Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
LA DESTITUZIONE DI ZALUZHNY E’ DOVUTA ALLE DIVERGENZE CON ZELENSKY SU COME CONDURRE IL CONFLITTO: IL GENERALE NON CREDE CHE LA SCONFITTA DEI RUSSI SI POSSA RAGGIUNGERE QUEST’ANNO, AVEVA CHIESTO PIÙ TECNOLOGIA, UNA CAPACITÀ INDUSTRIALE AUTONOMA, UN ADDESTRAMENTO MIGLIORE E LA MOBILITAZIONE DI MEZZO MILIONE DI PERSONE, POTENZIANDO I RANGHI E PREPARANDO LA RISCOSSA PER IL 2025…ZELENSKY L’HA ACCUSATO DI “NON CREDERE NELLA VITTORIA”
L’ordine è infine arrivato: il generale Valery Zaluzhny è stato rimosso ieri sera dal vertice delle forze armate. È la prima spaccatura nelle istituzioni ucraine dall’inizio dell’invasione.
La popolarità di Zaluzhny nei sondaggi è infatti superiore a quella di Zelensky e soprattutto tra i soldati la destituzione sta animando reazioni perplesse. Al suo posto è stato chiamato Oleksandr Syrsky, numero uno dell’esercito, che nella primavera 2022 ha condotto in maniera brillante le campagne per la liberazione di Kiev e Karkhiv dall’assedio russo.
Il nuovo comandante è da sempre in sintonia con Zelensky ed è in buoni rapporti con i colleghi della Nato, ma non gode della stima delle truppe: gli contestano un approccio “sovietico” che non si cura delle perdite sul campo. La tensione che si respira a Kiev è testimoniata dal lungo elenco di alti ufficiali, ben sette, citati da Zelensky nell’annunciare il passaggio di consegne e sottolineare così il controllo delle forze armate: «Voglio che la visione della guerra sia la stessa per i nostri uomini che combattono a Robotyne e ad Avdiivka e per il quartiere generale. Il 2024 ci darà il successo solo se ci saranno cambiamenti incisivi». In pratica, pretende una svolta rapida.
Zaluzhny invece non crede che la sconfitta dei russi si possa raggiungere quest’anno. Ha scritto in due recenti articoli sull’ Economist e sulla Cnn che c’è bisogno di una riforma drastica, introducendo più tecnologia, tattiche dinamiche, una capacità industriale autonoma e un addestramento migliore, trasformazioni che richiedono tempi lunghi: continuando ad accettare la guerra di logoramento imposta dal Cremlino, non ci sono speranze perché la supremazia delle risorse di Mosca finirà per prevalere.
Per questo aveva invocato la mobilitazione di mezzo milione di persone, potenziando i ranghi e preparando la riscossa per il 2025. Zelensky l’ha accusato di «non credere nella vittoria». L’analisi di entrambi parte dal fallimento dell’offensiva estiva, che doveva liberare Mariupol e spingersi fino ai confini della Crimea ma si è arenata dopo pochi chilometri davanti ai poderosi bastioni della “Linea Surovikin”. La presidenza considera Zaluzhny responsabile della disfatta e gli contesta di avere evitato un assalto frontale. Il generale ritiene che la preparazione fosse inadeguata e sia stata la volontà politica a spingere per anticipare l’attacco: una lezione che secondo lui non va ripetuta.
Non è stato l’unico attrito. Nell’autunno 2022 il comandante era contrario alla difesa ad oltranza di Bakhmut, priva di rilievo strategico, ma si scontrò proprio con l’attuale successore Syrsky che ebbe l’appoggio del presidente: la città è caduta mesi dopo, con un’inutile sacrificio di soldati. Una diatriba simile sarebbe avvenuto nelle scorse ore sulle sorti di Avdiivka, ormai circondata dai russi. Ma su tutto il fronte le brigate di Mosca stanno avanzando, con situazioni critiche in almeno tre punti.
Sugli ucraini pesa la carenza di munizioni per l’artiglieria, provocata dallo stop alle forniture americane imposto nel Congresso Usa dai Repubblicani, e anche il logoramento dei reparti che non ricevono più rinforzi da mesi. Proprio ieri un lungo reportage del Washington Post ha dato voce agli ufficiali in trincea, che sono rimasti con un terzo degli organici e non possono far riposare i reduci: «Siamo esausti nel fisico e nel morale».
Finora Zelensky ha bloccato la mobilitazione dei giovani tra i 25 e i 27 anni, un provvedimento assai poco popolare in una nazione che ha oltre un milione di uomini in armi: l’ha definita «immotivata».
(da La Repubblica)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
ALESSANDRO SALLUSTI E DAVIDE VECCHI (DIRETTORI DEL “GIORNALE” E DEL “TEMPO” DI ANGELUCCI) SI SFOGANO: “I MINISTRI CROSETTO E URSO PROCEDONO A COLPI DI QUERELA. CHE UN GOVERNO DI DESTRA PROVI A ESTORCERE SOLDI A GIORNALI CHE PER LORO HANNO COMBATTUTO E COMBATTONO GRATIS BATTAGLIE EPOCALI, È IL SEGNO DI QUANTO IL POTERE POSSA DARE ALLA TESTA E FARE PERDERE LUCIDITÀ”
La stampa di sinistra sostiene che il governo vorrebbe imbavagliarla. Non c’è pericolo, primo perché non è vero, secondo perché anche volendo non si troverebbe il bavaglio, terzo perché quella dei giornalisti è una categoria a cui piace imbavagliarsi da sola o per conto terzi.
Certo, a volte anche a noi capita di trattenerci nell’affondare il coltello nella piaga quando le cose non girano come dovrebbero . Risultato di tanto sforzo e comprensione?
Importanti ministri di questo governo – Guido Crosetto e Adolfo Urso – procedono a colpi di querela contro i pochi giornali non di sinistra – Il Giornale e Il Tempo – lamentando presunte inesattezze in articoli che li hanno riguardati.
Non ci spaventiamo, non denunciamo ridicoli e inesistenti bavagli, non mettiamo in dubbio la loro libertà di fare ciò che credono e capiamo pure che l’idea maturata nella loro testa di arrotondare con qualche decina di migliaia di euro i non faraonici stipendi pubblici possa stuzzicare.
Che un governo di destra, attraverso due suoi rappresentanti, provi a estorcere soldi a giornali che per loro hanno combattuto e combattono gratis battaglie epocali contro chili voleva e li vorrebbe morti, è il segno di quanto il potere possa dare alla testa e fare perdere lucidità. Noi procederemo come sempre di testa nostra, sapendo che può capitare di sbagliare, ma ancora più liberi di dire la verità anche quando questa potrebbe apparire sgradevole.
(da Il Giornale)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO ALLA CAMERA DEL CARROCCIO, RICCARDO MOLINARI, PUNTA IL DITO SULLA CANCELLAZIONE DELL’ESENZIONE IRPEF AGLI AGRICOLTORI: “UN ERRORE DEL GOVERNO” (CON RIFERIMENTO AL MINISTRO DELL’AGRICOLTURA LOLLOBRIGIDA)…LA REPLICA DEL COGNATO D’ITALIA E’ UN CALCIONE AL LEGHISTA GIORGETTI: “NORMA DECISA DAL MEF, LÌ CI SONO LORO”
Quella norma «l’ha fatta il Mef, dove il ministro è della Lega». Francesco Lollobrigida risponde da Berlino, dov’è in corso la fiera Fruit Logistica. È pomeriggio e il titolare dell’Agricoltura prova a spostare il mirino che gli ha piazzato in testa la Lega di buon mattino, col capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari.
Cancellare l’esenzione dell’Irpef agli agricoltori, sostiene il presidente dei deputati del Carroccio su Rai3, «è stato un errore del governo». Un’uscita che ufficializza quanto finora era filtrato solo tramite veline di partito. Tra Lega e FdI è guerra aperta sulla protesta dei trattori.
Dietro le manovre, c’è una categoria che è diventata un blocco di consensi per la destra, prima per il flirt col partito di Salvini, ora con quello di Meloni. L’attacco di Molinari irrita FdI. Parecchio. Da qui la decisione: d’ora in poi, agli affondi del Carroccio si reagisce. La campagna per le Europee è cominciata per tutti.
Sui trattori, da Montecitorio si fa subito sentire il capogruppo meloniano Tommaso Foti: durante l’approvazione della legge di bilancio, quando si decise di rimettere la tassa agricola, «non sono emerse riserve dai gruppi della maggioranza».
Come dire: nessuno aveva obiettato. Via della Scrofa si dispone a testuggine attorno al ministro dell’Agricoltura, contro cui Iv ha annunciato una mozione di sfiducia al Senato. […] I trattori in marcia verso Roma rimangono in allerta. Minacciano di «entrare nella Capitale» se il governo non li riceverà, anche se alla fine in città dovrebbe sfilare solo una piccola delegazione. Meloni, alla fine, non li riceverà.
Il ministro tenta di sganciarsi dall’immagine di rappresentante di un governo piegato agli interessi di una sigla sola, cioè Coldiretti. «Ma ho incontrato anche Confagricoltura. Il problema è la rappresentanza, che va rispettata». La linea di FdI è chiara: i trattori non rappresentano tutto il comparto, ma una piccola porzione. Quanto alla decisione del governo sull’Irpef agricola, «i soldi non si stampano col monopoly», dice Lollobrigida.
Lo scontro con la Lega ormai pare deflagrato. Matteo Salvini ieri è andato a cena con gli agricoltori, in Abruzzo. Toni da comizio: «Basta follie dell’Europa».
Ma soprattutto «anche a livello italiano si può fare di più: stiamo lavorando all’esenzione dell’Irpef e sul sostegno per il gasolio». Altra punzecchiata a Lollobrigida: «Non si capisce perché per un trattore si deve fare la revisione della patente ogni 2 anni, anziché ogni 10». Tutta la maggioranza sembra orientata a re-introdurre l’esonero dalla tassa. Ma per FdI la misura dovrebbe riguardare solo i terreni con un valore catastale fino a 10mila euro. Sempre Foti parla di «redditi bassi».
La Lega, o almeno Salvini, vorrebbe invece che la coperta si allunghi su tutti. Certo, nel Carroccio c’è un cortocircuito. Perché il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ieri al Senato spiegava che, sì, è «in corso di valutazione un intervento», probabilmente già «nel Milleproroghe ». Ma ventilava possibili «franchigie». Un tetto, appunto.
(da la Repubblica)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
LA MOSSA ORGANIZZATA DA FRATELLI D’ITALIA FA SALTARE IL PROGETTO DEL GRUPPO UNICO SOVRANISTA… LE PEN RESTERA’ IN “IDENTITA’ E DEMOCRAZIA” CON LA LEGA MA HA MOSTRATO INSOFFERENZA PER I TEDESCHI DI AFD
L’ingresso del partito rivale Reconquête nel gruppo Ecr guidato dalla premier italiana segna una nuova rottura tra le due leader che sembravano volersi avvicinare.
Meloni aveva sottolineato “l’evoluzione interessante” del Rassemblement National nella sua conferenza stampa di inizio anno e Le Pen aveva accolto con favore un “segnale dialogante” durante un incontro con i giornalisti qualche settimana fa.
E invece la scelta dei nuovi “fratelli francesi” dei meloniani è un colpo di scena. Aver messo in scena l’arrivo dell’eurodeputato Nicolas Bay, eletto cinque anni fa nelle liste del Rassemblement National […] è considerato dai lepenisti come un errore, peggio uno sgarbo. […] Nel quartier generale del Rassemblement non ci sono dubbi sul fatto che la nuova alleanza con il partito di Eric Zemmour sia una manovra organizzata da Fratelli d’Italia, con Nicola Procaccini in prima linea e dietro le quinte l’eurodeputato Vincenzo Sofo, marito di Marion Maréchal, capolista di Reconquête alle prossime europee.
La reazione dei lepenisti è durissima. Accusano i rivali zemmouriani di essere finiti “in un gruppo che è pro-Nato, anti-Pac, e a favore dell’allargamento ai Balcani e all’Ucraina” come sostiene François.
Un attacco diretto all’eurogruppo guidato da Meloni. S’interrompe così bruscamente il corteggiamento a distanza che il presidente del Rn, Jordan Bardella, aveva confermato a inizio gennaio. “Vogliamo lavorare anche con Giorgia Meloni” aveva detto Bardella, capolista alle prossime europee con al 27% delle intenzioni di voto, mentre Reconquête si attesta intorno al 7%.
Vista la violenza dei toni dopo la mossa dell’Ecr, il progetto di un unico gruppo dei sovranisti in Europa è ormai spacciato. Il Rassemblement National è destinato a restare nel gruppo Identità e Democrazia insieme alla Lega, anche se Le Pen ha preso le distanze dagli alleati tedeschi dell’Afd.
(da La Repubblica)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
QUELLO CHE INVECE SI FA FATICA A CREDERE È CHE NON CI SIA STATO UN ACCORDO ANCHE INFORMALE DELLA SERIE ‘TRAVOLTA FA IL BALLO DEL QUA QUA E VIENE GRATIS, BASTA CHE SI VEDANO LE SCARPE’. RIMANE SOLO DA CAPIRE CHI L’ABBIA CONCORDATO
Mentre l’Antitrust ha confermato la multa di 175 mila euro per la pubblicità occulta a Instagram fatta sul palco di Sanremo lo scorso anno, scoppia un nuovo caso. Un caso goffo, che si è consumato davanti a 10 milioni di telespettatori e con contorni così maldestri da sembrare surreale.
C’entrano John Travolta, un paio di scarpe anti-infortunistiche e il ballo del qua qua. Partiamo dall’inizio. Durante la seconda serata di Sanremo 2024 è prevista la partecipazione di John Travolta. Mercoledì sera l’attore sale dunque sul palco a metà serata con un completo scuro elegantissimo che prevede cravatta, pochette e, stranamente, un paio di sneakers bianche con un grosso logo nero
Il fatto è bizzarro perché la Rai fa apporre scotch coprente su qualunque abito o accessorio che riporti un logo o comunque un disegno riconducibile a un brand, proprio per evitare multe del garante. Ricordiamo il caso di Leo Gassmann lo scorso anno proprio a Sanremo che si presentò in canotta bianca perché all’ultimo videro un logo sulla sua giacca. E nei vari programmi Rai applicano perfino lo scotch sulle suole per evitare che sedendosi qualcuno mostri incidentalmente un logo sotto la scarpa.
Fatto sta che Amadeus tenta di chiacchierare con Travolta, ma non spiccica una parola di inglese. Poi si passa al cuore dello show: Travolta e Amadeus iniziano a ballare sulle note delle colonne sonore di Pulp fiction e Grease. Amadeus si toglie le scarpe, Travolta tiene per tutto il tempo le sneakers. La telecamera indugia parecchio sui piedi
Poi escono dal teatro per ballare all’aperto il famoso ballo del qua qua insieme a Fiorello. E qui accade un altro fatto strano. Fiorello porge il microfono ad Amadeus e Amadeus dice un po’ a caso “Dont’worry be happy!”.
La storia sembra finire lì finché ieri mattina il Corriere della Sera pubblica un articolo che spiega come Travolta non sia stato pagato dalla Rai ma dall’azienda che produce le scarpe che indossava sul palco. […] Proprio U-Power avrebbe pagato 1 milione di euro a Travolta “per l’ospitata” con le scarpe, dice il Corriere, ma forse la vicenda è un po’ più ingegnosa.
Intanto abbiamo alcune certezze: il proprietario di U-Power Franco Uzzeni era seduto in prima fila a teatro mentre Travolta si esibiva (e Travolta lo abbraccia pure uscendo). Nessun segreto. Sui canali ufficiali social di U-Power Uzzeni appare fotografato davanti all’Ariston. Travolta invece è in Italia dal 5 febbraio, ha l’hotel a Nizza e proprio nella giornata di ieri girava uno spot con Diletta Leotta per il lancio di un nuovo paio di sneakers linea Urban che–guardacaso –sono quelle che indossava a Sanremo.
Lo spot girato ieri aveva il set in un teatro di Ventimiglia, a due passi da Sanremo. Dunque appare credibile che Travolta sia stato pagato per lo spot e che U-Power abbia allargato l’accordo con una sua preziosa apparizione a Sanremo con le scarpe incriminate.
In tal senso la Rai non lo avrebbe pagato, certo, ma sembrerebbe non essersi accorta di quel logo visibile sulle scarpe, che sembrerebbe aver consentito di avere sul palco una star internazionale a titolo gratuito. E Amadeus, sapeva? Non lo so, ma torniamo a quel suo “Don’t worry be happy!”. Caso vuole che “Don’t worry be happy” sia proprio lo slogan della U-Power, presente sui social ufficiali e pure in una mail che potrebbe essere molto scomoda per la Rai.
La U-Power – Don’t worry… be happy! (questo è il mittente) infatti, il 1° febbraio ha inviato una mail ai suoi partner e rivenditori il cui oggetto è “campagna media” con allegato il programma degli spot previsti per il lancio delle nuove scarpe Urban con Diletta Leotta e “special star”.
Dunque, la presenza a Sanremo con le scarpe ben riconoscibili di Travolta era prevista, tanto che da ieri U-Power sui suoi social rilancia le immagini dell’attore a Sanremo ripostando i vari rivenditori che scrivono “in anteprima le nuove scarpe”.
La Rai ha ammesso un errore nel non aver coperto il logo, ma “Travolta è arrivato all’ultimo momento in camerino” e ha garantito che Travolta è stato ospite a rimborso spese. Cosa che non si fa fatica a credere, perché è evidente che il cachet (magari tramite lo spot con Leotta) sia stato pagato da U-Power. Quello che invece si fa fatica a credere è che non ci sia stato un accordo anche informale della serie “Travolta fa il ballo del qua qua e in versione Romina Power (anzi, U-Power) viene gratis, basta che si vedano le scarpe”.
Rimane solo da capire chi l’abbia concordato. La Rai? Amadeus? Entrambi? Nessuno? Una terza figura all’insaputa degli altri? La conclusione è che Agcom ha un nuovo caso su cui indagare e abbiamo ragione di credere che ne verrà a capo. Don’t worry, be happy.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
A VENEZIA OCCUPATO IL CONSOLATO UNGHERESE: “ILARIA SALIS LIBERA SUBITO”
«Ilaria Salis libera subito». Sono queste le parole scandite dai manifestanti del centro sociale Rivolta di Marghera che questa mattina hanno occupato il consolato ungherese di Piazzale Roma, a Venezia. Nelle stesse ore in cui il ministro della Giustizia Carlo Nordio è in visita a Padova, sono circa 30 gli attivisti che chiedono la scarcerazione della docente italiana detenuta a Budapest in attesa di processo con l’accusa di aver partecipato alle percosse di militanti di estrema destra un anno fa nella capitale ungherese durante le manifestazioni del Giorno dell’Onore. «Siamo qui perché vogliamo la sua libertà, perché questo processo è una farsa che vuole solo punire l’antifascismo, in uno stato dove vengono non solo tollerate, ma promosse, le ronde antimigranti ai confini. Una politica antidemocratica», dichiarano gli attivisti. I
ntanto, proprio come un anno fa, in Ungheria è tutto pronto per un altro Giorno dell’Onore, la celebrazione con cui si ricordano le vittime tra i le truppe ungheresi e quelle di Hitler, al tempo alleate, morte durante l’assedio di Budapest della Seconda Guerra Mondiale da parte dell’Armata Rossa.
Cos’è il Giorno dell’Onore
Particolarmente cara ai gruppi neonazisti, la ricorrenza è quella durante la quale lo scorso anno è stata arrestata Ilaria Salis, per mesi in pessime condizioni di detenzione, nelle ultime settimane migliorate grazie al lavoro diplomatico italiano.
Il giorno più intenso sarà probabilmente domani, sabato 10 febbraio. In vista dell’evento, infatti, nella capitale ungherese sono in arrivo gruppi di estrema destra provenienti da tutta Europa, Italia compresa.
Si tratta di una celebrazione formalmente vietata, ma praticamente consentita e persino incentivata dal governo di Viktor Orbán che ha finanziato – si legge su Repubblica – con circa 150 mila euro concerti che si svolgeranno nel Giorno dell’Onore, oltre a mostrarsi particolarmente tollerante nei confronti della violenza di estrema destra. In passato, i neonazisti hanno attaccato senza apparenti provocazioni persone straniere, si sono resi protagonisti di aggressioni nel quartiere ebraico e nei campi rom, oltre che irruzioni in tre ristoranti vegani «frequentati da comunisti».
Le manifestazioni segrete
Anche quest’anno gli estremisti di destra si stanno organizzando sui gruppi Telegram, il più noto dei quali è chiamato Festung Budapest (la Fortezza di Budapest). D’altro canto, i gruppi di estrema sinistra stanno preparando la risposta e l’oggetto dello scontro potrebbe diventare proprio Ilaria Salis – «l’antifascista di merda italiana», così viene definita sul Telegram dei neonazisti – con il rischio che gli scontri scoppino persino davanti al carcere dove la docente italiana è reclusa in attesa di processo. Il condizionale è d’obbligo perché la manifestazione più grande è ancora segreta. Il luogo previsto verrà rivelato solo poche ore prima dell’inizio e potrebbe essere lontano dal centro della capitale ungherese.
Due pesi e due misure
Negli anni scorsi si sono tenute vere e proprie rievocazioni, come le corse campestri lungo gli stessi percorsi battuti dai soldati durante l’assedio per fuggire all’Armata Rossa: trenta, quaranta, sessanta chilometri nei boschi. Si possono acquistare gadget come felpe, magliette, cappelli e giochi da tavolo in vista dell’unico evento pubblico previsto per le 17 di domenica. Sarà allora che ci si incontrerà in piazza Kapistra per illuminare la strada degli «eroi», ovvero i soldati nazisti e i loro alleati. Un contromanifestante denuncia un diverso trattamento a Repubblica: «Noi non possiamo muoverci, ogni centimetro è controllato: siamo intimoriti, ci perquisiscono case e luoghi di lavoro. Se possono, ci sbattono in galera. Ecco perché Ilaria siamo tutti quanti noi».
(da Open)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
FURIOSA CON LA RAI PER ROSA CHEMINAL A SANREMO E DELUSA PER IL NO A UNA CANZONE DI TALE MARCO CONIDI
A Giorgia Meloni è andata di traverso anche l’edizione 2024 del Festival di Sanremo e ancora una volta a farle andare di traverso la trasmissione più seguita della televisione italiana è stata l’esibizione di Rosa Chemical, che nel corso della sua performance al Suzuki Stage ha cantato con alle spalle degli angeli digitali a forma di pene. Già l’anno scorso Rosa Chemical e Fedez erano finiti nel mirino della Meloni sia per il bacio “omo” che si erano scambiati in diretta sia per lo show di Fedez contro il sottosegretario di Fratelli di Italia, Galeazzo Bignami. Ma nel 2023 la Rai che organizzava il Festival era guidata da Carlo Fuortes e Sanremo sotto il controllo di Stefano Coletta.
Quello del 2024 è il primo Festival di quella che viene chiamata «Tele-Meloni», e alla premier quello che ha visto su quel palco sembra «folle», come ha confidato ai suoi collaboratori mettendo nel mirino i nuovi vertici di viale Mazzini che hanno passato l’idea di invitare nuovamente Rosa Chemical dopo quel che era già accaduto nel 2023.
L’invito all’Orchestraccia che Amadeus ha archiviato
La Meloni era delusa anche alla vigilia del Festival per l’esclusione dalla scaletta di una canzone che non solo le era molto piaciuta, ma che le sembrava ideale dopo un anno in cui la violenza sulle donne era stata al centro della cronaca nera e di quella politica. Il brano scartato da Amadeus si intitola «Quello non era amore», ed è cantato dall’Orchestraccia di Marco Conidi, cui era stata prospettato un invito come ospite (non in concorso) in uno spazio che Amadeus stava preparando proprio su questo tema. Ma il conduttore del Festival ha archiviato la proposta senza ammettere repliche e la Rai non ha difeso la sua proposta originaria.
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
TOGLIENDO LA PUBBLICTA’ LEGALE, MOLTI GIORNALI NON SOPRAVVIVERANNO: MODELLO ORBAN, SILENZIARE L’OPPOSIZIONE
Niente trattori sul palco di Sanremo, né per le vie di Roma. La mordacchia che il governo ha messo agli agricoltori sta spegnendo la loro protesta, perlomeno in Italia, dove la rivolta ha già contro le grandi associazioni di settore. La prima di queste è Coldiretti, diventata un’appendice di Fratelli d’Italia, e dunque del governo che ha rimesso l’Irpef sui redditi agrari e dominicali, sospesi da quei cattivoni di 5 Stelle e Pd sin dal 2017.
Ora pare che Giorgetti voglia togliere le tasse che lui stesso ha ripristinato, ma la sostanza non cambia: le destre che avevano promesso ogni genere di aiuti al mondo agricolo alla prima occasione si sono rimangiate tutto.
Un suicidio in vista delle elezioni regionali ed europee, che pertanto va nascosto in ogni modo, censurando l’intervento degli agricoltori al Festival (forse gli concederanno a notte fonda un breve messaggio scritto) e pompando a edicole e tv quasi unificate la balla dei tre miliardi in più omaggiati dalla Meloni. Un falso, perché quei soldi del Pnrr erano destinati al comparto agricolo già prima che partissero i trattori.
Dunque, per non farsi scoprire serve che tutti i media reggano il gioco, e le poche testate non allineate spariscano, come sarà a breve per molti giornali, anche blasonati, a cui stanno per togliere la pubblicità legale.
In un Paese ad alto tasso di corruzione, il governo ha pensato infatti di bloccare quel poco di trasparenza che c’è sulla spesa pubblica per mezzo dei bandi pubblicati sui quotidiani.
Una decisione che sottrae cinquanta milioni agli editori, facendo poco danno ai grossi imprenditori ma assestando un colpo mortale ai pochi indipendenti e senza la porcheria del contributo pubblico.
Questa è la realtà sul concetto di pluralismo e democrazia che ha la Meloni. Al punto da bocciare la richiesta di ripensarci avanzata da alcuni parlamentari del suo stesso partito e di Forza Italia, a cui è chiaro che questa mazzata manda a casa anche centinaia di dipendenti delle aziende che raccoglievano questa pubblicità.
Ma la settimana prossima, quando si voterà il decreto attuativo al Milleproroghe, il parere annunciato dal governo sarà negativo. Poi potranno raccontarci che gli asini volano. O che i trattori a Sanremo volevano andarci per sentire le canzoni.
(da La Notizia)
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Febbraio 9th, 2024 Riccardo Fucile
SI E’ INCRINATO IL SODALIZIO DI POTERE CON LA PREMIER, ARIANNA E FAZZOLARI
Si è incrinato l’assetto della “P4”, dove “P” sta per potere: lo scrigno che questo sodalizio di sangue nero ha inseguito per anni e infine conquistato. Lo compongono Giorgia Meloni, la sorella Arianna, Francesco Lollobrigida e l’amico fraterno della premier Giovanbattista Fazzolari.
L’agricoltura doveva essere il fiore all’occhiello del blocco di potere che sostiene il governo. Il primo di destracentro e, per di più, con una donna a Palazzo Chigi. E soprattutto la sua base, il cuore dell’elettorato da sempre coccolato da Fratelli d’Italia a suon di slogan contro Bruxelles e di «sovranità alimentare da riconquistare». Per questo la premier Giorgia Meloni aveva affidato il comparto a Lollobrigida, suo cognato, marito della sorella, fin da ragazzo al suo fianco in politica e con un rapporto di idee, un senso dell’appartenenza viscerale, fortissimo.
Ma in quest’anno di governo qualcosa è andato storto.
Il ministro dell’Agricoltura con una sequenza di scelte ed esternazioni sbagliate sta mandando in tilt un sistema che sembrava collaudato. Da un anno a questa parte il “cognato d’Italia” ha creato grattacapi alla presidente del Consiglio. Ma soprattutto, non è riuscito a tenere a bada il mondo degli agricoltori che nelle intenzioni di Palazzo Chigi doveva essere la punta avanzata del consenso, una falange in sostegno del suo governo. E invece centinaia di trattori girano per l’Italia, alcuni con striscioni contro Lollobrigida e minacce di «invadere Roma» o in alternativa Sanremo, la temporanea capitale canora del Paese.
La protesta dei trattori e la gestione da parte del ministro dimostrano plasticamente che qualcosa non è andato come Meloni voleva. A partire da un caposaldo della strategia di Lollobrigida pensata ancora prima del suo insediamento all’Agricoltura: l’intesa con la potente associazione di categoria Coldiretti, che in questi mesi ha dettato l’agenda di governo in materia.
Il presidente Ettore Prandini ha partecipato alla chiusura della campagna elettorale di FdI a Potenza prima del voto del 2022. Giorgia Meloni ha voluto omaggiare l’associazione a Milano nella sua primissima uscita da presidente del Consiglio. Sempre con la regia di Lollobrigida. Coldiretti suggerisce, il governo dispone: l’associazione ha chiesto di puntare molto sui contratti di filiera, ed ecco raddoppiati i fondi dei bandi ministeriali; le aziende chiedono fotovoltaico, ed ecco la misura per grandi impianti. Poi Coldiretti ha suggerito la battaglia contro la carne sintetica: ed ecco approvata una legge che vieta la ricerca su qualcosa che non è nemmeno in commercio. Mentre i parlamentari votavano, davanti Montecitorio Prandini andava a muso duro contro i radicali che protestavano per la norma. Ancora, con i buoni uffici di Coldiretti il ministro Lollobrigida ha sostenuto alcuni investimenti tra Algeria e Egitto del colosso dell’agricoltura Bf.
Nel frattempo, il ministro pescava tra le file dell’associazione anche i dirigenti per il suo staff. Tutto sotto controllo nei campi d’Italia, no?
E invece eccoci alle scene di questi giorni, con Coldiretti di Prandini accusata dalla base degli agricoltori di pensare solo al «potere». Mentre il ministro è finito nel mirino delle contestazioni perché poco incisivo a Bruxelles: anzi, per aver reintrodotto perfino l’Irpef sui terreni agricoli sospesa dai tempi del governo Renzi. Non a caso il leader di Italia Viva ha colto la palla al balzo e ha presentato una mozione di sfiducia proprio per mettere in difficoltà la premier e suo cognato.
Meloni adesso è alle prese con la grana degli agricoltori, dopo un anno di gaffe del ministro più fidato. Un anno di uscite improvvide e decisioni singolari: come quella di chiedere la fermata a Ciampino di un Frecciarossa diretto a Napoli dove Lollobrigida era atteso per inaugurare un giardino. E come dimenticare le polemiche quando Lollobrigida sentenziò: «I poveri mangiano anche meglio dei ricchi». Per non parlare di quando, lo scorso aprile, mentre Meloni cercava di tenere in sordina l’ondata di sbarchi, Lollobrigida diceva: «Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica». A Palazzo Chigi la premier si sarebbe anche stancata, raccontano. Tant’è vero che torna a circolare l’ipotesi di una candidatura del ministro alle Europee. E dire che appena un anno fa era ritenuto l’uomo più importante del governo. La lista dei ministri, l’elenco di chi ambiva ad andare nelle società partecipate, le nomine in Rai: tutto transitava dalla scrivania di “Lollo”. Dodici mesi dopo invece è diventato un problema. Corre veloce il tempo del potere e tutto travolge.
(da agenzie)
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