Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
CON QUESTA SOMMA LA DITTA OTTIENE IL RITIRO DELL’ISTANZA DI LIQUIDAZIONE, AVANZATA DAI LAVORATORI E DAI CREDITORI…MA DA DOVE VENGONO TUTTI I SOLDI CHE, FINO A OGGI, KI GROUP SI È RIFIUTATA DI PAGARE A DIPENDENTI E AGENTI DI COMMERCIO, TRA STIPENDI ARRETRATI E TFR?
Un bonifico di quasi centomila euro effettuato in extremis venerdì. Ancora una volta spuntano fuori i soldi, a due giorni dall’udienza del processo davanti alla seconda sezione civile del Tribunale di Milano, che dovrà decidere sull’istanza di liquidazione giudiziale, il vecchio fallimento, di Ki Group srl, il gioiellino del bio caduto in disgrazia, per l’accusa, dopo la gestione della ministra Daniela Santanchè e dell’ex compagno Canio Mazzaro.
Dopo i primi 140 mila euro versati, con questa somma la società ottiene definitivamente il ritiro dell’istanza di liquidazione avanzata da tempo dagli ex lavoratori di Ki Group con l’avvocato Davide Carbone: non solo dei dipendenti, anche degli agenti di commercio che, almeno nei loro crediti privilegiati, sono stati soddisfatti a pochi giorni dal Natale.
«Una vittoria» per il legale, che però farà venir meno una parte del processo. A chiedere il fallimento dell’azienda, gravata da milioni di debiti anche col Fisco resterà solo la procura di Milano che sulla gestione di Ki Group ha aperto da tempo un fascicolo d’inchiesta.
E che ha sollevato ulteriori dubbi sulla capacità della società di soddisfare tutti gli altri creditori. Anche perché l’unica garanzia messa sul piatto da Ki Group è rappresentata da Bioera, altra società del gruppo che ha evitato il fallimento ricorrendo alla composizione negoziata della crisi, un piano di risanamento che non passa dal vaglio dei giudici.
E ottenendo dal Tribunale – che pure ha avanzato perplessità – le «misure protettive» fino al 27 febbraio 2024 con l’avvocato Fabio Cesare. Come farà Bioera a fornire una copertura finanziaria a Ki Group superiore anche al milione e mezzo stimato dalla società? Se lo chiedono la procuratrice aggiunta Laura Pedio e i pm Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, che con un nuovo parere hanno reiterato l’istanza di liquidazione giudiziale sollevando ulteriori dubbi sulle capacità di Bioera e sul suo «stato di insolvenza».
Peraltro, il nuovo bonifico di centomila euro è stato effettuato, come quello precedente, dallo studio dell’avvocato Salvatore Sanzo, che assiste la società e che ha difeso Santanchè nei procedimenti relativi a Visibilia. La ministra al Turismo è uscita dalla governance anche di questo gruppo a partire dall’inizio del 2022.
Ma da dove vengono tutti i soldi che, fino a oggi, Ki Group si è rifiutata di pagare a dipendenti e agenti di commercio, tra stipendi arretrati e Tfr? Ufficialmente non è dato saperlo: magari qualcuno riuscirà a ottenere una risposta in udienza. Ma non sembra un caso che Bioera abbia fatto sapere che Canio Giovanni Mazzaro (l’ex compagno e padre del figlio di Santanchè) «ha rassegnato le proprie irrevocabili dimissioni dalla carica di consigliere di amministrazione al fine di segnare una discontinuità rispetto al passato nella governance della società e rendere più efficace l’azione di risanamento intrapresa».
Nello stesso comunicato si elencano anche le cariche di Mazzaro, che resta “amministratore unico di Biofood Italia, dipendente e azionista diretto di Bioera, con una partecipazione complessiva inferiore al 5 per cento del capitale sociale di Bioera; azionista indiretto di Bioera per il tramite di C.l.m. s.s. (socio unico di Biofood Italia S.r.l.)”. Del resto, con la sua presenza nella governance di Bioera, e con le garanzie che la quotata ha offerto a Ki Group per provare a salvarla, difficilmente i legali avrebbero potuto continuare a sostenere davanti ai giudici civili che le società non facciano parte dello stesso gruppo
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
EMENDAMENTO CHE RIDUCE I CONTROLLI DELLA CORTE DEI CONTI ANCHE SULLE REGIONI IN DISAVANZO
Solo alla parola «controllo» scatta il fastidio, una sorta di allergia rispetto ai rilievi mossi da qualsiasi organismo indipendente chiamato a valutare, di volta in volta, le scelte del governo. E quindi ecco c’è la reazione furiosa per delegittimare chi mette bocca sull’operato del governo Meloni. Perché l’unica parola “ufficiale” spetta a Palazzo Chigi e ai ministeri. A nessuno più. Almeno secondo la visione della destra bulimica di potere, rinchiusa nel fortino di Palazzo Chigi. Senza scomodare la battaglia ingaggiata contro la magistratura nel suo complesso – basti pensare alle parole del ministro della Difesa, Guido Crosetto – ne sanno qualcosa alla Corte dei conti. L’ultima prova di forza è arrivata sulla manovra economica. Un emendamento, a firma del governo, infligge un duro colpo alle funzioni della magistratura contabile, sottraendo alle sezioni regionali la verifica sui piani di rientro delle regioni in disavanzo. La funzione, secondo la proposta dell’esecutivo, sarà assegnata al collegio dei revisori delle regioni. Tutto resta nel perimetro degli enti, eliminando la supervisione esterna.
Al di là di qualsiasi valutazione sul caso specifico, non passa inosservato l’indebolimento della Corte dei conti. Un blitz parlamentare che arriva a pochi giorni dalla memoria, molto critica, depositata in parlamento proprio dalla magistratura contabile sulla legge di Bilancio. Tra i vari aspetti controversi il presidente, Guido Carlino, aveva evidenziato lo «sbilanciamento verso misure mirate a sostenere progetti specifici, primo fra tutti per peso finanziario, il Ponte sullo Stretto», uno dei totem della finanziaria. L’intoccabile sancta sanctorum delle promesse del ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Difficile, se non impossibile, parlare di un eventuale rapporto causa-effetto. Poco male. Fatto sta che nella manovra l’esecutivo ha deciso di ridurre il margine di azione della Corte dei conti rispetto alle regioni.
Non si tratta della prima volta per la magistratura contabile: in primavera, c’era stata una relazione dei magistrati contabili sul Pnrr, in cui venivano evidenziate lacune e ritardi. Era il primo vero documento che forniva una mappatura sullo stato dell’arte. Il ministro Raffaele Fitto chiese un apporto più «costruttivo», lasciando trasparire una certa irritazione. Qualche settimana dopo è stato presentato, dalla destra, un emendamento al decreto Pa per eliminare il cosiddetto controllo concomitante della Corte dei conti sull’attuazione del Piano.
IPERSENSIBILITÀ DA PNRR
La realizzazione degli interventi del programma Next generation Eu è uno dei temi sensibili, tra quelli che innesca le reazioni più piccate nei confronti di chiunque provi a proferir verbo sulla questione. Fitto, solitamente mite e dialogante, si irrigidisce, consapevole che è la sfida più importante del governo in carica. Un caso più recente? L’ufficio parlamentare di bilancio (upb), non proprio una pattuglia di descamisados oppositori, ha messo nero su bianco una serie di numeri, trasmettendo una memoria al Senato sullo stato di attuazione. In quel documento, con dati aggiornati a novembre, erano raccontati i ritardi nell’«avvio delle gare» d’appalto e non per colpa del «fenomeno delle gare deserte, che rimane di entità marginale». Al fianco c’erano delle sottolineature su un sistema da perfezionare in vari punti: i dati, per quanto parziali, hanno svelato un rallentamento della spesa.
Di fronte a questa situazione, Fitto ha tentato di sminuire la portata del dossier: «Era aggiornata a maggio», ha commentato qualche ora dopo, benché il titolo del dossier, firmato upb, facesse riferimento novembre. Da qui il ministro ha rilanciato: «È in corso di predisposizione, come è noto, la nuova relazione del governo al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr, nella quale sarà fornito il livello aggiornato di spesa». L’unico depositario dei numeri veri, nella filosofia di Palazzo Chigi, è quindi l’esecutivo. In particolare del dipartimento che fa riferimento all’ex eurodeputato. Ma le relazioni governative spesso presentano contenuti più vaghi, denotando uno dei grandi problemi del Piano nazionale di ripresa e resilienza: la trasparenza e la complessità dell’accesso ai dati
ANTI-ANAC
Non è solo il Pnrr a scatenare le ire governative. Per informazioni basta citofonare al presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, finito nell’occhio del ciclone nei mesi scorsi. La sua colpa? Aver espresso perplessità per la «deregolamentazione» prevista dal codice appalti, una delle riforme fortemente volute da Salvini. Con le modifiche «potrebbero essere chiamate le persone più vicine al dirigente, al sindaco o all’assessore», disse Busia in un’intervista rilasciata Repubblica. Apriti cielo. Appena l’Autorità anticorruzione ha fatto sentire la propria voce, su un tema peraltro di propria competenza, è stata subissata di critiche. Fino alla richiesta di dimissioni avanzata direttamente dal responsabile enti locali della Lega, Stefano Locatelli: «Se parla così, non può stare al suo posto». Il passo indietro non c’è stato, ma la delegittimazione dell’autorità indipendente non è finita.
Nel governo il ragionamento è che chiunque critichi non è imparziale. L’arbitro non può fischiare un fallo, deve assecondare il più forte, quindi chi governa. Il clima non è migliorato con il trascorrere delle settimane. Appena pochi giorni fa, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ha inserito l’Authority nella delegazione alla decima conferenza Onu a cui hanno presenziato i 190 stati che hanno sottoscritto la convenzione anticorruzione. Il caso è finito al centro di un’interrogazione parlamentare, presentata dal Pd al Senato. Nei fatti, la situazione è cambiata poco: l’Anac è stata oggi relegata ai margini del dibattito pubblico.
Non è stato da meno il ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, quando ha evocato un complotto del «centralismo romano», solo perché l’ufficio bilancio del Senato aveva espresso delle perplessità su alcuni punti della riforma dell’autonomia differenziata. Tanto che il dossier è stato prima sparito dal web e poi riapparso dopo le proteste con la dicitura singolare «bozza provvisoria non verificata». Una condizione di provvisorietà che si è protratta per mesi: ancora oggi, sul sito di Palazzo Madama, non esiste una versione aggiornata, che sia ufficiale. Il segnale che l’etichetta di bozza puntava soltanto a svilire il contenuto dello studio.
DALLA STAMPA A DRAGHI
Sul fastidio per il controllo, operato dal quarto potere, il giornalismo, la galleria è ampia: l’azione intimidatoria, a colpi di querele e diffide, è portata avanti con puntualità. Addirittura fino a caricare a testa bassa contro la stampa amica. Il paradigma di questo approccio è l’annuncio di Crosetto di una querela nei confronti del Giornale. E nello stesso ambito dell’allergia a chi non è allineato, a chiudere simbolicamente il cerchio, rientra la polemica iniziata contro l’ex presidente, Mario Draghi. Certo, non si tratta di un’autorità indipendente, formalmente istituita. Ma è un profilo che dalla fine del proprio mandato, ha sempre mantenuto un profilo super partes, decisamente istituzionale che viene visto come un potenziale pericolo.
Eppure non ha mai detto una parola sopra le righe, ha accurato qualsiasi riferimento che potesse lasciare intendere anche solo una vaga critica verso il governo Meloni. Per tutta risposta, però, ha subito un pesante affondo della premier in persona, durante un intervento alla Camera. «La politica estera non si fa con le foto», è andata giù dura la presidente del Consiglio. In questo caso il problema non è nemmeno una presa di posizione di Draghi, è sufficiente la sua presenza. Il solo fatto che ci sia è già un problema. Un fastidio. Perciò da colpire. E, possibilmente, delegittimare come ogni organismo indipendente.
(da editoriaeditorialedomani)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL PRECEDENTE DI DONZELLI… QUANDO UN DEPUTATO SIA ACCUSATO DI FATTI CE LEDONO LA SUA ONORABILITA’ PUO’ CHIEDERE DI NOMINARE UNA COMMISSIONE CHE GIUDICHI LA FONDATEZZA DELLE ACCUSE
“Quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, può chiedere al presidente della Camera di nominare una Commissione la quale giudichi la fondatezza dell’accusa”, il cosiddetto Giurì d’onore. Lo prevede il regolamento della Camera, all’articolo 58. E ora lo ha richiesto Giuseppe Conte per “accertare le menzogne denigratorie del presidente del Consiglio Giorgia Meloni” in Aula sul Mes”
Cos’è e come funziona il giurì d’onore
Nella prassi parlamentare la nomina dell’organismo parlamentare, Giurì d’onore, presuppone tre elementi: innanzitutto l’addebito personale e diretto di un parlamentare nei confronti di un altro nel corso di una discussione; in secondo luogo l’attribuzione di fatti determinati e non quindi l’espressione di un giudizio o una opinione; e infine la possibilità che la Commissione di indagine – che non dispone di poteri coercitivi – possa acquisire elementi di conoscenza in ambito parlamentare o attraverso testimonianze spontanee degli interessati.
Il presidente della Camera assegna, recita ancora il Regolamento, “un termine per presentare le sue conclusioni alla Camera, la quale ne prende atto senza dibattito né votazione”.
Il precedente
È la seconda volta da quando il governo Meloni è in carica che viene avanzata la richiesta di un giurì d’onore. A febbraio scorso fu il Pd a chiedere il giurì d’onore dopo le affermazioni di Giovanni Donzelli in Aula sul caso Cospito, chiamato a giudicare il comportamento del deputato di FdI che alla Camera aveva accusato il Pd “reo” di aver visitato in carcere a Sassari il 12 gennaio l’anarchico per verificare il suo stato di salute e ne mise in discussione l’onore con una pesante accusa, ossia di fare gli interessi dei mafiosi al 41 bis. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, aveva nominato la “commissione d’indagine” richiesta dai dem per “giudicare la fondatezza delle accuse” nei loro confronti. Il giurì era presieduto da Sergio Costa e composto da Fabrizio Cecchetti, Annarita Patriarca, Roberto Giachetti e Colucci. E Donzelli dopo aver ritrattato fu assolto.
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“ACCERTARE LE MENZOGNE DENIGRATORIE SUL MES”… SE MELONI NON FOSSE UNA ARROGANTE AVREBBE GIA’ CHIESTO SCUSA
“Ho appena consegnato al presidente Fontana una richiesta di istituire un giurì d’onore” per “accertare le menzogne denigratorie del presidente del Consiglio Giorgia Meloni” in Aula sul Mes. Giuseppe Conte torna alla carica , questa volta in conferenza stampa, dopo essere stato accusato dalla premier mercoledì scorso sulla ratifica del Mes: “L’ha fatta il governo Conte, l’ha fatta senza mandato parlamentare e un giorno dopo essersi dimesso, quando era in carica solo per gli affari correnti”, le parole di Melon
i nelle comunicazioni ai due rami del Parlamento sul Consiglio europeo. Ma di queste tre affermazioni è emerso poi che solo la prima è vera.L’accusa di Meloni a Conte
Fu il Parlamento a delegare il governo Conte ad andare avanti sul Mes. Accadde il 9 dicembre 2020, con una risoluzione che impegnava l’esecutivo “a finalizzare l’accordo politico raggiunto all’Eurogruppo e all’ordine del giorno dell’Eurosummit sulla riforma del trattato del Mes”. È da questo voto che deriva la sottoscrizione autorizzata via fax da Luigi Di Maio. Non un impegno “preso con il favore delle tenebre”, come ha detto martedì sera sempre Meloni a Montecitorio.
Conte e la richiesta di istituire un giurì d’onore
All’accusa Conte ha risposto con un video pubblicato sui suoi profili social e ora con la richiesta di un giurì d’onore, dopo “aver avvertito Fontana e il presidente Mattarella”, dice il presidente del M5S. E Di Maio ha risposto con un contro-fax che smonta la ricostruzione di Meloni. Adesso Conte torna alla carica. “Ho chiesto di istituire un giurì d’onore e una commissione deputata ad accettare le menzogne denigratorie e la dolosa condotta di Giorgia Meloni che ha leso l’onore di un singolo deputato, l’intero mio gruppo, ha danneggiato e danneggia l’Italia e umilia il Parlamento. Non lo possiamo accettare ed è un precedente che non può essere derubricato come dialettica politica, sventolando un foglio che esso stesso smentisce il dichiarante”, spiega Conte. Che sul Mes precisa ancora: “Meloni non ha mai chiarito cosa farà adesso che è presidente del Consiglio. Non è lo strumento che avrei mai introdotto, non è comunitario ma intergovernativo. Abbiamo lavorato per migliorarlo. Chi è venuto dopo di me, Draghi e Meloni, cosa hanno ottenuto? – chiede – Quale modifica? Meloni ne venga a parlare in Parlamento. Lo ha introdotto e lo ratificherà, a compimento delle sue menzogne”. E sull’ipotesi di un ruolo per Mario Draghi alla guida della commissione Ue, Conte preferisce non rispondere: “Su questo non ci pronunciamo perché noi siamo rimasti ancora all’agenda Draghi, la vorremmo leggere prima. Noi siamo all’antica, siamo ancora a quel punto”.
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“MI INVITA A STARE ZITTO PERCHE’ SE NE PARLO STO DIFFONDENDO IL MALE E NE SAREI COMPLICE: E’ UN MODO FURBESCO PER INVITARE AL SILENZIO E QUESTO DA SEMPRE FA GIORGIA MELONI”
Con i suoi attacchi, Giorgia Meloni invita all’omertà. Roberto Saviano è durissimo nella sua replica alla presidente del Consiglio, che dal palco di Atreju lo ha accusato di scrivere di mafia e camorra soltanto per fare soldi. Le parole della leader di Fratelli d’Italia – che si è scagliata un po’ contro tutti i suoi avversari, dai sindacati a Chiara Ferragni praticamente a ogni livello – sono state contestate immediatamente dall’opposizione. La figura di Saviano, che nonostante l’enorme lavoro giornalistico fatto è stato messo all’angolo dalla destra italiana – basti vedere il caso Rai – è da tempo al centro degli attacchi di Meloni e non solo.
“Ogni anno Meloni mi cita perché ogni anno ha necessità di trovare, nel deserto di quello che non fa, un bersaglio contro cui riversare la rabbia della sua banda – dice Saviano in un breve video di replica a Meloni – Il suo augurio di Natale arriva in ritardo però, perché ‘scrivere di mafia per arricchirsi’ oppure ‘le serie innescano la diffusione del male mentre il bene non viene raccontato’ è un vecchio adagio che viene detto da quarant’anni”. Per capirci: “Sono parole utilizzate dalle stesse organizzazioni criminali, Michele Greco in persona dirà che era tutta colpa del Padrino”.
“Questa è una declinazione tipica dell’omertà, ‘stai zitto perché se ne parli stai diffondendo il male e sei complice’ – continua Saviano – È un modo furbesco per invitare al silenzio e questo da sempre fa Giorgia Meloni”. Poi aggiunge: “E su Caivano, Caivano liberata? Ma veramente fa? Parco Verde liberato? Un finto blitz fatto il giorno dopo che il presidente del Consiglio si presenta al Parco e una militarizzazione momentanea ha risolto qualcosa?”. E affonda: “Dopo cinquant’anni di fallimenti politici, qualche mese di banale propaganda politica veramente fa credere a qualcuno che si sono risolti i grandi problemi di Parco Verde?”.
(da Fanpage)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“HO COMMESSO UN ERRORE DI COMUNICAZIONE, AVREI DOVUTO VIGILARE MEGLIO, QUANDO SI SBAGLIA E’ GIUSTO CHIEDERE SCUSA”… GIUSTO, ATTENDIAMO CHE I SOVRANISTI CHE L’HANNO CRITICATA DEVOLVINO LA STESSA CIFRA
«Sono sempre stata convinta che chi è più fortunato ha la responsabilità morale di fare del bene. Questi sono i valori che hanno sempre spinto me e la mia famiglia. Questo è quello che insegniamo ai nostri figli. Gli insegniamo anche che si può sbagliare, e che quando capita bisogna ammettere, e se possibile, rimediare all’errore fatto e farne tesoro. Ed e quello che voglio fare ora. Chiedere scusa e dare concretezza a questo mio gesto: devolverò 1 milione di euro al Regina Margherita per sostenere le cure dei bambini».
Con queste parole Chiara Ferragni, con la voce rotta e quasi in lacrime, si scusa con tutti i suoi followers per il caso Balocco, su cui l’Antitrust ha condannato, con una multa di un milione di euro, le due società collegate all’influencer per pratica commerciale scorretta.
«Ma non basta – ha aggiunto Ferragni in un video diffuso ora sui social – lo faccio pubblicamente perché mi sono resa conto di aver commesso un errore di comunicazione. Un errore di cui farò tesoro in futuro, separando completamente qualsiasi attività di beneficienza, che ho sempre fatto e continuerò a fare, da attività commerciali. Perché anche se il fine ultimo è buono, se non c’è stato un controllo sufficiente sulla comunicazione, può ingenerare equivoci».
E ancora: «Come ho già detto nei giorni scorsi, impugnerò il provvedimento dell’AGCM perché lo ritengo sproporzionato e ingiusto. Il mio errore in buona fede è stato legare con la comunicazione una attività commerciale a una di solidarietà. Purtroppo si può sbagliare, mi spiace averlo fatto e mi rendo conto che avrei potuto vigilare meglio». «Ma, se la sanzione definitiva dovesse essere – come spero – inferiore a quella decisa dall’Agcm, la differenza verrà aggiunta al milione di euro. Nei prossimi giorni parlerò con il Regina Margherita per capire come l’ospedale utilizzerà la somma da me donata e vi racconterò periodicamente gli aggiornamenti. Il mio errore rimane ma voglio far si che da questo errore si generi qualcosa di costruttivo e di positivo», ha concluso l’imprenditrice digitale.
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA LEGA DEL NORD RIBOLLE. LA SOFFERENZA È PIÙ ACUTA IN VENETO E LOMBARDIA DOVE IL CORPO PRODUTTIVO LAMENTA CON I DIRIGENTI LOCALI DEL CARROCCIO LA SCARSA INFLUENZA NEL PROCESSO DECISIONALE NAZIONALE
Capolista in tutte le circoscrizioni. In campo, alle Europee. Come ieri sul palco di Atreju. Scioglierà ufficialmente la riserva dopo Natale. Giorgia Meloni ha già lasciato intendere ai suoi fedelissimi che correrà. Definirà un successo il raggiungimento di quota 26%, che è la percentuale delle ultime politiche. Ma ha in testa un numero: 30%. Ritiene alla portata quella cifra per Fratelli d’Italia.
Che Meloni voglia consolidare la propria leadership con il voto europeo l’hanno capito anche Matteo Salvini e Antonio Tajani, che difficilmente potranno evitare di candidarsi a loro volta.
Il primo, in particolare, teme questa prospettiva. Da tempo, la Lega del Nord ribolle. La sofferenza è più acuta in Veneto e Lombardia dove il corpo produttivo lamenta con i dirigenti locali del Carroccio l’assenza di iniziativa e la scarsa influenza nel processo decisionale nazionale.
Questa dinamica ha provocato tensioni sotterranee, in particolare tra il leader e Luca Zaia. Il resto lo fanno i sondaggi, che non sembrano sorridere al vicepremier. La soglia sotto la quale partirebbe il processo interno è il 10%, comunque lontana anni luce dal fantasmagorico 34,3% del 2019. Per tutte queste ragioni, il segretario della Lega ha alzato il tiro contro l’Europa. E ieri, dal palco di Atreju, ha cercato gli applausi dei militanti scandendo gli slogan più cari alla destra, a partire da quelli contro i migranti. Non sembra bastare, a occhio.
Meloni insiste a sua volta su tasti cari all’elettorato sovranista. Smette i panni istituzionali da premier per radicalizzare il quadro politico, riducendo la scelta a un bivio: noi, oppure Elly Schlein. La presidente del Consiglio cerca la polarizzazione con la segretaria dem. Ritiene, in questo consigliata dai consulenti che periodicamente la aiutano a stabilire la strategia, che un duello con la leader del Partito democratico la avvantaggi. Questo lascia supporre che al momento debito accetterà anche il confronto televisivo con la numero uno del Nazareno.
Meloni non nomina, invece, Giuseppe Conte, anche se si scaglia con insistenza contro le sue politiche: anche questa tattica le è stata consigliata dagli esperti, con la convinzione che tenendo basso il conflitto diretto con il Movimento riuscirà a evitare di incoraggiare la partecipazione al voto dei grillini
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL DIRIGENTE AVEVA DATO AL FEDELISSIMO DELLA MELONI UNA CONSULENZA DA 166.000 EURO
La società pubblica 3-i spa sta per completare il puzzle degli incarichi interni con l’assegnazione della funzione di direttore generale a Stefano Acanfora. Che, scopre Domani, è una vecchia conoscenza di Giovanbattista Fazzolari, potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio e grande consigliere di Giorgia Meloni.
In passato infatti Acanfora ha firmato una sostanziosa consulenza alla regione Lazio a favore dell’attuale consigliere della premier, quando quest’ultimo era solo un dirigente poco conosciuto di FdI.
Manca poco dunque per riempire la casella di dg della società, con sede nel cuore di Roma, a Piazza Colonna. C’è da attendere solo il via libera dell’assemblea dei soci, prevista nelle prossime ore, della 3-i, che sulla carta dovrebbe occuparsi della gestione dei servizi digitali di Inail, Inps e Istat (da cui deriva il nome). Ma la ratifica sembra solo una formalità. «La presidenza del Consiglio e il ministero della Lavoro, come prescritto dallo statuto, hanno dato l’assenso al nome di Acanfora. Ora la nomina spetta all’assemblea», conferma il presidente della spa, Gaetano Terracciano.
Fazzolari, considerato la vera mente della strategia di comunicazione di Palazzo Chigi, vedrà insediarsi in un ruolo centrale, che gestisce la macchina operativa della società, un dirigente a lui molto vicino.
LA CONSULENZA A FAZZOLARI
Tra i due il legame è infatti di vecchia data. Risale almeno al 2017, quando Acanfora era direttore della centrale acquisti della regione Lazio e assegnò a Fazzolari una consulenza per un valore complessivo di 166mila euro lordi.
L’attuale sottosegretario con delega all’attuazione del programma in quel periodo non aveva il potere che oggi può vantare: doveva ancora essere eletto per la prima volta in parlamento. Acanfora, da una postazione di comando, firmò la determina necessaria alla stipula di un contratto. La durata prevista era di 24 mesi, dal luglio 2017 al luglio del 2019. Per il dirigente di Fratelli d’Italia fu prevista la remunerazione di 83mila euro lordi all’anno. L’oggetto della collaborazione era «la prestazione di opera intellettuale». Alle dipendenze di Acanfora stesso.
Il rapporto contrattuale è durato meno del previsto. È stato interrotto, otto mesi dopo la sottoscrizione, nella primavera del 2018. L’esponente di FdI era stato infatti eletto senatore, e rassegnò così le dimissioni.
Ma Fazzolari non ha mai interrotto i rapporti con Acanfora. Tra maggio e giugno, in pieno periodo di nomine delle società partecipate, secondo alcuni media caldeggiò la candidatura del dirigente come amministratore delegato Consip. Ma l’operazione, nonostante l’influenza del sottosegretario, non è andata in porto: l’ad della centrale acquisti pubblica è diventato Marco Mizzau, sempre in quota Fratelli d’Italia, preferito appunto ad Acanfora.
Dopo qualche mese il dirigente ci ha così riprovato candidandosi con la 3-i spa, società che è stata a lungo ferma, nonostante sia nata nel 2022 con gli obiettivi di «sviluppare innovazione tecnologica», spiega il sito. La sua fondazione risale al governo Draghi, ma l’eredità è stata raccolta dall’esecutivo di Meloni. Lo sviluppo della società rientrava tra le milestone del Pnrr, per questo è stata dotata di un capitale sociale robusto di 45 milioni di euro, sottoscritto da Inps, Inail e Istat, che esprimono uno ciascuno un rappresentante nel cda, a cui se ne aggiungono altri due, indicati dal ministero del Lavoro di Marina Elvira Calderone e un altro direttamente da Palazzo Chigi.
I TRAVAGLI DELLA 3-I
Il progetto della 3-i si è scontrato con la realtà. Tanto che si è stagliata l’ombra della trasformazione in uno dei tanti carrozzoni di Stato. La 3-i è comunque riuscita lo stesso a finire al centro delle cronache per le dimissioni dell’ex presidente Claudio Anastasio. Repubblica scoprì che il manager nostalgico aveva inviato ai dirigenti interni una mail citando il discorso di Benito Mussolini in cui veniva rivendicato politicamente il delitto Matteotti. La bufera ha oscurato l’obiettivo della società, che da allora ha avviato una lenta riorganizzazione, a cominciare dalla nomina alla presidenza di Gennaro Terracciano, avvocato con un lungo curriculum in enti pubblici.
In estate è partito l’iter di selezione del direttore generale, un passo fondamentale per dare operatività alla società pubblica. Secondo quanto risulta a Domani ci sono stati una settantina di candidati, tra cui appunto Acanfora. Che – nonostante i mugugni di molti concorrenti, che lamentano un presunto conflitto di interessi tra lui e Fazzolari – è arrivato primo nella graduatoria stilata da una commissione interna. Che è presieduta da Angelo Borrelli, l’ex capo della protezione civile oggi a capo del dipartimento per la trasformazione digitale di Palazzo Chigi. A riporto di Alessio Butti, sottosegretario meloniano grande amico di Fazzolari. Il percorso terminerà, salvo intoppi, nella giornata di oggi.
Ma chi è, salvo sorprese dell’ultim’ora, il prossimo dg di 3-i? Il cursus honorum è quello di un dirigente abile a muoversi in maniera trasversale. L’esperienza da direttore amministrazione e controllo a Sogei ha rappresentato un passo importante nella sua carriera. Il balzo è giunto nel 2016 con l’incarico in regione Lazio, arrivato durante la giunta di Nicola Zingaretti.
Acanfora ha però saputo curare le relazioni anche con gli avversari di quell’esperienza amministrativa, come testimonia la consulenza a Fazzolari, nonostante il suo nome fosse stato oggetto di un’interrogazione del M5s. La consigliera regionale Valeria Corrado criticava la decisione di dare la direzione della centrale per gli acquisti, per una cifra di 155mila euro annui, a un profilo esterno che – come è stato scritto nell’atto ispettivo – fino ad allora non aveva maturato «nessuna esperienza dirigenziale in contrattualistica pubblica, nessuna docenza o pubblicazione in materia di contrattualistica pubblica». La protesta dei pentastellati cadde nel nulla. E da lì Acanfora ha fatto molta strada, collezionando altri ruoli. Fino al prossimo alla spa digitale 3-i.
(da editorialedomani.it)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA PREMIER MELONI È TALMENTE SOTTO ATTACCO CHE LA RAI OSCURA LA SCHLEIN E LE REGALA 80 MINUTI DI DIRETTA PER IL SUO INTERVENTO AD ATREJU
“Si conclude un anno durissimo, se ne sta per aprire un altro con sfida talmente imponenti che solo una comunità politica capace di enormi slanci ideali e fisici lo potrà affrontare: verremo contrastati con ogni mezzo, anche quelli non proprio legittimi, ma è un bene. Gli avversari sono sempre un bene, perché ti spingono a fare meglio, quindi non c’è problema”. È quanto ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo intervento ad Atreju, trasmesso in diretta dalla Rai per 80 minuti.
“La cosa che mi dicono più spesso è ‘non mollare’: non sono il genere di politico che si inchioda alla poltrona contro tutto e contro tutti, ma non saranno gli attacchi personali e i colpi bassi a farmi mollare perché la grandezza della missione che ci è stata affidata non consente di perdere tempo con le bassezze”.
SCHLEIN: “MENTRE FA FESTA AD ATREJU IL GOVERNO LASCIA 900 MILA FAMIGLIE IN POVERTÀ SENZA NESSUN TIPO DI AIUTO, FA CASSA SUI POVERI SOLO PER FINANZIARE I SUOI CONDONI FISCALI”
“Mentre fa festa ad Atreju il governo lascia 900 mila famiglie in povertà senza nessun tipo di aiuto, fa cassa sui poveri solo per finanziare i suoi condoni fiscali. Cara Giorgia, non continuate a insultare gli italiani” la replica della segretaria dem. “Una volta si diceva panem et circenses – ha aggiunto Schlein -, voi alle famiglie il pane lo state togliendo. E date solo uno spettacolino di terz’ordine con eversori che vorrebbero appendere le persone a testa in giù. La misura è colma, tornate al lavoro e occupatevi del lavoro povero: perché è a voi che è mancato il coraggio di venire in parlamento a votare contro il salario minimo, avete preferito annullare la discussione. Ma i problemi degli italiani non li potete annullare nel vostro patetico show”.
PD: “CHIEDIAMO PROVVEDIMENTI PER RAINEWS: TRASMESSO PER 1 ORA E 20 MINUTI IL DISCORSO DI MELONI”
“Inaccettabile il comportamento di Rainews24 che solo ieri ha sospeso la diretta televisiva quando stava per prendere la parola la segreteria del Pd e invece oggi ha trasmesso per 1 ora e 20 minuti il discorso di Meloni dalla festa del suo partito, oltre agli interventi di Salvini e Tajani ovviamente. Abbiamo già chiesto che venga audito Petrecca il prima possibile dalla commissione di Vigilanza, ma riteniamo a questo punto urgente chiedere ai vertici Rai un provvedimento anche da parte dell’azienda” affermano in una nota i componenti Pd della commissione di Vigilanza Rai.
(da agenzie)
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