Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
VALE ANCHE UNA FOTO DOVE HA FATTO UNA SMORFIA VEDENDO LE VOSTRE FACCE DI TOLLA
Una valanga, come era facile prevedere. Il provvedimento della giudice Iolanda Apostolico non è più un caso isolato. C’è già un altro giudice a Catania che ha ritenuto di non convalidare il trattenimento di altri sei migranti a Pozzallo, disposto dal questore di Ragusa.
Il provvedimento è stato adottato dal giudice Rosario Cupri, un collega di Iolanda Apostolico.
Ed esattamente come fatto il 29 settembre dalla Apostolico, anche in questo il giudice ha ritenuto di disapplicare la norma del decreto Cutro che prevede il trattenimento di richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri in attesa delle procedure accelerate di frontiera. Dunque, un’altra sconfessione, la terza ( considerando anche la pronuncia dei giudici di Firenze) delle nuove norme sull’immigrazione decise dal governo.
Il giudice ha disposto l’immediata liberazione dei richiedenti asilo difesi dagli avvocati Rosa Lo Faro e Fabio Presenti con motivazioni articoli del tutto simili a quelle della collega Apostolico, rilevando anche come le procedure accelerate di frontiera debbano essere fatte nel luogo di sbarco ( anche in questo caso Lampedusa) e come sia di fatto illegittimo il trattenimento immotivato e la richiesta di una fidejussione di 5.000 euro in cambio della libertà.
“Un altro giudice, Rosario Cupri, non ha convalidato il trattenimento di alcuni migranti a Pozzallo. Siamo in attesa di foto, video, post che si prestino a screditarlo. Consegnare subito a Salvini”, scrive su X Sandra Zampa del Pd.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
MONSIGNOR RENNA: “DECISIONE MOLTO IMPORTANTE, IL GOVERNO MELONI VA CONTRO I PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE”… ORA USCIRA’ UN FILMINO SOVRANISTA PER ACCUSARLO DI RUBARE L’ELEMOSINA IN CHIESA?
L’arcivescovo di Catania, Monsignor Luigi Renna, ha espresso il suo orgoglio per la sentenza del tribunale di Catania che ha disapplicato il decreto Cutro, definendola “molto importante”.
In un’intervista Renna ha criticato l’attacco frontale del governo nei confronti del giudice Iolanda Apostolico, definendolo “inaccettabile”.
“Bisogna rispettare la distinzione dei poteri”, ha detto Renna. “In uno stato democratico questo attacco frontale alla magistratura non dovrebbe verificarsi”.
L’arcivescovo ha poi espresso la sua preoccupazione per l’approccio del governo Meloni al tema dell’immigrazione, che secondo lui “va contro i diritti garantiti dalla nostra Costituzione e quelli sanciti a livello europeo”.
“Il governo fa decreti legge e solo dopo si rende conto se sono applicabili o meno”, ha detto Renna. “Credo non sia questa la strada da seguire”.
Renna ha quindi proposto di puntare sui corridoi umanitari, che ritiene essere “la via maestra” per affrontare il problema dell’immigrazione.
L’arcivescovo ha infine criticato il governo per l’ostruzionismo nei confronti dell’impegno delle Ong, che “vanno oltre gli schemi con un unico nobile obiettivo: salvare le persone”.
(da Globalist)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
IL CASO PIÙ CLAMOROSO È LA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE, CHE NEL PASSAGGIO IN PARLAMENTO È STATA PRATICAMENTE STRAVOLTA (CON LA SCONFITTA DELLA MELONI E LA VITTORIA DI MARINA BERLUSCONI)
Come si dice, tra il dire e il fare… Quante volte dal governo, da Palazzo Chigi piuttosto che da uno dei tanti ministri, son partiti proclami, annuncia su misure mirabolanti, anche di forte impatto popolare, che poi alla prova dei fatti si sono rivelate irrealizzabili? Oppure norme che hanno generato proteste talmente forti da parte dei soggetti a cui dovevano essere applicate da indurre l’esecutivo a fare dietro front o a cambiare strada.
La tassa sugli extraprofitti delle banche nel passaggio in Parlamento è stata praticamente stravolta: se nella prima versione poteva risultare inapplicabile in quella finale è praticamente scontato che non riuscirà a produrre il gettito che il governo si attendeva.
Contro i benzinai e le compagnie aeree, il governo era partito lancia in resta dichiarando una sorta di guerra totale a rincari e movimenti speculativi di vario tipo, ma anche su questi due fronti ha poi dovuto ricredersi e rivedere tutte le sue pretese. Per una semplice questione di rispetto delle regole di mercato e, in alcuni casi, per la forza delle lobby e dei vari potentati economici che gli hanno sbarrato la strada.
BANCHE ADDIO AI 3 MILIARDI CHE MELONI VOLEVA DAGLI EXTRAPROFITTI
Il caso più clamoroso è quello della tassa sugli extraprofitti delle banche, deciso in solitaria da Giorgia Meloni senza consultare gli alleati di maggioranza, a partire da Forza Italia (che infatti si è messa subito di traverso su pressione di Fininvest azionista di Banca Mediolanum).
La premier voleva colpire le banche che per mesi avevano «lucrato» sui tassi di interesse relativi a mutui e prestiti puntando a incassare oltre 3 miliardi di euro da destinare poi al finanziamento di misure a favore delle fasce più deboli della popolazione. Ovviamente c’è stata la levata di scudi delle banche, ha protestato anche la Bce ed alla fine il provvedimento si è sgonfiato. E’ cambiata la base di calcolo, sono stati esclusi dal calcolo i titoli di Stato, ma soprattutto è stata data la possibilità agli istituti di sospendere i versamenti se utilizzeranno le risorse per rafforzare il loro patrimonio.
TAXI LA GRANA LICENZA CEDUTA AI SINDACI MA SENZA SOLDI
Quella dei taxi è stata «la» crisi dell’estate, con le città prese d’assalto dai turisti e le auto bianche introvabili quasi ovunque, soprattutto a Roma e Milano, con lunghe code, proteste e forti disagi sotto il solleone davanti a stazioni ferroviarie ed aeroporti e immagini che hanno fatto il giro del mondo. Per ovviare al problema il governo aveva pensato di raddoppiare le licenze assegnandone una gratis ad ogni titolare, che a sua volta poteva cederla per compensare così il possibile danno legato all’aumento della concorrenza.
Le proteste e le minacce di nuovi scioperi da parte di tutta la categoria, tradizionalmente vicina al centro destra, hanno però indotto anche in questo caso il governo al dietrofront: anziché prevedere il cumulo delle licenze è rimasta la possibilità di aumentarle del 20% a discrezione dei Comuni. Che però, a loro volta, adesso protestano perché la nuova procedura velocizzata non assegna loro alcuna risorsa, mentre quella ordinaria loro assegna il 20% dei ricavi delle gare.
AEREI LE COMPAGNIE SI SALVANO SUL CARO-VOLI
Il «caro voli» fa il paio con l’emergenza taxi (e non a caso anche questa norma è stata inserita nell’ultimo «decreto Asset»). I rincari dei prezzi dei biglietti aerei per i voli interni la scorsa estate hanno rappresentato un deciso freno alla ripresa del turismo e uno dei focolai più gravi sul fronte dell’inflazione, danneggiando soprattutto i flussi verso Sicilia e Sardegna.
A luglio si registravano infatti aumentavano compresi tra il 20% e il 50%, e picchi del 70%, nonostante il rallentamento dei prezzi dei carburanti
Nella versione finale del provvedimento è rimasto il riferimento al 200%, ma non più come tetto massimo agli aumenta bensì come soglia oltre la quale l’Antitrust (a cui sono stati assegnati maggiori poteri) si poteva attivare.
BENZINA IL TETTO AI PREZZI NON REGGE ALLE PROTESTE
Travolto dalle polemiche per aver azzerato a inizio anno il taglio (30 centesimi al litro) delle accise sui carburanti, che pure Giorgia Meloni aveva annunciato di voler abolire, a inizio anno il governo ha varato un decreto sulla trasparenza dei prezzi dei carburanti. Sulla carta venivano imposti nuovi obblighi a tutti gli esercenti e venivano inasprite le sanzioni in caso di inadempienza. Si prevedevano l’obbligo di ogni giorno di comunicare al ministero i prezzi praticati e di esporre un nuovo cartello col prezzo medio nazionale e l’introduzione di un tetto ai prezzi praticati in autostradali dove, oggettivamente, a più riprese i prezzi avevano toccato livelli davvero scandalosi . Dalla versione finale del decreto, però, questo tetto è sparito. Quanto al nuovo cartello alla fine si è scelto di esporre i prezzi medi regionali, misura che comunque l’Antitrust ed i consumatori hanno giudicato inutile. Effetti sui prezzi? Nessuno, basta vedere l’andamento delle quotazioni degli ultimi tempi.
COMMERCIO LIBERALIZZAZIONE DEI SALDI ANCORA CONGELATI
L’ennesimo tentativo di liberalizzare i saldi non ha avuto nemmeno l’onore di essere vagliato al Parlamento: questa misura era infatti inserita, questa volta non in un decreto ma nell’ultima legge annuale sulla concorrenza. Presente nella prima bozza del «ddl» è poi scomparsa quando il testo a fine marzo è approdato sul tavolo del Consiglio dei ministri.
In particolare il governo pensava di poter sottrarre alle Regioni la disciplina dei periodi e della durata dei saldi e delle vendite di liquidazione che in questo modo sarebbero diventati praticamente liberi ovunque. Oltre a questo si prevedeva di liberalizzare le vendite promozionali che in base alle nuove norme potevano essere organizzate anche a ridosso dei saldi anziché ad una distanza minima di 30 giorni.
(da La Stampa)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
IL GIALLO DI MALAGUTI AL PRIMO GIORNO DA DIRETTORE DE LA STAMPA… I SOSPETTATI
Tra chi non c’è più e chi si ritirato dalla politica, resta un manipolo ristretto di nomi su quale ministro nel 2005 aveva preteso che il quotidiano torinese cambiasse una foto che non gli piaceva
Andrea Malaguti, il nuovo direttore, racconta il primo giorno a La Stampa e il faccia a faccia con il suo predecessore Giulio Anselmi. Quel giorno – 3 ottobre 2005- Anselmi era al telefono con un ministro infuriato per una foto del giorno prima che si prende un bel vaffa dall’allora direttore de La Stampa. Malaguti non fa il nome del ministro, ma dice che «è ancora piuttosto in auge». Malaguti racconta la tesissima telefonata tra il direttore de La Stampa dell’epoca e il misterioso ministro che «si lamenta per una sua fotografia pubblicata la mattina precedente – scrive Malaguti – (giuro chiama per dire: mi cambi la foto). Anselmi lo lascia finire. Po sentenzia: “Ministro, faccia così: non mi rompa mai più gli zebedei». La parola, ammette Malaguti, non era stata proprio «zebedei», ma il concetto dovrebbe essere chiaro. Per lui la lezione che Anselmi gli ha voluto dare è stata: «Non lasciarti mai ricattare dal potere, questo giornale non l’ha mai fatto». Certo resta il mistero su chi fosse quel ministro, rimasto anonimo nell’editoriale del neodirettore della Stampa. Il manipolo di sospettati è ridotto a pochi nomi: Giulio Tremonti, Gianni Alemanno, Gianfranco Micciché e Claudio Scajola. Gli altri o non sono più in politica o non sono più in vita. Chi mai sarà?!? Non aiuta l’archivio storico de La Stampa, da cui mancano proprio le copie del primo e del 2 ottobre 2005.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
DAL 2009 A OGGI GLI ATEI SONO PASSATI DAL 26% AL 36%. MENTRE SI PROFESSA CREDENTE IL 57% DEGLI INTERVISTATI … SOLO IL 18% VA IN CHIESA OGNI DOMENICA… LA FIDUCIA NELLA CHIESA È CALATA DAL 68 AL 58%
Anche la cattolicissima Italia che un tempo era nota per essere patria di santi e missionari si sta avviando ad assomigliare sempre di più alla Francia o alla Germania, dove la religione è ormai un elemento quasi marginale nella vita delle persone. A fotografare impietosamente il fenomeno dell’abbandono è una ricerca nazionale che la rivista cattolica Il Regno – fondata dai Dehoniani – ha affidato al professor Paolo Segatti dell’Università di Milano con il compito di scandagliare a fondo gli italiani. Il risultato finale è stato presentato a Camaldoli, ad un convegno al quale partecipa anche il cardinale Pietro Parolin.
In poco più di dieci anni chi non crede in Dio è passato dal 26% al 36%. Mentre chi, al contrario, afferma di credere (non importa se graniticamente o con dubbi a seguito) è solo il 57% della popolazione, contro il 72% del 2009. Grosso modo un italiano su due. In quattordici anni la frequenza alle messe è ormai in picchiata ovunque. Chi va in parrocchia ogni domenica, per esempio, è solo il 18%. Tuttavia resta molto forte nella gente il riferimento culturale di base. Alla domanda a quale religione si appartiene, il 72,7% risponde senza esitazione: «A quella cattolica».
Nel frattempo però la scristianizzazione affiora in un altro dato.
Gli atei dichiarati sono raddoppiati e dal 6,2% sono saliti al 15,9%. Resta però ancora una certa fiducia di fondo nell’istituzione ecclesiale che dal 68% passa al 58%. Anche su questo fronte si tratta di un dato in calo probabilmente per effetto degli scandali legati agli abusi sessuali che in questo decennio hanno squassato la Chiesa.
Il professor Segatti rileva poi che il Covid, in questo quadro incerto, ha finito per allontanare ancora di più gli anziani che si recavano regolarmente in chiesa prima della pandemia. I nonni ormai si sono abituati ad assistere alle liturgie in tv dopo che la pratica era stata sdoganata direttamente da Papa Francesco durante il periodo del lockdown.
Ma con la fine della pandemia la situazione non era tornata ai livelli precedenti, anzi, nella ricerca è ulteriormente peggiorata, sono contenute novità anche sul versante del comportamento politico visto che la propensione al voto dei cattolici si posiziona nell’area di centro, sia di coloro che guardano a centro-destra, sia di coloro che guardano a centro-sinistra. Inoltre i cattolici praticanti sono più propensi alla partecipazione politica e sono meno esposti alle sirene sovraniste.
Il tema della scristianizzazione da tempo è al centro delle riflessioni di Papa Francesco che, proprio per questo, ha convocato in Vaticano oltre 400 delegati da tutto il mondo per prendere parte al Sinodo sulla Sinodalità, vale a dire una maxi riflessione con l’obiettivo di individuare cammini condivisi per avvicinare la Chiesa alla gente e renderla maggiormente attrattiva.
(da il Messaggero)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
“LA RAI? STA PASSANDO DAL SERVIZIO PUBBLICO A QUELLO GOVERNATIVO”… “MELONI? NON POTENDO FARE GRANCHÉ, STA DEDICANDO MOLTA ATTENZIONE A BATTAGLIE IDENTITARIE, NESSUNA DELLE QUALI MI SEMBRA ACCETTABILE. LA SCHLEIN? CI STA PROVANDO”
Fabio Fazio, domenica prossima si ricomincia.
«Ricomincio da Nove».
Quanti anni della Rai?
«Quaranta».
Esordio?
«Imitatore a Pronto Raffaella: 10 ottobre 1983. Non avevo ancora compiuto 19 anni, l’età di mio figlio adesso».
Chi imitava?
«Grillo, Troisi, Benigni, Corrado, Enzo Tortora. E poi quelli che non faceva nessuno».
Chi?
«Gli eroi del Mundial: Paolo Rossi, Antognoni, Bearzot. Più avanti, Gianni Minà».
Vieni da Raffaella?
«Dopo due provini. Mi accompagnò mio papà, perché ero troppo ragazzino per andare a Roma da solo. Era la prima volta in vita mia».
Non era mai stato a Roma?
“No. Solo a Parigi, col dopolavoro ferroviario di Savona, con 300 mila lire risparmiate con fatica. Era il maggio 1983, la Roma aveva vinto lo scudetto. Andai a San Pietro e al Colosseo: c’era Venditti al pianoforte bianco che registrava il video di Grazie Roma. La giornata era fatta».
Cosa faceva suo papà?
«Il ragioniere. Impiegato alla provincia».
Il tuca-tuca.
«Il primo turbamento, insieme con Lola Falana, che era bellissima, e Sylvie Vartan».
Perché ha lasciato la Rai?
«È come se uno ti dicesse che non ti rinnova l’affitto di casa: o dormi per strada; o vai a cercare un’altra casa. Non me ne sono andato di nascosto. Ho avuto un’offerta importante ed entusiasmante per un ricominciamento. Da Warner Bros Discovery, un gruppo che mi cercava da sei anni».
Sì, ma con la Rai cos’è successo?
«A marzo l’amministratore delegato mi disse che non sarebbe rimasto e non poteva rinnovare il contratto. A quel punto iniziò la trattativa con Discovery. Lo scrissero i giornali, in Rai lo sapevano tutti: non sono scappato di nascosto col favore dell’oscurità. Semplicemente non si è fatto vivo nessuno e dunque ho capito che la storia finisce lì. […] Non dirò mai nulla contro la Rai, dopo tanto tempo passato non a mangiare nel piatto ma a cucinare quel piatto. È chiaro che questo lavoro si fa se si è voluti, e se si è utili» .
«Belli ciao» vi ha salutati Salvini.
«Ha firmato l’uscita».
È vero che ha contato gli attacchi di Salvini contro di lei?
«Ero arrivato a 124. Poi ho perso il conto».
E il Pd?
«Se fossi organico al Pd o chiunque altro sicuramente sarei ancora in Rai. Non sono mai stato difeso, con buona pace degli illustri colleghi secondo cui ero tornato su Rai3 grazie al Pd. Non ho mai avuto nessun tipo di aiuto, e non mi sognerei di chiederlo».Perché?
«Perché se chiedi aiuto hai finito di fare il tuo lavoro. La libertà è una sorta di solitudine. Non vivo a Roma ma a Milano, con la mia famiglia. Non frequento quasi nessuno. Se avessi avuto qualcuno dietro, i miei anni sarebbero stati diversi, sarei ancora su Rai1 dove ero arrivato nel 2017. Guardo avanti senza rimpianti».
Qualcuno ha detto: Fazio fa il martire e va a guadagnare di più.
«Mi trovi una sola affermazione in cui faccio il martire. Ho detto che vado in un’azienda in cui mi sento benvoluto, a fare un lavoro ben pagato. E ho semplicemente raccontato come sono andate le cose».
Ben pagato quanto?
«L’aspetto meraviglioso di lavorare nel privato è poter rispondere a questa domanda: fatti miei. Mi hanno sempre chiesto quanto guadagnavo in Rai; non mi hanno mai chiesto quanto ho fatto guadagnare alla Rai. “Che tempo che fa” portava alla media di Rai3 oltre un punto di share. E un punto di condivisione vale alcuni milioni di euro. Per 20 anni».
Su Rai3 lei andava in doppia cifra. A quale condividi punta adesso?
«Il paragone è impossibile. La scoperta la domenica sera è attorno al 2. Mi piacerebbe raddoppiare».
Come funzionerà la trasmissione?
«Comincia alle 19.30, con un prologo tra me e Nino Frassica. Accanto a Luciana Littizzetto ci sarà Ornella Vanoni: una farà l’editoriale e l’altra il commento… Ci voleva qualcuno fuori dalle righe, del tutto libero, e abbiamo pensato a Ornella».
Lei Fazio senza la Littizzetto ormai non vive.
«Non credo ci siano altri casi al mondo di un comico, tra l’altra donna, che fa un pezzo di mezz’ora in tv ogni settimana da 15 anni».
Altre novità?
«Ubaldo Pantani fisso. Poi faremo qualche test, e vediamo come va».
Ospiti della prima puntata?
«Patrick Zaki, e spero che sia un’altra meravigliosa sorpresa. L’importante è che i nostri telespettatori ritrovino il programma».
In Rai è davvero cambiato qualcosa con la destra?
«In Rai, ma onestamente più in generale nel Paese, si ha l’impressione che si sia abdicato all’idea di ciò che sempre è stato considerato pubblico, trasformandolo in governativo. Non è spoiler system; è come se, quando cambia il sindaco, cambiasse il tragitto dell’autobus. E questa è una grande perdita. Perché sono sempre di meno i valori acquisiti, a prescindere dalle maggioranze che si alternano».
In Rai si è sempre fatto così.
«Non lo so, ma so che la tv si è sempre fatta aggiungendo, mai togliendo. È proprio l’idea in generale di servizio pubblico che trovo molto trasformata, e non vale solo per la tv. È come se ci fosse un premierato di fatto. Tutti devono normale che pure la scuola o la sanità debbano rispondere al governo. Invece esistono valori che dovrebbero essere acquisiti. I vaccini, ad esempio: non è che sono utili o inutili a seconda di chi vince».
Come trova la Meloni?
«Nulla di peggio dei conduttori tv che parlano di politica…».
Insisto: come trova la Meloni?
«Ha fatto quello che pensavo facesse. Non potendo fare granché, sta dedicando molta attenzione a battaglie identitarie, nessuna delle quali mi sembra accettabile».
La Schlein?
«Ci sta provando, in una situazione complicata. Temo che la strada sia molto lunga e irta di difficoltà».
Salvini?
«Mi ha colpito quando ha detto che i migranti arrivano con il telefonino e le scarpe. Passi il telefonino. Ma le scarpe sono una cosa che definisce la nostra umanità. Gli animali non hanno le scarpe; gli esseri umani sì. L’ho trovata una frase di una violenza definitiva, senza ritorno».
Cosa succede a Mediaset?
«Mi sembra che Pier Silvio Berlusconi abbia avviato un nuovo corso. Ogni novità è divertente, muove il mercato, muove lo statu quo».
Lei è della Samp, Vialli e Mancini erano i suoi idoli oltre che i suoi coetanei. Come ha preso l’addio del ct della Nazionale?
«Auguro ogni bene a Roberto, ma penso che l’uscita non sia stata felice. Avrebbe dovuto spiegare meglio i motivi».
Soldi.
«Mi pare ingeneroso e superficiale: non credo ne avesse bisogno. Sarebbe interessante conoscere le circostanze che l’hanno portato a prendere una decisione raccontata male».
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE: “LE SENTENZE SI GIUDICANO IN BASE ALLE ARGOMENTAZIONI, NON PER LA VITA PRIVATA DEL MAGISTRATO”… “E’ VIETATO PARTECIPARE A MANIFESTAZIONI SOLO SE CCONNESSA A UN PROCEDIMENTO IN CORSO E NON ERA QUELLO IL CASO”
«La giudice Apostolico non ha violato alcuna norma. Giudicare una sentenza dalla vita del magistrato e non dai suoi argomenti ci porta fuori dalla civiltà giuridica», dice Giovanni Maria Flick, ex magistrato, ex ministro della giustizia, ex presidente della Corte Costituzionale e docente di diritto penale.
Lei avrebbe partecipato alla manifestazione di Catania, come la giudice Apostolico?
«Posso solo dire quello che ho fatto in passato, da magistrato e da giudice costituzionale: non ho mai partecipato a manifestazioni che potessero avere, o anche solo ingenerare, connotazione politica, qualunque fosse il significato».
Per quale motivo?
«Perché ritenevo che il riserbo del magistrato e la necessità di apparire imparziale, oltre a esserlo, sconsigliassero di farsi trovare in situazioni connotate dal rischio di condividere, o anche solo assistere, alla manifestazione di posizioni o comportamenti che non condividevo».
Non si è mai sentito limitato, come cittadino?
«Mai. Ho interpretato con particolare rigore lo spirito delle prescrizioni che l’articolo 98 della Costituzione dà al cittadino magistrato, consentendo limiti di iscrizione a partiti politici alla pari di militari, poliziotti e diplomatici».
Dunque la giudice Apostolico ha sbagliato?
«Non ho titolo per esaminare posizioni altrui. Ma non mi sento di giudicarla in questi termini. Non mi pare abbia violato alcuna norma disciplinare. Quanto alla deontologia, peraltro raramente applicata, è rimessa alla sensibilità del singolo».
Partecipare alla manifestazione non ne compromette l’immagine di imparzialità?
«Ma andiamo: come si può utilizzare la partecipazione di cinque anni prima a una manifestazione per un’accusa di parzialità ora? Come può un giurista motivare un’affermazione simile?».
C’è differenza tra una manifestazione convocata da associazioni e una di partito? Non è politica, comunque?
«La differenza è enorme. Partecipare a una manifestazione civile può voler dire aderire a campagne per i diritti politici e le libertà di tutti, non di una parte. Infatti le norme disciplinari vietano l’iscrizione la partecipazione sistematica e continuativa all’attività dei partiti, nonché ogni altro comportamento che leda l’imparzialità anche sotto il profilo di apparenza».
Appunto, l’apparenza. Si è molto evocata, in questi giorni, l’immagine della moglie di Cesare.
«Attenzione. Da ministro, mi ero battuto per rendere tassativi gli illeciti disciplinari dei magistrati, allora molto vaghi. Finalmente, nel 2006 ciò è stato fatto. Ora il catalogo è preciso. La legge vieta la pubblica manifestazione solo se connessa a un procedimento in corso».
Che vuol dire?
«Non è la mera partecipazione a una manifestazione che ti rende sospetto di parzialità, ma la manifestazione di assenso o dissenso in un procedimento in corso».
Rileva anche il fine della manifestazione?
«Certo. Quella di Catania chiedeva il rispetto di diritti civili fondamentali, coperti dalla Costituzione. Insensato ipotizzare che ciò si riverberi negativamente sull’imparzialità del magistrato. Anzi: difendere principi umanitari e costituzionali è un dovere civile per tutti».
Secondo il presidente del Senato, la giudice avrebbe dovuto astenersi dal trattare ricorsi in materia di immigrazione.
«Cinque anni dopo? Davvero parliamo di un obbligo attuale di astensione per aver partecipato cinque anni prima a una manifestazione sui diritti civili? Non lo vedo proprio».
Crede che ci saranno iniziative come ispezioni e azioni disciplinari?
«Mi sembrano ipotesi cariche di eccessiva enfasi. C’è una distanza insormontabile tra un comportamento che si ritiene sintomatico di non imparzialità – e ho i miei dubbi che lo sia, visto che era una manifestazione sui diritti civili – e un illecito disciplinare. O vogliamo avviare ispezioni anche su Emergency e gli scout, che promossero quella manifestazione?».
Ricorda altri casi di partiti di governo che chiedono il licenziamento di un giudice per un provvedimento sgradito?
«Non è un partito, sono singole posizioni politiche. Dal punto di vista istituzionale, mi piacerebbe che critiche sempre legittime aspettassero la verifica del giudice superiore. Un singolo provvedimento, giusto o sbagliato che sia, non vuol dire che la magistratura combatte il governo».
Il governo cercherà di riscrivere i rapporti con la magistratura?
«Non mi pare il momento più opportuno per discuterne. Occorre ritrovare un equilibrio, ma evitando polemiche e strumentalizzazioni su un singolo provvedimento. La realtà è che la magistratura ha assunto, soprattutto per inerzia della politica su molti temi, un ruolo che non è più di accertamento di fatti specifici e responsabilità individuali, ma di attore di sistema».
Si continuerà a fare lo screening ideologico dei giudici?
«Dovremmo concentrarci su come un giudice lavora e motiva i provvedimenti. Ma la tendenza c’è. Negli Usa l’intelligenza artificiale viene usata con applicazioni sofisticate per ricostruire vita, abitudini, pensiero, patrimonio dei giudici».
Da chi?
«Sono servizi sul mercato. Gli avvocati se ne servono per impostare la difesa su base predittiva. So che giudice ho di fronte, valuto se andare a giudizio o fare una transazione».
Non è giusto sapere chi è il giudice?
«Una cosa è la trasparenza totale, altra è utilizzare una massa sterminata di dati per profilare il giudice. Chi reclamizza questi servizi, dice: “Noi non guardiamo la legge o i fatti, ci interessa il lavoro di ricerca a tappeto sulla vita precedente del giudice”».
Dunque Salvini è al passo con gli Stati Uniti?
“Ah, non lo chieda a me. Certo lo è ora in Italia».
E in Europa, ci sono esperienze analoghe?
«L’Inghilterra pare adeguarsi agli Usa. Al contrario e per fortuna, la Francia ha introdotto una legge che punisce con pene fino a 5 anni chi riutilizza i dati di identità del magistrato per valutare, analizzare o predire pratiche professionali reali o supposte».
Che significa?
«Che non puoi profilare il giudice per valutare come deciderà e censurare le sue decisioni alla luce della sua vita precedente, sia professionale che personale».
È una questione rilevante?
«Mi preoccupa un mondo in cui si passa il pettine sulla vita del giudice. Ci porta fuori dalla civiltà giuridica. L’impatto del digitale sulla giustizia è vorticoso. Non si tratta di digitalizzare un fascicolo, ma di arrivare a una giustizia robotica».
Ma in fondo una giustizia robotica, più prevedibile, non garantisce meglio la certezza del diritto?
«Non credo che un algoritmo salverà il mondo. Vede, molti anni fa sono entrato nel mondo del diritto con la convinzione che la certezza fosse fondamentale. Ora ne sto uscendo con la convinzione che la cosa fondamentale è il ragionevole dubbio».
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
LA MELONI VUOLE A TUTTI I COSTI LA CONFERMA DEL TAGLIO DEL CUNEO FISCALE…IL TESORO BOCCIA LA PROPOSTA DELLA MINISTRA CALDERONE SULLA DETASSAZIONE DEGLI AUMENTI SALARIALI FRUTTO DEI RINNOVI CONTRATTUALI: COSTA TROPPO… IL GOVERNO VA A CACCIA DI RISORSE PER LA SANITÀ, MA È COMPLICATO RECUPERARE I 4 MILIARDI CHE MANCANO
L’obiettivo è una manovra da 22 miliardi di euro: lavoro, sanità e fisco le priorità su cui è impegnato il governo. Per superare l’emergenza salari, Palazzo Chigi punta sulla conferma del taglio del cuneo fiscale e sul rafforzamento della contrattazione collettiva. Proprio l’idea di spingere sui contratti nazionali trova conferma nel documento del Cnel, a cui la premier Giorgia Meloni ha affidato il compito di avanzare una proposta alternativa al salario minimo richiesto dalle opposizioni e dalla Cgil.
Il Tesoro ha bocciato un vecchio pallino della ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone: la detassazione degli aumenti salariali frutto dei rinnovi contrattuali. La proposta avanzata da Calderone al tavolo con il ministro Giancarlo Giorgetti prevede un’aliquota al 10% sugli incrementi di primo livello, misura che riguarderebbe quasi 8 milioni di lavoratori.
Secondo la ministra del Lavoro, questo provvedimento potrebbe far recuperare parte del potere d’acquisto delle retribuzioni che si è ridotto a causa delle fiammate inflazionistiche. Dei 976 contratti nazionali relativi al settore privato, infatti, 553 risultano scaduti, il 57%. La norma però è considerata troppo onerosa dalla Ragioneria generale dello Stato che l’ha rimandata indietro.
La ministra del Lavoro dovrebbe aver ottenuto dal Mef la cedolare secca al 5% sui premi di risultato anche nel 2024 e la conferma della detassazione dei fringe benefit, con soglie diverse in base al numero dei componenti familiari. Un magro bottino se si pensa alla promessa che Calderone fece al Parlamento quando aveva risposto a un’interrogazione annunciando «forme di tassazione agevolata sugli aumenti reddituali».
Sulla sanità è partita la caccia alle risorse, ma sembra complicato riuscire a mettere da parte i 4 miliardi di euro che mancano. Le opposizioni continuano il pressing, però i margini restano molto stretti. Il governo sta provando a mettere in piedi un pacchetto di norme per sveltire le liste d’attesa e assicurare al personale sanitario una flat tax al 15% sugli straordinari.
In arrivo l’ennesimo bonus, il ministro dello Sport Andrea Abodi annuncia quello per «agevolare lo sport nelle famiglie con redditi bassi».
Da domani comincia l’iter della Nota di aggiornamento al Documnto di economia e finanza (Nadef) in Parlamento. Le commissioni Bilancio di Camera e Senato daranno il via al ciclo di audizioni con l’Istat, la Corte dei Conti, la Banca d’Italia e il Cnel. Martedì toccherà al ministro Giancarlo Giorgetti e all’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). La Nadef è attesa in aula mercoledì pomeriggio, dove inoltre verrà votata anche la relazione sullo scostamento di bilancio per cui è necessario il voto a maggioranza assoluta dei componenti di Camera e Senato.
(da La Stampa)
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Ottobre 8th, 2023 Riccardo Fucile
NELLE SCORSE SETTIMANE, ANCHE GOLDMAN SACHS E MORGAN STANLEY HANNO RACCOMANDATO DI NON PUNTARE SUI TITOLI ITALIANI… LO SPREAD FRA I BTP E I BUND IN DUE MESI È PASSATO DAI 166 A 203 PUNTI. E, SE DOVESSE SUPERARE QUOTA 250, PARTIRÀ UNA COLOSSALE VENDITA DI TITOLI ITALIANI
La legge di Bilancio italiana continua a impensierire gli investitori. La banca d’affari statunitense Citi ieri ha consigliato di restare “corti” sui Btp. Vale a dire, non detenere debito italiano in portafoglio. Almeno per ora, data l’incertezza sulla Finanziaria.
Nelle scorse settimane, riferiscono fonti finanziarie, anche Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno raccomandato di avere lo stesso approccio strategico. Ne deriva che lo spread fra i Btp decennali e i Bund di pari entità è passato dai 166 punti base di due mesi fa agli odierni 203. Valore che potrebbe toccare quota 235 punti base nel breve termine secondo Goldman Sachs. Il tutto con il rendimento stabilmente sopra il 5% per buona parte del prossimo anno.
La Nadef (Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza) domani inizierà il dibattito nelle commissioni Bilancio del Senato e della Camera. Un capitolo che potrebbe innervosire ancora di più investitori internazionali che già oggi guardano con una forte dose di scetticismo i conti italiani. L’ampia avversione al rischio degli investitori è stato «un elemento determinante, ma il continuo flusso di cattive notizie fiscali in Italia è stato un fattore chiave nella debolezza del Btp», sottolineano gli economisti di Citi.
I quali guardano alle prossime decisioni di S&P, Fitch e Moody’s: «Il rating sovrano dell’Italia è già pericolosamente vicino a scendere al di sotto dell’investment grade. Queste dinamiche fiscali aumentano chiaramente i rischi di nuovi downgrade».
Oltre a Citi, riportano fonti finanziarie, anche Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno consigliato di utilizzare cautela. Tanto con il Btp quanto con il Bund. Il motivo lo spiega Barclays in una nota dello scorso mercoledì. «Più i rendimenti statunitensi salgono, maggiore sarà la pressione sui Btp, che potrebbero diminuire di valore, così come i Bund», si fa notare
Con un quadro del genere, a cui si aggiungono le incognite sulla legge di Bilancio, è legittimo comprendere lo scetticismo di diversi attori di mercato. Non è detto che, diramate le nubi intorno alla Manovra, possano ripartire di slancio gli acquisti di Btp e Bot.
Sotto il profilo più operativo, cerca di risolvere il rebus Giovanni Cuniberti, fondatore e ceo dell’omonima boutique finanziaria, Cuniberti & Partners. «Il Btp decennale è il titolo di Stato che ha il maggior rendimento, più di Portogallo, Spagna e Grecia, storicamente accomunate da una situazione debitoria importante», premette.
«Molti investitori stranieri non aspettano altro che trovare una tematica da cavalcare e la situazione dei conti italiani lascia spazio alla speculazione – spiega –. Lo spread, che rappresenta il differenziale di rendimento fra il decennale tedesco e quello italiano, con una cedola fissa ipotetica del 6% sale a livelli che accendono allarmi inaspettati».
(da la Stampa)
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