagli interventi chirurgici per tumori, e dunque per le patologie più gravi e urgenti:
• tumori al seno con mastectomia: nel 2022 il privato accreditato fa 412 interventi in più rispetto al 2019, e recupera anche il pubblico con +806;
• neoplasie al rene e uretere: il privato accreditato ne fa 494 in più, e recupera anche il pubblico +457;
• polmoni: il privato accreditato ne fa 316 in più, e recupera anche il pubblico +324;
• interventi per tumori prostata : il pubblico ne fa 1.545 in meno, il privato 2.413 in più.
Dunque: nel recupero dei ricoveri persi per le patologie tumorali più gravi la risposta del sistema sanitario nel 2022 è importante sia nel pubblico sia nel privato accreditato che in alcune aree è determinante per ottenere un saldo positivo rispetto al 2019.
Altre malattie
Il quadro cambia se guardiamo i ricoveri per le altre patologie mediche e chirurgiche:
• ricoveri cardiologici come quelli per aritmia meno 7.588 nel pubblico e meno 1.427 nel privato, e quelli per insufficienza cardiaca meno 36.983 nel pubblico e meno 7.155 nel privato;
• interventi di chirurgia vascolare minore (legatura e stripping di vene): meno 5.349 nel pubblico e meno 2.023 nel privato;
• malattie degenerative del sistema nervoso: meno 9.152 nel pubblico e meno 5.522 nel privato;
• ricoveri legati alle malattie gastroenteriche e delle vie biliari come quelli per esofagite: meno 13.575 nel pubblico e meno 3.319 nel privato;
• interventi oculistici come interventi sulla retina: meno 2.583 pubblico e meno 79 privato;
• interventi di tonsillectomia e/o adenoidectomia: meno 8.295 nel pubblico e meno 2.002 nel privato.
E la lista degli esempi può continuare.
Prestazioni più remunerative
Quindi per le patologie che possiamo definire più comuni, che però poi fanno impazzire i cittadini prigionieri delle liste d’attesa, il pubblico arranca e il privato accreditato non fa nessun sforzo supplementare. Cosa fa invece: il privato accreditato sceglie le attività in cui guadagnare quote di mercato su una base economica di redditività, specializzandosi sempre di più in quegli interventi con tariffe di rimborso più elevate (Drg ad alta redditività).
I dati lo dimostrano in modo inequivocabile:
• sostituzione di articolazioni maggiori o reimpianto degli arti inferiori (protesi): più 16.674 interventi nel privato che fa il 56% di questi interventi (in crescita rispetto al 49% del 2019). Rimborso: 12.101 euro.
• chirurgia dell’obesità: più 3.301 interventi nel privato che ne fa il 68% (in crescita rispetto al 59% del 2019). Rimborso: 5.681 euro.
• artrodesi, dove vengono inchiodate le vertebre della schiena, a seconda delle tecniche: più 1.413 interventi nel privato che ne fa il 60% (in crescita rispetto al 53% del 2019). Rimborso: 12.376. Oppure artrodesi vertebrale con approccio anteriore/posteriore: più 89 nel privato che ne fa il 66% (in crescita rispetto al 64% del 2019). Rimborso 19.723.
Tra le prestazioni più remunerative anche quelle delle specialità di cardiologia/cardiochirurgia come dimostrato nel Dataroom del giugno 2021 (qui) che soprattutto su Milano vedono concentrazioni impressionanti e in continua crescita nel privato accreditato che sostituisce il 77% delle valvole cardiache (17.843 euro), fa il 67% dei bypass coronarici (19.018 euro) e impianta il 62% dei defibrillatori (rimborso 19.057 euro).
Conclusione: gli ospedali pubblici nel 2022 perdono 1,27 miliardi
(meno 6,7%) rispetto al 2019, i privati accreditati guadagnano 57,7 milioni (+1%). I cittadini aspettano in lista d’attesa. O devono pagare
L’importanza delle regole
Ma cambiare le cose è possibile? Nell’agosto 2019 in Lombardia, tranne che in caso di tumori o gravi patologie, il rimborso dell’artrodesi viene tagliato: il minimo è 3.200 euro fino a un massimo di 7.600 e non più 19.723 euro. È una decisione dell’allora direttore generale della Sanità Luigi Cajazzo, proprio per rendere gli interventi redditizi e tentare di limitare quelli inutili (qui il Dataroom del novembre 2019 e qui la delibera con le tariffe pag. 10).
In controtendenza rispetto al resto d’Italia succede che nel 2022 gli interventi calano del 23% rispetto al 2019.
Il 15 maggio 2023 con la delibera 285 su proposta dell’assessore Guido Bertolaso le tariffe dell’artrodesi sono riviste al netto rialzo: l’artrodesi vertebrale con approccio anteriore/posteriore combinato arriva a 22.219 euro di rimborso senza più nessun paletto
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 5th, 2023 Riccardo Fucile
L’ING. DE VITA: “LE CAUSE DELLA TRAGEDIA NON SONO STATE LE BATTERIE AL LITIO DEL PULLMAN”
“Non abbiamo alcun elemento per trarre conclusioni sul guardrail, per questo ci serve una perizia”. L’ha dichiarato il Procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi, riferendosi al varco di servizio – circa un metro e mezzo – presente lungo il guardrail sfondato dal pullman precipitato a Mestre. Il magistrato ha aggiunto che sulla barriera “faremo tutte le attività del caso, iniziando da una consulenza tecnica, appena avremo trovato il soggetto idoneo per farla. Servono conoscenze tecniche, non giuridiche”. Come era emerso fin dal principio, dunque, le condizioni del guardrail verranno esaminate con attenzione, e un focus particolare verrà dedicato alla presenza di un “varco di servizio” di un metro e mezzo.
Al riguardo è intervenuto anche l’assessore alla Mobilità di Venezia Renato Boraso, secondo cui quel buco “è un punto di passaggio, un varco di accesso per motivi di sicurezza, per la manutenzione”. “Si tratta di una piccola interruzione che si trova, talvolta, lungo i guardrail. Non vorrei che qualcuno pensasse che 13,5 tonnellate (il peso del bus precipitato, ndr) si sarebbero fermate per un metro e cinquanta” in più di barriera. Boraso ha comunque ammesso che “sicuramente la doppia fila di guardrail è vetusta perché così abbiamo ereditato questo cavalcavia”, ora al centro di un progetto di ammodernamento da 6,5 milioni di euro. “Non è che un metro e mezzo impedisce la caduta”, ha dichiarato l’assessore.
Saranno i magistrati a fare chiarezza e stabilire se quel buco, che ha interrotto la continuità del guardrail, potrebbe aver determinato la caduta dell’autobus dal viadotto e la morte di 21 persone. Su questo aspetto Fanpage.it ha interpellato l’ingegner Enrico De Vita, editorialista di AutoMoto.it ed esperto di sicurezza stradale.
A quasi due giorni dalla tragedia è emerso che il guardrail di Mestre presentava un varco di circa 1,5/2 metri. Le indagini faranno maggiore chiarezza, ma lei – guardando le foto e i video – che idea si è fatto sulla dinamica dell’incidente? Quel guardrail era adatto a quel tipo di strada e ai mezzi che vi transitavano?
Premesso che saranno le indagini della magistratura ad accertare quello che è accaduto ritengo che si possano fare delle ipotesi: ho osservato attentamente fotografie e documenti del tratto di strada di Mestre in cui è avvenuta la disgrazia: innanzitutto si può notare una strisciata della gomma anteriore destra contro il massetto del marciapiede. Dopodiché sono iniziati i colpi della parte della carrozzeria più alta del veicolo contro il guardrail.
A cosa potrebbero essere dovute le strisciate della gomma sul marciapiede?
A due motivi, probabilmente: le gomme del bus erano sgonfie e hanno “tirato” il mezzo verso destra fino a spingerlo contro il marciapiede. Oppure una manovra involontaria dell’autista verso destra ha causato un processo di sgonfiamento immediato delle gomme. Potrebbe essere accaduto, ad esempio, se il bus ha urtato un marciapiede più basso dello spessore degli pneumatici, facendo fuoriuscire aria. Questo fenomeno potrebbe aver “tirato” il pullman verso destra. Morale: le tracce di gomma mi inducono a pensare che ci sia stato un problema di pressione delle gomme. O hanno perso aria improvvisamente, o erano basse da prima. La cosa è facilmente verificabile andando ad esaminare le condizioni degli pneumatici del bus. Ad ogni modo questo spostamento verso destra sarebbe stato ininfluente se non ci fosse stata l’interruzione di circa un metro e mezzo del guardrail.
Che ruolo potrebbe aver giocato quel “buco” sulla barriera protettiva?
Immaginiamo il bus che si appoggia sul tratto di guardrail precedente perché ha le ruote sgonfie: se la protezione fosse stata continua avrebbe provocato l’arresto del mezzo di lì a un po’. Il varco di un metro e mezzo ha fatto sì che il pullman venisse quasi “scaraventato” verso destra incocciando con il muso la parte della lamiera che dava inizio al successivo spezzone del guardrail. L’impatto ha fatto immediatamente sbandare la coda del veicolo. E qui entrano in gioco le batterie: la maggior parte di esse erano collocate sul tetto, e alcune nella coda. Imprimere uno “stop” improvviso all’altezza dei fari anteriori destri del pullman gli ha fatto ricevere di colpo una coppia di forza, che ha spostato il retro del bus verso il centro della strada facendolo poi precipitare dal varco. Le batterie pesavano circa tre tonnellate e mezzo, erano collocate prevalentemente sulla parte alta del mezzo: lo schianto con il guardrail potrebbe aver provocato una coppia ribaltante. Questa potrebbe essere stata la dinamica dell’incidente.
Quel tipo di guardrail sarebbe stato adatto a contenere un autobus?
Lo sarebbe stato, se non ci fosse stato il varco. Questo lo dimostrano i sei/sette impatti contro il guardrail che il pullman ha avuto prima di precipitare nel vuoto. Finché la protezione è stata continua ha contenuto la corsa del bus. È stata la mancanza di guardrail per oltre un metro e mezzo a determinare le conseguenze più gravi dell’incidente.
A proposito di quel “buco”: per l’assessore alla Mobilità di Venezia Renato Boraso, il varco era “un punto di passaggio, un varco di accesso per motivi di sicurezza, per la manutenzione”.
Non ho mai visto un varco di servizio che faccia scendere dei pedoni in una zona del genere, tra l’altro sprovvista di strisce pedonali . Se quel varco fosse stato progettato per quel motivo si tratterebbe di un errore. È diabolico pensare che in un viadotto così trafficato di vetture di ogni tipo, e anche ad alta velocità, un pedone possa avventurarsi ad attraversare la strada da una parte all’altra per imboccare quel passaggio di servizio. Ripeto: quel varco è un errore infrastrutturale che potrebbe essersi rivelato tragico. Aggiungo: nessun mezzo deve poter cadere dall’alto su un viadotto, tanto meno se pesa decine di tonnellate e se sotto transitano altri mezzi e pedoni.
Allarghiamo il campo: in generale qual è la situazione in Italia? I guardrail sono adeguati?
Nel nostro Paese non esiste un “libro” che insegni agli enti pubblici a costruire le infrastrutture stradali. Provò a scriverlo Nerio Nesi anni fa, ma il suo progetto venne fatto naufragare. Di conseguenza oggi in Italia manca una norma valida per tutti, c’è enorme anarchia sulle rotonde, i guardrail e in generale sulla costruzione delle strade ognuno fa come meglio crede. Aggiungo che laddove delle norme esistono manca chi le faccia rispettare sanzionando chi commette degli illeciti. L’ordinamento americano, ad esempio, prevede un organo legislativo che scrive le norme e le sperimenta per un anno. Tale organo ha anche potere esecutivo – stabilendo chi e come deve applicarle – e infine sanzionatorio, riducendo i fondi alle amministrazioni pubbliche che commettono degli errori. In Italia manca un ente che abbia queste competenze: ogni comune fa quello che vuole e al massimo richiede la consulenza dell’Anas.
Nelle immediatezze della tragedia di Mestre membri del governo hanno puntato il dito contro le batterie al litio del bus elettrico. Cosa ne pensa?
Se avessero preso fuoco batterie al litio sarebbero ancora lì a bruciare. Sarebbe stato impossibile spegnerle in meno di un’ora come hanno fatto vigili del fuoco di Mestre. Non ritengo, quindi, che si siano incendiate le batterie al litio-fosfato-zolfo: penso, invece, che dopo la caduta dall’alto ci sia stato qualche inevitabile cortocircuito per esempio nell’impianto elettrico secondario dei servizi di bordo, che sono alimentati da una batteria a parte. Il corto circuito potrebbe aver innescato un incendio negli arredi del bus. Se le batterie al litio hanno una “colpa” è quella di essere state posizionate sul tetto e di pesare complessivamente 3,5 tonnellate, creando un coppia ribaltante spaventosa quando si è contrapposta una forza contraria nella parte bassa e anteriore del pullman. L’origine fondamentale dell’incidente non è certo nelle batterie, ma nella mancanza di un tratto di guardrail.
In generale i veicoli elettrici sono tendenzialmente più pesanti degli altri?
Decisamente. Consideri che per avere 350 kilowattora occorrono pacchi di batterie che al giorno d’oggi pesano mediamente 5 chili ogni kilowattora. Il calcolo presto fatto: sono 1,75 tonnellate. Si consideri che un motore diesel pesa appena 3,5 quintali.
Vanno adeguate anche le infrastrutture di sicurezza alla luce della pesantezza dei mezzi elettrici?
Il pullman precipitato a Mestre avrebbe avuto un peso complessivo di circa 17 tonnellate, ma ci sono tir a gasolio che a pieno carico arrivano a pesare 40 tonnellate. Il problema è che le infrastrutture di sicurezza installate a Mestre erano obsolete e inadeguate per qualsiasi mezzo pesante, a prescindere dall’alimentazione.
(da Fanpage)
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