Febbraio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
IL SUO LEGALE: “LE CONDIZIONI DI PULIZIA E IGIENE SONO MIGLIORATE E ORA PUÒ LEGGERE GLI ATTI DEL PROCESSO IN ITALIANO”… UNA NORMA EUROPEA PUÒ APRIRE LA STRADA PER I DOMICILIARI NEL NOSTRO PAESE
«Stanno lentamente venendo incontro alle mie esigenze, ma io continuo a stare male e vorrei tornare a casa», ha detto ieri mattina Ilaria Salis al suo avvocato ungherese, Gyorgy Magyar. Il legale è andato a trovarla nella prigione al centro di Budapest dov’è rinchiusa da quasi un anno, e riferisce le impressioni della sua assistita dopo le novità e i sussulti (anche mediatici) degli ultimi giorni: «Ilaria è stanca ma moralmente molto forte, e continua a resistere. Attualmente sta in una cella con altre sette detenute, ma le condizioni di pulizia e igiene sono migliorate. Le autorità ungheresi hanno compreso la situazione, rispondono alle sue richieste e alle sollecitazioni dell’Italia. Anche la visita in carcere che le ha fatto il procuratore capo va in questa direzione».
«Ora le è stata assicurata assistenza per poter leggere tutti gli atti d’accusa in lingua italiana — spiega ancora l’avvocato Magyar — e anche la possibilità di visionare le riprese delle telecamere di sicurezza che costituiscono la principale prova a suo carico, finora negata».
Ma accanto alla situazione carceraria della donna c’è la vicenda processuale della militante antifascista, imputata di lesioni potenzialmente letali aggravate dall’aver partecipato a un’associazione sovversiva per due aggressioni ad altrettanti neonazisti, su cui si sta concentrando il lavoro dei suoi legali.
A Budapest ma soprattutto in Italia. Perché è da lì che potrebbe venire la svolta per farla uscire di prigione, attraverso la concessione degli arresti domiciliari cautelari a casa sua. Con la garanzia, offerta dal governo di Roma, delle condizioni di sicurezza a mezzo di braccialetto elettronico, e la disponibilità a riportarla davanti ai giudici ungheresi per ogni eventuale esigenza.
«Aspettiamo questa dichiarazione delle autorità italiane, poi faremo l’istanza al giudice di qui», dice Magyar. Consapevole che il sentiero resta lungo e stretto: «Dal momento della presentazione della richiesta ci vorrà almeno un mese prima della decisione del magistrato». Più semplice sarebbe ottenere la misura cautelare attenuata in Ungheria, ma il legale confida che le garanzie attese dall’Italia possano aiutare l’altra soluzione.
Un cittadino ungherese avrebbe maggiori possibilità, rispetto a uno straniero senza residenza né appoggi locali, di ottenere gli arresti domiciliari in attesa della sentenza. «Ma questa sarebbe una ingiusta discriminazione», sostiene l’avvocato citando una decisione-quadro del Consiglio dell’Unione europea adottata fin dal 2009. Lì è scritto che «in uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente».
Parole chiare ma non semplici da tradurre in pratica. Che potrebbero aprire la strada alla custodia cautelare «attenuata» in qualche residenza a Budapest, o al caldeggiato trasferimento in Italia (con l’assicurazione di applicare tutte le necessarie misure di sicurezza) prima dell’eventuale verdetto di colpevolezza.
Per il trasferimento in Italia, infatti, è indispensabile la concessione di una misura «meno afflittiva» rispetto alla detenzione in carcere, non essendoci leggi che consentono di passare da una prigione di uno Stato a quella di un altro senza una sentenza di condanna.
A processo in corso sarebbe invece possibile, proprio in attuazione di quella decisione-quadro, spostarsi da un Paese all’altro per applicare un provvedimento restrittivo diverso, come appunto gli arresti domiciliari. Gli uffici tecnici del ministero della Giustizia italiano stanno mettendo a punto un documento da sottoporre al Guardasigilli Nordio per illustrare la praticabilità di questa soluzione.
Che tuttavia richiede diversi passaggi: istanza dei difensori; accoglimento da parte del giudice ungherese; trasmissione del provvedimento, tramite ministero, alla Corte d’appello di Milano (o un’altra competente) che dovrebbe poi applicare in Italia la decisione presa a Budapest.
Resta da capire se non sia necessario il passaggio intermedio dei domiciliari concessi inizialmente presso un indirizzo ungherese; un altro enigma non semplice da sciogliere.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
LE POSIZIONI ESTREMISTE DEL CRIMINALE DI GUERRA AL PARI DI HAMAS NON FAVORISCONO LA SOLUZIONE DELLA CRISI
Secondo un sondaggio diffuso dall’emittente israeliana Channel 13, la maggior parte degli israeliani non ha fiducia nel premier Benjamin Netanyahu, mentre l’opinione pubblica è spaccata sul modo in cui il capo del governo di Tel Aviv sta gestendo la guerra contro Hamas dopo l’attacco del 7 ottobre.
Alla domanda «Pensa che la guerra stia procedendo nella direzione giusta?», il 40% degli intervistati ha riposto «sì», così come chi ha risposto «no».
Gli israeliani si dicono in netta maggioranza contrari all’interruzione degli aiuti umanitari a Gaza: il 70% dice che gli aiuti non devono essere fermati, mentre solo il 20% è d’accordo con il fermarli.
Sui singoli membri del governo, il 58% ha risposto che non ha fiducia nel premier Netanyahu, contro il 30% che continua a sostenerlo. Contrario poi il 49% alla prospettiva delle dimissioni per il ministro Benny Gantz, che secondo il 24% invece dovrebbe lasciare l’incarico. L’opinione pubblica israeliana si dice infine contraria all’ipotesi di nuovi insediamenti nella Striscia di Gaza: il 51% ha risposto no, mentre il 31% si dice favorevole.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
IL CASO ASKATASUNA DI TORINO… “FORSE SPAVENTANO QUALCUNO MA FAVORISCONO L’INCONTRO TRA PENSIERI DIVERSI”
A Torino il comune ha un piano per trasformare il centro sociale Askatasuna in biblioteca, area studio e servizi per le fasce deboli. Il piano prevede il rilascio spontaneo della sede. La palazzina di Corso Regina Margherita è occupata dal 1996. La trasformazione di Askatasuna in bene comune vede favorevole lo storico Alessandro Barbero, che oggi in un’intervista a La Stampa spiega che i centri sociali «sono una ricchezza delle città italiane». E che il compito della politica è «promuovere la convivenza tra pensieri diversi».
Barbero, che è andato in pensione a gennaio, dice che vive vicino alla zona e che il centro svolge già attività importanti per il quartiere. Lo storico non nasconde che in Askatasuna vivono anche realtà antagoniste che spesso si sono scontrate con le forze dell’ordine.
Responsabilità individuali
Ma ricorda anche che i reati vanno puniti e le responsabilità sono individuali: «Forse spaventano qualcuno, molta gente non si sognerebbe mai di metterci piede, ma sono una ricchezza delle nostre città: favoriscono incontri tra pensieri diversi, anche distanti tra loro. Promuovere in un centro sociale punti di vista diversi, aprirli alla città, mi sembra un esercizio in perfetta combinazione con l’essenza di una democrazia liberale: la convivenza tra diversità».
Ricorda che l’anno scorso è stato ospite del centro: «Io sono borghese, e sono stato un ragazzino timido e rispettoso delle regole. Forse non è il mio ambiente naturale, ma mi sono trovato a poter chiacchierare con la loro massima disponibilità di fronte a platee enormi di giovani e non giovani, affamati di dialogo e discussione».
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
SOVRANISTI IPOCRITI E VOLTAGABBANA COME SEMPRE: ORA DENUNCIANO “LE SCELTE FOLLI” DELL’EUROPA MA NEL 2021 L’HANNO VOTATA AL PARLAMENTO EUROPEO
Giorgia Meloni giovedì ha detto di appartenere a “un partito che in Europa ha votato contro la gran parte delle questioni che oggi giustamente gli agricoltori pongono”. Uno dei bersagli contro cui si scagliano i trattori in collera è la riforma della Politica agricola comune (Pac). Al Parlamento europeo, i deputati di Fratelli d’Italia hanno votato a favore dei tre testi che costituiscono il pilastro della nuova Pac. Anche la Lega di Matteo Salvini, che ha denunciato le “scelte folli” dell’Ue, si è schierata a favore di gran parte della riforma.
La riforma della Politica agricola comune, adottata dal Parlamento europeo nel novembre 2021 ed entrata in vigore nel 2023, ruota attorno a tre testi: l’istituzione dei piani strategici degli stati membri, che ha reso la Pac più nazionale, lasciando ampia flessibilità ai singoli governi sulla sua implementazione; il regolamento sul funzionamento, la gestione e il monitoraggio della Pac; e l’organizzazione comune dei mercati (che comprende etichette, Igp e regimi di qualità).
I deputati di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo hanno approvato tutti e tre i regolamenti. Anche la Lega ha dato il suo “sì” a due dei regolamenti, astenendosi sul terzo.
A votare “no” alla nuova Pac sono stati i Verdi, ma per le ragioni opposte a quelle sostenute oggi dagli agricoltori per contestarla. Per gli ecologisti la riforma non era sufficientemente “green”.
In effetti sia le proposte della Commissione sia i testi finali sono stati fortemente influenzati dalle lobby agricole per preservare il più possibile il settore rurale dai sacrifici legati alla transizione climatica e ambientale. La Coldiretti ha giocato un ruolo centrale nelle posizioni assunte dal governo e dagli eurodeputati italiani. Il 23 novembre 2021, dopo l’adozione definitiva della riforma in Parlamento europeo, l’organizzazione presieduta da Ettore Prandini ha messo da parte la sua retorica contestataria per salutare la riforma. “Dal Parlamento viene un importante riconoscimento del ruolo della Pac, che deve garantire reddito agli agricoltori affinché possano continuare a offrire alimenti sani nelle giuste quantità preservando le risorse naturali e contribuendo alla lotta al cambiamento climatico con più ricerca e innovazione”, ha detto Prandini.
La Pac riformata è solo una delle ragioni (confuse) della collera rurale. Ma i partiti della destra sovranista e dell’estrema destra, che cavalcano la protesta in vista delle elezioni europee, hanno tutti (o quasi) appoggiato la riforma. Dal Rassemblement national di Marine Le Pen ad Alternativa per la Germania, passando per il Fidesz di Viktor Orbán, che mercoledì ha accusato l’Ue di “non prendere sul serio la voce” degli agricoltori. Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione, ha cercato di ascoltare la loro voce correndo ai ripari poco prima che i trattori arrivassero a Bruxelles.
La scorsa settimana ha lanciato il Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura. Martedì, ha messo in pausa i negoziati sull’accordo di libero scambio con il Mercosur. Mercoledì ha annunciato restrizioni alle importazioni di prodotti agricoli dall’Ucraina (cereali, pollame, uova e zucchero) e un’ulteriore proroga all’obbligo di messa a riposo di terreni coltivati. Giovedì ha promesso di ridurre la burocrazia. Il problema per von der Leyen è che le ragioni della protesta sono vaghe e spesso senza fondamento nella realtà: reddito, prezzi bassi, costi elevati, importazioni, carico amministrativo, norme ambientali reali o immaginarie. Non c’è un annuncio “magico” per calmare la collera.
La realtà è diversa da quella raccontata da alcuni agricoltori in rivolta e diffusa dai megafoni populisti.
Il reddito medio per lavoratore agricolo? Tra il 2013 e il 2021 è aumentato del 56 per cento, salendo a 28.800 euro. I prezzi? Nel 2024 sono più bassi del 2022, quando permisero entrate straordinarie al settore per l’impennata dovuta alla guerra della Russia in Ucraina, ma non sono inferiori al 2021.
I costi? Quelli di energia e fertilizzanti si sono riallineati al periodo prebellico, durante il quale gli agricoltori hanno beneficiato di ingenti aiuti di stato.
Le norme del Green deal? Commissione, governi e Parlamento europeo hanno svuotato la legge sul ripristino della natura, bocciato la riduzione dei pesticidi, reintrodotto il glifosato.
Gli odiati accordi di libero scambio? Quelli firmati finora hanno permesso all’Ue di aumentare le esportazioni agricole e registrare surplus commerciali significativi.
La burocrazia della Pac? Con la riforma, “ogni stato membro ha una notevole discrezionalità”, ha ricordato ieri la Commissione: “La progettazione degli schemi di finanziamento e dei controlli è in gran parte nelle loro mani”.
I trattori dovrebbero assediare le capitali nazionali, non Bruxelles. L’Ue riserva all’agricoltura un terzo del suo bilancio: 400 su 1.200 miliardi di euro in sette anni. Ma l’80 per cento dei fondi va al 20 per cento delle aziende agricole più grandi. E’ un’altra contraddizione dei populisti – deputati o organizzazioni – che dicono di difendere gli agricoltori più piccoli e in difficoltà. Hanno votato o promosso la Pac delle élite.
(da Il Foglio)
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Febbraio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
I VINCOLI AMBIENTALI INTRODOTTI GIUSTAMENTE CON LA RIFORMA DEL 2021 PER RENDERE L’AGRICOLTURA PU’ SOSTENIBILE
C’è un filo rosso che lega le proteste degli agricoltori che da inizio anno si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta Europa. Si tratta della Pac, la Politica agricola comune, che rappresenta il principale strumento attraverso cui l’Unione europea regola i sussidi destinati al settore. L’ultima riforma della Pac è stata approvata nel 2021 e ha introdotto alcuni obblighi ambientali per rendere l’agricoltura più sostenibile e ridurre la quota di emissioni climalteranti, circa l’11% del totale di gas serra prodotti dai Paesi dell’Unione europea.
Questi nuovi paletti sono vissuti come un vero e proprio fardello da una parte degli agricoltori, che protestano per chiedere limiti meno stringenti e una revisione generale delle regole della Pac.
Il loro malcontento, in Italia così come in altri Paesi europei, è stato cavalcato soprattutto dai partiti di destra, che nell’ultima legislatura si sono opposti a buona parte dei provvedimenti che rientrano nel Green Deal, il pacchetto di misure attraverso cui l’Ue punta a raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050.
La sponda politica della destra
In occasione del Consiglio europeo straordinario a Bruxelles, il leader della Lega Matteo Salvini ha condiviso alcune immagini delle proteste e si è schierato «dalla parte di agricoltori e produttori che si fanno sentire per chiedere lo stop a decisioni ideologiche e lontane dalla realtà».
Sulla stessa linea anche il ministro Francesco Lollobrigida, che ha bollato come «semplicemente folli» le politiche «dell’Unione Europea, avallate dai Governi che ci hanno preceduto» e che usano «la sostenibilità ambientale come una clava». Antonio Tajani, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, ha accusato invece Bruxelles di «sacrificare l’uomo e il lavoro in nome del nuovo panteismo» in difesa del clima. La protesta degli agricoltori, insomma, è stata cavalcata dai principali partiti di destra e centrodestra, che ora chiedono di ascoltare le richieste del settore e fare un passo indietro su alcune misure della Pac riconducibili agli obiettivi del Green Deal.
L’attacco di Bonelli
Eppure, secondo Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde, i tre ministri stanno omettendo un pezzo importante della storia. Gli eurodeputati dei partiti che compongono l’attuale maggioranza del governo Meloni, ricorda Bonelli, hanno votato a favore della riforma della Pac del 2021. «Meloni, da leader politica, ha votato tutte le riforme sbagliate dell’Ue, mentre oggi, senza vergogna, afferma di essersi opposta», attacca il portavoce dei Verdi italiani.
Bonelli accusa i partiti di maggioranza di ipocrisia e invita ad ascoltare le richieste degli agricoltori: «Vanno ascoltate le loro ragioni. Quello che troviamo inaccettabile è la strumentalizzazione della destra italiana, che dà la responsabilità di quanto sta accadendo alla transizione ecologica, al Green Deal. È una grande bugia, una grande menzogna».
Il voto sulla Pac del 2021
Sul voto della Pac, Bonelli ha ragione. Scorrendo tra i risultati delle votazioni della seduta dell’Eurocamera del 23 novembre 2021, ci si accorge infatti che i tre atti legati all’approvazione della nuova Pac sono passati grazie a una maggioranza bipartisan, che va dal centrosinistra dei Socialisti & Democratici (S&D) alla destra conservatrice di Identità e Democrazia (Id) e dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr).
L’atto che regola il finanziamento, la gestione e il monitoraggio della Politica agricola comune, per esempio, è stato approvato con 485 voti a favore, 142 contrari e 61 astenuti. Tra chi ha dato luce verde al provvedimento ci sono anche diversi europarlamentari di destra e centrodestra, tra cui: Carlo Fidanza, Sergio Berlato, Nicola Procaccini e Pietro Fiocchi (Fratelli d’Italia), Matteo Adinolfi, Danilo Oscar Lancini, Paolo Borchia, Susanna Ceccardi, Angelo Ciocca, Isabella Tovaglieri, Silvia Sardone (Lega), Silvio Berlusconi, Isabella Adinolfi, Salvatore De Meo (Forza Italia). Assieme a loro ci sono anche diversi eurodeputati di centro e centrosinistra – da Carlo Calenda (leader di Azione) a Pina Picierno e Giuliano Pisapia (Pd) – che però a differenza dei loro colleghi non hanno sposato la crociata anti Green Deal di una parte degli agricoltori. A votare contro la riforma della Pac sono stati soprattutto eurodeputati di The Left e dei Verdi, tra cui gli italiani Ignazio Corrao ed Eleonora Evi.
I lunghi negoziati e il compromesso finale
La vicenda necessita però di un po’ di contesto. Il via libera al testo finale della riforma della Pac è arrivato infatti dopo un negoziato lunghissimo, durato circa due anni. E che alla fine, come spesso succede in questi casi, ha lasciato tutti soddisfatti solo a metà. Centrosinistra e verdi hanno ottenuto, su spinta dell’ex commissario Frans Timmermans, l’inclusione di obiettivi di sostenibilità ambientale all’interno della riforma. Mentre conservatori e popolari sono riusciti a stralciare alcune delle norme considerate troppo stringenti. Il testo finale della Pac, frutto di un compromesso tra i diversi schieramenti, è stato bocciato dai Verdi, costretti a rinunciare a troppi punti a loro cari, ma ha incassato l’appoggio dei conservatori, pur con qualche obiezione. In una nota pubblicata poco dopo il voto in plenaria, Fratelli d’Italia parlava di un risultato «non perfetto sotto il profilo della burocrazia e della semplificazione».
Cosa prevede la Pac
La riforma della Pac approvata nel 2021 stanzia complessivamente 387 miliardi di euro, circa un terzo del totale del bilancio dell’Unione Europea, da distribuire tra il 2023 e il 2027. Una delle principali novità del provvedimento è il meccanismo della «condizionalità sociale». Per accedere agli aiuti comunitari, le aziende agricole sono tenute a rispettare le leggi sul lavoro e contro il caporalato ma devono anche sottostare ad alcuni “paletti” ambientali.
A partire dal 2024, per esempio, chi possiede una superficie superiore a 10 ettari è obbligato a lasciare a riposo almeno il 4% del proprio terreno. Questa misura è stata una delle più contestate dagli agricoltori, che alla fine sono riusciti a convincere la Commissione europea a fare un passo indietro e posticipare al 2025 l’entrata in vigore. In generale, l’ultima versione della Pac è stata agganciata a una serie di obiettivi di sostenibilità ambientale. Il piano Farm to Fork prevede per esempio di riconvertire entro il 2030 almeno il 25% dei terreni coltivati ad agricoltura biologica. Altri dossier relativi alla transizione del settore sono ancora in fase di definizione, a partire dalla proposta per ridurre l’uso di pesticidi o la contestata nature restoration law. Attraverso questi dossier, l’Ue punta ad accompagnare le aziende agricole verso un modello più sostenibile e meno inquinante. Ma tra gli agricoltori restano ancora parecchie perplessità, che finora sembrano essere state intercettate soprattutto dai partiti conservatori.
(da Open)
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Febbraio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
“SONO VITTIME DUE VOLTE, MA PIU’ CORAGGIOSI DEGLI ADULTI”
Sono sempre di più i bambini e gli adolescenti che denunciano casi di violenza domestica. La Procuratrice del Tribunale dei minori di Torino, Emma Avezzù, riferisce che solo nel suo distretto ci sono almeno un centinaio di casi all’anno in cui il Tribunale interviene in seguito a segnalazioni di giovanissimi. Il più delle volte arrivano dalla scuola, spesso grazie a confidenze rivolte a compagni di classe e insegnanti. Non ci sono dati consolidati sul fenomeno, ma gli ambienti che si trovano a gestire questi casi parlano di un trend in aumento. Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale dei Minori di Milano, spiega a La Stampa come questi bambini siano «vittime due volte»: subiscono un ambiente domestico dannoso e non hanno alcuna protezione in casa da nessuna delle due figure genitoriali. Le madri che subiscono violenza domestica, in molti casi, non riescono a chiedere aiuto nemmeno dopo le denunce dei figli, finendo per vivere con i loro aguzzini mentre i giovani vengono allontanati e affidati a comunità protette.
«I giovani denunciano di più»
Il dato positivo che entrambe le procuratrici rilevano è il cambio generazionale: i ragazzi, a loro avviso, sembrano essere più consapevoli e in grado di denunciare rispetto agli adulti. Sono tanti i casi di questo calibro. Il più recente a Torino evidenzia una tragica realtà di violenza domestica, dove un uomo è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere per abusi e maltrattamenti ai danni della moglie, costretta persino a dormire nella cuccia del cane. Il coraggio di uno dei loro figli, di soli 11 anni al momento della denuncia, ha dato il via alle indagini e al processo. Simile il caso di una 16enne di Milano che a luglio ha denunciato in prima persona come lei, la sorella maggiore e la madre subissero botte, minacce e insulti dal padre costantemente ubriaco. La madre, per timore di ritorsioni, ha sempre negato di fronte ai carabinieri, mentre la figlia è stata allontanata e portata in una struttura protetta.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
COLPA DI UNA “DISFUNZIONE” NELL’ABBINAMENTO DEL “CODICE UNIVOCO IDENTIFICATIVO” UTILIZZATO DALLE FORZE DELL’ORDINE PER TUTTI GLI STRANIERI, ERRORI COSTATI QUASI 4 MESI DI CARCERE INGIUSTO A UN BENGALESE E 4 GIORNI A UN CINESE
Dovrebbe essere la massima garanzia teorica contro errori di identificazione e false generalità: il «Cui-Codice univoco identificativo», stringa alfanumerica assegnata dai reparti scientifici delle forze dell’ordine al fotosegnalamento e alle impronte digitali di uno straniero, e da lì in poi «vangelo» per gli uffici giudiziari che vi si basano per i vari provvedimenti.
Eppure disfunzioni proprio nell’abbinamento del codice non hanno impedito che a Milano, per due volte negli ultimi 20 giorni, due cittadini stranieri assolutamente regolari siano stati arrestati per sbaglio in esecuzione di condanne definitive, al posto dei condannati «giusti» da catturare: scambi di persone con identiche generalità e date di nascita, costati quasi 4 mesi di carcere ingiusto al bangladese, e per fortuna solo 4 giorni al cinese.
È nel ristorante in centro, dove ha un contratto di lavoro fisso, che un 35enne del Bangladesh, con permesso di soggiorno e casa in affitto, il 20 ottobre 2023 non si capacita di essere portato via in forza di un ordine dei pm di fargli scontare 3 anni per rissa aggravata (con morto) nel 2020.
A un legale contattato dalla famiglia dall’altra parte del mondo, Francesca Nosetti, occorre una lunga e farraginosa ricerca a ritroso di documenti per prima risalire al cartellino contenuto nel fascicolo processuale, dove la foto dell’imputato non è quella del suo assistito; poi per ottenere dal Dap-Ministero della Giustizia la risposta che lui (diversamente dal vero condannato) non fosse mai stato prima in carcere 11 mesi in custodia cautelare; e infine poter quindi argomentare il 24 gennaio 2024 alla Procura (che in una manciata d’ore ne ordina a razzo la scarcerazione) quanto può essere successo nell’assenza, allo stato inspiegabile, del codice «Cui».
Liberato, il bangladese ha però intanto perso il lavoro perché il titolare del ristorante e i colleghi, che lo videro arrestare dai carabinieri, forse faticano a credere a una storia in effetti quasi incredibile se non la attestassero le carte
Ancora più pericoloso l’errore di abbinamento di un codice altrui a un 53enne cinese regolare in Italia e in procinto di volare da Malpensa in patria a trovare la famiglia, che il 5 gennaio 2024 resta stordito dall’arresto per scontare 1 anno e 4 mesi per ricettazione di telefonini contraffatti con una società di Milano nel 2013.
Se fa in carcere “solo” 4 giorni lo deve alla sensibilità di un agente di polizia penitenziaria del carcere di Busto Arsizio, G.C., che non fa spallucce di fronte a chi in uno stentato italiano giura di non essere mai stato in vita sua a Milano: allerta subito la polizia di Malpensa, che la sera dell’8 gennaio avvisa l’Ufficio esecuzione della Procura di Milano, dove i pm l’indomani scarcerano l’uomo dopo che la polizia comunica che in effetti il suo permesso di soggiorno risulta rilasciato nel 2016 dalla Questura di Alessandria, anziché (come il suo omonimo e vero condannato tutto diverso in foto) nel 2009 dalla Questura di Milano.
(da agenzie)
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