Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
IL CAZZOTTONE RIFILATO A CASA MELONI COMPRENDE ANCHE UN AVVISO DI SFRATTO A TAJANI, CONSIDERATO UN PELUCHE DELLA SORA GIORGIA… NEL MIRINO ANCHE SALLUSTI. IL NEO-DIRETTORE DEL “GIORNALE”, DI CUI È AZIONISTA CASA ARCORE CON IL 30%, SI È TOTALMENTE MELONIZZATO – COSA ACCADREBBE SE GIAMBRUNO, DECIDESSE DI DIRE LA SUA SPIFFERANDO TUTTI I SEGRETI FAMILIARI E POLITICI?
C’è una corrente di pensiero che narra di Ricci e Meloni uniti nella lotta per incastrare Giambruno e buttarlo fuori di casa. La donna tradita, si sa, in Italia fa tenerezza e voti e solidarietà. Una narrazione che viene negata da alcuni ambienti vicini a Marina e Piersilvio dove non si nasconde soddisfazione per il gigantesco sputtanamento di Casa Meloni.
I due raccapriccianti fuorionda di Andrea Giambruno, trasmessi da “Striscia la Notizia”, sono stati registrati almeno due mesi fa. Erano nel cassetto di Antonio Ricci, pronti per l’uso. Se ci fosse stato un accordo, sarebbero andati in onda quando sono stati registrati e Giorgia non avrebbe fatto coppia con il suo Ken col ciuffo trapiantato a teatro per lo spettacolo di Pio e Amedeo al Brancaccio di Roma, appena due settimane fa.
Per comprendere il contesto in cui si inserisce il cazzottone rifilato da “Striscia” alla Meloni (ma anche a Tajani, oggi considerato un peluche della Ducetta), e quindi da Mediaset, e dunque dalla famiglia Berlusconi, nelle persone di Marina e Piersilvio, bisogna fare qualche passo indietro.
Dopo la trionfale vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del 25 settembre 2022, smaltiti i fumi dello champagne, Giorgia Meloni e i suoi alleati, Salvini e Berlusconi, hanno cominciato un lungo scontro a distanza per la spartizione – e la gestione – del potere.
Donna Giorgia, dopo anni vissuti alle periferie del “sistema”, in testa a un partitino del 4%, ha scontato una vertigine del comando, del successo e del consenso. “Qui comando io!”, tuonò la novella Marchesa del Grillo (Io so’ Giorgia e voi non siete un cazzo), dimenticando la tapina che, senza l’8,8% della Lega e l’8% di Forza Italia, con il suo 27% non avrebbe mai potuto salire a Palazzo Chigi.
Il primo, indigeribile rospo che dovettero ingoiare i primogeniti di Arcore si consumò sull’elezione del Presidente del Senato: era il 14 ottobre dello scorso anno e per l’ex Cavalier Pompetta quel giorno non c’era in ballo non solo la seconda carica dello Stato, ma soprattutto il suo trionfale ritorno nell’aula che lo aveva espulso con una ignominiosa decadenza.
Era il giorno del riscatto, la “vendetta” contro i magistrati e gli oppositori politici che godevano per la sua fine: Berlusconi immaginava un red carpet circondato dagli amici di sempre e da una claque festante di quelli che lui ha sempre considerato dei suoi sottoposti.
Sebbene fisicamente malconcio, il Cav., nel solito eccesso di autoconsiderazione, in quel periodo sognava il Quirinale, vedeva se stesso in subordine proprio alla guida del Senato. Insomma, debordava. Ma quando gli fu spiegato che la sua condizione di salute era incompatibile con certi sogni, si accontentò di poter almeno esprimere il nome da issare a Palazzo Madama. Voleva, nel suo piccolo, ancora dare le carte. D’altronde, Fratelli d’Italia aveva preso Palazzo Chigi, la Lega Montecitorio, per Forza Italia doveva esserci uno strapuntino di peso.
Anche i figli di Berlusconi aspettavano con magnum di champagne nel secchiello del ghiaccio il giorno della redenzione paterna, dopo anni e anni di tribolazioni giudiziarie. Al Senato, in quel momento, convergevano gli occhi di Casa Arcore. E cosa avvenne? Il suo sogno fu frantumato da una Giorgia Meloni in modalità olio di ricino e manganello e al Cav, e a tutta Forza Italia, fu detto chiaramente: il candidato è Ignazio La Russa, e voi lo votate.
Una purga invereconda per l’ego espanso di “Sua Emittenza” che, da uomo di comunicazione, non mancò di far trapelare tutta la sua incazzatura attraverso dei bigliettini, offerti volutamente a favor di telecamera.
In quei “pizzini”, Berlusconi metteva nero su bianco, a caratteri cubitali, la sua opinione sulla premier in pectore: “Giorgia Meloni, un comportamento supponente, prepotente, arrogante, offensivo, ridicolo. Nessuna disponibilità ai cambiamenti, è una con cui non si può andare d’accordo”.
Il suo malumore si materializzò, sempre ripreso dalle telecamere, quando mandò a quel paese platealmente La Russa ma dopo il vaffa fu portato a braccio da Daniela Santanchè a votare per il suo fraterno amico ‘Gnazio, mentre i parlamentari di Forza Italia, guidati da Licia Ronzulli, disertarono la votazione.
Silvione ingoiò il rospo ma non smaltì il veleno. Uscito da un incontro faccia a faccia con la Sora Giorgia, sbottò: “Noi gli abbiamo chiesto tre ministeri, mi ha riso in faccia, ne ho chiesti due, ha riso ancora, ne ho chiesto uno, ha detto ok”.
Resosi conto della sua irrilevanza all’interno della coalizione, si travestì da guastatore: prima con esternazioni pro-Putin per mettere in difficoltà la novella turbo-atlantista Giorgia Meloni, poi l’artigliata felina su Andrea Giambruno: “Il suo uomo è un mio dipendente”. Un messaggio velenoso, nato dalla consapevolezza che il testosteronico Giambruno avesse qualche scheletro in gonnella nell’armadio, da tirar fuori al momento opportuno.
Qualche ora dopo, la Ducetta replicò alle polemiche sui giudizi espressi su di lei da Silvio con aria tronfia: “Mi pare che tra quegli appunti mancasse un punto e cioè ‘non ricattabile’”.
L’“ammonimento” sul “dipendente Mediaset Giambruno” non servì ad ammorbidire la Meloni, che non indietreggiò dal suo approccio coatto da “Marchesa del Grillo”. Scelse i ministri in autonomia e gettò nella spazzatura le ambizioni di Licia Ronzulli che sognava di prendersi il dicastero della Sanità.
Diede a Tajani l’autorevole poltrona di Ministro degli Esteri, ma solo perché le conveniva avendo bisogno di una personalità conosciuta a Bruxelles e che avesse buoni rapporti con Manfred Weber, presidente del Ppe: la prima poltrona della Farnesina sarà importante, però, non porta consensi, né dividendi politici (è un ministero che non assume e non distribuisce soldi).
Al Mef, la Ducetta voleva l’ex Bankitalia Fabio Panetta, ma pur simpatizzante per la destra l’economista della Bce si sfilò subito temendo di finire a fare il maggiordomo di Casa Meloni e preferendo la poltrona, più onorifica che operativa, di Governatore di Bankitalia.
Su consiglio di Mario Draghi, la premier chiamò allora il leghista Giancarlo Giorgetti, vicino all’establishment dei poteri economici-finanziari, con l’obiettivo nemmeno tanto nascosto di allontanarlo dalla morsa di Salvini e accoglierlo tra i fratellini d’Italia.
Cosa restò per Forza Italia? Le briciole: l’irrilevante Pichetto all’Ambiente, la trascurabile parrucca di Anna Maria Bernini all’Università, l’accidentale Zangrillo alla Pubblica Amministrazione e la decorativa Casellati Mazzanti Serbelloni vien dal mare alle Riforme. Altro rospo da ingoiare per il Cav., che si era già visto imporre da Mario Draghi la scelta di Brunetta, Gelmini e Carfagna nel ‘’governo dei migliori”.
Passano le settimane, ed esplode la faida dentro Forza Italia, con la lotta intestina tra il meloniano Tajani e la “pasdar” Ronzulli. Il partito di Berlusconi si indebolisce ancor di più diventando marginale nelle dinamiche di Palazzo e lo stesso ministro degli Esteri si vede scavalcato dalla premier, che gestisce in prima persona le relazioni internazionali dell’Italia alle prese con il conflitto russo-ucraino.
Giorno dopo giorno, agli occhi dei fratelli Berlusconi, c’è un presidente di Forza Italia totalmente superfluo: s’avanza un Tajani che non riesce a farsi valere nel governo, che ‘gna fa proprio ad alzare la testa ai diktat della Sora Giorgia. E’ capace solo di metter su un burinesco Berlusconi-day a Paestum: magari Milano, ma che ci azzecca Silvio con Paestum? Ma ormai il partito, affermano i soliti bene informati, è finito nelle mani di Fulvio Martusciello…Marina Berlusconi osserva, tace ma non dimentica.
Quando il Governo si trova a gestire il dossier Rai, gli appetiti famelici di Fratelli d’Italia spazzano via ogni richiesta dei berluscones. Giorgia Meloni conferma in prima battuta Carlo Fuortes, ottiene al volo la striscia serale per Bruno Vespa, blinda il Tg1 con il sodale Gian Marco Chiocci e si pappa anche il Tg2 con la nomina di Nicola Rao. Un’abbuffata che fa imbufalire Salvini e costringe Gianni Letta a intervenire a difesa degli interessi azzurri e a obbligare la premier a cedere il Tg2 ad Antonio Preziosi, in quota Forza Italia.
Il decisionismo “ghe pensi mi” della Thatcher della Garbatella straborda quando, in tandem Matteo Salvini, attovagliati in una trattoria di Bolgheri, pianifica l’idea di sottosegretario Fazzolari per acchiappare consensi: la tassa sugli extraprofitti delle banche. Ma tenendo all’oscuro il vicepremier e presidente di Forza Italia, il superfluo Antonio Tajani. La norma avrebbe colpito pesantemente Banca Mediolanum, vero gioiellino della galassia Fininvest, e il ministro degli Esteri si sarebbe messo di traverso. Il resto, è cronaca. La misura, criticata anche dalla Bce, è stata annacquata e depotenziata, ma la rottura con Casa Berlusconi era ormai avvenuta.
Nulla ha convinto la premier a deporre il suo piglio decisionista, e a considerare interlocutori gli azzurri. La morte di Berlusconi ha dato poi alla Meloni l’illusione che Forza Italia non contasse più nulla, fosse ormai sul punto di liquefarsi, destinata prima o poi a confluire in Fratelli d’Italia.
La scarsa considerazione per gli azzurri si è ulteriormente manifestata con la decisione di vietare gli emendamenti di maggioranza alla legge di Bilancio. Una scelta, apertamente incostituzionale, e non condivisa da Forza Italia, tant’è che Tajani avrebbe chiesto a qualche amico dell’opposizione di presentare emendamenti al posto suo.
Ogni limite ha la sua pazienza, sappiamo da decenni che il Parlamento è sostanzialmente irrilevante, con deputati e senatori ridotti a pigiabottoni, ma formalizzare la sua inutilità è un passo ulteriore verso l’incoronazione a Ducetta d’Italia (vedi il premierato che Mattarella vede come il fumo negli occhi).
Arriviamo alla diffusione dei fuorionda di Andrea Giambruno da parte di “Striscia la Notizia”. Cosa c’entrano con le diatribe politiche del Governo di destra-centro? E perché saltano fuori solo ora, nonostante siano vecchi di almeno due mesi? Per gli “addetti ai livori” è un altolà al protagonismo della Sora Giorgia. Della serie: con gli alleati si discute e non si trattano a pesci in faccia.
Gli occhiuti osservatori di cose del Biscione hanno maliziosamente notato lo sfottò a Giambruno fatto da Alfonso Signorini e Cesara Buonamici, in diretta al Grande Fratello, giocando su “blu cina-blu estoril” della giacca dell’opinionista. Un esplicito riferimento alle valutazioni armocromatiche fatte dall’ormai ex Signor Meloni alla collega Viviana Guglielmi, che lascia intendere quale sia il “clima” dentro Mediaset: liberi tutti!
Le serpi di Cologno Monzese si chiedono: è finita qui? “Striscia”, ottenuta la separazione tra Giambruno e Meloni, chiuderà anzitempo la “rubrica” “il Giornalino di Gianbrunasca”, inaugurata appena due giorni fa? C’è chi giura che il tg satirico di Antonio Ricci abbia in canna altri contenuti imbarazzanti sul “provolone affumicato” di casa Meloni. Li manderanno in onda? O li terranno in cassaforte?
E qualcuno si chiede: cosa accadrebbe se Andrea Giambruno, umiliato, giubiliato e spernacchiato, decidesse di dire la sua spifferando tutti i segreti familiari e politici?
Ps. L’ira della famiglia Berlusconi è rivolta anche ad Alessandro Sallusti. I patti non sono stati rispettati. Il neo-direttore del “Giornale”, di cui Paolo è ancora azionista con il 30%, si è totalmente melonizzato e ha spostato il quotidiano sulle posizioni gradite a Fratelli d’Italia. Ad Arcore si confidava, invece, che il giornalista svezzato e cresciuto da Berlusconi mantenesse vivo il ricordo politico del Cavalier Estinto, dando una mano a Forza Italia.
Ps. /2 – Se è vero che ogni tavolo si regge almeno su tre gambe, cosa succederà al Governo se alle prossime europee Forza Italia tracollasse nei consensi? Può l’esecutivo Meloni sopravvivere allo schianto di uno dei suoi tre pilastri?
(da Dagoreport)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
MA CHI È IL NUOVO SOCIO DI BELPIETRO? LA PROPRIETÀ È SCHERMATA DALLA “FCN FIDUCIARIA CENTRO NORD”, CHE FONTI QUALIFICATE RIPORTANO A FEDERICO VECCHIONI, NUMERO UNO DEL COLOSSO AGROINDUSTRIALE “BF”
Arriva il cavaliere bianco per Maurizio Belpietro. Qualche settimana fa, infatti, a Milano davanti al notaio Manuela Agostini s’è presentato lo stesso giornalista nella sua qualità di presidente della Società Editrice Italiana (SEI), che edita fra l’altro il quotidiano “La Verità” e il settimanale “Panorama”, di cui aveva il 78,1% per guidare un’assemblea straordinaria degli azionisti che ha deliberato un aumento di capitale di nominali 12mila 500 euro con un sovrapprezzo di 2 milioni 487mila 500, quindi per un totale di 2,5 milioni.
La ricapitalizzazione è stata immediatamente sottoscritta soltanto dal nuovo socio Newspaper srl, importo disposto tramite Banca Cambiano 1884. Delle nuove azioni emesse per il nuovo socio, 25mila sono azioni speciali che danno alcuni diritti nelle assemblee soci, oltre che garantire un membro in consiglio d’amministrazione e un sindaco.
A ricapitalizzazione fatta, quindi, la quota di Belpietro s’è diluita al 58,5% e così gli altri soci di minoranza: Nicola Benedetto è passato dal 16,9% al 12,7% e Mario Giordano dal 4,9% al 3,7% mentre la Newspaper è diventata il secondo azionista col 25%.
Ma chi è il nuovo socio di Belpietro? La proprietà della Newspaper di cui Lorenzo Marco Piccini è amministratore unico è schermata dalla Fcn Fiduciaria Centro Nord ma fonti qualificate la riportano a Federico Vecchioni, numero uno della quotata BF, il più importante gruppo agro-industriale italiano.
L’ingresso di Vecchioni nell’editoria avviene dopo che la SEI ha chiuso il bilancio 2022 con una perdita di 2,3 milioni dovuta alla svalutazione integrale della controllata Stile Edizioni
(da Affaritaliani)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
PIU’ CHE DELLA ROTTURA TRA MELONI E GIAMBRUNO SI DOVREBBE PARLARE DEL CONTENUTO DEI FUORIONDA
Ora che Giorgia Meloni ha annunciato dai suoi profili social di essersi separata dal compagno Andrea Giambruno, a seguito della diffusione da parte di Striscia la notizia di alcuni fuorionda della sua trasmissione Diario del giorno, è prevedibile che l’attenzione dell’opinione pubblica si concentrerà sulla fine della relazione tra la presidente del Consiglio e il giornalista.
Ma è in realtà sul contenuto di quei fuorionda che dovremmo discutere, che è ben più importante della vita privata della coppia o delle congetture sul perché si sia deciso di mandarli in onda. I due video mostrano infatti un uomo in una posizione di potere che si comporta in maniera inappropriata di fronte a un’intera redazione, che mette in imbarazzo una collega sua sottoposta – una donna – e che parla in maniera esplicita di sesso sul luogo di lavoro. Un uomo che non sa di essere ripreso e che quindi, dobbiamo presumere, si mostra nel suo atteggiamento abituale.
I video trasmessi da Striscia la notizia sono inequivocabili e mostrano chiaramente non solo un atteggiamento di prepotenza da parte del giornalista, ma anche delle vere e proprie molestie: Giambruno fa domande insistenti a sfondo sessuale alla collega, la invita a partecipare a incontri sessuali di gruppo e chiede se può toccarsi il pacco (anche se, a giudicare dal video precedente, non sembra aver bisogno del permesso di nessuno per farlo). Lei cerca di rimanere impassibile anche se il disagio è evidente. Se già il primo video mostrava atteggiamenti inaccettabili da parte di Giambruno, nel secondo si oltrepassa ogni giustificazione.
La direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo del 2002, recepita anche dall’Italia, definisce le molestie sessuali sul luogo di lavoro come una “situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare, creando un clima intimidatorio, ostile, degradante”.
Non a caso, l’espressione “molestia sessuale” (sexual harassment) fu coniata nel 1974 da Lin Farley per descrivere proprio le molestie sul lavoro. Prima di allora, si parlava soltanto di stupro o violenza sessuale.
Secondo un’indagine della Commissione Pari Opportunità del FNSI, il sindacato dei giornalisti, l’85% delle giornaliste dichiara di aver subito molestie sessuali almeno una volta nel corso della vita professionale. In tre casi su quattro, le molestie sono avvenute all’interno della redazione, anche davanti ad altri colleghi.
La forma di molestia più diffusa (l’80%) sono proprio le battute a sfondo sessuale, seguite da sguardi inopportuni o lascivi, domande inopportune e invadenti sulla vita privata o sull’aspetto fisico.
Dalle parole si passa anche ai fatti, arrivando a ricatti sessuali (19% dei casi) e molestie fisiche (14%), come palpeggiamenti, baci e abbracci non voluti. Anche se la maggior parte delle giornaliste ne hanno parlato con colleghe e colleghi o amici, sono poche quelle che si sono rivolte alle autorità in seguito a questi episodi: meno del 10% l’hanno riferito a un superiore, solo il 3% al sindacato e il 2% ha sporto denuncia.
Come fa notare il rapporto della CPO, il fatto che la maggior parte delle molestie avvengano in redazione dimostra quanto siano normalizzate e minimizzate. Nelle redazioni non solo le donne sono una minoranza, ma raramente ricoprono posizioni di potere. Se a creare un clima in cui è normale chiedere alle colleghe se vogliono partecipare a dei threesome è il capo, è davvero molto difficile mettersi contro di lui. Anche se una denuncia a un superiore venisse accolta, se il capo viene soltanto ammonito si creano dinamiche di vendetta e isolamento, col rischio di inimicarsi anche tutti i propri colleghi. Per questo molte donne decidono di sopportare in silenzio o, al massimo, sono loro a decidere di allontanarsi dal luogo di lavoro. Ovviamente questa dinamica non si limita al solo lavoro giornalistico, ma si estende a tutte le professioni, anche se il mondo del giornalismo merita qualche riflessione in più. Diventare giornaliste e lavorare in una redazione non è facile e perdere il proprio posto potrebbe comportare una rinuncia totale alla propria carriera, visto quanto è difficile trovare lavoro nel settore: la posta in gioco è ancora più alta.
In tutto il mondo, molte redazioni hanno avuto un proprio #MeToo: Fox News, NBC, l’emittente televisiva francese TF1, diversi media indiani, non da ultimo il caso del presentatore tv Russell Brand alla BBC. In tutti questi casi, il problema delle molestie e degli abusi di potere è stato riconosciuto (anche se spesso tardivamente e in maniera riluttante), i responsabili sono stati subito allontanati e ci si è impegnati per la creazione di un clima favorevole per tutti. In Italia, dove l’85% delle giornaliste ha subìto molestie sul lavoro, ci voleva l’esclusiva di un programma satirico, e soprattutto l’ex compagno della presidente del Consiglio, perché il problema fosse sotto agli occhi di tutti. Ma proprio perché questa operazione ha scopi diversi, sebbene non siano del tutto chiari, dalla denuncia della gravità dei fatti, anche questa volta andrà a finire che i comportamenti di Giambruno verranno minimizzati se non giustificati, che l’attenzione si sposterà altrove e che ancora una volta perderemo l’occasione per avviare un dibattito serio sul posto delle donne nello spazio pubblico.
(da Fanpage)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
ALLORA PERCHÉ IN UN ANNO DI GOVERNO NON HANNO FATTO NIENTE PER COMBATTERE CHI NON PAGA LE TASSE (ANZI, LO HANNO AIUTATO E “SPRONATO”)?
“L’evasione ha raggiunto livelli stratosferici, anzi li ha sempre avuti e quindi dobbiamo correggere il tiro”: lo ha detto il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, intervenendo al convegno organizzato per i 30 anni della Consulta nazionale dei Caf.
Leo ha spiegato che “ex ante dobbiamo intervenire con il concordato preventivo. Non vogliamo condoni, nessuno vuole fare regali o sconti ma intraprendere una nuova strada e abbattere l’evasione”. Una delle strade è rafforzare la tecnologia, “che oggi ha fatto molti passi avanti”, ha aggiunto Leo.
In pratica Leo ha ammesso che l’evasione fiscale in Italia ha raggiunto livelli insostenibili, salvo non dire che è grazie ai governi sovranisti e ai relativi condoni tutto questo è potuto accadere.
E quando i buoi sono scappati oggi dice che bisogna chiudere il recinto della stalla.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
I MINISTRI DELL’INTERNO DI AUSTRIA E GERMANIA ANNUNCIANO CHE LA CHIUSURA DELLE FRONTIERE INTERNE È NECESSARIA, È UNA FREGATURA PER L’ITALIA, VISTO CHE IN TEORIA BLOCCA I MOVIMENTI SECONDARI. CON IL RISCHIO DI TRASFORMARE LE AREE DI CONFINE (L’ITALIA) IN UN PARCHEGGIO PER MIGRANTI
Se qualcuno pensava che sull’emergenza migranti fosse stata trovata la panacea di tutti i mali e che il governo Meloni avesse convinto gli alleati europei a seguire la sua linea, ieri si è dovuto ricredere. Perché al termine del Consiglio dei ministri Ue degli Interni che si è svolto in Lussemburgo, il castello di certezze è improvvisamente crollato. «Schengen non è morta, ma è rotta, e quindi dobbiamo ripararla». La frase è stata pronunciata dal ministro degli Interni austriaco, Gerhard Kerner, e lo ha fatto insieme alla collega tedesca, Nancy Faeser.
In realtà questi Paesi, insieme ad altri otto tra cui l’Italia, già l’altro ieri avevano chiesto alla Commissione Ue di sospendere il Trattato sulla libera circolazione. Una decisione assunta dopo l’attentato terroristico di Bruxelles. Una scelta motivata dalla necessità di ripristinare i controlli alle frontiere per evitare l’ingresso di soggetti potenzialmente pericolosi.
I due ministri di lingua tedesca, ieri hanno cambiato registro. A loro giudizio, la chiusura delle frontiere interne è «necessaria » a causa della «pressione migratoria considerevole». Insomma, gli attentati c’entrano ben poco. Forse può essere un fattore ulteriore di spinta. Ma Faeser e Kerner hanno sottolineato: «Vogliamo combattere con più forza i trafficanti». Poi, certo, le decisioni avvengono «sempre prese in stretto coordinamento con i nostri vicini».
Ma il punto è che «Schengen può essere riparata migliorando la protezione dei confini esterni» dell’Ue. Questa posizione, allora, comporta una “sospensione” del Trattato che va al di là del terrorismo. Ed è un colpo al nostro Paese.
Perché l’Italia ha sempre contato sul fatto che la maggior parte dei migranti sbarcati sulle coste nazionali si è rapidamente trasferito altrove. Sono i cosiddetti movimenti secondari.
Non autorizzati e per niente graditi dai partner europei. Riattivare la “dogana” significa bloccare questi “traslochi”. Con un rischio: trasformare le aree di confine in un grande parcheggio di extracomunitari.
L’illusione dunque che la riforma del Patto Asilo e Migranti potesse chiudere il problema e la certezza che il colloquio a Granada tra Meloni e il Cancelliere tedesco Scholz di due settimane avesse archiviato la lite con Berlino, ieri si sono scontrate con la realtà.
Anche la misura assunta dal governo di sigillare la frontiera con la Slovenia a questo punto appare inutile.
L’unica porta aperta verso il governo Meloni riguarda i rimpatri. . Oggi ci sarà una riunione tecnica straordinaria a Bruxelles per studiare un progetto pilota. Convocazione che ha suscitato l’approvazione del ministro italiano degli Interni. Ma per trasferire i migranti entrati illegalmente e giudicati pericolosi serve comunque un accordo con i Paesi di origine. E comunque in questo caso riguarda solo i soggetti potenzialmente in grado di turbare l’ordine pubblico.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
PARE CHE I FUORI ONDA NON FINISCANO QUA… MA UNA DOMANDA SORGE SPONTANEA: LA MELONI CI HA MESSO 10 ANNI PER ACCORGERSI DI CHE TIPO FOSSE IN COMPAGNO?
«Meloni? Un giorno scoprirà che le ho fatto un piacere». Così, lapidario e senza alcuna remora, Antonio Ricci, autore di Striscia la notizia, commenta i servizi andati in onda in questi giorni sulle frasi imbarazzanti dette fuorionda da Andrea Giambruno.
La presidente del Consiglio poche ore fa ha annunciato su Instagram la fine della relazione con il conduttore di Rete 4, precisando che il rapporto era già lacerato da tempo, ma che ora è arrivato il momento di prenderne atto.
Non un momento casuale, se si considera lo scandalo originato dalle frasi, in alcuni casi moleste, sentite da tutti gli italiani in televisione e diventate anche un caso politico.
Intanto, continuano a uscire diverse indiscrezioni sulla vicenda. Il Corriere della Sera fa sapere che presto potrebbero uscire nuovi filmati con altre battute che imbarazzerebbero il conduttore. E iniziano a farsi strada ipotesi su un possibile allontanamento di Giambruno da Rete 4. Dopo le frasi sullo stupro di Palermo e quelle sui migranti, ora le battute sessiste alle colleghe potrebbero decretare la sua fine definitiva negli studi di Mediaset.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
IL FACCIA A FACCIA, ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI SUPPLETIVE PER IL SEGGIO IN SENATO DI BERLUSCONI, AVREBBE DOVUTO ESSERE SEGRETO VISTO CHE, UNA VOLTA CHE È USCITA LA NOTIZIA, C’È STATO PIÙ DI QUALCHE MAL DI PANCIA ALL’INTERNO DELLA LEGA
L’incontro doveva rimanere top secret, ma alla fine la notizia del faccia a faccia tra Umberto Bossi e Cateno De Luca è diventata pubblica. A Gemonio, il leader di Sud chiama Nord ha incontrato nella sua abitazione di Gemonio. L’incontro, a poche ore dalle elezioni suppletive di domenica e lunedì che incoroneranno il successore di Silvio Berlusconi al Senato, ha creato qualche mal di pancia nella Lega.
La dinamica, quella che vede contrapposti i leghisti ortodossi alla leadership meno padana e più nazionale, si ripete ancora una volta. Così, alla vigilia del voto, un gruppo di amministratori e fedelissimi bossiani hanno organizzato l’incontro per cercare di incidere politicamente sulle sorti del collegio di Monza e Brianza, dove De Luca è l’outsider contro Adriano Galliani (sostenuto da tutto il centrodestra) e Marco Cappato (Pd e M5S).
Ma è proprio la parola «federalismo» ad avere acceso l’interesse di Bossi per De Luca, al quale avrebbe espresso apprezzamento con una delle sue frasi tipiche: «Finalmente uno del Sud con le p…, che parla di federalismo». Foto dell’incontro? Inutile chiedere.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
MA QUANDO MAI ISRAELE BOMBARDA SCUOLE, CHIESE CRISTIANE ED OSPEDALI? SICURAMENTE CROLLANO DA SOLE
Il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme ha espresso la sua “più forte condanna” e ha accusato le forze israeliane di aver commesso un “crimine di guerra” dopo che un attacco aereo contro un complesso ecclesiastico a Gaza ha ucciso diversi sfollati che vi si rifugiavano.
Il ministero degli Interni di Gaza, controllato da Hamas, ha affermato che l’attacco di giovedì ha lasciato un “gran numero di martiri e feriti” nel complesso della chiesa greco-ortodossa di San Porfirio a Gaza City, che è la chiesa più antica ancora in uso nel territorio.
Testimoni hanno detto all’AFP che l’attacco sembrava essere stato mirato a un obiettivo vicino al luogo di culto dove molti residenti di Gaza si erano rifugiati mentre la guerra infuriava nell’enclave palestinese. Hanno detto che l’attacco ha danneggiato la facciata della chiesa e causato il crollo di un edificio adiacente, aggiungendo che molte persone ferite sono state evacuate in ospedale.
Il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme ha espresso la sua “più forte condanna” del bombardamento che costituisce – per il patriarcato – un crimine di guerra.
“Prendere di mira le chiese e le loro istituzioni, insieme ai rifugi che forniscono per proteggere cittadini innocenti, in particolare bambini e donne che hanno perso la casa a causa degli attacchi aerei israeliani sulle aree residenziali negli ultimi 13 giorni, costituisce un crimine di guerra che non può essere ignorato”, Lo afferma il patriarcato in un comunicato.
La chiesa non è lontana dall’ospedale arabo di al-Ahli, che martedì è stato colpito da un attacco aereo.
Contattate dall’AFP, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno affermato che i loro aerei da combattimento hanno colpito un centro di comando e controllo coinvolto nel lancio di razzi e mortai verso Israele. “Come risultato dell’attacco dell’IDF, il muro di una chiesa nella zona è stato danneggiato”, ha detto l’IDF, aggiungendo: “Siamo a conoscenza di rapporti sulle vittime. L’incidente è in fase di revisione.”
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2023 Riccardo Fucile
LA SEZIONE LAVORO DEL TRIBUNALE DI MILANO: “DEVONO VERSARE DECINE DI MILIONI DI EURO ALL’INPS”
Potranno ammontare a decine di milioni di euro i contributi per migliaia di rider che dovranno versare due società del food delivery. Lo ha deciso il giudice della Sezione lavoro del Tribunale di Milano nei confronti di Deliveroo Italy e Uber Eats Italy (che ha ora lasciato il mercato italiano): erano le due aziende ad aver intentato una causa contro l’Inps e che ora però sono costrette a pagare. Le due società, insieme ad altre due, sono state al centro di un’indagine coordinata dalla Procura di Milano che aveva svelato le pessime condizioni di lavoro e di sicurezza di circa 60mila rider.
Inchiesta per caporalato su quattro società
L’inchiesta della Procura ha riguardato negli ultimi anni Uber Eats, che poi è finita in amministrazione giudiziaria, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo. Durante l’inchiesta, partita da Milano ma che poi ha coinvolto circa 60mila rider di tutta Italia, sono stati migliaia i lavoratori che sono stati ascoltati da investigatori e inquirenti per verificare la loro posizione lavorativa. Nell’ottobre del 2021 il giudice per l’udienza preliminare Teresa De Pascale ha riconosciuto lo sfruttamento da parte di Uber nei confronti dei suoi lavoratori costringendo l’azienda a risarcire 44 rider con 10mila euro a testa. Giuseppe Moltini, uno dei responsabili delle società di intermediazione, era stato condannato per caporalato a 3 anni e 8 mesi.
Secondo quanto emerso dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Milano, i manager dell’azienda avrebbero reclutato rider per pagarli a cottimo 3 euro, “derubati” delle mance e “puniti” con decurtazione dei compensi se non stavano alle regole. I rider avevano chiesto il risarcimento, assistiti dal legale Giulia Druetta, proprio per i danni subiti durante il lavoro. Risarcimento che alla fine è arrivato per i 44 rider.
(da Fanpage)
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