Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“LE RILEVAZIONI DI SWG, EUROMEDIA RESEARCH E QUORUM/YOU TREND DICONO ADDIRITTURA CHE IL 50% DEGLI ITALIANI GIUSTIFICA HAMAS: NON SI DEVE DARE PER SCONTATO CHE HAMAS NON GODA DI ALCUNA GIUSTIFICAZIONE NELLA POPOLAZIONE ITALIANA”
Quando l’opinione pubblica non piace ce la si prende con il sondaggio. Solitamente è uno sport riservato ai politici, ma l’ultimo studio condotto dall’Istituto demoscopico Noto Sondaggi per Repubblica , sulle reazioni degli italiani all’indomani dell’attentato di sabato 7 ottobre in Israele, ha sollevato alcune polemiche da parte di opinion leader.
Ciò che lascia perplessi è che invece di soffermarsi sul contenuto e sui motivi per cui parte della popolazione italiana (anche se in maniera minoritaria) giustifica da un punto di vista politico Hamas, si è etichettato il sondaggio come banale.
Il risultato evidenziava che il 18% degli italiani si dichiara solidale con le posizioni politiche di Hamas, una netta minoranza rispetto al 63% che si sente vicino allo Stato di Israele, ma comunque un dato rilevante. Tra l’altro successivamente al nostro sondaggio ne sono stati divulgati altri in cui addirittura le percentuali di giustificazione di Hamas aumentano di molto.
Per esempio, secondo SWG per La7 un italiano su due ritiene che l’attacco di Hamas agli israeliani sia stata una reazione comprensibile dopo anni di repressione da parte della autorità israeliane.
Anche l’analisi di Euromedia Research per “In Onda (La7)” racconta che solo un italiano su due attribuisce tutta la responsabilità dell’attacco ad Hamas e al fronte anti Israele, fra cui Iran, e addirittura il 15,2% ritiene che Israele non abbia il diritto di reagire perché in parte corresponsabile dell’attacco di Hamas.
Last but not least Quorum/You Trend per Sky da cui si evince che è il 35% a ritenere che gli abusi compiuti da Israele ai danni dei palestinesi spiegano la violenza dell’attacco di Hamas. Il concetto fondamentale è che quattro sondaggi raccontano la stessa cosa, cioè che non si deve dare per scontato che Hamas non goda di alcuna giustificazione nella popolazione italiana. Questa percezione da parte dell’opinione pubblica non può essere banalizzata o ridicolizzata. D’altronde il ruolo delle rilevazioni statistiche è proprio questo.
Un sondaggio è un termometro dell’opinione pubblica e quando segna febbre alta non dovrebbe mai essere ignorato, soprattutto su un argomento così delicato come i rapporti tra palestinesi e israeliani. I dati possono essere interpretati, ma non derubricati. Stupisce, ma forse non dovrebbe, che alcuni opinion leader invece di interrogarsi sull’evidenza di un fenomeno sociale in atto possano ridicolizzare il dato marchiando come banale uno studio che per primo in Italia ha dato un “alert” su quanto sta accadendo.
Non a caso altri 3 sondaggi usciti successivamente addirittura delineano il fenomeno in maniera ancora più marcata. Che si guardi la luna e non il dito che la indica, altrimenti diventiamo tutti più poveri culturalmente e rischiamo di trascurare un pericolo che potrebbe avere conseguenze impensabili a livello internazionale.
Antonio Noto
(da “la Repubblica”)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
L’INSEGNANTE AVREBBE DOVUTO LIMITARSI A DIRE CHE NON SI MANIFESTA A SCUOLA, MA E’ ANDATA OLTRE LA SUA FUNZIONE
Nada Orabi ha 17 anni ed è una studentessa al quarto anno del liceo Adelaide Cairoli di Pavia. I suoi genitori sono egiziani, lei non ha ancora ottenuto la cittadinanza ma, rivendica in un italiano impeccabile, «sono nata e cresciuta qua». A Open è arrivato un video in cui si vede la giovane partecipare a una manifestazione di sostegno al popolo palestinese. Da un palchetto allestito in piazza, accusa di essere stata additata come terrorista da una docente dell’istituto. Secondo il suo racconto, la ragione è quella di aver portato e indossato a scuola la bandiera palestinese. Il fatto è avvenuto lo scorso venerdì, 13 ottobre. Abbiamo contattato sia la studentessa che la professoressa coinvolta nella vicenda, che ricopre anche il ruolo di vicepreside della scuola. Le due versioni si sovrappongono solo in alcuni passaggi e le riportiamo entrambe. «Ho mostrato la bandiera per diverse ore, senza avere problemi. Ce l’avevo avvolta sulle spalle», racconta Orabi. «Mi sono sentita capita dai professori delle prime ore, i quali mi hanno detto che era bello vedermi esprimere la mia opinione come meglio credevo. Poi sono scesa di sotto per le ore di ginnastica». Ed è qui che accade l’episodio definito dalla protagonista come «discriminatorio».
La partita di pallavolo e l’arrivo della vicepreside
Sta per iniziare una partita di pallavolo tra Orabi e compagni contro un’altra classe. L’insegnante di quest’ultima, vedendo la bandiera palestinese in palestra, «è apparsa turbata». In quel momento il vessillo rosso, nero, bianco e verde non lo portava Orabi sulle spalle, ma una sua amica. «L’insegnante dell’altra classe è salita al piano di sopra. Dopo qualche minuto, è tornata in palestra con la vicepreside che mi domanda se la bandiera fosse la mia. Ho risposto di sì e ha chiesto a me e alla mia compagna di seguirla in ufficio». La bandiera viene sottratta alle ragazze e la docente, dopo averla piegata, la docente l’avrebbe trattenuta tra le sue mani. Sarà restituita ad Orabi alla fine del colloquio, «ma solo perché le ho fatto presente che mi serviva per una manifestazione alla quale sarei andata il giorno seguente».
L’accusa di fare propaganda per Hamas
Orabi promette di riportare fedelmente il battibecco che nasce con la vicepreside, «c’era anche la mia compagna di classe nell’ufficio, ne è testimone». La vicepreside, allora, avrebbe rivolto alla ragazza queste parole: «”Non ti vergogni di mostrare questa bandiera in questo momento, dopo gli attacchi terroristici che ci sono stati?”». Non è tutto: «La vicepreside mi ha anche accusato di fare propaganda pro Hamas a scuola. Quando ho replicato, dicendo che sostenevo la causa palestinese, non i terroristi, lei ha cominciato a ricordarmi le scene dei bambini decapitati da Hamas. Mi sono sentita colpevolizzata, ricordandomi quelle immagini era come se volesse farmi sentire responsabile di giustificare gli attacchi terroristici di Hamas». Orabi afferma di averle provato a spiegare che la sua bandiera era in segno di solidarietà alla causa palestinese, non un atto di propaganda del terrorismo: «Le ho risposto che, ovviamente, la condanna di chi uccide civili e bambini è unanime, prescinde dalla posizione politica».
Il sostegno ricevuto dalla sua ex insegnante di diritto
«Non mi ha detto “sei una terrorista” in modo diretto, piuttosto mi ha fatto sentire responsabile degli attacchi perché stavo facendo, a suo dire, propaganda “pro Hamas”». Al telefono, la studentessa ribadisce più volte la sua condanna dell’organizzazione terroristica, «non sarò mai dalla parte di chi uccide civili e bambini», ma è convinta che «ciò che sta avvenendo è il frutto di una serie di errori di diplomazia accumulatisi». Argomenti che ha portato anche nell’ufficio della vicepreside la quale, però, «insisteva sul fatto che i miei discorsi erano delle giustificazioni degli atti terroristici». Alla ragazza sarebbe stato rivolto anche l’augurio che «le manifestazioni pro Palestina venissero bloccate in Italia, così come avvenuto in altri Paesi». Al termine del colloquio, le due ragazze sono state fatte accomodare fuori dall’ufficio. «Sono dispiaciuta perché da parte dei miei insegnanti ho ricevuto sostegno, in particolare dalla mia ex insegnante di diritto, che mi ha detto: “Qua, in questa scuola, non ci sarà mai una dittatura del pensiero. Siete liberi di pensare ciò che volete e di manifestarlo”».
Dal razzismo per il colore della pelle «alle accuse di essere una terrorista»
«Mi sono sentita discriminata perché», riassume Orabi, «la vicepreside ha detto che stavo facendo un atto di provocazione verso gli ebrei. Sembrava, invece, che non le importasse nulla di tutte quelle persone all’interno della scuola che, come me, hanno altre origini. Ci hanno sempre insegnato che gli studenti devono sentirsi liberi, a scuola, e di essere ciò che vogliono. Io mi sono sentita giudicata e discriminata per questioni politiche ed etniche». La studentessa racconta che, in passato, aveva subito diversi episodi di razzismo per il colore della pelle. Adesso la questione si è spostata sul terrorismo: «A scuola alcuni ragazzi, adesso, mi dicono: “Sei una terrorista di Hamas”. Non comprendono che certi commenti fanno star male, soprattutto in un periodo del genere».
Il secondo colloquio
Dopo quel colloquio con la vicepreside, a distanza di poche ore, la ragazza viene richiamata dalla docente: «Si è rimangiata quasi tutto, diceva di essersi spiegata male. Ha cercato di sminuire il tutto sostenendo che voleva solo farmi capire che non si potevano avere bandiere nell’istituto. Non si è scusata, ha detto però di aver agito così per tutelarmi davanti agli altri perché, vedendomi con quella bandiera, avrebbero potuto pensare che fossi favorevole al terrorismo». Orabi rifiuta quel «tentativo di giustificarsi» perché, racconta, «la vicepreside stava in realtà portando ancora avanti l’associazione sbagliata tra bandiera palestinese e Hamas». L’auspicio a un blocco delle manifestazioni pro Palestina, invece, «l’ha motivato dicendo che non voleva mi facessi male partecipandovi». Infine, Orabi accusa la vicepreside di incoerenza: «Avrebbe fatto tutto questo dicendo che nell’istituto scolastico non possono esserci bandiere. Eppure, per un bel po’ di mesi, sono state affisse sul muro della scuola due bandiere ucraine».
La versione della vicepreside
Raggiunta al telefono fisso della scuola, la vicepreside, professoressa Simona Bologna, appare incredula: «Non c’è stata alcuna discriminazione. Ho semplicemente avuto un colloquio con la ragazza in cui le ho chiesto di non manifestare all’interno della scuola, poiché non è consentito. Non le ho nemmeno ritirato la bandiera, mi sono limitata a dirle di non manifestare a scuola». Non era proprio una manifestazione, ma un gesto di solidarietà che la ragazza si sentiva di esprimere con la popolazione palestinese, portando sulle spalle una bandiera: «Anche il corpo docenti è solidale con la popolazione palestinese». Al resto delle accuse, replica così: «Non è mai stata additata come terrorista. Semplicemente, non si possono esporre bandiere a scuola perché è un luogo della pubblica amministrazione. Nemmeno la bandiera della pace possiamo affiggere».
«Parlerò di nuovo con la ragazza: per me i diritti degli ebrei e i diritti dei palestinesi hanno lo stesso valore»
La docente dice di aver voluto convocare la ragazza in ufficio per chiacchierare un po’, «e credevo ci fossimo chiarite, visto che c’è stato un secondo confronto. Domani – 19 ottobre – ci parlerò per la terza volta». Andando a ritroso, conferma che l’episodio della bandiera in palestra le era stato segnalato da «qualcuno» ed è dovuta intervenire come sostituta della preside, che non era a scuola in quel momento: «Ho dovuto far valere una regola di un edificio pubblico. Ripeto, nessuna discriminazione: per me i diritti degli ebrei e i diritti dei palestinesi hanno lo stesso valore». Poi racconta di una conferenza fissata per venerdì 20 ottobre, alla quale parteciperà anche la classe di Orabi e servirà a trattare l’argomento in questione: «Parteciperà anche la ragazza e avrà la possibilità di condividere le sue idee con tutti». L’insegnante conclude la conversazione dicendosi «tranquilla e di provare solidarietà per la ragazza e la sua causa».
Poi appoggia il telefono fisso, senza chiuderlo davvero: i commenti che abbiamo sentito e che non riportiamo, però, erano di un tenore ben diverso dalla «solidarietà» nei confronti della studentessa.
(da La Repubblica)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
I CINQUE IMPIANTI DI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE E LA MAGGIOR PARTE DELLE 65 STAZIONI DI POMPAGGIO NON FUNZIONANO PIÙ… L’UNRWA AVVERTE CHE LE SCORTE DI CIBO DELL’AGENZIA SONO SUFFICIENTI SOLO PER MEZZA GIORNATA
“Bombardare un ospedale è un crimine di guerra. E’ disumano che vengano colpite strutture già in notevole affanno per mancanza di elettricità e acqua pulita”.
Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia, denuncia in una nota la crisi sanitaria senza precedenti che sta vivendo Gaza per la totale mancanza di servizi idrici, che rischia di provocare un’epidemia di malattie infettive mortali, come il colera. I cinque impianti di trattamento delle acque reflue della Striscia e la maggior parte delle 65 stazioni di pompaggio non funzionano più, denuncia Oxfam.
Acque inquinate vengono quindi ora scaricate in mare mentre, in alcune aree, i rifiuti solidi si accumulano nelle strade. “Solo 3 litri d’acqua al giorno per persona a Gaza” sono disponibili, mentre l’Organizzazione mondiale per la Salute (Oms) ne raccomanda tra i 50 e i 100 per soddisfare le esigenze sanitarie di base”. Stando alle testimonianze degli operatori di Oxfam, il costo dell’acqua è quintuplicato in questi giorni, e i proprietari di piccoli impianti di desalinizzazione o di purificazione sono i maggiori fornitori di acqua per migliaia di persone in condizione di assoluta emergenza.
“La situazione per i civili è durissima – assicura Pezzati -. Gli aiuti umanitari devono poter entrare a Gaza adesso”, aggiunge. “Aspettiamo che si aprano vie sicure per poter intervenire appena possibile”, ha detto da parte sua il portavoce di Palestine Medical Relief Society, partner di Oxfam, che preferisce rimanere anonimo -. “In questa situazione c’è un disperato bisogno di aiuti”. “Le persone muoiono ogni giorno e le condizioni di vita sono indicibili”, rileva.
Oxfam evidenzia che “Nessuna risposta umanitaria significativa potrà esserci senza un cessate il fuoco ora, il rilascio immediato e incondizionato di tutti coloro che sono tenuti prigionieri dai gruppi armati a Gaza e l’apertura dei valichi di frontiera per gli aiuti”.
Il portavoce dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) a Gaza, Adnan Abu Hasna, ha affermato che le scorte di cibo dell’agenzia sono sufficienti solo per mezza giornata e che ciò a cui Gaza è attualmente esposta non si è mai verificato in tutte le guerre precedenti.
Lo riporta al Jazeera. Adnan ha aggiunto che “nelle guerre precedenti, Israele si coordinava con l’Unrwa, riaprendo i valichi per portare aiuti umanitari e aprendo corridoi umanitari, ma questa chiusura completa non avveniva dal 1967”.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“NON È LIBERALE. SE CI SONO PROPOSTE PER MIGLIORARE IL TESTO…” …E ANCHE IN FDI C’È CHI, A MICROFONI SPENTI, SI DICE PERPLESSO: “BISOGNA VEDERE QUANTO È PERENTORIO QUESTO ‘NO’”
È durata lo spazio di poche ore la speranza di Giorgia Meloni sugli «zero emendamenti» alla manovra. E in attesa dell’arrivo del provvedimento in Parlamento dalla maggioranza si levano voci contrarie all’idea di un via libera a scatola chiusa che attira critiche dure dall’opposizione.
In Forza Italia c’è chi i dubbi li esprime in chiaro. «Nessun emendamento? Beh. Vedremo. Quando avremo il testo che ancora non c’è lo leggeremo. Noi siamo soddisfatti. Ma se ci saranno da fare miglioramenti, si faranno. Magari li farà lo stesso governo», dice Dario Damiani, capogruppo forzista in commissione Bilancio.
Il portavoce di Forza Italia, Nevi, è ancora più esplicito: «Bisogna evitare la solita quantità di emendamenti bandierina che non hanno né capo né coda e non passeranno mai, ma sul vietare del tutto gli emendamenti sarei in disaccordo, da liberale. Se ci sono proposte per migliorare il testo non vedo nulla di male», spiega ancora Nevi, precisando l’importanza di chiudere in fretta per tranquillizzare i mercati e «non disperdere in mille rivoli» le risorse. Possibilista.
Ma anche da Fratelli d’Italia c’è chi, a microfoni spenti, si mostra perplesso. «Occorre capire la perentorietà di questo no agli emendamenti. Si può anche decidere, perché si vuole fare in fretta e dare questo bel segnale. Ma allora occorre trovare un veicolo per inserire eventuali aggiustamenti. Ma bisogna specificare da ora tempi e contenuti».
Un secondo round? Già si parla di un provvedimento da 400 milioni di euro in arrivo a febbraio. È il sospetto del Partito democratico: «Non vorremmo dover assistere a una “legge mancetta”», paventa Debora Serracchiani. E Manca rincara: «Siamo ancora una Repubblica parlamentare, finché non ci sfrattano. E l’idea di non presentare emendamenti per respingere i nostri non è praticabile. Noi li presenteremo e speriamo che ci risparmino la follia di una legge mancia per operazioni microsettoriali».
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
CHE FARE? SGANCIARSI DA ECR O VOTARE PER LA RICONFERMA DI URSULA VON DER LEYEN? IL TEMPO STRINGE E LA DUCETTA È DEBOLE: IL RISIKO DELLE ALLEANZE È PARTITO, E ALL’ORIZZONTE CI SONO I GIUDIZI DELLE AGENZIE DI RATING E QUELLO DELLA COMMISSIONE UE SULLA FINANZIARIA. A BRUXELLES SONO GIÀ PRONTI CON LA MATITA ROSSA PER I RILIEVI SU DEBITO E DEFICIT
Per far quadrare i conti e portare a casa la manovra, Giorgia Meloni ha dovuto rifilare delle sonore “sberle” ai ministri che chiedevano più fondi. Un metodo che il titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha sintetizzato con: “È una legge di bilancio che prende a schiaffoni i ministri”.
Una frase, questa, che mostra plasticamente il livello di nervosismo raggiunto a Palazzo Chigi. Le difficoltà a blindare la manovra arrivano dopo gli sganassoni rifilati dagli elettori in Spagna e Polonia agli storici alleati della sora Giorgia, Vox e il Pis, sonoramente sconfitti dai rivali alle urne. La performance loffia del partito di Kaczynski e Morawiecki ha molto irritato la Meloni, che ha visto sgonfiati gli alleati su cui contava di più.
Il ridimensionamento del fronte dei conservatori europei ha lasciato Giorgia Meloni senza un piano B: sognava di disarticolare il tradizionale asse popolari-socialisti a Bruxelles, e si ritrova con un pugno di mosche in mano. Ora è costretta a procedere in modo tattico, senza una chiara strategia d’azione, mentre lo scenario europeo si va definendo.
La Ducetta è costretta a decidere, dunque, se sganciarsi da Ecr, gruppo degli euroconservatori di cui è presidente, e votare per la riconferma di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione, o, al grido di “meglio perdere che perdersi”, tirare fuori gli artigli e andare allo scontro frontale con il rischio di finire nella ridotta degli irrilevanti.
Tutto questo, mentre incombono scadenze decisive per il destino economico e finanziario dell’Italia: come ricordava Marco Cremonesi sul “Corriere della Sera” stamani, “venerdì Standard&Poors, quello successivo Dbrs morningstar, il 10 novembre Fitch, il 17 novembre il più delicato di tutti, Moody’s. Fino all’ultimo esame dell’anno, Scope Rating, l’1 dicembre. Gli appuntamenti che sanciranno il costo del debito”.
Si tratta di esami che puntano dritto all’azione politica di Giorgia Meloni: la scure più pericolosa è senza dubbio quella di Moody’s, che nell’ultima valutazione sul debito italiano aveva espresso un giudizio con outlook negativo. Ora, come Dago-dixit, solo grazie al caos geopolitico in Medio Oriente e in Ucraina, l’agenzia americana sarà “obbligata” a non declassare il nostro debito a “spazzatura”. Un Paese come l’Italia, alleato chiave della Nato e “porta” dell’Europa sul Mediterraneo non si più mandare gambe all’aria in una fase storica così instabile.
Dopo la girandola delle agenzie di rating arriveranno, il 22 novembre, anche le elezioni in Olanda, dove le destre rischiano l’ennesima bastonatura. Poi il governo Meloni sarà chiamato a portare a Bruxelles la bozza finale della legge finanziaria, e c’è da giurare che gli occhiuti tecnici della Commissione faranno ampi rilievi.
Non solo perché, come segnalato anche da “Le Monde”, poco s’è fatto per ridurre l’enorme debito pubblico, che ormai ha superato i 2800 miliardi di euro. Ma anche perché vi è molta incertezza sulle coperture delle misure previste, a partire dal Ponte sullo Stretto (una concessione a Salvini senza però stanziamenti effettivi di fondi), per proseguire su riforma fiscale, cuneo e pensioni. Si tratta di provvedimenti che hanno un orizzonte corto, di un anno, e non si possono considerare strutturali.
Contemporaneamente, la legge finanziaria arriverà in Parlamento, dove i partiti della maggioranza tenteranno un assalto alla diligenza.
Si profila all’orizzonte, quindi, un duello tra Roma e Bruxelles. Uno scontro che Giorgia Meloni affronterà da una posizione di debolezza, dopo il ridimensionamento del fronte conservatore in Europa.
La vittoria di Donald Tusk in Polonia ha ringalluzzito il PPE, che sarà più severo di prima verso l’Italia sovranista della “Thatcher della Garbatella”. I popolari si potranno permettere maggiore rigidità: ora si sentono più sicuri di avere una maggioranza, insieme a socialisti e liberali, dopo il voto europeo.
In questo bailamme, la sora Giorgia si ritrova anche la patata bollente del voto definitivo sul Mes, con la Lega pronta a votare contro la ratifica del Fondo salva stati, come “vendetta” del sostanziale affossamento dell’autonomia regionale. E poi si arriverà allo showdown con la riforma del patto di stabilità.
Giorgia Meloni ha le spalle al muro e deve decidere da che parte stare: stretta tra la Lega, sempre più schiacciata a destra, e Forza Italia, saldamente ancorata al PPE, si ritrova in un limbo pericoloso. E il tempo stringe: se è vero che le elezioni europee si svolgeranno a giugno 2024, il risiko delle alleanze è già partito e la premier si deve schierare ora, perché da questo dipenderà anche la “flessibilità” e la benevolenza della Commissione sulla legge di bilancio di Rom
(da Dagoreport)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“HA PERSO LA FIDUCIA DELLA GENTE E DEI SOLDATI. HA LASCIATO CHE IL QATAR PORTASSE MILIONI DI DOLLARI AI FONDAMENTALISTI. SPERAVA DI TENERLI BUONI PAGANDO TANGENTI, INTANTO HAMAS SI RAFFORZAVA”
Nella foto che tiene appesa alle spalle indossa la tuta da meccanico bianca, il travestimento usato per infiltrarsi sotto l’aereo della Sabena e attaccare con 16 uomini dell’unità speciale Sayeret Matkal gli attentatori palestinesi, liberare i 90 ostaggi.
Agli ordini di Ehud Barak in quel pomeriggio del 1972 c’è anche Benjamin Netanyahu, che nell’autobiografia pubblicata pochi mesi fa accusa l’ex comandante di essersi preso il merito del successo anche se «il suo unico ruolo è stato rimanere sulla pista e soffiare in un fischietto».
In questi giorni drammatici, a 81 anni, il soldato più decorato della Storia d’Israele — è stato capo di Stato maggiore e ministro della Difesa fino a diventare premier battendo proprio Bibi in uno scontro diretto — non vuole rispondere a risentimenti.
«Questo è il momento dell’unità perché abbiamo subito l’assalto più devastante da quando è nata la nazione. Netanyahu ha perso la fiducia della gente e dei soldati, i suoi stanno già manovrando perché in futuro possa tentare di negare le responsabilità. Per lui arriverà il giorno del giudizio, molto prima di quanto si pensi».
Il capo di Stato maggiore, quello dei servizi segreti interni, l’intelligence militare hanno chiesto scusa per il disastro di sabato scorso.
«È un fallimento senza precedenti a tutti i livelli. I vertici hanno coltivato per anni l’idea che Hamas potesse essere addomesticato. Netanyahu […] ha lasciato che il Qatar portasse milioni di dollari in contanti ai fondamentalisti. Sperava di tenerli buoni pagando tangenti e alla comunità internazionale ripeteva: vedete, come posso negoziare con Abu Mazen se controlla solo metà dei palestinesi? Intanto Hamas si rafforzava».
Lei è stato ministro della Difesa durante l’operazione Piombo Fuso, tra il 2008 e il 2009, e con lo Stato maggiore decise di tagliare la Striscia a metà, i carrarmati dispiegati da est fino al Mediterraneo, una delle incursioni di terra più massicce nei tanti scontri con Hamas.
«L’idea era di dividere Gaza in diversi settori per poter operare con le truppe dall’interno. Avevo bisogno di fermare i lanci di razzi e allo stesso tempo convincere l’Egitto a intervenire, a sostituirci sul campo. Ma Omar Suleiman, allora capo dei servizi segreti, mi mise un braccio sulla spalla e sorrise: ce l’avete tolta nel 1967, adesso ve la tenete. In realtà, ci eravamo ritirati da quattro anni, così ho proposto ad Abu Mazen di aiutarlo a riconquistare il controllo che Hamas gli aveva tolto con le armi: per lui era impensabile — e lo capisco — tornare nella Striscia portato sui tank israeliani».
Anche adesso viene ipotizzato l’intervento di una forza multinazionale araba.
«Una forza internazionale deve riempire il vuoto per 4-5 mesi dopo che avremo eliminato Hamas. Fino alla possibilità di restaurare il potere dell’Autorità palestinese sulla Striscia».
Eppure tra i fedelissimi nel Likud di Netanyahu qualcuno continua a far politica come se il Paese fosse in campagna elettorale […]. Urlano «traditori» ai famigliari degli ostaggi che chiedono conto, danno la colpa dell’invasione di undici giorni fa ai «disfattisti della sinistra».
«Quei “disfattisti” sono i riservisti, i soldati delle forze speciali, i piloti dell’aviazione che in poche ore hanno trasformato il movimento di protesta nella macchina degli aiuti per i militari al fronte e per le famiglie evacuate dai villaggi devastati a sud. Sono intervenuti nello scompiglio, nell’assenza iniziale del governo».
Al governo proprio con Netanyahu, come ministro della Difesa ha spinto perché le forze armate investissero milioni di dollari nella preparazione di un possibile raid contro i centri nucleari iraniani per impedire che Teheran arrivasse a produrre la bomba atomica. Sabato il blitz ha colpito da molto più vicino.
«Quello sforzo non ha distolto l’attenzione dell’esercito dalle altre minacce. Ero convinto allora — e resto convinto — che i siti iraniani andassero bombardati. È stata questa minaccia credibile che ha spinto il presidente Barack Obama a negoziare l’intesa con l’Iran: ha ritardato lo sviluppo atomico e avrebbe potuto rinviarlo di 10 anni, se Netanyahu non avesse spinto Donald Trump a tirar fuori gli Stati Uniti dall’intesa».
(da Corriere della Sera)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“SE VUOL METTERE MORDACCHIA ALLA SUA MAGGIORANZA FACCIA PURE, MA DIRE IN FACCIA AGLI ELETTI DISSIDENTI CHE NON CONTANO NULLA E SI TIRA DRITTI COME NON ESISTESSERO QUESTO NO, NON È CONSENTITO DALLA COSTITUZIONE”
Ed eccola invece, la svolta geniale. L’i-ne-men-da-bi-li-tà della legge di Bilancio da parte del Parlamento. Esibita come prova patente della serietà e responsabilità del governo, perché i tempi sono duri e le variabili estere e di mercato sempre in agguato, siamo iperindebitati e allora, di ogni singolo euro dei millecento miliardi di spesa pubblica e dei quasi mille miliardi di entrate, fidatevi tutti che il governo in carica, lui e solo lui sa qual è l’ottimale utilizzo cui volgerli.
Sin qui si era capito che Meloni e Giorgetti non si fidassero dello spendaccionismo patologico di cui Salvini è alfiere, e che alligna per bandierine anche nelle pieghe del resto della maggioranza. Ma l’altro ieri no, si è capito che l’anelito è più ampio. E’ stato Giorgetti a dirlo: beh, si intende che se non c’è spazio per alcun emendamento dei partiti della maggioranza, a maggior ragione non ve ne sarà per nessuno delle opposizioni.
Il che significa due cose. Non solo che per la prima volta nella storia della Repubblica un governo non presenta una legge di Bilancio in cui una parte sia pur minoritaria dei saldi è lasciata libera per misure votate a maggioranza dal Parlamento.. In più, quand’anche gli emendamenti parlamentari fossero a parità di saldi, il governo dirà no a qualunque loro ipotesi di accoglimento, a prescindere come diceva Totò.
Intendiamoci: sulla strada della manomissione delle prerogative del Parlamento ci si è messi da lungo tempo. Ogni governo, e questo li batte tutti, si è sempre più appropriato della funzione legislativa attraverso l’abuso a raffica di decreti legge. Ma oggi siamo alla chiusura del cerchio: sulla legge di Bilancio si vorrebbe che il Parlamento non esistesse letteralmente più. Abolito.
Del resto, è quanto già avvenuto in questi anni in Ungheria con Orbán, e nella Polonia fin qui governata dal PiS, e grazie al cielo i cittadini polacchi alle urne hanno mostrato che non ne potevano più. Diciamolo chiaro: la storia repubblicana ha vissuto per decenni di un consociativismo parlamentare che ha fatto esplodere spesa pubblica e deficit. Non si può esser nostalgici di quella robaccia.
Ma confidiamo che il Quirinale vorrà riservatamente spiegare ora al governo che abolire il Parlamento non è consentito a nessun governo, e che se vuol mettere mordacchia alla sua maggioranza faccia pure, ma dire in faccia agli eletti dissidenti che non contano nulla e si tira dritti come non esistessero questo no, non è consentito dalla Costituzione e non si può fare.
(da il Foglio)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
UNA SORTA DI APPOGGIO ESTERNO ALL’ALLEANZA TRA POPOLARI, SOCIALISTI E LIBERALI. CON TANTI SALUTI AI SOGNI DI GLORIA DELLA SORA GIORGIA, CHE SOGNAVA DI CAMBIARE LO STATUS QUO A BRUXELLES, E SI RITROVA CON UN PUGNO DI MOSCHE IN MANO
Giorgia Meloni, fino a tarda sera, non ha commentato i risultati elettorali in Polonia. Nulla ha detto della frenata del suo più grande alleato in Europa, il Pis di Mateusz Morawiecki che è l’altro grande azionista del partito dei Conservatori.
Non è un periodo fortunato, per la premier italiana. A luglio la batosta di Vox alle elezioni spagnole, adesso lo stop agli alleati polacchi. Sono risultati che ridimensionano le ambizioni e cambiano i programmi.
La rende più sola in Consiglio europeo e più fragile nella sfida elettorale interna, con Matteo Salvini libero di portare avanti con più forza la sua opzione estremista, in virtù della crescita dei suoi compagni di viaggio, da Marine Le Pen ai tedeschi di Afd. Sia chiaro, non è che la Lega oggi possa festeggiare, visto il crollo – nella stessa Polonia – dei partner di Konfederacja.
Costretta ad archiviare definitivamente il progetto di un’alleanza sovranista a Bruxelles, Meloni potrà stringere il legame con il Ppe di Tajani ma “certamente – fanno sapere fonti europee – non potrà spingersi a fare intese organiche con i socialisti”.
La vittoria di una coalizione pro-Ue proprio nel campo degli amici della premier, prontamente sottolineata dagli eurodeputati pd […], rischia di ampliare il solco che, a destra, si è già aperto sul patto per la redistribuzione dei migranti: l’inquilina di Chigi da un lato con la maggior parte dei Paesi membri, Morawiecki e Orban dall’altro.
Mentre l’esito del voto polacco finisce per rafforzare il rapporto che Meloni ha creato con Ursula von der Leyen. Il risultato di Varsavia, con ogni probabilità, amplia le chance di un mandato bis per la presidente della commissione. E a quel punto la premier italiana si troverà davanti a un bivio.
Non è da escludere, si ragiona in ambienti di FdI, che l’Italia, pur non entrando in una maggioranza organica con il Pse, possa votare un nuovo gabinetto von der Leyen che, d’altronde, avrebbe un commissario indicato dal nostro governo.
L’ipotesi è quella di una sorta di appoggio esterno dei Conservatori (o della frangia italiana), con decisioni sui singoli provvedimenti da assumere volta per volta. “Non è un atteggiamento molto diverso da quello tenuto nella legislatura che volge al termine”, si fa notare da Bruxelles.
“D’altronde – precisa la stessa fonte – sul piano generale FdI è per un’autonomia strategica, la Lega e le altre forze di Id per nazionalismi spinti”. Di qui ai prossimi mesi, anche sulla spinta del voto polacco, potrebbe rafforzarsi il processo di “europeizzazione” di chi, poco più di un anno fa, diceva in campagna elettorale che per l’Ue la pacchia era finita.
(da la Repubblica)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL MINISTRO ESCE CON LE OSSA ROTTE DALL’ECOFIN. NON C’È ACCORDO SULLA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ. ANZI, C’È UN IRRIGIDIMENTO DELLA GERMANIA E DELL’OLANDA. SE NE RIPARLA IL 9 NOVEMBRE… LA RICHIESTA ITALIANA DI SCORPORARE GLI INVESTIMENTI STRATEGICI, NON PASSA. E DANIELE FRANCO NON HA POSSIBILITÀ DI FARE IL PRESIDENTE DELLA BEI
Ecco il saldo degli “schiaffoni” di Giancarlo Giorgetti: in Cdm li ha dati, all’ Ecofin li ha presi. Non c’è accordo sulla riforma del Patto di stabilità. Anzi, c’è un irrigidimento della Germania. Se ne riparla il 9 novembre. La richiesta italiana di scorporare gli investimenti strategici, al momento, non passa.
E Daniele Franco non ha possibilità di fare il presidente della Bei. In Italia si dice “le ha prese”, ma c’è chi dice pure che questo ministro va abbracciato: “Come incassa lui, nessuno. Magari qualcosa ottiene, alla fine”. Da Berlino in su nessuno crede agli italiani, ma si fidano di Draghi. Ora è beato, ma Meloni potrebbe chiedere di farlo santo, San Mario della Pieve. Dunque quanti belli schiaffoni .
Si chiama “golden rule”, almeno i competenti la chiamano così, e quando l’ha ascoltata, nuovamente, il vicepresidente, il commissario all’Economia, Valdis Dombrovskis, mancava poco e faceva muovere i tank da Berlino. Faceva sapere a Giorgetti, e agli italiani, che “non c’è consenso sulla cosiddetta golden rule”. Cosiddetta. Finiva uno e iniziava l’altro, il ministro amico, Lindner.
Ai giornalisti tedeschi rilasciava la seguente dichiarazione: “Il Patto di stabilità si può modificare solo se si riduce il debito pubblico in maniera credibile”. E cosa intende per riduzione credibile? Intende questo: “Una riduzione credibile potrà avere successo solo se verranno ridotti anche i deficit annuali. Per la Germania il tre per cento è il limite massimo del deficit”. E’ avvelenato perché le elezioni gli sono andate male. Perché dovrebbe fare una carezza agli italieni ? Gli olandesi in questi casi, in economia, seguono i tedeschi pure al pub. E siamo a tre: il commissario all’Economia, il ministro tedesco e la ministra olandese.
Non si accontentano di promesse tanto più che l’Italia, a parte le cesoie da giardiniere di Giorgetti, non ha molto da offrire.
Sul Mes, Salvini ha detto tutto: “La posizione della Lega la vedrete, se e quando voteremo il Mes”. In questi anni, dopo il Covid, il Patto di stabilità è stato sospeso e giustamente, fanno notare, sempre da Bruxelles, “siete stati capaci di inventarvi il Superbonus”. E’ vero che resta la Francia ma, a occhio, almeno da quanto diceva il suo ministro Le Maire, fa la Francia, la grandeur , e parla con Berlino: “Ci sono difficoltà importanti ma possiamo raggiungere il nostro obiettivo. Raggiungere un accordo entro l’anno”. I siti spagnoli titolavano ieri che Parigi e Berlino hanno le leve per sbloccare il negoziato sul Patto. L’Italia, dispiace, ma non c’è.
La verità è che Giorgetti, da solo, non basta. Dicono, sempre da lassù dove qualcuno ama, e davvero, Meloni, che l’Europa sta solo “issando i ponti levatoi per far capire a Meloni che è il momento di diventare adulta, scaricare la sua vecchia famiglia, la destraccia”. Alle europee vinceranno ancora popolari, liberali e socialisti e Meloni lo ha compreso. C’è una frase che Matteo Renzi ha pronunciato alla Festa del Foglio: “Meloni faccia il nome di Draghi alla Commissione europea”.
La casella su cui ragionano anche a Palazzo Chigi è un’altra. E’ quella di presidente del Consiglio europeo. Draghi è entrato tra i beati d’Italia, ma Meloni ha bisogno di santi e l’ex premier è l’unico che può placare i paesi frugali. Giorgetti è da anni che tiene il suo santino nel portafogli: “San Mario della Pieve, prega per me”. Preghiamo.
(da il Foglio )
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