Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
MAGARI L’ANGELUCCI FAMILY E’ SCONTENTA PER LE PROMESSE NON MANTENUTE DALLA DUCETTA? – O FORSE LE RASSICURAZIONI RICEVUTE, DOPO LA PRESA DEL SECONDO QUOTIDIANO A MILANO, SI SONO RIVELATE ARIA FRITTA? LA CAUTELA DI SALLUSTI CHE, PER NON IRRITARE LA DUCETTA, HA LASCIATO SCRIVERE L’EDITORIALE A MINZOLINI
Il giorno dopo la sconfitta del centrodestra in Sardegna, Mario Sechi su “Libero” e Augusto Minzolini su “il Giornale” hanno vergato editoriali di fuoco contro Giorgia Meloni e i suoi numerosi errori.
L’ex portavoce della premier, silurato da palazzo Chigi dai Fazzolari e dalle Scurti, si è preso la sua rivincita: “Truzzu è il primo vero errore di valutazione fatto da Giorgia Meloni da quando è premier”. Ti
Ma non è finita! “Siamo all’inizio di un big bang: “il campo largo” di Schlein e Conte è destinato a saldarsi. Divisi hanno perso le elezioni politiche, insieme hanno corso bene in Sardegna. I cicli politici sono accelerati, gli anni passano veloci, il centrodestra dovrà trovare un assetto diverso da quello che abbiamo visto finora. gli elettori hanno suonato la sveglia…”.
ulla stessa lunghezza d’onda (e di fiele), l’articolo di Augusto Minzolini: “Per vincere, la coalizione di governo deve mettere da parte innanzitutto l’arroganza che l’ha contagiata fatalmente dopo la vittoria alle ultime politiche…”. Due ceffoni da destra, che a palazzo Chigi avranno vissuto come “fuoco amico”.
Gli addetti ai livori, sempre in servizio effettivo, hanno notato due anomalie.
La prima. Come mai il commento puntuto sugli errori del governo e della Ducetta, non l’ha vergato il direttore del “Giornale”, Alessandro Sallusti?
Perché il biografo di Giorgia lo ha “delegato” a Minzolini? Sallusti, che ha plasmato il quotidiano in modalità “melonismo senza limitismo” (al punto da indispettire la famiglia Berlusconi, che del “Giornale” ha ancora una quota), non se l’è sentita di mettere firma e faccia su una critica alla sua cocca…
La seconda. Come mai i quotidiani della famiglia Angelucci – ricordiamo il tradimento di Antonio, deputato della Lega passato al servizio del melonismo – hanno sparato a palle incatenate contro Meloni, evidenziando i suoi errori e la sua arroganza coatta?
Magari perché gli Angelucci sono piuttosto scontenti delle promesse non mantenute della premier? Le rassicurazioni ricevute, di entrare da trionfatori a Milano per partire all’assalto della ricca sanità in mano alla Regione Lombardia, finora si sono rivelate aria fritta.
Le prime critiche da “Libero” e “Giornale” sono un avvertimento alla vispa Evita Peron alle vongole: cara Giorgia, così non va, ricordate degli amici…
(da Dagoreport)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
“E’ NORMALE CHE SI SANZIONI VERBALMENTE UN ABUSO DI FORZA RIFERENDOSI A UN SINGOLO EPISODIO”
Professor Michele Ainis, cosa le viene in mente quando vede i manganelli sfoderati in piazza?
«Io non ho ricordi diretti del manganello, per mia fortuna, anche se partecipavo alle manifestazioni negli anni ’70, però allora il manganello era quello dei fascisti, non quello dei poliziotti. Diciamo che il manganello è associato alla faccia violenta dello Stato. Diceva Max Weber che lo Stato ha il monopolio della forza. Questa è l’espressione più truculenta, più violenta, più diretta della forza che diventa forza fisica. L’uso del manganello sancisce una condizione di guerra all’interno delle città, delle strade, delle piazze. Naturalmente ci possono essere delle circostanze che richiedano l’utilizzo del manganello perché la polizia deve difendersi dalle aggressioni, tuttavia si tratta di circostanze particolari e specifiche che possono giustificare il manganello, ma solo come strumento di difesa, non di offesa».
E invece quale sentimento le hanno suscitato i manganelli sui ragazzi di Pisa?
«Sdegno, una reazione di sdegno. I ragazzi che vanno in corteo per la pace e la Terra non possono trovarsi manganellati. Io penso ai ragazzi. Non devono aver mai paura di sfilare o avere la percezione di pericolo».
I fatti di Pisa hanno scatenato un cortocircuito istituzionale. Il presidente Sergio Mattarella ha indicato le basi della convivenza civile: «I manganelli sui ragazzi esprimono un fallimento». Il ministro Matteo Salvini si è schierato con i poliziotti. A priori.
«La formula “a priori” non è ammessa, è un rifiuto dialettico, un rifiuto a misurarsi con le ragioni dell’altro. Non prevede argomentazioni, bensì dogmi. Peraltro la democrazia dovrebbe tollerare persino gli intolleranti. Spesso ho difeso la libertà di manifestazione dei neofascisti: in assenza di incitazione alla violenza, qualsiasi parola deve avere diritto di cittadinanza. Quello che si va creando qui in Italia, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, è un clima pesante. Rammento che il primo decreto legge del governo Meloni era un decreto sui rave party, che sono anche occasioni di aggregazione. C’è una continuità nella repressione. Noi non abbiamo gli oppositori politici che finiscono deportati in Siberia, però c’è questo clima pesante. Questo clima pesante in qualche modo si propaga anche nei comportamenti delle forze dell’ordine o di alcuni esponenti delle forze dell’ordine. Succede anche in altri contesti pubblici. C’è sempre un cameriere più realista del re».
Questo potrebbe essere un effetto collaterale di ciò che lei definisce “Capocrazia”.
«La “Capocrazia” segnala una qualche mutazione antropologica. Non accade soltanto in Italia. Se ci guardiamo attorno, il verticismo e il leaderismo, l’affidare i propri destini a un capo, a un salvatore, i cui poteri crescono perché deve salvare i popoli dal male, è un fenomeno frequente, avviene dappertutto. Le maggiori potenze mondiali sono autocratiche, è il caso della Cina o della Russia, oppure altre stanno diventando delle democrature, come le chiamava Eugenio Scalfari, cioè delle democrazie autoritarie in cui vengono prosciugati i diritti di libertà, viene emarginato, a volte anche criminalizzato il dissenso. Questo indica una crisi generale della democrazia. D’altra parte la democrazia è una scheggia della storia, è un’eccezione che si è realizzata alla fine del Settecento e che adesso soffre. Ebbe una parentesi nell’Atene del V secolo avanti Cristo, ma per tutto il resto dei secoli dei secoli ci sono stati sempre regimi monarchici, autoritari, dittatoriali, imperiali».
La presidente Meloni, dopo giorni silenzi e veline, ha risposto in qualche modo al Quirinale: «È pericoloso togliere il sostegno delle istituzioni alla polizia».
«In un regime democratico la dialettica è fisiologica fra le istituzioni. Ed è normale che un’istituzione di garanzia, come la presidenza della Repubblica, sanzioni verbalmente un abuso di forza riferendosi a un singolo episodio. Questo non vuol dire togliere il sostegno delle istituzioni alla polizia. Ribadisco che porsi “a priori” con uno o con l’altro, senza discernere, non è consono a un regime democratico».
Oggi come sta la democrazia in Italia, quanto bisogna preoccuparsi?
«Bisogna preoccuparsi e bisogna anche occuparsi delle questioni. C’è un vento della storia e adesso soffia verso la solitudine del potere, la consegna dei poteri a un Capo. Questo va contro la lezione del costituzionalismo che limita il potere. Però se questo è il vento della storia, io non sono tra quelli che considerano il premierato voluto da questo governo una variante del fascismo. Non lo è. L’elezione diretta di chi governa c’è in America come in Francia, e parlo dei due Paesi che hanno battezzato il ritorno della democrazia alla fine del Settecento. Perciò l’elezione diretta non è antidemocratica in sé, anche se potrebbe non piacere. Il problema è come limitarla. Quali contrappesi affiancare. Il lavoro va svolto sui contrappesi accettando comunque un nuovo sistema di governo. In parte è così da tempo. Il potere legislativo è già in mano al presidente del Consiglio con i decreti legge e ancora di più con i famosi dpcm, i decreti del presidente del Consiglio dei ministri usati in abbondanza durante la pandemia: sono un atto individuale che porta la firma dell’uomo o della donna al comando. E le stesse assemblee regionali o gli stessi Consigli comunali non contano nulla rispetto ai presidenti di Regione e ai sindaci di ogni Comune».
Nel suo libro “Capocrazia” fa un esempio suggestivo di «quasismo» italiano: la riforma costituzionale che propone un modello quasi presidenziale e quasi parlamentare perché il capo del governo eletto deve ottenere la fiducia del Parlamento.
«Il pericolo, di nuovo, non è il fascismo, è lo sfascismo. In un regime sfasciato, che ha un sistema istituzionale contraddittorio, è più facile che venga qualcuno e dica ci penso io. Ci sono segni ambivalenti anche nella politica del governo Meloni e dei suoi ministri».
Quindi c’è una svolta autoritaria o quasi?
«Per il momento c’è una svolta quasi autoritaria».
(da l’Espresso.it)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
ECONOMISTA, RETTORE EMERITO, PRESIDE DI SCIENZA DELLA COMUNICAZIONE… FAMIGLIA DI CONTADINI, LAUREATO CON IL MASSIMO DEI VOTI E LODE, STIMATO DA TUTTI
Luciano D’Amico, dall’età al programma politico passando per la carriera professionale: ecco chi è il noto economista italiano ed ex rettore dell’Università degli Studi di Teramo chi si presenta come candidato governatore alle prossime Elezioni Regionali in Abruzzo.
Luciano D’Amico, classe 1960, è nato a Torricella Peligna, piccolo Comune in provincia di Chieti il 3 di gennaio. Oggi ha 64 anni.
Proviene da una famiglia di contadini attivi nel commercio di prodotti per l’agricoltura. Da ragazzo ha conseguito laurea con il massimo dei voti e la lode nella facoltà di Economia e Commercio presso l’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti e Pescara.
Poi ha intrapreso la carriera accademica (e non solo). Nel 1994 D’Amico è stato incaricato dal Ministero dell’Università e della Ricerca come responsabile dell’orientamento universitario abruzzese per il triennio successivo.
Durante tale periodo ha svolto diverse attività di ricerca sulle materie in cui è specializzato: economia aziendale, ragioneria, controllo di gestione e altro ancora. Ha scritto monografie e pubblicato articoli scientifici.
Luciano D’Amico fa parte inoltre dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
Ha ottenuto diverse cattedre in prestigiose università italiane, situate in varie parti d’Italia come Teramo, Roma e Bari. Ha collaborato anche con atenei di Venezia e Verona. Nel 2013 poi per il professionista è arrivata alla carica di rettore dell’Università degli Studi di Teramo. Ha ricoperto il ruolo fino al 2018.
In ambito professionale, egli ha avuto anche altre esperienze. È stato direttore di Arpa, società che si occupa delle autolinee regionali pubbliche della Regione Abruzzo. Il suo nome è collegato anche all’azienda TUA.
Ha ricevuto, tra le altre cose, l’onorificenza a Cavaliere dell’Ordine del merito della Repubblica italiana
Luciano D’Amico si è presentato come candidato alla Presidenza alle Regionali in Abruzzo che si terranno domenica 10 marzo 2024. L’altro candidato è Marco Marsilio.
Partito e programma
D’Amico è un indipendente di sinistra. Alle prossime votazioni in Abruzzo è sostenuto da 6 liste: Pd, M5S, Azione, Alleanza Verdi e Sinistra – Abruzzo Progressista solidale, Abruzzo insieme e Riformisti e civici.
Il programma del candidato governatore abruzzese è molto chiaro. Come si legge sul suo sito, l’ex rettore dell’Università di Teramo vuole ridurre le disuguaglianze e gli ostacoli economici e sociali che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
È attento alle generazioni future, motivo per cui vuole promuovere soluzioni globali in tema di sostenibilità ambientale, ricerca e cooperazione. Si dice in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Nel suo programma afferma di essere contrario al regionalismo differenziato poiché potrebbe portare ad aumentare il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud Italia, aggravando disuguaglianze già esistenti.
Vuole investire sulla sanità, seppur tra continui taglie riduzioni di finanziamenti. In Abruzzo vi sono sempre soliti problemi come le lunghe liste di attesa, i costi privati alti ed inaccessibili per molti, nonché il sovraffollamento in diversi pronto soccorsi.
Per rilanciare l’economia della Regione, Luciano D’Amico, nel proprio programma presentato in campagna elettorale, sostiene di voler garantire il benessere di tutti quanti. In che modo? Valorizzando settori chiave come l’industria, l’artigianato e l’agricoltura.
C’è attenzione anche sul sistema delle infrastrutture, sulla creazione di nuovi posti di lavoro, sulla valorizzazione di prodotti locali e sull’abbandono dell’utilizzo di fonti fossili dannose per l’ambiente.
Il candidato governatore dell’Abruzzo sostiene di “non voler lasciare indietro nessuno”. Alla luce di ciò è fondamentale promuovere una società più equa, giusta ed inclusiva. Lo si legge sempre nel suo programma elettorale.
Si vuole puntare inoltre sulla sicurezza sul lavoro, sui giovani, sullo sport, sulle scuole e su tutte le strutture che riguardano l’educazione di bambini e ragazzi. Lo stesso vale anche per l’accessibilità delle città abruzzesi, in particolar modo per le persone con disabilità.
Infine vuole accendere i riflettori anche sul problema dei rifiuti speciali in Abruzzo, che richiedono particolare attenzione per la salvaguardia dell’ambiente e di tutti i cittadini.
Infine il candidato governatore propone di valorizzare l’immenso patrimonio culturale della Regione e di favorire lo sviluppo turistico, con tutto ciò che ne consegue.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
LA RICETTA DI PIER LUIGI BERSANI PER LA SINISTRA: “BISOGNA FREQUENTARE DI PIÙ I BAR” – “I MANGANELLI DI PISA SONO STATI UNA VERGOGNA COSMICA. MELONI STA ZITTA. SALVINI STA COI MANGANELLI. TAJANI DICE: I POLIZIOTTI SONO FIGLI DEL POPOLO. MA CARO TAJANI, GIÀ DEVI FARE LA PARTE DI BERLUSCONI, VUOI FARE ANCHE QUELLA DI PASOLINI?”… “LA MELONI? È ARROGANTE E INVENTA NEMICI”
La settimana scorsa, Pier Luigi Bersani ha trascorso qualche giorno in Sardegna, incontri e comizi di campagna elettorale. «Sono giorni pieni di soddisfazioni: ho anche ricevuto la notifica della querela del generale Vannacci», scherza. La prossima settimana, sarà in Abruzzo, dove si vota il 10 marzo. «I sardi hanno sperimentato cos’è la destra e hanno risposto. Ma c’è stato anche uno squillo di tromba al Paese: ora serve un cambio di passo».
Cosa intende?
«Man mano che si disvela questa destra, si vede che tipo di mucca nel corridoio è e sarà, perché questa destra non cambia. Pd, M5S, Alleanza verdi-sinistra e, se vuole, Calenda, devono capire che c’è un mondo più largo di loro che chiede di mettersi al servizio dell’alternativa. Non solo politica: ma sociale, civica, morale, democratica».
Un’alleanza strutturale?
«I partiti devono capire che loro sono gli affluenti, ma il fiume è l’alternativa. Questo mondo più largo non incrocia l’idea tolemaica dei partiti, vadano loro a Copernico. E non so se l’hanno capito».
Mentre tutti festeggiano, lei vede ancora un problema serio per il centrosinistra…
«Siamo a un passo dal poterlo superare. Ma guardi i dati: andiamo bene nelle città, spesso perdiamo ancora nella Sardegna profonda, come nell’Italia profonda. Continuo a dirlo, a modo mio: la sinistra deve frequentare di più i bar».
Schlein è più generosa di Conte?
«Sì, ma vede, la generosità, che è la materia prima della politica, è come le terre rare: ci sono, ma si fa fatica a tirarle fuori. Ed è contagiosa: se uno ce la mette, alla lunga anche gli altri sono costretti a metterla».
Conte ha definito il Pd «bellicista», nel suo partito non l’hanno presa bene.
«Nella posizione di Conte c’è un eccesso di distinguo, ma bisogna tenere conto che i Cinque stelle quando partecipano a un’alleanza hanno bisogno di caratterizzarsi su uno o due temi. Ci dica quali sono e vediamo come fare. Il Pd deve sapere che nelle frasi di Conte c’è del tatticismo, ma sono una forza politica recente, hanno bisogno di riconoscersi in una bandiera. Che spesso, anche se con i suoi limiti, come il reddito di cittadinanza, è evolutiva e progressista».
Todde all’indomani della vittoria ha detto: «La Sardegna ha risposto con le matite ai manganelli».
«Grande frase. Mi ha ricordato Michela Murgia, è una vittoria anche sua, lei ha rappresentato un pezzo del mondo che dobbiamo mettere insieme. I manganelli di Pisa sono stati una vergogna cosmica, ma incredibile è la posizione della destra».
A chi si riferisce?
«Meloni sta zitta. Salvini sta coi manganelli. Tajani dice: i poliziotti sono figli del popolo, non figli di radical chic. Ma caro Tajani, già devi fare la parte di Berlusconi, vuoi fare anche quella di Pasolini? Non è troppo sforzo per un fisico solo? La destra è questa roba qui, nella loro cultura arretrare non è contemplato. Guardi quello che hanno fatto con le norme sulla sicurezza sul lavoro».
È d’accordo con chi dice che Meloni è stata arrogante in questa partita
«Non c’è dubbio, ma non ci illudiamo: loro sono in grado di superare ogni divisione. Meloni arrogante… Ma sa, è quella cultura lì. Non riesce a considerare tutti gli italiani come figli suoi. La destra ha sempre bisogno di un avversario, e quando non c’è, lo inventa.
Meloni però riconoscendo la sconfitta sarda ha aggiunto che impareranno e miglioreranno.
«Ma sì, ogni tanto si rende conto di dover aggiustare la comunicazione. Ma sa che effetto mi fa quando dice così? Me la vedo come travestita da nonna in Cappuccetto rosso»
In Abruzzo riuscirete a fare il bis della Sardegna?
«Quando si può vincere, si deve vincere. Non sto a guardare i sondaggi, ma so che bisogna partire con questa psicologia. Ora tutti in Abruzzo, io andrò e sarò sul palco con Elly Schlein: nessuno stia a pettinare le bambole».
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
SI PROFILA UN COMIZIO FINALE CON D’AMICO E TODDE
L’ex presidente della Provincia dell’Aquila (nel 2004) Stefania Pezzopane, membro della Direzione del Pd, domenica notte, subito dopo che la Sardegna era passata al Campo Largo (Pd-M5S-Avs), sulla chat di partito ha scritto: «Chiamiamo la Todde».
Perché ora è scattata l’operazione Abruzzo: «Espugnare il fortino» di Giorgia Meloni, mandando a casa il suo fedelissimo, il «romano» Marco Marsilio, 56 anni («Ma la mia famiglia è in Abruzzo dal 1700», si schermisce il governatore ripresentato).
Così l’obiettivo — dice Pezzopane — sarebbe proprio quello di far chiudere la campagna, l’8 marzo all’Aquila, dalla neo presidente sarda, lei e basta, senza big di partito, accanto al candidato del campo larghissimo — tutti dentro, pure Calenda e i renziani — Luciano D’Amico, 64 anni, ex rettore di Teramo
Oggi a L’Aquila arriva Giuseppe Conte; Elly Schlein è già venuta 4 volte. In Abruzzo, però, non c’è il voto disgiunto, che tanti consensi ha eroso in Sardegna al centrodestra. E non ci sarà il terzo incomodo: sarà Marsilio contro D’Amico, «petto a petto, 6 liste contro 6», dice Pezzopane, fiduciosa perché i sondaggi «erano partiti 60 a 40 per loro — dice — e oggi siamo 52 a 48: se la Todde ci desse l’ultima spintarella…».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
QUANDO I LITIGI SI FANNO MISERABILI, I PIU’ DEBOLI SONO COSTRETTI A RIMETTERCI. IL CASO DELLE VIOLENZE DI POLIZIA A PISA
Quando i litigi si fanno miserabili, si dice che a volare sono gli stracci, cioè i più deboli costretti a rimetterci. Così ieri è stata sostituita la comandante del reparto mobile di Firenze, coinvolta nelle cariche della polizia di venerdì scorso. Una decisione che sa di nuova ingiustizia dopo le manganellate al corteo per la Palestina.
Al di là delle responsabilità della funzionaria, quelle botte ai giovani manifestanti sono solo un pezzo della catena di violenze viste nei giorni scorsi a Napoli, Torino, Bologna e Pisa.
Un pugno di ferro esibito dalle forze dell’ordine contro il dissenso, per cui non può esserci la regia o il mancato controllo di una dirigente locale, bensì delle responsabilità più alte, e di cui in un Paese normale risponde perlomeno il ministro dell’Interno.
Nel nostro governo da operetta, dove la premier fa cabaret e il suo vice Salvini la spalla a Vannacci, il potere invece gioca a scaricabarile, trovando sempre un cireneo a cui far portare la croce. In questo modo chi sta a monte dei problemi non risponde mai di niente, almeno fin quando non arriva la magistratura o qualche struttura sostitutiva di una politica ormai diventata allergica all’assunzione delle proprie responsabilità.
Quello che sta accadendo proprio con Vannacci, sospeso dopo una procedura interna alla Difesa durata quasi un anno, e non perché il suo comportamento con la divisa da militare è inopportuno.
Così Salvini accusa il ministro Crosetto di mossa a orologeria e quest’ultimo dà dell’incompetente al capo della Lega. Volano gli stracci, appunto.
(da lanotiziagiornale.it)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
IL DISSESTO DI VENETO BANCA E POPOLARE DI VICENZA L’HANNO PAGATO GLI ITALIANI
Otto anni dopo il crollo di Veneto Banca e Popolare di Vicenza si è concluso il più vasto e costoso indennizzo ai clienti frodati dalle banche. Ma chi ha pagato per il ristoro e per il salvataggio delle due venete che per decenni hanno fornito la benzina alla locomotiva del Nordest, e sembravano così in buona salute?
Il dissesto si è innescato tra il 2013 e il 2015 quando Bankitalia e Bce scoprono che i bilanci si reggono su gravi irregolarità sempre sfuggite agli ispettori: con una mano le banche concedono prestiti ai loro amici senza le adeguate garanzie, con l’altra spingono in tutti i modi l’acquisto delle azioni proprie spacciandole per operazioni a rischio zero, prestano loro stesse il denaro ai soci che le comprano, e falsificano i profili dei clienti in modo che appaiano competenti in materia finanziaria da comprendere i rischi cui vanno incontro. Nel 2016 esplode il bubbone e il valore dei titoli si azzera: 87.504 azionisti di Veneto Banca perdono 4,9 miliardi di euro;i 118.994 di PopVicenza 6,3 miliardi. Poi ci sono gli obbligazionisti, con i circa 200 milioni di bond subordinati piazzati a singoli risparmiatori. Valore totale delle perdite: oltre 11 miliardi.
Per evitare il fallimento delle due banche, e il conseguente impatto disastroso sull’intera economia, nel 2017 il governo Gentiloni dispone la loro liquidazione coatta. Compra Banca Intesa, ma con l’«aiutino» dello Stato: 4,7 miliardi per supportare l’operazione, e altri 6 a garanzia dei prestiti. Ma questa è ormai storia. Veniamo ora all’indennizzo: quanto hanno recuperato azionisti e obbligazionisti, e soprattutto chi ne ha diritto?
Il maxi-ristoro
Le regole di mercato europee fissano un principio netto: l’azionista quando compra sa di assumersi un rischio. Ma qui, hanno stabilito i tribunali, per molti di loro il tavolo era truccato.
E se dall’insinuazione al passivo e dalle cause penali contro i manager sarà improbabile recuperare qualcosa, i soci in una prima fase hanno avuto diverse occasioni per riprendersi una parte dei loro soldi, anche attraverso gli arbitrati.
La fetta più grossa la mettono le banche stesse nel 2017, prima della liquidazione, quando offrono il 15% di quanto pagato per le azioni, in cambio dell’impegno a non fare causa. Aderisce il 70%, e 121.144 azionisti di spartiscono 441 milioni.
Sembra finita così. Invece in loro soccorso arriva il governo giallo-verde guidato da Conte, con il Fir: fondo indennizzo risparmiatori. Un miliardo e mezzo di euro pescato dai depositi dormienti, cioè quei conti correnti fermi da 10 anni perché gli intestatari sono defunti e non ci sono eredi a reclamarli, e che per legge dovrebbero finire nelle casse dello Stato.
Tra la fine del 2020 e le scorse settimane quel denaro è servito per restituire a 129.412 investitori (su 140mila richieste) il 40% di quanto speso per le azioni, e il 95% del valore delle obbligazioni, fino a un massimo per entrambi di 100mila euro, e sempre al netto di quanto eventualmente ottenuto in passato, a partire dall’offerta transattiva del 2017.
Ad averne diritto persone fisiche, imprenditori individuali, associazioni e microimprese, compresi alcuni di coloro che avevano «perso» gli arbitrati perché non avevano subito nessuna frode ma semplicemente fatto consapevolmente una speculazione poi finita male (leggi il perché su Dataroom del 28 aprile 2019).
Esclusi solo i «professionisti» del settore e chi ha rivestito ruoli di vertice nelle banche. Una platea vastissima dunque, che comprende anche i risparmiatori di altre nove banche «risolte» o finite in liquidazione coatta amministrativa tra 2015 e il 2018, a cominciare da Banca Etruria, Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Chieti, e CariFerrara.
A gestire i rimborsi per conto del Mef è la Consap, con al vertice il presidente Sestino Giacomoni e l’Ad Vincenzo Sanasi D’Arpe. L’iter è questo: per chi ha redditi bassi il rimborso è automatico mentre per tutti gli altri si deve passare per una commissione tecnica, che in questi anni ha escluso circa diecimila richieste perché irregolari o perché non rispettavano i requisiti. Tra queste il figlio di un componente del Cda di una delle banche che ha tentato di ottenere il ristoro, e un famoso ex calciatore che – sperando nel rimborso automatico – ha dichiarato i pochi guadagni ottenuti in Italia, ma non il patrimonio milionario all’estero. A coloro che invece ne avevano diritto è appena arrivato l’ultimo bonifico. E per la prima volta è possibile sapere quanti sono e quanto hanno incassato.
La spartizione
Ai risparmiatori della Popolare di Vicenza sono arrivati 624.886.903 euro. In tutto gli indennizzati sono stati circa 50mila, 20mila nella sola provincia di Vicenza, 2700 in Sicilia e Calabria, dove operava la controllata Banca Nuova. Per Veneto Banca, 423.689.440 euro spartiti tra 34mila soci, 18mila nella sola provincia di Treviso, dove aveva il suo quartier generale. Altri tremila risparmiatori liquidati in Puglia, sede della controllata Banca Apulia.
A 15mila azionisti Banca delle Marche sono andati 85 milioni di euro; a 16mila di CariFerrara 66 milioni; a 10mila di Banca Etruria 40 milioni; a 800 risparmiatori di Crediveneto 1,8 milioni; e a 60 della Carichieti 1,1 milioni. Poco altro ai risparmiatori degli altri istituti finiti in dissesto. Tirando le somme: per le venete si è speso quasi l’80% dei conti dormienti, mentre 109 milioni (l’8%) è andato ai circa 3mila azionisti con portafoglio «misto», cioè con titoli di più istituti. Infine 195 milioni ai risparmiatori delle altre banche, che si sono spartiti il 14% del Fondo. In tutto l’operazione è quindi costata 1.353.832.529 euro. Significa che del miliardo e mezzo avanzano ancora circa 150 milioni. Gli azionisti vorrebbero prendersi pure quelli. Ci auguriamo che lo Stato decida di tenerseli per aiutare magari qualcun altro.
E chi ha imbrogliato quanto paga?
E i responsabili di tutto questo invece che fine hanno fatto? Vincenzo Consoli – per 18 anni alla guida di Veneto Banca – dopo aver trascorso sei mesi agli arresti domiciliari in appello è stato condannato per ostacolo alla vigilanza e si è visto ridurre la pena a 3 anni a causa dell’intervenuta prescrizione dei reati di falso in prospetto e aggiotaggio. Mobili antichi e opere d’arte sono finiti all’asta, e ogni mese gli viene pignorato un quinto della pensione, che comunque ammonta a circa 15mila euro lordi mensili. In attesa della Cassazione, continua a vivere nella villa di Vicenza, che è sotto sequestro. Anche a Gianni Zonin, per vent’anni presidente di Popolare di Vicenza, in appello la pena è scesa a 3 anni e 11 mesi per effetto della prescrizione. Con lui condannati altri 4 manager. Sotto sequestro le poche proprietà che risultano ancora intestate a lui: una chiesetta nel Chianti e un campo a Gambellara. È rimasto a vivere nella sua villa a Montebello Vicentino che però è sottoposta a sequestro conservativo (insieme ai quadri, mobili e i vini della cantina), e in caso di condanna definitiva potrebbe andare tutto all’asta. Ogni mese gli viene pignorato un quinto della pensione da imprenditore agricolo, che ammonta a poco più dimille euro al mese. Lo aiutano i figli, ai quali nel 2016, un attimo prima del dissesto, ha ceduto le sue quote nelle aziende vitivinicole di famiglia.
Milena Gabanelli e Andrea Priante
(da corriere.it)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
SERGEY SOKOLOV E’ STATO CONDOTTO IN COMMISSARIATO DI POLIZIA
A 24 ore dal funerale del dissidente Alexei Navalny, la polizia russa ha arrestato Sergey Sokolov, il direttore di Novaya Gazeta, la testata indipendente russa messa al bando da Putin, di cui Fanpage.it aveva intervistato l’omologo europeo Kirill Martinov.
Come riferisce lo stesso giornale, Sokolov sarebbe stato portato ad un commissariato di polizia e accusato di “discredito” delle forze armate. Sokolov era stato scelto lo scorso novembre come nuovo direttore di Novaya Gazeta dagli stessi giornalisti della testata dopo che Dmitry Muratov – premio Nobel per la Pace nel 2021 – aveva deciso di fare un passo indietro per la durata del suo appello contro la decisione delle autorità russe di includerlo nella lista degli “agenti stranieri”.
La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già condannato la Russia per aver promulgato nel 2012 questa famigerata lista, affermando che viola il diritto alla libertà d’associazione e quello alla libertà d’espressione.
Novaya Gazeta è il giornale per il quale lavorava anche la reporter Anna Politkovskaya, uccisa nel 2006.
Nel 2012 Muratov aveva raccontato che alcuni agenti avevano portato con la forza l’allora suo vice, Serghei Sokolov appunto, in una foresta dove l’uomo era stato lasciato da solo con Alexander Bastrykvin, capo del Comitato investigativo che lo aveva minacciato di morte.
Lo stesso giornale due anni, poco dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, era stato costretto a sospendere la propria attività a causa della sua posizione critica nei confronti di Putin
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 29th, 2024 Riccardo Fucile
UN GOVERNO DEGNO CONTRALTARE CRIMINALE DEI TERRORISTI DI HAMAS
Sarebbero almeno 104 le vittime e 760 i feriti tra i civili a Gaza che cercavano di prendere aiuti nella parte settentrionale della Striscia, secondo Ashraf al Quadra, portavoce del ministero della sanità locale.
Il governo dell’enclave accusa Israele di aver condotto un attacco contro la folla che assaltava i camion di aiuti ad Al-Rashid Street, a sud ovest di Gaza City. Fonti palestinesi denunciano che le truppe dell’esercito israeliano avrebbero fuoco contro la folla. Ma Israele nega. L’esercito riferisce che i civili sono stati uccisi a causa del calpestio e del sovraffollamento durante l’assalto ai camion degli aiuti umanitari nel nord della Striscia di Gaza.
Secondo le indagini preliminari dell’esercito, quando i camion degli aiuti si sono allontanati dalle forze, una folla di abitanti di Gaza si è avvicinata alle forze che avevano messo in sicurezza il convoglio. Alcuni soldati, sentendosi minacciati, hanno sparato in aria colpi di avvertimento da una distanza di decine di metri e qualcuno ha aperto il fuoco in direzione delle gambe dei palestinesi che continuavano ad avvicinarsi. Secondo la dichiarazione dell’esercito, le forze armate erano state informate prima che accadesse l’incidente, che gli abitanti armati di Gaza avevano aperto il fuoco ai camion di soccorso della zona. Il portavoce in arabo dell’esercito, Avichay Adraee, su X ha pubblicato immagini da droni dove si vedono migliaia di persone assaltare i camion di aiuti e ha ribadito che le vittime sono avvenute «a causa del grave affollamento e del calpestio».
L’esercito ha comunque annunciato una inchiesta sul caso. Già il mese scorso, almeno una ventina di rifugiati erano stati uccisi mentre attendevano gli aiuti a Zeitun sempre a Gaza City. Anche in quella occasione il ministero della salite di Hamas accusò Israele dell’attacco, l’esercito invece si chiamò fuori e annunciò una inchiesta. Il gruppo che controlla Gaza ha minacciato di interrompere i colloqui per raggiungere tregua e liberazione degli ostaggi, dopo le vittime di stamattina.
Le reazioni
La presidenza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), guidata da Mahmoud Abbas, ha condannato «l’atroce massacro compiuto questa mattina dai carri armati e dall’artiglieria dell’occupazione israeliana contro centinaia di civili innocenti che aspettavano l’arrivo dei camion degli aiuti alla rotonda di Nabulsi, nei pressi di Al-Rashid Street a Gaza City». Lo riporta Wafa. «L’uccisione di un gran numero di vittime civili innocenti che hanno rischiato per il proprio sostentamento è considerata parte integrante della guerra genocida commessa dal governo occupante contro il nostro popolo – prosegue la nota –. Israele e le autorità di occupazione israeliane hanno la piena responsabilità e ne saranno ritenute responsabili davanti ai tribunali internazionali». Infine, l’ufficio di Abbas chiede l’intervento da parte del mondo intero «per fermare questa aggressione, soprattutto da parte degli Stati Uniti, che sostengono incondizionatamente Israele».
Washington, intanto parla di «incidente grave». «Piangiamo la perdita di innocenti vite umane – dice un portavoce del consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca – e riconosciamo la difficile situazione umanitaria a Gaza, dove innocenti palestinesi cercano solo di nutrire le loro famiglie».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »