Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“PERCHE’ NON ACCETTA UN DIBATTITO PUBBLICO COSI LE SPIEGO IL TEMA DEI FONDI EUROPEI?”
Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, risponde a brutto muso a Giorgia Meloni che ieri sera, dagli studi di Porta a porta, l’ha accusato di aver speso male i fondi europei dando troppo spazio a sagre e attività ricreative ed ha, soprattutto, stigmatizzato il fuorionda in cui l’amministratore del Pd le dava della “str***”. De Luca non si scusa per gli epiteti, ma, nel corso della sua diretta Facebook, sceglie un’altra espressione destinata a far crescere le polemiche. «E’ in atto una campagna di aggressione mirata e di falsificazione che si accompagna sempre all’aggressione politica. Non possiamo dare spazio a chi adotta uno stile da stracciarola, fatto di volgarità, approssimazione, arroganza e mistificazione. Dobbiamo evitare di dare spazio a questi atteggiamenti: le cose che riguardano la Campania si decidono a Napoli e non a Roma e men che mai nelle stanze del Presidente del Consiglio». Quindi, nel corso della diretta, De Luca è entrato nel merito della questione, invitando Meloni ad un confronto pubblico: «Visto che mi tira in ballo, perché non facciamo un dibattito pubblico così le spiego il tema dei fondi europei?».
I fondi di coesione
De Luca sostiene che la Campania avrebbe dovuto essere la prima Regione a firmare l’accordo sui fondi di coesione, «perché è la regione con la maggiore sofferenza sociale d’Europa», non per altri motivi: «Se partiamo domani mattina noi apriamo i cantieri nel 2025». I soggetti che spendono sono per l’80-90% «i comuni e nel caso della nostra Regione sono anche le grandi aziende come Ferrovie dello Stato o Anas, noi inseguiamo i comuni per la rendicontazione».
Il no alle scuse
De Luca dice poi di non sentirsi in dovere di porgere le scuse per quello “str***” nei confronti della premier: “In questi giorni l’unica persona che ha offeso è la presidenza del consiglio sia nei comunicati sia nelle dichiarazioni. Le frasi rubate, nei paesi civili non contano nulla”. Scuse, invece, dice De Luca, avrebbero dovuto arrivare perché “A cinquecento amministratori che chiedono di essere messi in condizione di lavorare dice “andate a lavorare”. sono toni di razzismo inaccettabili, come si permette? Avrebbe dovuto scusarsi lei”.
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
L’ESPERIENZA DEL PASSATO DOVREBBE INSEGNARE
Nei Paesi democratici il dissenso è libero: la differenza rispetto ai regimi militari e totalitari sta nella possibilità di manifestarlo nelle forme consentite. Tra queste rientra anche un corteo o un presidio di protesta: non siamo a Mosca dove anche per deporre un fiore in memoria di Navalny la polizia arresta 400 cittadini.
Quello che sta ripetutamente avvenendo in Italia con giovani studenti (disarmati e non travisati) manganellati dalle forze dell’ordine ci sta facendo avvicinare ai regimi, non alla democrazia.
L’ordine pubblico deve garantire la sicurezza di tutti, cittadini e manifestanti, e le risposte devo essere proporzionate, non lasciate ad autorità che non sanno valutare le conseguenze di questo clima pesante che stanno instaurando.
Chi ha un minimo di esperienza e memoria storica, avendo vissuto il periodo degli anni di piombo, sa benissimo che se a un giovane impedisci la libertà garantite dalla nostra Costituzione, finisce che qualcuno sceglie altre vie.
E la storia d’Italia è lastricata di morti per scontri armati, terrorismo e agguati.
Nessuno ne rimane immune, sia quelli che manifestano, sia quelli che manganellano, sia quelli che danno ordini di manganellare.
Se qualcuno vuole la guerra civile in Italia, se ne assuma la responsabilità ma poi non pianga sul sangue versato.
Ci vuole un atto di coraggio per porre fine a questa escalation, un segnale di distensione: la rimozione dei responsabili, fino ai massimi livelli.
Chi sbaglia, paga.
La meritocrazia è questa.
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
IL RETTORE PROTESTA: “LE AUTORITA’ TUTELINO LA DIALETTICA DEMOCRATICA”… IL SINDACO DI CENTRODESTRA DI PISA: “AMAREGGIATO, IL QUESTORE NE RISPONDA, VA TUTELATA LA LIBERTA’ DI MANIFESTARE”
Nel capoluogo regionale quando i manifestanti hanno provato a raggiungere il consolato americano è scattata la carica della polizia. Il corteo, formato da sindacati di base, studenti e comunità palestinese, è partito da piazza Santissima Annunziata per raggiungere, sfilando per il centro, piazza Ognissanti e ha poi proseguito il percorso sul lungarno verso il consolato. A poche decine di metri era presente lo sbarramento delle forze dell’ordine e quando i manifestanti hanno provato ad avanzare sono partite alcune cariche di alleggerimento. Il corteo ha poi fatto ritorno in piazza Ognissanti per gli interventi finali.
Situazione analoga a Pisa. Cariche della polizia in mattinata i centro durante il corteo studentesco che voleva raggiungere piazza dei Cavalieri. I poliziotti schierati a protezione di uno degli accessi alla piazza hanno caricato gli studenti che stavo cercando di oltrepassare lo sbarramento.
‘A Pisa cariche a manifestanti pacifici’.
“Siamo partiti da piazza Dante dove ci eravamo radunati per fare una passeggiata in giro per la città ma dopo poche decine di metri abbiamo trovato lo sbarramento di polizia che ha poi caricato una manifestazione assolutamente pacifica, ma determinata ad andare avanti per portare solidarietà al popolo palestinese”.
Lo ha raccontato una studentessa che ha partecipato al corteo Pro Palestina di stamani a Pisa. “Deve cessare – ha aggiunto – ogni complicità del nostro Governo e delle istituzioni formative con il genocidio in atto in Palestina. L’Università di Pisa deve bloccare ogni accordo con Israele e con le aziende israeliane che producono le armi che vengono usate in Palestina”.
Dal canto suo il rettore dell’università di Pisa Riccardo Zucchi, in una nota, ha espresso “profonda preoccupazione e sconcerto per gli scontri avvenuti questa mattina nel centro della città, che hanno causato a quanto pare il ferimento di studenti universitari e di studenti delle scuole superiori”. L’università, prosegue il rettore, “In attesa di ricevere chiarimenti sull’accaduto e sull’operato delle forze dell’ordine auspica che tutte le autorità competenti intervengano per garantire la corretta e pacifica dialettica democratica, tutelando la sicurezza della popolazione e della comunità studentesca”.
Il primo bilancio di Pisa è di 10 minorenni feriti, con contusioni e varie escoriazione e due di questi anche dita fratturate. Tre i maggiorenni soccorsi, di cui il più grande 25 anni con trauma cranico ed escoriazione della testa, e due diciannovenni, uno con un braccio steccato, colpito con manganello mentre si riparava, e un altro ragazzo per trauma cranico e ferita lacero contusa.
La segretaria del Pd Elly Schlein parla di “manganellate inaccettabili, c’è un clima di repressione. Basta manganellate sugli studenti”, scrive su Instagram. “Le immagini di Pisa sono inaccettabili: studenti e studentesse intrappolati in un vicolo e caricati a manganellate dalla polizia. Presentiamo subito un’interrogazione parlamentare al ministro Piantedosi, affinché chiarisca. C’è un clima di repressione che abbiamo già contestato mercoledì scorso al ministro in Parlamento. Difendiamo la libertà di manifestare pacificamente”.
Duro anche il leader del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte: “Ancora una volta manganellate contro chi protesta per il massacro in corso a Gaza. Questa volta a Pisa, ai danni di studenti, giovanissimi. Altri episodi ci sono stati a Firenze. Sono immagini preoccupanti, non degne del nostro Paese. Non può essere questa la risposta dello Stato al dissenso”.
Dal Partito democratico sono arrivate tante dure prese di posizione. “Da Pisa arrivano immagini di violenza inaudita nei confronti di un corteo studentesco nei pressi dell’università. I video che stanno circolando in rete mostrano chiaramente una reazione oltre misura da parte delle forze dell’ordine” ha detto il deputato democratico, Arturo Scotto. A quella di Scotto sono seguite molte altre prese di posizione critiche su quanto accaduto sia a Firenze che a Pisa. Annalisa Corrado della segreteria Pd parla di “immagini raccapriccianti”, l’europarlamentare dem Baetrice Covassi dice che sono “immagini incompatibili con lo stato di diritto”. La senatrice Cecilia D’Elia, sempre Pd, sottolinea un “uso della forza fuori misura”.
Firenze, scontri tra polizia e studenti nel corteo per la Palestina
Secondo quanto si apprende dalla questura, sarà fatta una riflessione per capire se tutto è stato fatto per il meglio.
“Siamo sconcertati da quanto accaduto in via San Frediano, di fronte alla nostra scuola dove studenti per lo più minorenni sono stati manganellati senza motivo, perché il corteo che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina, assolutamente pacifico, chissà mai perché, non avrebbe dovuto sfilare in Piazza Cavalieri”. Così in una lettera aperta un gruppo di 11 docenti del liceo artistico ‘Russoli’ di Pisa in merito alle cariche delle forze di polizia, stamani nella città della Torre contro gli studenti delle superiori che stavano manifestando per la Palestina.
“Proprio di fronte all’ingresso del nostro liceo, hanno fatto partire dapprima una carica e poi altre due contro quei giovani con le mani alzate. Non sappiamo se se siano volate parole forti, anche fuori luogo, d’indignazione e sdegno, fatto sta che, senza neanche trattare con gli studenti o provare a dialogare, abbiamo assistito a scene di inaudita violenza. Come educatori siamo allibiti: riteniamo che qualcuno debba rispondere dell’inaudita e ingiustificabile violenza cui sono stati sottoposti gli studenti”.
L’Anpi è durisssima: “A Pisa la polizia ha caricato con estrema violenza un pacifico corteo di ragazzi e ragazzini liceali che manifestavano il loro libero pensiero sulla tragedia di palestinese. È l’ennesimo episodio di una gratuita violenza delle forze dell’ordine, che nega di fatto il diritto al dissenso. È evidente che ci sono indicazioni nazionali al fine di reprimere qualsiasi manifestazione non gradita. Non vogliamo il governo del manganello. Piantedosi deve rispondere. Ora basta!”, a dirlo all’Adnkronos è Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
Il sindaco di Pisa Michele Conti, alla guida di una giunta di centrodestra, si dice “amareggiato come cittadino e come genitore”: “Ho telefonato stamani a questore e prefetto per chiedere conto di quanto avvenuto. A entrambi ho ribadito che chiunque deve essere libero di manifestare liberamente il proprio pensiero, sempre. E che Pisa, da sempre, è luogo di incontro e confronto. Voglio ricordare a tutti che la convivenza pacifica è assicurata in primo luogo dal rispetto delle regole e chi non le rispetta va sanzionato. Come mi auguro avvenga per chi si è reso responsabile del blitz sulla nostra Torre di qualche settimana fa. Ma mai in alcun modo si può usare la violenza per reprimere una manifestazione di ragazzi e ragazze delle scuole superiori. Così come non si può usare la violenza per imporre una propria idea. Voglio parlare con questi ragazzi, ascoltare le loro ragioni e i loro racconti. Il Comune di Pisa è uno spazio pubblico dove è possibile esprimere liberamente, ed educatamente, ogni pensiero”.
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
NON C’E’ PIU’ LIMITE ALLE INFAMITA’ PER DENIGRARE CHI COMBATTE CONTRO L’AUTOCRAZIA CORROTTA DI MOSCA… IL NOSTRO DISPREZZO A QUEI SEDICENTI “ESTREMISTI DI DESTRA” CHE SI PRESTANO ALLA PROPAGANDA IMPERIALISTA, SERVI COLLUSI VENDUTI PER UN PIATTO DI LENTICCHIE
A seguito della morte di Alexei Navalny, la macchina della propaganda russa ha iniziato a prendere di mira Yulia Navalnaya, vedova dell’oppositore di Vladimir Putin. L’obiettivo è quello di far passare la donna come una “poco di buono” e come una “pessima moglie”, traditrice e manipolatrice. Per farlo, è stata diffusa un’immagine dove abbraccia un uomo intento a fumare, probabilmente della cannabis. Si tratta di una foto manipolata al fine di far credere che Yulia Navalnaya abbia un amante.
Per chi ha fretta
L’immagine diffusa mostra l’account Instagram verificato di Yulia Navalnaya, con oltre 1 milione di follower. Non c’è traccia di quella foto.
Lo scatto originale è del 2013 e mostra Yulia mentre abbraccia Alexei Navalny
L’uomo che è stato inserito al posto di Navalny è un vecchio amico e finanziatore.
L’altra foto diffusa è del 2021, non del 2024 e successiva al decesso di Navalny.
Analisi
Ecco uno dei post dove viene condivisa la foto che mostrerebbe Yulia Navalnaya abbracciata con un uomo:
A condividere l’immagine è Irina Sokolova (o Socolova), seguita e suggerita all’interno di una lista dai canali sostenitori della Russia come Donbass Italia e altri.
Non esiste nell’account Instagram di Navalnaya
L’immagine condivisa da Irina Sokolova e da altri utenti mostrerebbe un post Instagram pubblicato dall’account verificato di Yulia Navalnaya.
Non c’è alcuna traccia della foto. Risulta strano che non sia stata notata dai follower (oltre 1 milione) e delle testate giornalistiche internazionali.
La vera foto di Yulia Navalnaya con Alexei Navalny
I canali sostenitori della Russia stanno condividendo la foto modificata di Yulia Navalnaya che abbraccia Alexei Navalny. Ecco l’originale, scattata nel 2013:
In una foto più completa, scattata da Yevgeny Feldman per AFP e pubblicata su Spiegel, mostra maggiori dettagli per il fact-check. Ad esempio, nello sfondo si vede lo stesso uomo con il vestito azzurro:
L’uomo nel fotomontaggio e nella seconda foto
Nel post di Irina Sokolova viene condivisa anche un’altra foto dove Yulia Navalnaya posa insieme a un uomo in quella che sembra essere una spiaggia. Si tratta di Yevgeny Chichvarkin, imprenditore fuggito dalla Russia nel 2009 , oppositore di Putin e sostenitore (anche finanziario) di Alexei Navalny. Yevgeny aveva sostenuto parte delle spese mediche per curarlo a seguito dell’avvelenamento del 2020.
Lo scatto di lui con Yulia Navalnaya viene diffuso in questi giorni per sostenere che «la vedova si sia già consolata», come possiamo vedere dai tweet dei sostenitori della Russia:
La foto è stata pubblicata nel 2021 dall’account Instagram di Yevgeny Chichvarkin, pertanto non è affatto possibile che faccia riferimento a un momento del 2024 a seguito della morte di Navalny.
Conclusioni
La foto utilizzata per sostenere che Yulia Navalnaya abbia un amante è di fatto un fotomontaggio. Il vero scatto risale al 2013 e mostra la donna mentre abbraccia Navalny.
(da Open)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
E DEI 45,6 MILIARDI SPESI PIU’ DELLA META’ SONO PER IL SUPERBONUS
La scoperta è del Sole 24 Ore: l’Italia ha speso in tre anni davvero solo l’11% dei fondi per le opere finanziate dal Pnrr, e ora toccherà spendere l’89% fra il 2024 e il 2026 per non perdere quei fondi. Secondo il quotidiano economico, infatti, la relazione governativa appena presentata dal ministro Raffaele Fitto dichiara che la spesa effettiva fino a qui è stata di 45,65 miliardi di euro. Ma nella somma sono compresi 26,74 miliardi di euro utilizzati per pagare i crediti di imposta del Superbonus, per Industria 4.0 e per gli incentivi a ricerca e sviluppo. Somma che non riguarda alcun nuovo investimento né alcuna opera pubblica per cui il Pnrr era stato pensato. La spesa reale complessiva 2021-2023 quindi si è fermata ben al di sotto, a 18,9 miliardi di euro.
I dati reali
Fitto – secondo quanto riporta il Sole 24 Ore- non nega il dato, ma accusa enti pubblici e la piattaforma messa a loro disposizione dal Tesoro di non avere caricato i dati reali perché secondo lui gli investimenti in opere pubbliche sarebbero ben più consistenti: «Quella sulla spesa», spiega il ministro, «è una stima prudenziale che riteniamo sottodimensionata perché molti enti attuatori non hanno caricato sul programma Regis una spesa già effettuata». Il Sole 24 ore ricorda che secondo il time table 2021 del governo di Mario Draghi a fine 2023 la spesa in opere pubbliche avrebbe dovuto essere di 85,9 miliardi di euro. Visto l’andamento a rilento, quella previsione nella Nadef 2022 era stata ridotta a 61,4 miliardi di euro. Anche non considerando il capitolo dei crediti di imposta invece ci si è fermati a un livello decisamente inferiore con i 45,65 miliardi consuntivati in tre anni. Resterebbero quindi da spendere 151,418 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Ogni anno più di 50 miliardi di euro, cifra superiore di 5 miliardi a quella ottenuta nei tre anni precedenti. Una prospettiva che sembra davvero impossibile da realizzare.
Il Pnrr va piano
In ogni caso il Pnrr va piano. Così piano che l’Italia rischia di arrivare alla scadenza del 2026 lasciando per strada opere incompiute. A rivelarlo è la relazione semestrale del governo, approvata ieri. Al 31 dicembre 2023, risulta che l’Italia abbia speso 45,6 miliardi in opere finanziate con i fondi europei. Una cifra che scende in realtà sotto i 43 milioni se si depurano gli investimenti usciti dal Piano con la rimodulazione voluta dal governo Meloni. Il problema è che quei 45,6 miliardi sono meno della metà dei fondi che l’Italia ha ricevuto finora da Bruxelles, ossia 101 miliardi. Il risultato è che da qui al 2026 restano ancora 151,4 miliardi di euro da spendere. Un ritmo di investimenti che, a meno di un deciso cambio di passo, difficilmente l’Italia riuscirà a sostenere. In più, l’Italia ha speso in tre anni davvero solo l’11% dei fondi per le opere finanziate dal Pnrr, e ora toccherà spendere l’89% fra il 2024 e il 2026 per non perdere quei fondi.
Un risultato sotto le attese
La spesa relativa al Pnrr svelata ieri dalla relazione del governo è ben al di sotto delle attese. Secondo il Def del 2021 redatto dal governo Draghi, a fine 2023 gli investimenti avrebbero dovuto attestarsi a 85,9 miliardi. Un anno più tardi, fu lo stesso esecutivo a far scendere la previsione a 77 miliardi. La Nadef successiva ridusse ancora una volta le previsioni: 61,4 miliardi. Alla fine, il risultato diffuso ieri dalla relazione del governo si è fermato a 45,6 miliardi, quasi 16 in meno di quanto ci si aspettava. Il ministro Fitto ha provato a metterci una pezza: «I numeri sono assolutamente sottodimensionati perché molti enti attuatori non hanno caricato, sul programma Regis, una spesa di fatto già effettuata». Secondo Fitto, l’Italia ha ormai superato «la fase della progettazione e delle gare di appalto». Questo, stando a quanto riferito dal ministro, significa che ora comincerà la realizzazione vera e propria di molti interventi, che «inciderà molto positivamente sui numeri complessivi della spesa».
Le accuse delle opposizioni
Il governo, insomma, continua a essere ottimista, con la premier Giorgia Meloni che si dice soddisfatta di quanto fatto finora e promette che «il lavoro non è finito». A storcere il naso sono invece le opposizioni. «Lo stato di avanzamento del Pnrr non può che preoccuparci. A due anni e mezzo dalla chiusura, non è stata spesa neanche la metà dei fondi a disposizione. E soprattutto languono le grandi opere e i cantieri», attacca Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva. Il Movimento 5 Stelle accusa l’esecutivo di trattare il Pnrr «come una televendita di pentole e materassi», mentre il Pd chiede al ministro Fitto di non sottrarsi «al doveroso confronto con le sedi parlamentari in merito ad un piano che segnerà le sorti industriali e sociali del nostro Paese per i prossimi decenni e risulta in ritardo».
La spesa divisa per ministeri
A fine 2023, è il ministero dell’Ambiente ad aver speso la somma più ingente di fondi del Pnrr: 14 miliardi. Da qui al 2026 il dicastero guidato da Gilberto Pichetto Fratin dovrà impegnarsi a spenderne altri 19,7. Sul secondo gradino del podio c’è il ministero delle Imprese, che ha speso fin qui 13,7 miliardi e ne ha ancora 15,1 da spendere nei prossimi anni. Ma da qui al 2026 sarà soprattutto il ministero delle Infrastrutture a dover accelerare gli investimenti. Al 31 dicembre 2023, il dicastero guidato da Matteo Salvini aveva speso 6 miliardi di fondi del Pnrr e ne ha a disposizione ancora 33,8. Ma i ministeri fin qui elencati non sono gli unici che si troveranno a dover gestire un’importante quota di investimenti da qui al 2026. Il ministero dell’Istruzione ha ancora 14 miliardi da spendere, il ministero della Salute 15 miliardi, il dipartimento della Trasformazione digitale 10,2 miliardi, il ministero dell’Università 10,1 miliardi e il ministero del Lavoro 8,3 miliardi.
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LA MELONI VUOLE ANCHE DECIDERE LA LEADERSHIP DELLA LEGA E PORTARE ZAIA AL POSTO DI SALVINI
La lite sul terzo mandato nel governo Meloni porterà la Lega al voto disgiunto in Sardegna? Giorgia Meloni e Matteo Salvini non sono mai stati così distanti. «Non era una cosa inserita nel programma, non è una materia dell’esecutivo. Ci sono state visioni diverse tra i partiti della maggioranza», ha tagliato corto ieri la premier dopo la bocciatura dell’emendamento del Carroccio che prevedeva il terzo mandato per i sindaci. E il lavoro sul decreto Elezioni riprenderà la prossima settimana. Con la raccolta firme per i partiti che non hanno i requisiti per concorrere alle urne e l’emendamento che vuole dichiarare ineleggibili i funzionari della Pubblica Amministrazione. Ma intanto è guerra aperta tra Lega e Fratelli d’Italia. Dove c’è chi parla anche di una mossa di Salvini in funzione anti-Luca Zaia.
Le due trappole
Ma intanto due trappole arrivano nell’orizzonte del centrodestra. Secondo Repubblica i leghisti sardi vogliono punire il candidato meloniano Paolo Truzzo nell’isola. Come? Con il voto disgiunto. «Salvini sta facendo una lunga campagna qui in Sardegna perché è dato molto basso nei sondaggi. Per questo chiede di votare per le sue liste», ha detto lo stesso Truzzu nel backstage di uno dei tanti comizi.
Ma l’idea del Carroccio nell’isola è di convogliare i suoi voti verso Renato Soru come presidente della Regione. Una decisione che sembra anche del Partito Sardo d’Azione, negli anni alleato della Lega con Solinas. Anche lui poco incline a fare da portatore di voti a chi lo ha scalzato dalla candidatura. E allora Meloni cerca una risposta politica. Che partirà proprio dal voto alle elezioni europee. Anche lì il Carroccio è in difficoltà, soprattutto dopo l’exploit del 2019.
E soprattutto all’interno del partito c’è l’ombra di Luca Zaia. Il patto tra i due suona così, spiega il quotidiano: io ti concedo il terzo mandato come governatore, tu “normalizzi” il Carroccio. Rendendolo un alleato più malleabile a Roma. Ecco quindi che il Veneto diventerebbe soltanto una tappa nella corsa del governatore alla leadership della Lega. Che non può che arrivare scalzando Salvini. Il Capitano, avvertito del piano, è pronto alla controffensiva. Che parte proprio dalla Sardegna. Una sconfitta di Truzzu gli farebbe gioco nel sostenere che l’alleanza finora è stata gestita male (da Meloni). A causa della scarsa collegialità nelle decisioni. E così il voto sul terzo mandato che i leghisti vogliono riproporre diventa un salto nel buio.
(da Open)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
I CANALI TELEGRAM DEI COMPLOTTISTI ANTI-NATO DIVENTANO IPERATTIVI… LA MORTE DI NAVALNY HA DATO LA STURA ALLA DISINFORMAZIONE RUSSA
Non sorprende che, nel parlare di Aleksej Navalny, un funzionario russo lo tratti come “un evento inaspettato e tragico che dovrebbe suscitare molta comprensione umana, ma che viene interpretato in Occidente in una chiave accusatoria ai fini di fomentare l’ostilità nei confronti delle autorità russe e giustificare la frattura insanabile tra la Russia e l’Occidente”, come ha scritto su Repubblica l’ambasciatore Aleksej Paramonov. Il suo compito non è “portare pena” bensì “portare ambasciate”, esentato da ogni responsabilità. Il capo della diplomazia russa nel nostro paese non fa altro che amplificare la propaganda del Cremlino all’estero: che dunque ripeta le tesi capovolte del governo di Mosca, come quella che vedrebbe i paesi dell’ovest voler “sconfiggere la Russia per mano dell’Ucraina, da tempo intesa, adescata, preparata, caricata a servire da ordigno ibrido contro Mosca”, rientra nella normalità delle cose. Paramonov è solo il megafono ufficiale di Vladimir Putin, mentre il vero problema sono i più subdoli canali non ufficiali. Da lì infatti passa buona parte della disinformazione russa, che negli ultimi tempi da noi sta superando il livello di guardia. Telegram ne è pieno, a iniziare da Giubbe Rosse.
In una delle ultime conferenze stampa prima di svestire i panni di presidente del Consiglio, Mario Draghi aveva assicurato che la democrazia italiana era più forte dei “nemici esterni” e dei “loro pupazzi prezzolati”. Un modo schietto per sottintendere che qualcuno avrebbe potuto interferire nelle elezioni che si sarebbero tenute da lì a poco. Ora la situazione è differente: siamo alla vigilia dei due anni di guerra in Ucraina e la Russia ha iniziato il countdown che porterà alla rielezione di Vladimir Putin. Ma l’obiettivo per il Cremlino resta sempre lo stesso: fare propaganda dentro e fuori dei confini nazionali.
In quei confini doveva entrarci una delegazione composta da venti italiani per monitorare il regolare svolgimento delle elezioni. Tra questi: Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini e protagonista della trattativa al Metropol, e Pino Cabras, di Democrazia Sovrana e Popolare, che ad Huffpost ha confermato la notizia. È durata giusto il tempo di un battito d’ali, visto che la missione è stata annullata per un motivo non del tutto chiaro, se non il fatto che probabilmente doveva rimanere segreta. Ma è l’ennesima conferma di come sradicare il germe putiniano in Italia resti complesso.
Proprio il caso Navalny è emblematico. Di fronte all’evidenza dei fatti, chi prende le difese del governo russo spiega che anche quello americano si comporta allo stesso modo con Julian Assange o Gonzalo Lira, il giornalista cileno con cittadinanza americana morto nelle carceri ucraine. “Usare due pesi e due misure mi fa schifo”, è il giudizio di Savoini che riassume il pensiero alternativo. Che aggiunge: “A differenza di molti italiani che fanno i Badoglio, e quando va tutto male saltano dall’altra parte, in Russia se sei una persona corretta e seria non ti voltano le spalle”.
Ci aveva provato Maxim Kuzminov, il disertore che si era consegnato agli ucraini, ucciso ad Alicante poco più di una settimana fa. Il primo al mondo a scrivere il nome del pilota russo è stato Il Corrispondente, testata online nostrana ignota ai più, ma salita alla ribalta dopo questa storia ripresa perfino dall’agenzia Tass. Come abbia ricevuto questa informazione non è dato saperlo, né si sa chi abbia firmato l’articolo visto che è tradizione della testata. C’era solo il titolo: “I traditori non vivono a lungo”, il che lascia immaginare che quella fine Kuzminov se la sia andata a cercare. Un’idea confermata anche a L’aria che Tira da Amedeo Avondet, ventiquattrenne tra i fondatori dei Giovani Patrioti collegato a Fratelli d’Italia in Piemonte. “Sì, era un traditore e meritava di morire”, ha detto rispondendo all’ex responsabile dei servizi segreti, Marco Mancini.
Come abbia fatto a entrare in possesso di certe informazioni (ovvero nome e cognome di quella persona) rimane tuttavia un mistero. Essendosi arreso al nemico, Kuzminov aveva ricevuto una nuova identità e, dunque, ha molto probabilmente cambiato nome, cognome e anno di nascita per non essere identificato proprio per evitare che il suo passato potesse diventargli fatale. Che non sia dunque una vera testata giornalistica ma che faccia il gioco di Mosca sotto mentite spoglie è una probabilità che Alex Orloswki, esperto di cyber propaganda, ritiene concreta. L’indirizzo della presunta sede del giornale indicata nella gerenza (Piazza di Spagna 38, Roma) in realtà è un negozio di Valentino e la partita iva indicata non esiste.
Come Il Corrispondente “ce ne sono circa una decina in Italia”, afferma Orloswki ad Huffpost, notando comunque un salto di qualità. Un conto è diffondere la propaganda dall’esterno attraverso i propri canali, un altro è fornire gli strumenti a una persona del posto per farlo al proprio posto. “I siti di Russia Today e Sputnik sono stati banditi dalle legge europee, ma hanno dato supporto tecnico ai propagandisti locali aggirando le sanzioni. Avondet non poteva possedere quella capacità tecnica”. Ma era appunto un madrelingua e quindi non erano più necessarie le traduzioni automatiche – delle volte piuttosto visibili – per trasmettere il proprio messaggio. Un altro esempio di questo rapporto arriva dalla visita della premier Giorgia Meloni a Kiev per firmare un’intesa: per il capo della commissione affari internazionali della Duma è “solo un calcolo a fini propagandistici”, per Il Corrispondente queste partnership “rischiano di portarci a una guerra totale con la Federazione Russa con un’escalation nucleare sempre più probabile”.
A completare poi la carrellata dei propagandisti russi in Italia c’è anche chi non ti aspetti. Non è una giornalista, ma la domanda della ventiduenne Irene Cecchini rivolta a Putin durante il Forum di Mosca è sembrata comunque molto accomodante. A ritwittarla, anche Vito Petrocelli, ex senatore del Movimento 5 Stelle che ha espresso più volte lo stesso pensiero del Cremlino. La giovane Cecchini ha raccontato di vivere “benissimo” in Russia, “un paese libero che da’ opportunità a tutti” dove “non è vero che non ci si può esprimere “o che “non ci sono libertà”. Interrogata sulla morte di Navalny, ha preferito non rispondere non essendo “esperta di questi temi”. Allo stesso modo, sull’invasione dell’Ucraina, ha glissato in quanto “per rispondere a questa domanda dovrei essere un’esperta di geopolitica e non lo sono”. Peccato che sia una studentessa dell’Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali, università sotto patronato del ministero degli esteri russo che Henry Kissinger, non proprio amico del Cremlino, aveva definito “l’Harvard russa”.
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
IL NO DI MELONI AL TERZO MANDATO RENDE CONTENDIBILE IL VENETO E LIBERA ZAIA ALLA CONTESA PER LA LA SEGRETERIA DEL PARTITO
C’è un disegno politico, e c’è anche una certa esibizione della propria forza, in questa mossa di Giorgia Meloni. Che, senza esitazioni, prudenze, timori per possibili conseguenze, remore per lo spettacolo di una maggioranza che si divide, esercita, sulla vicenda del terzo mandato la sua leadership nel modo che le è più congeniale: all in, “piatto” (si direbbe nel poker), in attesa della mano successiva. Prima l’all in con la sua candidatura – pressoché annunciata – alle Europee, che sottrae voti a Salvini, poi l’all in in Sardegna, che gli sottrae il candidato, poi l’all in sul terzo mandato che gli sottrae il Veneto, in attesa del prossimo.
Si gioca così la sua partita di dominus incontrastato della coalizione con l’obiettivo di trasformare gli altri, in particolare il leader leghista che l’ha sfidata da destra, in una sorta di prigioniero politico. Sapendo che l’alleato-avversario – e non è un dettaglio – non ha altri né luoghi dove andare né la forza di far saltare il tavolo. E infatti ha il sapore della resa, piuttosto incondizionata, la sua dichiarazione dopo l’affossamento del dossier che gli sta più a cuore: “Non ci saranno problemi sulla maggioranza”.
La mossa sul terzo mandato è, nella sua sostanza politica, un attacco feroce al cuore della Lega. Perché, d’un colpo, apre la partita del Nord e mette Luca Zaia sul mercato politico nazionale. Insomma, una doppia Opa ostile. Una sul Nord, lì dove la Lega ha il suo insediamento più profondo e radicato grazie ai governatori che ne incarnano il volto più pragmatico, di governo, ragionevole. Quel “sindacato del Nord” che rappresenta il felice paradosso su cui poggia Salvini. Lui incarna una linea opposta rispetto al partito dei produttori operosi, ma ad esso deve la sua forza, declinante nel resto d’Italia, dove voti e ceto politico intercettati ai tempi d’oro della Lega nazionale sono trasmigrati già verso il partito di Giorgia Meloni.
L’altra Opa lanciata sul medio periodo è in casa leghista, perché proietta Luca Zaia nell’orizzonte di fine mandato (si voterà il prossimo anno in Veneto). E dunque nel suo “dopo” che può aver a che fare con la contendibilità della Lega, argomento finora tabù nonostante l’ampia letteratura su Zaia come anti-Salvini, perché finora non c’erano le condizioni di contesto. L’uno (Zaia) aveva il Veneto e nessuna intenzione di cimentarsi in una sfida interna improba. L’altro aveva una leadership salda. Ora l’uno non ha più il Veneto, l’altro ha di fronte il non banale stress test delle Europee. Si sa come vanno le cose da quelle parti: sembra che non succeda mai nulla, non ci sono avvisaglie e dibattiti democratici in un partito, si diceva una volta, “leninista” nei metodi, poi di fronte a trauma, patatrac, si apre la questione della leadership in due minuti.
Sia come sia, ci sono le basi per innescare un processo politico che porti a nuovi equilibri. Perché di questo si tratta, del “comando”, che prescinde dalle politiche, da questa o quella riforma, dal grande respiro. Qui il merito c’entra poco, se funzionano più due o tre mandati, come questo intreccia la discussione sulla riforma complessiva delle istituzioni. C’entra la tattica per l’obiettivo. Che per quel che ha in testa Giorgia Meloni, è da manuale, il che spiega tanta determinazione: crea le condizioni per una sua espansione a Nord ai danni dell’alleato di cui mina la leadership e a Sud toglie di mezzo due governatori del Pd che vivono di forza propria, l’altro alleato ne trae un vantaggio perché ad Antonio Tajani non dispiace affatto che scada Giovanni Toti in Liguria, ed è contenta anche Elly Schlein che si libera di Vincenzo De Luca. Se poi, a capo della Lega dovesse arrivare Zaia, la premier potrebbe stappare la bottiglia più pregiata: si libera di un alleato che le fa il controcanto da destra e ingrassa al Sud, perché il governatore del Veneto può essere il leader di una sorta di Csu bavarese, ma sotto il Po ha problemi di accento.
È presumibile che le conseguenze non saranno del tutto indolori, con un po’ di guerriglia sulle riforme e col consueto controcanto quotidiano, arte in cui Salvini eccelle, dagli agricoltori a Putin ai balneari. Nel rapporto costi benefici è sostenibile finché la forza resta immutata o cresce, se però una mano di poker di va male chiedere “piatto” a quella successiva diventa più complicato.
(da Huffingtonpost)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
MA C’È ANCHE UN 4% CHE HA SUBÌTO RICATTI E UN 1% VITTIMA DI VIOLENZA SESSUALE… POI VOTANO PER UCCIDERE GLI ORSI INVECE CHE PENSARE AD ANDARE DA UNO PSICHIATRA
La maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici, in Trentino, ha subìto almeno una volta nella vita molestie sul luogo di lavoro. Sono soprattutto le donne ad essere coinvolte da questo problema. È quanto emerge da una ricerca qualitativa e quantitativa condotta da We.Be.Wo Lab e dal Centro studi interdisciplinari di genere (Csg) dell’Università di Trento, e promossa dalla Cgil del Trentino tra i propri iscritti e le proprie iscritte.
L’analisi è stata condotta su un campione di 3.025 persone (65% di donne). Le forme di molestia più segnalate sono quelle che riguardano il linguaggio sessista (56,1%). Seguono i comportamenti discriminatori (40,9%), le attenzioni sessuali indesiderate (35,9%), le forme di molestia coercitiva o ricattatoria (4%) e la violenza sessuale (1%). Dai dati emerge anche una ridotta consapevolezza del problema e una difficoltà di segnalazione delle molestie.
Sono soprattutto le donne giovani a subire molestie e a ricevere attenzioni sessuali indesiderate, che coinvolgono ugualmente persone italiane e straniere (anche se queste ultime sono più esposte alle forme ricattatorie). La probabilità di subire certi atteggiamenti aumenta al crescere del titolo di studio e in assenza di un legame sentimentale. Le molestie sono diffuse in tutti i settori, con picchi dove c’è una maggiore presenza maschile tra i lavoratori.
Quando si parla del settore dei servizi, la diffusione delle molestie si concentra nei settori dell’arte e dello sport, della comunicazione e dell’informazione. Per la maggior parte delle persone che hanno subito una molestia (73%), il comportamento sgradito si è ripetuto almeno alcune volte. Nell’86% dei casi, i molestanti sono uomini (nel 59% dei casi un collega di pari livello, nel 32% un superiore).
(da agenzie)
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