Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
CHE E’ SUCCESSO AL GRANDE OCCIDENTE?
È lecito bombardare un ospedale perché nei sotterranei si intersecano i tunnel scavati da Hamas? Cosa dice il diritto internazionale, le leggi che proteggono i diritti umani a riguardo?
Queste le domande chiave che abbiamo ascoltato negli ultimi giorni formulare da giornalisti, esperti e politici. La risposta è naturalmente sempre vaga, perché nessuno veramente sa cosa rispondere per un semplice motivo: la questione è politica. Qualsiasi risposta è un’opinione, un’interpretazione, e dunque sempre di parte.
Tutto ciò è vero a livello universale. I bombardamenti russi sulla popolazione civile in Ucraina sono un crimine di guerra, ma quelli israeliani a Gaza non lo sono. Perché? Perché l’Occidente, si badi bene l’establishment non il popolo, stanno dalla parte di Israele mentre in Ucraina stanno dalla parte di Zelensky. Peccato che queste non sono partite di calcio e decine di migliaia di persone muoiono senza capire bene perché, sono le vittime innocenti e ignoranti dei giochi di potere in tutte le guerre, la stragrande maggioranza; e noi, l’opinione pubblica mondiale, li lasciamo trucidare senza battere ciglio perché siamo impotenti, non possediamo gli strumenti per fermare sia i massacri in Ucraina sia quelli a Gaza.
Cosa è successo al grande Occidente? Alla culla della democrazia, della giustizia, della libertà, dei diritti umani? Possibile che questi fuochi si siano estinti? In realtà questi fuochi non sono mai stati accesi. Nell’agosto del 1945 gli Stati Uniti hanno sganciato due bombe atomiche sul Giappone e lo hanno fatto sulla popolazione civile di due città, Hiroshima e Nagasaki. Con un colpo solo hanno spazzato via ospedali, scuole, parchi, edifici e più di 200mila persone sono morte. Sulla bilancia della storia si disse che questi innocenti vennero sacrificati per salvarne molti, molti di più tra soldati e civili, se la guerra fosse continuata. Ma oggi sappiamo che il Giappone era sul punto di capitolare e che gli americani ne erano a conoscenza. Sappiamo anche che sarebbe bastato dare una dimostrazione della potenza dell’atomica senza dover mietere tutte quelle vittime. Ma gli Stati Uniti volevano vendicarsi di Pearl Harbour e volevano dimostrare al mondo che l’atomica l’avevano solo loro e che non avrebbero esitato ad usarla. Fu una mossa dettata allo stesso tempo dal desiderio di vendetta tutto umano e dai piani di strategia geopolitica della superpotenza Usa, perché le guerre le fanno gli uomini e la storia la scrivono sempre loro.
Discorso analogo si può fare per l’invasione in Iraq del 2003. Contro la volontà del Consiglio di sicurezza dell’Onu e sulla base di bugie fabbricate ad hoc, per dimostrare che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa capaci di raggiungere Londra, in 45 minuti si invase l’Iraq. Il resto di questa triste storia è noto a tutti.
Nel 1945, nel 2003 e oggi l’opinione pubblica conta poco o niente: una velina appoggiata sulla Costituzione delle varie nazioni per evitare che gli schizzi di sangue delle vittime innocenti delle guerre da noi promosse la sporchino. L’opinione pubblica non ha la forza di deviare il corso della storia a meno che non si organizzi per rovesciare chi la governa, come avvenne con la Rivoluzione francese. Ma in democrazia questo concetto non ha senso, la democrazia è per definizione il governo della maggioranza del popolo, come si fa a rovesciarlo?
Analisi analoga fece Hamas negli anni Novanta, quando decise che era lecito attaccare la popolazione civile israeliana perché attraverso il voto democratico questa stessa era responsabile delle azioni del governo di Israele. Sulla base di questo ragionamento, per Hamas trucidare i coloni intorno a Gaza e i giovani al concerto nel deserto non è un atto terroristico o un crimine, ma un’azione di guerra legittima.
Adesso riflettete sul perché attaccare un ospedale per l’esercito israeliano e per Netanyahu è legittimo. La responsabilità dei civili e dei malati è legata al processo democratico che ha portato al potere Hamas. Il diritto internazionale, la difesa dei diritti umani, la differenza tra civili e combattenti è un pongo che chi eleggiamo democraticamente modella a proprio piacimento e si porta in passerella mediatica, per convincerci che il nuovo pupazzetto ci piace.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
L’ENNESIMA INDEGNA CAZZATA DI SALVINI: LA FRASE CHE INIZIA “SE COLPEVOLE”…FOSSE STATO UN RAGAZZO DI COLORE LO AVREBBE SCRITTO?
Non ci sta Elena Cecchettin, la sorella di Giulia uccisa a coltellate dall’ex fidanzato, a leggere le parole del vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini. «Se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita», ha scritto il leader della Lega su X commentando la notizia dell’arresto in Germania di Filippo Turetta, accusato di essere il responsabile del femminicidio della 22enne.
Quel “se” alla sorella della vittima proprio non va giù. E lo fa sapere ad alta voce sui suoi social.
«Dubita della sua colpevolezza perché bianco e perché di “buona famiglia”. Anche questa è violenza, violenza di stato», scrive la sorella di Giulia Cecchettin condividendo un post di Carlotta Vagnoli. Quest’ultima, scrittrice e divulgatrice femminista, tra le sue stories Instagram aveva commentato la dichiarazione di Salvini ricordando come «il suo partito a maggio ha votato contro la ratificazione della convenzione di Istanbul».
Ovvero il trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. «Così – aveva aggiunto – nel caso voleste altri motivi per comprendere quanto il femminicidio sia un omicidio di Stato».
(da Open)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DI “DEMOSKOPIKA”, RAFFAELE RIO: “ABBIAMO MESSO INSIEME E CATALOGATO OLTRE 1200 DICHIARAZIONI DEI PRINCIPALI ESPONENTI POLITICI. TUTTI I PARTITI SONO SOPRA AL 50% DI DICHIARAZIONI NON ACCURATE: DOMINA SALVINI”
Superficiali, cinici, dispensatori di mezze verità o bugie intere. Secondo Raffaele Rio, presidente dal 2009 dell’istituto di ricerca Demoskopika, siamo in mano a un “esercito di politicanti” che pensa solo alla propria autoconservazione e riempie l’opinione pubblica, soprattutto attraverso i social, di messaggi semplicistici, intrisi di qualunquismo, spesso falsi. Rio la definisce OxyPolitik (è il titolo del libro edito da Tangram). Un nome provocatorio che fa il verso all’OxyContin, il farmaco a base di oppioidi che ha scatenato una terrificante epidemia negli Stati Uniti tra il 1999 e il 2017.
Nel suo libro stila la classifica dei “partiti Pinocchio”.
Il fact checking delle dichiarazioni pronunciate dai leader politici può aumentare la responsabilità di chi esercita la loro funzione. Abbiamo messo insieme e catalogato oltre 1200 dichiarazioni dei principali esponenti politici.
Il risultato è sconfortante.
Tutti i partiti sono sopra al 50% di dichiarazioni non accurate. Domina Salvini. Oltre 7 dichiarazioni su 10 di esponenti politici mancano di fondamento, dati o fatti in grado di garantire la loro accuratezza. La Lega è il primo partito (con l’88,6%, ndr). Invece sotto la media nazionale (76,3%) ci sono (in ordine decrescente di “bugie”, ndr) FdI, il M5S, il Pd, Avs e Azione.
I politicanti pensano che diffondere “Oxy” – abbracciando la comunicazione superficiale da social – favorisca la partecipazione. I dati dicono il contrario: l’utilizzo di social aumenta negli anni e l’astensionismo non si riduce. Anzi: se continua questo trend, nelle Politiche del 2027 voterà un italiano su due.
Tra i “titoli” più forti del suo saggio c’è quello sulla ’ndrangheta: se presentasse una sua lista – scrive – eleggerebbe 5 deputati e 3 senatori.
Secondo i nostri calcoli una lista “’Ndranghetocrazia” potrebbe valere 700mila voti, distribuiti in tutto il territorio: la maggior parte al Sud, ovviamente, ma anche nel Nord ovest raccoglierebbe 200mila preferenze.
Come è arrivato a queste cifre?
Con una mappatura dei gruppi di condizionamento elettorale, cioè le famiglie ’ndranghetiste distribuite sul territorio italiano in ogni Regione. La stima complessiva, 700 mila voti, credo sia persino per difetto.
(da Fatto quotidiano)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
L’IPOTESI DI INVITARE IL PRESIDENTE UCRAINO ALLA KERMESSE NON PIACE A TUTTI IN FRATELLI D’ITALIA, DOVE ANCORA VIVE UN’ALA FILO-RUSSA
Immaginano un grande schermo, il volto di Volodymyr Zelensky che appare, come sempre in mimetica, gli applausi e Giorgia Meloni che sorride fiera sul palco. Qualcuno, magari di nascosto, applaudirà un po’ meno, se davvero alla fine il presidente ucraino sarà tra gli ospiti d’onore di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, che a metà dicembre sarà all’insegna della celebrazione di un anno di governo
Eroe e popstar per alcuni, un peso o ormai una seccatura per altri: Zelensky suscita emozioni contrastanti. L’opinione pubblica si divide, interrogandosi sul sostegno alla resistenza ucraina, e i meloniani fanno altrettanto. I dubbi sono arrivati fin dentro Palazzo Chigi, spaccando il cerchio magico di Meloni, i collaboratori che abitano gli uffici vicini alla stanza della leader e non sempre sono in armonia l’uno con l’altro.
Tra le chat a convergenze variabili ce n’è una, intitolata “Monitoraggio Chigi”, usata per commentare gli articoli usciti su giornali e siti. Una rassegna stampa ragionata che serve anche a rivendicare posizioni, idee, proposte, e a marcare differenze tra chi sussurra all’orecchio della presidente del Consiglio.
Alla chat partecipano tra gli altri Patrizia Scurti, capo della segreteria e ombra di Meloni, e Paolo Quadrozzi, per anni nell’ufficio stampa della leader, cognato della portavoce storica Giovanna Ianniello, e oggi inquadrato a Palazzo Chigi con un posto a diretta collaborazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.
Due giorni fa in quella chat, mentre Meloni è a Zagabria, si sta discutendo di Atreju. Sotto l’immagine di un articolo, Quadrozzi scrive: «Se ha davvero detto questo non capisce nulla di politica». Di chi parla? Nello screenshot a cui è riferito il commento si legge che l’altro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, sta lavorando per portare Zelensky alla kermesse. Fazzolari è il teorico del sostegno incondizionato a Kiev
Fazzolari è l’artefice della svolta di Meloni, che un tempo non troppo lontano da oggi era invece simpatizzante dell’autocrate del Cremlino e si contendeva con Matteo Salvini le simpatie sovraniste per Mosca. Il sottosegretario da qualche mese ha in mano la regia della comunicazione del partito. Quadrozzi, appassionato di esteri, aiuta Meloni nella composizione dei discorsi. Tra i due c’è la tipica competizione di chi si disputa il privilegio di consigliare il principe.
Nelle file di Fratelli d’Italia c’è ancora chi, come l’assessore regionale del Piemonte Maurizio Marrone, non ha rinnegato la propria anima filo-russa e considera legittime le rivendicazioni territoriali nel Donbass ucraino. Nel partito si vive con disagio il fatto che l’appoggio a Zelensky potrebbe avere un prezzo elevato in termini di consenso. Soprattutto se si esce dalla cornice istituzionale del governo di un Paese membro della Nato, e il sostegno si rende esplicito in una festa di partito.
Molti elettori di destra pensano che Zelensky debba trovare una via d’uscita dal conflitto. D’altronde è evidente che è anche a loro che pensava Meloni quando, nella famosa telefonata beffa del comico russo, ha confessato una certa «stanchezza nell’opinione pubblica» verso la guerra e verso le ragioni degli ucraini.
(da La Stampa)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
TUTTO È NATO COME FORMA DI PROTESTA CONTRO L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE PER LA MANCATA PULIZIA DELLE STRADE DALLA NEVE… E ORA IL FENOMENO SI STA DIFFONDENDO IN ALTRE CITTÀ RUSSE
Il primo è stato eretto di fronte al teatro dell’opera e all’università, in una delle piazze principali di Ekaterinburg, ed era talmente alto e possente che per demolirlo è stato inviato un trattore. Poche ore dopo, sono spuntati ovunque: nelle piazze centrali e nei cortili delle periferie, nei parchi giochi dei bambini e sui cofani delle auto parcheggiate. Sono alti, bianchi, e con tutti i particolari anatomici scolpiti amorevolmente.
L’epidemia delle sculture di neve a forma di membri maschili ha assunto dimensioni tali da spingere il sindaco della città Alexey Orlov a parlare di una “disgrazia”. Che ovviamente, dopo una pubblicità da parte del primo cittadino, è diventata virale.
Nessuno sa chi è stato il primo buontempone a erigere un realistico ed enorme fallo di neve a Ekaterinburg: forse, era un segno di protesta contro le autorità comunali che, come al solito, avevano lasciato la capitale degli Urali sommersa dalla prima nevicata abbondante, o forse era un’espressione delle sue pulsioni segrete.
In Russia poi, dove la menzione dei genitali e del turpiloquio a esso legato è un tabù, il fallo bianco immacolato puntato fieramente verso il cielo diventa subito un simbolo di sfida e di accusa. Il vicesindaco Alexey Bubnov infatti ha gridato alla “provocazione” e ha chiamato in soccorso la polizia, individuando correttamente nella creatività dal basso una forma di protesta occulta.
Il funzionario ha promesso di arrestare gli autori delle sculture e ha anche chiesto ai cittadini di inviargli segnalazioni fotografiche delle “aberrazioni” che spuntano come funghi in giro per la città (sarebbe curioso dare una sbirciata alla sua casella di posta elettronica).
Su Change.org è apparsa anche una petizione che chiede di fermare la “pseudocreatività” dei giovani per “non trasformare Ekaterinburg in una città del c***”. Per ora ha raccolto soltanto poche decine di firme, mentre i milioni di like sui social stanno già diffondendo l’epidemia dei “snegochleny”, i “membrinivei”, in altre città russe colpite dalle prime nevicate dell’autunno.
(da La Stampa)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
GHISLERI: “LE PERSONE HANNO COMPRESO CHE È DIFFICILE CREDERE NELLA REALIZZAZIONE DI UN CAMBIAMENTO CHE AIUTI A PIANIFICARE LA PROPRIA VITA FUTURA. SI SENTONO SUDDITI DI DECISIONI PRESE ALTROVE, DA ÉLITE ESTERNE AI CANALI ISTITUZIONALI”
In tema di sciopero nazionale lo scontro verbale tra il Ministro Matteo Salvini e il segretario generale della Cgil Maurizio Landini è stato interpretato dall’opinione pubblica principalmente come uno scontro politico (37,3%) legato alle opportunità di entrambi di far emergere la propria immagine (25,6%). Qualcuno lo ha letto come un vero e proprio scontro personale (11%), mentre il 17,6%, poco meno di un cittadino su 5, lo ha interpretato come un vivace diverbio basato su ragioni valide per entrambi.
Il sospetto che serpeggia tra l’opinione pubblica è che oggi gli scioperi abbiano importanti difficoltà a dimostrarsi utili ai fini della tutela del lavoro e dei lavoratori (64,4%).
Di questo parere sono soprattutto gli elettori aderenti ai partiti della maggioranza. Tuttavia, anche tra le fila delle opposizioni molti sono i cittadini che nutrono dei dubbi, come il 35,3% dei sostenitori del Partito Democratico, il 44,1% degli elettori del Movimento 5 Stelle e più del 70% degli elettori di Azione e Italia Viva.
Il dato che sorprende è quel 56,8% di lavoratori dipendenti che non legge alcun vantaggio e risultati validi nello scioperare. Insomma, i tempi sono cambiati e appaiono più complicati per gli scioperi.
Il principale sospetto che scaturisce è che tutto sia in funzione di una maggiore visibilità e per la parte politica anche una possibile leva in vista delle elezioni europee previste per giugno 2024.
Il tema è che per chi non aderisce alle linee guida del sindacato non è più sentita una grande movimentazione. Molte persone che potrebbero condividere le ragioni dello sciopero non si ritrovano nelle indicazioni delle grandi sigle sindacali e quindi si sentono escluse a loro volta. L’Istat certifica in Italia su circa 23,7 milioni di lavoratori – dati di settembre 2023 – circa 3 su 4 non si sentono rappresentati da almeno una sigla sindacale, come l’86,7% di coloro che non hanno un’occupazione.
Il 67,9% degli intervistati comprende le ragioni degli scioperi anche al di là del disturbo che provocano. È calata la fiducia in quel rito che dovrebbe essere utile ad affermare il bisogno di tenere conto degli interessi dei lavoratori. Quell’esercizio della pressione nei confronti del governo o di altri soggetti, che potrebbe avere come valore di riferimento una nuova definizione di crescita politica, sociale ed economica del Paese.
Una crisi di rappresentanza che intercorre oggi fra l’intera società, la politica e le istituzioni. Le persone hanno compreso che è difficile, se non impossibile, credere nella realizzazione di un cambiamento che aiuti a migliorare la propria situazione e a pianificare la propria vita futura. Si sentono sempre più spesso sudditi di decisioni che vengono prese altrove, da élite esterne ai canali istituzionali, oltre i confini
(da La Stampa)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
L’AVIAZIONE ISRAELIANA HA DELIBERATAMENTE COLPITO UN CONVOGLIO DI SFOLLATI
Non si sono arrestati neppure la scorsa notte i bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza: secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, almeno 13 persone sono rimaste uccise in un raid a una casa nel campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia. Inoltre, secondo l’agenzia palestinese, una donna e sua figlia sono state uccise in un bombardamento di una casa a sud-est di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza.
L’aviazione dello stato ebraico tuttavia è tornata a prendere di mira anche i sanitari che assistono i gazawi: ieri pomeriggio, infatti, un familiare di un membro dello staff di Medici Senza Frontiere (MSF) è stato ucciso, e un altro è rimasto ferito, in un attacco contro un convoglio dell’organizzazione umanitaria che cercava di evacuare 137 persone intrappolate da una settimana a causa degli scontri intorno all’ospedale di Al Shifa, a Gaza.
Il convoglio di MSF, composto da cinque mezzi con il simbolo dell’organizzazione ben visibile (anche sui tetti), era partito alle 9 del mattino con 137 persone, composte da membri dello staff palestinese di MSF e i loro familiari, tra cui 65 bambini. Il convoglio ha lasciato i locali di MSF (guesthouse, ufficio e clinica situati vicino all’ospedale Al Shifa) per dirigersi verso il sud di Gaza e raggiungere un luogo più sicuro. Dall’11 novembre queste persone erano intrappolate a causa dei combattimenti e da allora MSF ha ripetutamente chiesto una loro evacuazione in sicurezza.
MSF aveva informato di questo trasporto entrambe le parti in conflitto. Il convoglio ha rispettato l’itinerario indicato dall’esercito israeliano e ha raggiunto la strada Salah Al Deen, insieme ad altri civili che cercavano di lasciare la zona. Dopodiché si è diretto verso l’ultimo checkpoint nei pressi di Wadi Gaza, in quel momento sovraffollato a causa dei lunghi controlli sui palestinesi da parte delle forze israeliane. Malgrado le informazioni condivise con le forze armate israeliane, non è stato permesso al convoglio di MSF di attraversare il checkpoint per ore. Durante l’attesa, lo staff di MSF ha sentito degli spari, per paura il convoglio ha deciso di rientrare nella sede di MSF, situata a circa 7 chilometri dal checkpoint.
Sulla via del ritorno, tra le 15.30 e le 16.00, il convoglio è stato attaccato in via Al-Wehda, nei pressi dell’incrocio con via Said Al A’as, vicino all’ufficio di MSF. Due mezzi di MSF sono stati deliberatamente colpiti, uccidendo un familiare di un membro dello staff e ferendone un altro. MSF chiede ancora una volta di consentire con urgenza l’evacuazione del suo staff e di migliaia di altre persone, intrappolate dai combattimenti e che vivono in pessime condizioni nel nord di Gaza.
(da Fanpage)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
A BUENOS AIRES E’ SFIDA ALL’ULTIMO VOTO TRA IL PERONISTA MASSA E L’ULTRALIBERISTA ESTREMISTA TRUMPIANO MILEI
L’Argentina in bilico, dai manifesti con Maradona alle Madres de Plaza
Venerdì sera, a poche ore dal ballottaggio che deciderà il futuro dell’Argentina, il candidato dell’estrema destra Javier Milei si è presentato al prestigiosissimo Teatro Colón di Buenos Aires, dove andava in Scena Madamme Butterfly.
Quando è stato riconosciuto durante l’intermezzo, il pubblico ha cominciato a insultarlo a coro: “Milei tu sei la dittatura” scandivano da ogni dove, e qualche membro dell’orchestra si pure spinto ad accompagnare col proprio strumento. Una scena inedita, specie in uno dei teatri simbolo dell’élite “porteña”, che descrive però molto bene quel che si vive in Argentina da diverse settimane.
La polarizzazione politica è palpabile nelle strade, tappezzate con le facce dei due candidati che si affrontano questa domenica alle urne: l’attuale ministro dell’Economia, Sergio Massa, e l’eccentrico economista “anarcocapitalista”, Milei.
È proprio quest’ultimo a suscitare le reazioni più forti. Da star dei talk-show politici, dove il suo atteggiamento aggressivo e spregiudicato e la sua peculiare capigliatura gli hanno reso una fama nazionale, Milei è approdato all’arena politica solo due anni fa, grazie al sostegno di alcuni potenti imprenditori per i quali è stato consulente economico, diversi operatori politici in cerca di un marchio vincente da piazzare su una scheda elettorale e, appunto, i media amici.
Nel 2021 è riuscito a entrare in parlamento, dove ha portato le sue invettive contro “la casta politica” e le sue teorie contro il welfare. Secondo Milei infatti il grande problema dell’Argentina, sprofondata da anni in una crisi economica e sociale che non sembra aver fine, è lo Stato. E la soluzione sta proprio nel ridurlo ai suoi minimi termini: “dare fuoco” alla Banca Centrale, privatizzare istruzione, sanità e servizi sociali, adottare il dollaro come moneta nazionale, sregolare il mercato. Nei suoi interventi più eclatanti Milei ha addirittura parlato di legalizzare il mercato di armi, di organi o di bambini: se il mercato esiste, lo stato deve lasciar fare.
L’eccentricità di Milei raccoglierebbe ben pochi consensi se la situazione argentina non fosse davvero drammatica. L’inflazione è schizzata al 143% su base annua, il potere d’acquisto polverizzato, il tasso di cambio del dollaro, valuta di riferimento per il prezzo dei beni durevoli, è aumentato del 160% rispetto al Peso argentino da gennaio e la povertà si attesta intorno al 40% della popolazione. Un disastro che affligge specialmente i più giovani, la principale base elettorale del partito di Milei, La Libertad Avanza. In un paese dove si può votare a partire dai 16 anni, la maggior parte degli elettori under 20 non conosce un altra realtà che non sia segnata dalle ristrettezze economiche e l’inefficienza dell’amministrazione pubblica. A cui si aggiungono gli scandali di corruzione di cui la dirigenza politica tradizionale è stata spesso protagonista.
Sergio Massa, ministro dell’economia del governo di centrosinistra di Alberto Fernandez, è forse uno dei personaggi simbolo di quella leadership deprecata dalla gioventù “libertaria”.
Formato politicamente nella destra liberale dell’Argentina post dittatura, ha ricoperto cariche pubbliche in quasi tutti i governi, da destra a sinistra, negli ultimi 22 anni. I suoi manifesti per le strade di tutto il paese sono spesso imbrattati con la parola “chorro”, ladro, epiteto dispregiativo che Milei pronuncia religiosamente ogni volta che si riferisce a un politico tradizionale.
La gestione economica di Massa, figlio di un imprenditore edile siciliano e di una casalinga originaria di Trieste, è decisamente negativa, e il suo successo elettorale solo si spiega grazie al timore che suscita il suo rivale. Che nelle settimane precedenti al ballottaggio ha riscosso un caloroso appoggio anche da parte dei nostalgici della dittatura militare (1976-1983).
La sua candidata a vice, Victoria Villarruel, figlia di un gerarca dell’esercito legato al sistema di campi di concentramento creati dal regime negli anni ’70, e che nel 1987 si è pure rifiutato di giurare fedeltà alla costituzione, ha più di una volta messo in discussione le condanne contro i responsabili della tortura e sparizione di 30.000 persone sotto il governo delle Forze Armate. Figli di desaparecidos, le emblematiche Madres de Plaza de Mayo, famigliari e vittime del terrorismo di stato hanno lanciato l’appello negli ultimi giorni a “battere Milei” questa domenica.
Sfida all’ultimo voto
Nelle strade di Buenos Aires intanto restano i segni della campagna elettorale che si è chiusa venerdì. Alla Boca, storico quartiere fondato da immigrati genovesi, si ricorda il sostegno esplicito che Diego Armando Maradona diede a Sergio Massa quando era ministro degli interni nel governo di Cristina Kirchner: “La Boca sa che Dieguito voterebbe per Massa”, si legge in alcuni manifesti.
Ma se la paura verso l’estrema destra vince chiaramente la battaglia sui muri delle città, nelle urne la situazione sembrerebbe ben diversa. Tutti i sondaggi prevedono un testa a testa serratissimo tra i due candidati. Sebbene Milei vanta ancora un lieve vantaggio, gli indecisi rappresentano, a poche ore del voto, circa il 10% dell’elettorato. Un finale incerto, tesissimo, per una delle elezioni più singolari di sempre nel paese latinoamericano.
(da la Stampa)
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Novembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
“I PAESI A BASSA TASSAZIONE SONO QUELLI POVERI”: SPIEGA L’ECONOMISTA DI BERKLEY
«La tassazione dei patrimoni dell’1% capitale più ricco del pianeta può aiutare l’economia di molti paesi e rafforzare la fiducia nel sistema economico. Perché ormai i cittadini sanno che sono i ricchi, tramite sistemi consolidati, coloro che più facilmente evadono (o eludono ndr) le tasse».
La granitica convinzione dell’economista Gabriel Zucman, classe 1986, professore a Science Po e Berkley, direttore dell’Osservatorio fiscale sulla tassazione europea – che ha appena pubblicato l’ultimo report – e recentemente vincitore della medaglia John Bates Clark per i suoi «fondamentali contributi nel campo della scienza delle finanze», non è scalfita nemmeno dai dati sull’andamento dei versamenti fiscali in Italia, con gli ultimi dati che parlano di un 47% di cittadini che non presentano dichiarazione fiscale, risultando a carico di qualcun altro, e un poco credibile 13.95% di italiani come unica percentuale a dichiarare redditi superiori ai 35mila euro.
Professor Zucman, nel report che l’Osservatorio ha pubblicato quest’anno, oltre agli ultimi dati fate una valutazione sugli ultimi 10 anni di politiche fiscali in Europa e non solo. Quali sono le conclusioni alla luce del lavoro fatto in tutto questo periodo di tempo?
«La questione dell’evasione fiscale è stata al centro della politica internazionale negli ultimi 15 anni, con una serie di iniziative importanti, e quello che cerchiamo di fare in questo report è valutare cosa ha funzionato, cosa non ha funzionato e cosa resta da fare. Quindi, il breve riassunto è che abbiamo cose buone, cattive e pessime. La parte buona è che grazie allo scambio automatico di informazioni bancarie, c’è meno evasione fiscale attraverso conti bancari nascosti off-shore. Perché le banche, anche quando si trovano nei paradisi fiscali, devono riferire alle autorità nazionali degli altri paesi sui conti che gestiscono. Questo è un bene. Si tratta di un nuovo modello di cooperazione internazionale che è emerso abbastanza rapidamente e che dimostra qualcosa di molto importante, ovvero che l’evasione fiscale non è una legge di natura».
Cosa intende?
«Per decenni abbiamo pensato che non si potesse fare nulla contro il segreto bancario. Si affermavano cose come “Se la Svizzera vuole avere leggi molto rigide sulla segretezza bancaria cosa possiamo fare? I ricchi nasconderanno sempre lì i loro beni”. Ora sappiamo che si può intervenire e che queste politiche possono fare davvero la differenza. Poi c’è la parte negativa. E la parte negativa è che l’evasione fiscale, da parte delle multinazionali, continua. C’è un trilione di euro, in profitti, che viene spostato ogni anno verso i paradisi fiscali. Nel 2021 c’era una grossa aspettativa perché 140 paesi e territori si dissero d’accordo sul fatto che il 15% dei profitti delle multinazionali andava lasciato alla tassazione nazionale. Ma era un accordo molto debole e non sta facendo la differenza. In pratica le aziende multinazionali stanno riuscendo a pagare meno del 15%. Quindi resta ancora molto da fare. Infine, c’è poi c’è la parte pessima, che evidenzia la mancanza di qualsiasi tentativo di occuparsi di quello che probabilmente è il tema chiave di oggi, ovvero un’aliquota fiscale effettiva per i miliardari molto bassa e molto poco degna. In un Paese come l’Italia, secondo i numeri più aggiornati che abbiamo, i diversi gruppi sociali pagano circa il 40, 50% del loro reddito in tasse, se includiamo le dirette e le indirette, le tasse sui salari, l’imposta sul reddito, l’Iva e così via. Ma i miliardari, invece, pagano il 20% del loro reddito in tasse o imposte».
Come fanno?
«Perché? Perché quando si è molto ricchi, è molto facile strutturare la propria ricchezza in modo tale da generare poco reddito imponibile. Così si evita l’imposta sul reddito. La proposta principale che formuliamo nel rapporto è quella di fissare un’imposta minima per i ricchi, così come esiste un’imposta minima, molto imperfetta, per le imprese. Dovremmo fare lo stesso per i miliardari globali, la proposta principale è una tassa minima del due per cento sulla ricchezza dei miliardari globali. Si tratta di meno di tremila individui. Eppure tassarli farebbe una enorme differenza perché hanno una grande ricchezza e quindi, secondo i nostri modelli economici, la tassa potrebbe raccogliere quasi 250 miliardi di dollari in più di entrate fiscali ogni anno».
Che impatto politico ha questa proposta? Chi vi sta dando maggiormente ascolto?
«Penso che ci sia un nuovo slancio verso idee del genere, perché c’è un numero crescente di prove, che sta diventando difficile da ignorare, sul fatto che i molto ricchi pagano tasse molto basse. Per fare un esempio, nel 2021, negli Stati Uniti, ProPubblica ha rivelato che una serie di miliardari, come Besoz, Musk e altri pagano zero tasse sul reddito. Oltre a questo ci sono molti studi in Italia, Francia, Paesi Bassi tra gli altri, che hanno quantificato questo aspetto in modo più sistematico e hanno scoperto che non si tratta di casi isolati ma c’è un vero e proprio modello di tassazione basso per i plurimiliardari. E’ una cosa molto difficile da accettare. Naturalmente, possiamo discutere su quale dovrebbe essere il livello adeguato di progressività della tassazione, ma sapere che la fascia più alta della società sia legalmente autorizzata a pagare molto meno della classe media o della classe operaia… Credo che quasi tutti siano d’accordo sul fatto che questo non è sostenibile, non è accettabile. Non può che aumentare il malcontento nei confronti del sistema fiscale e della politica e aumentare le disuguaglianze. Credo che tutti riconosciamo che non è sostenibile e dobbiamo fare qualcosa».
Che impatto stanno avendo queste rivelazioni?
«L’atteggiamento della politica sta cambiando in molti paesi. Così, negli Stati Uniti, ad esempio, Joe Biden, che per molto tempo ha fatto una campagna contro le proposte di tasse sulla ricchezza, ora è favorevole e ha introdotto la tassa sui miliardari nel suo programma presidenziale. In Brasile – che l’anno prossimo avrà la presidenza di turno del G20 – c’è un interesse per mettere questa tassa minima sui miliardari nell’agenda della futura discussione del G20 sulla tassazione internazionale. Quindi, per farla breve: 10 anni fa abbiamo fatto progressi sulla segretezza bancaria, poi c’è stata una spinta internazionale per la tassazione delle imprese multinazionali e ora, nei prossimi cinque o dieci anni, la priorità sarà la tassazione minima per i miliardari».
La politica italiana ha molta difficoltà a parlare di evasione fiscale e di tassazione sulla ricchezza. Di recente, quando il Partito democratico ha detto di voler tassare le rendite milionarie per pagare l’università ai giovani si è risposto “no, questo fermerà l’economia” e l’idea è stata accantonata. L’attuale governo di centrodestra era intenzionato a tassare gli extraprofitti bancari ma ha poi fortemente rivisto la proposta. Cosa pensa di questa altalenanza del dibattito pubblico italiano?
«L’Italia, come tutti i paesi che hanno bisogno di fare investimenti pubblici nell’istruzione, nella sanità, nelle infrastrutture, nella lotta contro la povertà e il cambiamento climatico ha bisogno di entrate fiscali. Tutti i paesi che sono diventati ricchi lo sono diventati perché hanno investito molto nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria di qualità, nelle infrastrutture pubbliche che funzionano e aiutano la produttività delle imprese. E’ necessario continuare perché se il processo si interrompe, uccide la crescita dell’economia e aumenta le disuguaglianze. Nessun Paese è diventato prospero grazie a tasse basse. I paesi che hanno tasse basse sono i paesi a basso reddito e in via di sviluppo. Dunque, è necessario spiegare che il percorso per ottenere più prosperità e più uguaglianza nel futuro, non passa attraverso “meno tasse”. Non è detto che siano più tasse nel complesso, ma serve un sistema fiscale più equo. Abbiamo bisogno di raccogliere i deficit fiscali degli attori economici che oggi pagano molto meno di quello che dovrebbero pagare. Bisogna partire da lì. In Italia c’è una grossa fetta di popolazione che paga molte tasse, quindi il punto non è aumentare le tasse di tutti, ma aumentarle ai molto ricchi e ai grandi attori economici, che sono anche gli attori economici che hanno maggiormente beneficiato dell’organizzazione e dei cambiamenti tecnologici degli ultimi quarant’anni. Queste persone sono diventate molto ricche e mentre la loro ricchezza pre tasse cresceva noi abbiamo presso a tassarli sempre meno. Dobbiamo tassare di più i principali vincitori della globalizzazione e tassare meno la parte della società che ne ha beneficiato meno o ne è stata danneggiata. E, dal mio punto di vista, con questi soldi, finanziare gli investimenti pubblici critici di cui abbiamo bisogno per la crescita dell’economia».
Qualcuno potrebbe obiettare che i ricchi in questa condizione lascerebbero l’Italia o l’Europa evitando di spendere qui i loro soldi…
«La cosa fondamentale da capire è che la concorrenza fiscale, proprio come l’evasione fiscale, non è una legge di natura, ineluttabile. Possiamo scegliere di tollerare la competizione fiscale tra paesi, ma possiamo anche regolare questi rapporti. Attualmente, secondo le leggi italiane, se qualcuno sceglie di trasferirsi in Svizzera, l’Italia smette di tassarlo. Immediatamente, a partire dal 2024, quella persona non ha più tasse da pagare in Italia. Ma non è l’unica scelta possibile. L’Italia potrebbe dire, invece: “Hai passato molto tempo in Italia e sei diventato molto ricco, in parte perché hai beneficiato delle scuole italiane, dei beni pubblici e dalle infrastrutture. Quindi, ti continueremo a tassare parzialmente per un certo numero di anni”. Non è naturale diventare miliardari nel proprio paese e una volta diventati ricchi dire: “Ok, ciao ciao. Ora mi trasferisco in un paradiso fiscale e smetto di pagare le tasse”. No, continui a pagare perché hai ricevuto molto dalla società. E per prendere una decisione del genere non servono accordi globali. L’Italia può decidere in qualunque momento di continuare a far pagare i ricchi espatriati».
In Italia c’è un problema di evasione fiscale endemica. I dati ci dicono che di fatto il sistema economico si regge su una minoranza che paga i servizi pubblici per tutti gli altri, con un 11,6% di Pil nascosto
«In realtà i dati ci dicono che la maggior parte delle persone che evade le tasse non riesce comunque a pagare zero tasse. Ovviamente ci sono dei casi che riescono a fare tutto nel mercato nero, ma la differenza fondamentale è che i miliardari pagano come unica tassa l’imposta sul reddito. Quindi, se riescono ad evadere l’imposta sul reddito di fatto non pagano alcuna tassa. Per il resto della popolazione ci sono molte tasse che non puoi effettivamente evadere, ad esempio l’Iva, o l’imposta sul reddito. Solo i milionari possono evadere completamente le tasse».
Può spiegarci meglio i dati raccolti sull’Italia?
«Con i nostri dati (vedi il diagramma ndr) abbiamo fatto una valutazione confrontando l’intero ammontare di tasse, Iva, imposte sui salari, imposte sul reddito, imposte sulla proprietà, tutto, che i cittadini di alcuni paesi pagano, mettendo da un lato a quale percentuale di ricchezza appartengono e dall’altro quanta percentuale di tasse pagano. La linea rossa è l’Italia e le persone tra il 20mo e il 30mo percentile di ricchezza – cioè i redditi molto bassi – pagano circa il 50%, a volte anche di più, a volte quasi il 60% del loro reddito in tasse. Ok, può esserci qualche evasione, ma visto che non riescono ad evadere tutto continuano in media a pagare molto. Ciò che è davvero sorprendente è che se si guarda a ciò che accade all’interno 1% più ricco, c’è un drammatico calo della progressività fiscale con i miliardari che pagano a mala pena il 20% del loro reddito in tasse. Questa è la realtà della società italiana oggi».
Quindi lei non pensa che l’endemica evasione fiscale abbia un grande impatto? E in ogni caso pensa che ci sia una connessione con la difficoltà della politica a toccare il tema?
«Penso che sia importante concentrarsi su dove sono i soldi. E quando si guardano quelle statistiche, chiaramente il denaro da riscuotere, il deficit fiscale, le tasse che oggi non vengono riscosse, sono essenzialmente ai piani alti della distribuzione della ricchezza. Non sto dicendo che non ci sia evasione fiscale generalizzata, probabilmente c’è. Ma quantitativamente, in termini di quanti soldi possiamo raccogliere per le nostre scuole, per le nostre università, per gli ospedali, il “malloppo” si trova tra le persone molto ricche e le aziende multinazionali».
In Europa questa battaglia è condivisa?
«Molte persone sono ormai sono convinte che non è possibile avere un sistema fiscale giusto da un lato e un’economia globale integrata dall’altro. Tante persone, anche a sinistra, hanno in un certo senso rinunciato a utilizzare il sistema fiscale per correggere la disuguaglianza o per generare entrate tassando i ricchi. Stanno commettendo un errore, ok? Perché ci sono molti modi per combinare apertura economica, integrazione europea da un lato e progressività fiscale dall’altro. Ripeto, la concorrenza fiscale non è una legge naturale. Scegliamo la competizione, proprio come possiamo scegliere l’armonizzazione. Scegliamo di schierarci dalla parte degli accordi di libero scambio che tacciono sulla tassazione, ed è quello che facciamo da 40 anni. Ma possiamo fare altre scelte. Possiamo dire: “Guarda, se vuoi avere accesso ai nostri mercati, avrai un certo importo minimo di tasse da pagare e questo farà parte di questo accordo di libero scambio che firmeremo”. Quindi, ci sono milioni di modi per organizzare e regolare la globalizzazione ed è perfettamente possibile avere un’alta tassazione dei più ricchi, tassando i non residenti, tassando gli stranieri che hanno molti beni in Italia, per esempio, tassando le multinazionali straniere, che devono pagare le tasse per stare nell’Unione Europea e in un’economia globalizzata».
Quando organizza incontri nei singoli paesi che impatto registra sulla politica locale? In Italia ad esempio?
«Le persone guardano a ciò che stiamo dicendo. E come ho detto, c’è già stata qualche evoluzione negli ultimi anni. Sa, l’evoluzione più sorprendente a cui ho assistito è quella negli Stati uniti, dove vivo da parecchi anni. Nel 2019, 2020, la maggior parte delle persone nel Partito Democratico, persone come Joe Biden, erano fortemente contrarie alla tassazione dei miliardari e facevano campagna contro le proposte che erano state dai soli Bernie Sanders ed Elizabeth Warren. E ora che sono al potere, hanno ribaltato la loro posizione e dicono apertamente: “I miliardari non pagano abbastanza, abbiamo le prove. Ci deve essere una tassa sul patrimonio e i miliardari”. Gli atteggiamenti politici cambiano e possono cambiare. Nel 1986 Joe Biden, che allora era senatore, ha votato per la grande riforma fiscale di Reagan che tagliava l’aliquota fiscale marginale massima sul reddito dal 50% al 28%. Questo è il genere di politica che Biden difendeva in quel momento. E ora, come si sa, ogni settimana twitta e parla di come i miliardari non pagano una giusta aliquota e di come va affrontato un massiccio aumento delle tasse. Quindi la conversazione è in evoluzione».
(da Open)
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