Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
I POLITICI CHE AVREBBERO RICEVUTO SOLDI ATTRAVERSO IL SITO “VOICE OF EUROPE” APPARTERREBERO AL GRUPPO EUROPEO DI IDENDITÀ & DEMOCRAZIA, QUELLO DELLA LEGA. MA LA PAURA SERPEGGIA ANCHE DENTRO ECR, IL PARTITO CONSERVATORE GUIDATO DA GIORGIA MELONI…TUTTI I NOMI CHE CIRCOLANO
Il Parlamento europeo rischia di essere investito da un altro Qatargate. Con un altro nome, “Moscagate”, e con protagonisti diversi. Tutti, o quasi, provenienti dall’estrema destra d’Europa. Lo scandalo degli eurodeputati pagati dal Cremlino attraverso il sito ceco “Voice of Europe” sta, infatti, muovendo un passo dentro il Palazzo dell’Eurocamera.
La “Dg Safe”, la Direzione che si occupa della sicurezza negli edifici parlamentari, ha infatti chiesto alle autorità del Belgio di avere i nomi di tutti gli eletti coinvolti nell’inchiesta. Del resto è stato il premier belga De Croo a denunciare l’azione di disinformazione antieuropea e di corruzione attivata dalla Russia.
L’obiettivo è in primo luogo quello di evitare incidenti. Ma c’è un altro aspetto che inizia a prendere corpo al piano più alto, quello della presidente Roberta Metsola. L’avvio di un’indagine interna. L’ufficio di presidenza potrebbe essere convocato prima del 22 aprile – prima cioè dell’ultima sessione plenaria che si riunirà a Strasburgo – per ufficializzare questa decisione. Nel frattempo iniziano a circolare sempre un numero maggiore di indiscrezioni sui soggetti coinvolti.
I deputati che avrebbero ricevuto soldi da “Voice of Europe” per fare propaganda filorussa e antieuropea sono stati eletti – secondo le prime informazioni – in sei Paesi: Olanda, Belgio, Germania, Francia, Ungheria e Polonia. Ma di chi si tratta?
L’attenzione ricade, appunto, sui soggetti politici di estrema destra e che farebbero riferimento al Gruppo europeo di Idendità&Democrazia, quello cui è iscritta anche la Lega di Salvini. E la paura serpeggia anche dentro Ecr, il partito conservatore guidato a da Giorgia Meloni.
In particolare i sospetti ricadono sull’olandese Juiste Antwoord (Risposta corretta), nato da una costola del Forum per la Democrazia (FvD) guidato da Thierry Henri Philippe Baudet.
Per la Germania i dubbi si concentrano sull’Afd, il partito di matrice neonazista che sta effettivamente riscuotendo molti consensi.
Quanto all’Ungheria, il partito più vicino alle posizioni filo-Putin è Fidesz. Quello che esprime il primo ministro, Viktor Orban, che da anni non nasconde il suo rapporto con il Cremlino
In Belgio i riflettori stanno illuminando l’attività della “Nuova Alleanza Fiamminga”: un partito politico populista di destra che rivendica l’indipendenza delle Fiandre. Nato dalle ceneri del “Vlaams Blok” (Blocco Fiammingo), che si era autosciolto in seguito ad una condanna per violazione della legge sul razzismo e la xenofobia.
A Varsavia, invece, i sospetti riguardano il partito “Polonia Sovrana”.
Poi c’è la Francia. In questo caso lo sguardo si rivolge verso il Front national di Marine Le Pen, ma anche sul Reconquete di Eric Zemmour. Se venisse confermato il coinvolgimento dell’eurodeputato “zemmouriano”, si aprirebbe anche un dossier sull’Ecr, il gruppo cui è iscritto anche Fratelli d’Italia. “Reconquete” da pochi mesi ha infatti aderito all’Ecr. Tra i Conservatori inizia a montare un certo allarme.
Se venisse comprovato il coinvolgimento di Zemmour e dell’ungherese Fidesz, che dovrebbe aderire all’Ecr dopo le elezioni eruropee di giugno, a quel punto i Conservatori entrerebbero inevitabilmente nella lista nera dei filorussi.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
LEI SGOMITA, E DOPO LA DELUSIONE PER REGIONALI E POLITICHE, POTREBBE GETTARE IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO E ABBRACCIARE LA CAUSA DI ALESSANDRO DI BATTISTA
C’è stato un momento in cui Virginia Raggi ha creduto che fosse davvero possibile. Lasciare il Campidoglio per sognare in grande. C’è stata una fase in cui la traiettoria politica dell’ex prima cittadina grillina sembrava destinata a incrociarsi di nuovo con quella del Movimento 5 Stelle. Poi le occasioni sono sfumate. Maledicendo il limite del secondo mandato, Raggi ha mancato l’appuntamento con le Regionali e le Politiche. E ora quello con le Europee.
No, Virginia no. Così ha deciso Giuseppe Conte, che non ha voluto sentire storie. E ha fatto una scelta precisa, ponderata. A chi gli ripeteva che l’uscita dal Campidoglio dell’ex sindaca avrebbe favorito un accordo tutto capitolino tra i 5S e il Pd del ministro dell’Economia del governo giallorosso, Roberto Gualtieri, ha opposto un secco “no”.
Il regolamento del Movimento per le candidature a Bruxelles ha fatto il resto: Raggi è consigliera comunale, potrebbe correre. Ma i bizantinismi pentastellati le ricordano che è al terzo mandato. Troppi. E, pure se la diretta interessata volesse dare un’interpretazione diversa alle regole, si ritroverebbe nell’imbarazzante situazione di doversi autogiudicare: Raggi è uno dei tre membri di garanzia del M5S con Roberto Fico e Laura Bottici.
Insomma, l’impresa va rimandata ancora una volta. Per l’infelicità di tutti. Tutti scontenti, perché Conte non ha voluto sentire ragioni: meglio così che trovarsi un’europarlamentare pericolosa.
«Virginia ha 200 mila voti e un milione di follower», ripetono i 5S. Numeri che, più che scaldare l’ex premier, devono avergli confermato che lanciare la scalata di Raggi al Movimento concedendole uno scranno in Europa sarebbe stato un autogol.
E dire che i due si conoscono da una vita, da quando lei era una matricola alla Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre e lui, da assistente, la teneva a battesimo al primo esame di Diritto privato.
Destini incrociati, oggi finiti su binari paralleli. I due si guardano a distanza. Studiano le rispettive mosse. Parte del Movimento crede che dopo la terza delusione Raggi possa abbracciare la causa di Alessandro Di Battista, che più di una volta si è speso pubblicamente per l’ex sindaca. Altri che Raggi incasserà anche questo colpo con il sorriso (di circostanza) di chi ha appena perso l’ultimo volo per Bruxelles.
(da La Repubblica)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
IL SEDICENTE CAPO DELLA CHIESA ORTODOSSA RUSSA SEMPRE AL SERVIZIO DI PUTIN
Il capo della Chiesa ortodossa russa, il Patriarca Kirill, ha intensificato la retorica del Cremlino sulla guerra in Ucraina e l’ha definita una “guerra santa” esistenziale e di civiltà.
Si tratta di una svolta per le autorità russe che finora hanno accuratamente evitato di inquadrare ufficialmente l’invasione russa dell’Ucraina come una guerra, parlando di ‘operazione speciale’.
In un nuovo documento ideologico e politico, Kirill – riporta il Guardian – ha definito l'”operazione militare speciale” di Putin una guerra santa (Svyashennaya Voyna) e una nuova fase nella lotta del popolo russo per la “liberazione nazionale… nella Russia sud-occidentale”, riferendosi all’Ucraina orientale e sudorientale.
Kirill ha sostenuto che la guerra in Ucraina è una guerra santa perché Mosca difende la “Santa Russia” e il mondo dall’assalto del globalismo e dalla vittoria dell’Occidente “caduto nel satanismo”.
Il patriarca ha affermato che la guerra in Ucraina si concluderà con la Russia che acquisirà l’influenza esclusiva su tutto il territorio della moderna Ucraina e con l’esclusione di qualsiasi governo ucraino che il Cremlino ritenga ostile alla Russia.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
NON C’E’ ANCORA UFFICIALITA’, IPOTESI CANDIDATURA IN SINISTRA ITALIANA-VERDI
Ambientalismo, rigenerazione urbana e sociale, sanità pubblica e diritti civili, pace in Ucraina e via libera in Palestina alla soluzione di due stati e due popoli, con l’Ue a fare da garante: il nome di Marino spariglia le carte a Roma e mette pressione al Pd capitolino.
Non c’è ancora l’ufficialità, anzi da Sinistra Italiana e da Europa Verde non confermano. Ma neanche smentiscono: il segretario regionale di Sinistra Italiana Danilo Cosentino chiede discrezione, bocche cucite dal portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli.
La paura di bruciare tutto è forte e i giochi non sono ancora fatti. Ma la voce gira con insistenza anche fra i circoli del Pd capitolino che adesso teme di dover affrontare la sua nemesi: il ritorno del “grande incompiuto”, l’ex sindaco di Roma.
Del resto alle prossime elezioni europee in programma sabato 8 e domenica 9 giugno la sinistra punta sui sindaci. Il nome di Marino andrebbe a fare il paio con la candidatura ormai certa nel sud Italia di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace e cavallo di razza dell’alleanza del cocomero, verde fuori e rosso dentro.
«Le nostre candidature avranno come punto di riferimento la pace e il bisogno di portare in Europa un punto di vista diverso da quello attuale, più vicino ai reali bisogni delle persone ma senza sfociare nel populismo e nel vento di destra che purtroppo sta prendendo quota in tutti i paesi», spiega Danilo Cosentino segretario regionale di Sinistra Italiana.
L’identikit tracciato corrisponde perfettamente all’ex sindaco di Roma, figura di sintesi per le anime della sinistra deluse dalla linea di Elly Schlein e per ambientalisti e radicali delusi dall’accordo della Bonino con Renzi. Fratoianni, Bonelli e persino l’ex caudillo della sinistra romana, Massimiliano Smeriglio, sanno bene che Marino fa da collante a queste anime della sinistra e dell’ambientalismo, a cominciare da temi delicati per Roma come il termovalorizzatore, l’urbanistica e la gestione delle spiagge. Infine con l’ex sindaco la sinistra acquisterebbe peso rispetto al Pd di Gualtieri: al momento l’Alleanza del cocomero vanta un unico assessore fra i Municipi, Guglielmo Calcerano che gestisce i Lavori Pubblici a Ostia e sul litorale.
Il nome di Ignazio Marino fa gola in questa tornata elettorale. Un paio di mesi fa Michele Santoro ha contatto il chirurgo, suo amico personale, per sondare il terreno. Ma a quanto sembra, non se ne fece più nulla.
Ma l’ex sindaco, carattere forte e indomito, ha abituato tutti a colpi di coda improvvisi. Anche per questo le bocche rimangono cucite. Le prossime settimane saranno decisive: a metà aprile Fratoianni, Bonelli e Smeriglio presenteranno le liste. Marino sarebbe al collegio dell’Italia centrale ma deve misurarsi con la concorrenza di Smeriglio, che a Roma può contare sul serbatoio della sinistra radicale come Ostiense, Garbatella e Tor Marancia, guidato dal suo delfino Amedeo Ciaccheri.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
STUDIO MEDIOBANCA: MENO DELL’1% DEL PIL ITALIANO PER GLI ATENEI, SERVONO 9 MILIARDI PER ALLINEARSI ALLA MEDIA DEI PAESI OCSE
Poco “dotata” di fondi pubblici, poco ospitale, con docenti anziani o precari e l’abbandono degli studenti al Sud. Sono i problemi dell’università italiana di sempre, emersi puntualmente in uno studio di Mediobanca dedicato al settore. Ma l’ufficio studi dell’istituto milanese, tra i più rinomati in Italia, punta il dito anche sugli effetti della crisi demografica, che entro il 2041 potrebbero fare “sparire” 415 mila laureati da un Paese che ne ha drammaticamente bisogno, essendo agli ultimi posti in Europa per numero di titoli di studio terziari. Oltre il 21% degli 1,95 milioni di iscritti oggi in Italia. Lo studio analizza i dati al 2022 di 92 atenei (61 statali, 31 privati), e registra un decremento degli iscritti nel pubblico (l’82,2% del totale, dal 91,8% del 2012), il consolidamento degli atenei privati tradizionali (dal 5,7% al 6,3% degli iscritti totali) e il decollo delle università telematiche, frequentate ormai dall’11,5% delle matricole (2,5% nel 2012).
Gli effetti del buco demografico sulle lauree future
La crisi delle culle, si legge ne “Il sistema universitario italiano tra minaccia demografica, sfida tecnologica e competizione territoriale”, si estende rapida ai banchi di scuola: e produrrà nei prossimi 27 anni – ipotizzando un tasso di passaggio costante dalle scuole superiori agli atenei – “un evidente depauperamento della popolazione universitaria”, specie nelle regioni del Sud, dove si attende una flessione media del 27,6% degli iscritti. Solo di rette versate, un ammanco stimato in almeno mezzo miliardo di euro, che contribuirà allo sbilancio anche finanziario dell’istruzione superiore nel Paese. L’Italia, infatti, investe solo l’1% del Pil per la formazione universitaria, contro l’1,3% medio nell’Ue e l’1,5% medio nei Paesi Ocse. Una spesa (pubblica) che copre solo il 61% dei costi di formazione superiore degli italiani (in Europa la media è il 76%), mentre il resto tocca quasi solo alle famiglie (33% della spesa totale, oltre il doppio del 14% medio europeo). Uno scenario che inquieta, e dovrebbe inquietare più gli amministratori pubblici e di governo, essendo sempre più evidenti i vantaggi occupazionali al crescere del titolo di studio, in un mondo produttivo e del lavoro pervaso dalle tecnologie in ogni suo ambito. L’Italia, tra l’altro, è già il penultimo Paese in Europa per popolazione laureata, con un 20% della fascia tra 25 e 64 anni contro una media continentale del 33,3%. Mediobanca stima che servirebbe una spesa aggiuntiva di 5,3 miliardi di euro per raggiungere la media Ue, e 8,8 miliardi per raggiungere la media Ocse.
Il Nord Italia si sta mangiando il Sud
La tendenza allo spopolamento rischia di acuire quello che è un aspetto endemico della formazione superiore: le migrazioni di studenti verso Nord. Osservando le presenze dell’ultimo decennio si nota come gli atenei settentrionali compensano la crisi demografica con l’attrattività internazionale, molto limitata nel caso delle università del Sud, dove solo 2,5 studenti su 100 provengono dall’estero. Una frazione del 3,6% medio di universitari stranieri che studiano in Italia, che è comunque meno della metà di quanti ne ospitano i maggiori Paesi europei. Anche per questo negli atenei del Mezzogiorno c’è stato un calo di iscritti del 16,7%tra il 2012 e il 2022, mentre il Nord Ovest è cresciuto del 17%, il Nord Est del 13%. Un fatto anche logistico, dato che il tempo medio per raggiungere la sede degli studi nel Sud è di oltre 150 minuti, quasi il doppio degli 88 minuti medi in Italia. Ma la “fuga dal Sud”, come la chiama Mediobanca, è anche frutto della modesta ricettività degli studentati, in grado di offrire un letto ogni 9 studenti fuori sede (con picchi negativi di 1:21).
Più corsi Stem e voti più alti, ma pochi docenti e anziani
Nella miriade di dati qualche segno di miglioramento si nota. Il 77% degli iscritti nel 2022 era “in corso”, molti più del 66,6% di 10 anni prima: ma “il tasso di ritardo o di abbandono appare ancora troppo elevato”, si legge nella ricerca, che attesta come a sei anni dall’immatricolazione sia laureato il 63% dei soggetti, con un’età media di 24,4 anni per le triennali e di 27 anni per le magistrali. Anche il voto medio di uscita sta migliorando: due anni fa era 104/110, contro i 102,7/110 del 2012. Aumentano, anche, i corsi dedicati alle discipline scientifiche (acronimo Stem), che riguardano il 35% dei 5.180 insegnamenti totali, davanti al 25,6% del comparto sanitario e agro-veterinario, al 23,9% dei corsi economico-giuridici e al residuo 15,5% di quelli artistico-letterari. Luci e ombre nel corpo docente: sono salite del 6,6% le figure di ruolo nel decennio, ma l’età media è ancora di 50 anni (58,2 anni i professori ordinari) e solo il 41,3% è donna (tra i rettori siamo al 12%, comunque quasi il doppio del 7,5% nel 2012). Soprattutto, l’Italia continua ad avere un rapporto tra studenti e docenti di ruolo del 14,3% più alto rispetto alla media Ue (e del 19% al disopra del riferimento Ocse). C’è un professore ogni 28,5 studenti negli atenei italiani, e si sale a uno su 385 nelle università telematiche. Che, tuttavia, traboccano di iscritti – e di profitti – grazie al modello remoto, in forte ascesa anche perché replicabile.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
ERA IL 1992 E L’OCCASIONE ERA LA FESTA DI LAUREA DI VALERIA VITTIMBERGA, OGGI IN PREDICATO DI DIVENTARE DIRETTORE GENERALE DELL’INPS… ALL’EPOCA, VITTIMBERGA ERA UNA ADERENTE A “FARE FRONTE”: FU ACCOMPAGNATA ALLA DISCUSSIONE DA ALCUNI AMICI DEL MOVIMENTO POLITICO DI ESTREMA DESTRA, TRA CUI IL 20ENNE FAZZOLARI
“Le radici profonde non gelano”, recita una frase del Signore degli Anelli talmente cara a Giorgia Meloni da finire su t-shirt e gadget ufficiali di FdI. Più che un motto, un modo di intendere la politica, visto il legame ultratrentennale che tiene insieme una generazione di militanti cresciuta nei sottoscala delle sedi giovanili del Msi e arrivata fino ai palazzi del potere.
Ne è un esempio la parabola di Valeria Vittimberga, dirigente Inps in predicato di diventare la potentissima direttrice generale dell’ente. Dietro la sua prossima promozione c’è uno sponsor pesante: Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, braccio destro e “ideologo” di Giorgia Meloni, che avrebbe vinto la concorrenza della sorella della premier, Arianna, che a Vittimberga preferirebbe l’attuale dg dell’Inps Lazio, Vincenzo Damato.
Quello tra Fazzolari e Vittimberga è un sodalizio che risale agli anni dell’università, rinsaldato negli spazi del Fronte della Gioventù. Ora, dagli archivi dell’Unità dei primi anni ‘90 riemerge un episodio emblematico che racconta la forza di certi legami.
È il 1992, il 18 marzo: atrio della facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza. Vittimberga sta per laurearsi (per la cronaca, il voto finale, riportato nel suo curriculum, recita 110 e lode) e a festeggiarla ci sono alcuni suoi amici del movimento “Fare fronte”, costola giovanile del Msi.
Mentre lei discute la tesi, racconta l’Unità, scoppia una rissa tra i ragazzi di destra e una ventina di esponenti dell’Autonomia romana, l’ala dura del movimento del 1977
Ad avere la peggio sono i ragazzi di Fare Fronte tra i quali il giornale del Pds annovera Giovanbattista Fazzolari, 20 anni, iscritto a Economia e commercio, Peppino Mariano, 24 anni, Roberto Mele, 22 anni.
Il primo è diventato l’ombra di Meloni, il secondo — avvocato — è stato nominato da questo governo nella commissione di garanzia per gli scioperi. Il terzo è dirigente e tesoriere di FdI: «Pochi lo conoscono, molti gli devono qualcosa», scriveva di lui Meloni nella sua autobiografia. La quarta, quella che discute la tesi, entro fine maggio dovrebbe arrivare a guidare la delicata macchina dell’Inps.
La sua “scorta”, quel pomeriggio del 1992, finisce nel vicino Policlinico Umberto I con contusioni varie.
A Fazzolari le botte costano la frattura di un dito della mano sinistra. Gli autonomi «erano armati ci hanno aggredito senza nemmeno insultarci».
Opposta la versione dei coetanei di sinistra: «Quindici militanti sono stati aggrediti dagli studenti del movimento politico “Fare fronte” mentre stavano distribuendo volantini in vista di una assemblea in programma nella facoltà di Lettere».
Trent’anni dopo, gli argomenti di FdI sul clima che si respira negli atenei non sono cambiati granché. Quel gruppo di studenti sulle scale di Giurisprudenza, invece, oggi gestisce potere e impone nomine
(da La Repubblica)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
COSA STA ACCADENDO E QUALI SONO I RISCHI
Già da alcuni giorni in diverse zone del sud Italia i cittadini hanno notato – e condiviso in foto sui social – il cielo giallastro e una fitta cappa di pulviscolo. Ora lo stesso tipo di fenomeno si sta spostando rapidamente verso il continente europeo, e ad essere interessate sono quindi anche diverse aree del nord Italia (oltre che della Francia meridionale e della Svizzera).
La causa del cambiamento di colore, e in alcuni casi di «spessore», dell’aria è ormai ben nota: si tratta dell’arrivo verso l’Europa di sabbia proveniente dal deserto del Sahara, trasportata verso nord dai venti di scirocco.
In Piemonte si è osservato nelle scorse ore un curioso ingiallimento anche delle nevi su alcuni tratti dell’arco alpino. In città le polveri desertiche, specie se mescolate ad acqua piovana come accade in queste ore, si posano tipicamente invece sulle auto, o ancora sui panni stesi all’aperto, e l’effetto ottico (e materico) risulta evidente. Secondo gli esperti il fenomeno dura tipicamente una manciata di giorni e non provoca di norma danni particolari. In soggetti che già soffrono di disturbi del genere, le polveri sabbiose possono però causare o acuire problemi respiratori come asma, bronchiti, riniti allergiche o silicosi. Per il resto, ci si può armare di un po’ di pazienza, e magari di una buona macchina fotografica per immortalare le «strane» scene cui potremmo trovarci di fronte.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
L’INGRESSO-BEFFA DEI DUE PAESI DELL’AREA SCHENGEN
Dal 31 marzo i due Stati membri entrano finalmente nello spazio «passport-free». Ma non via terra: l’Austria ha messo il veto
Ci sono voluti diciassette anni di «purgatorio», ma l’attesa è finita: dalla mezzanotte di domenica 31 marzo anche Romania e Bulgaria entrano a far parte dell’area Schengen, quella all’interno della quale si può viaggiare senza dover esibire il passaporto alla frontiera.
Con tante scuse per il ritardo, considerato che i due Paesi dell’area ex Urss sono entrati a far parte dell’Unione europea il 1° gennaio del 2007. Abbattere le frontiere con Romania e Bulgaria è rimasto però per anni un tabù per molti Paesi dell’Europa occidentali, spaventati dal possibile afflusso fuori controllo di cittadini «indesiderati» – fossero migranti irregolari, sospetti delinquenti o semplicemente lavoratori a basso costo.
Ci sono voluti così lunghi anni in più rispetto a tutti gli altri Paesi post-sovietici, tutti integrati nello spazio Schengen tra il 2007 e il 2008. E l’attesa, anzi, non è affatto del tutto finito. Perché ad essere infine sollevata dal 31 marzo sarà l’eccezione che riguardava le frontiere aeree e marittime (queste ultime irrilevanti) con gli altri Paesi Ue. Ai confini terrestri, invece – quelli più rilevanti con ogni evidenza – resteranno ancora in vigore i controlli.
Così ha voluto in particolare l’Austria, che lo scorso gennaio ha posto ancora una volta il veto all’abbandono di ogni vincolo. Il timore di Vienna è che l’apertura dei confini terrestri provochi un afflusso di richiedenti asilo non controllabile da quei due Paesi. «Vogliamo che la Bulgaria e la Romania entrino nell’area Schengen. Ma questo non è ancora possibile perché le frontiere esterne dell’Ue non sono ancora protette correttamente», aveva ribadito nell’occasione a Euronews Lukas Mandl, un eurodeputato del Partito popolare austriaco (Övp) che governa a Vienna.
La spinta della Commissione
L’Austria ha promesso di impegnarsi a proseguire i negoziati per abbattere anche l’ultimo, cruciale scoglio. E la Commissione europea nasconde a fatica l’irritazione. «La Bulgaria e la Romania hanno dimostrato stabilmente un alto livello d’impegno nell’assicurare l’adeguata protezione dei confini esterni dell’Ue, e hanno costantemente contributo alla sicurezza interna dell’area Schengen», ha sottolineato oggi l’esecutivo di Bruxelles nell’accogliere «con grande soddisfazione» il traguardo alle porte. «Ora spetta al Consiglio (cioè agli Stati membri, ndr) prendere una decisione per stabilire la data in cui eliminare i controlli ai confini interni tra Bulgaria e Romania e gli altri Paesi Schengen», ricorda la Commissione auspicando esplicitamente che si arrivi a destinazione entro il 2024. Ma a questo punto pare scontato che una decisione in proposito arriverà, se arriverà, nel nuovo ciclo politico-legislativo che si aprirà dopo le elezioni europee del prossimo giugno. Meglio non rischiare di irritare troppo gli elettori a poche settimane dal voto: a Vienna e non solo.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
COME TUTTI GLI ARBITRI, FISCHIA I FALLI QUANDO LI VEDE. SE CAPITA SEMPRE PIÙ SPESSO LA RISPOSTA NON VA CERCATA AL QUIRINALE. I TEMPI NON LI DETTA IL PRESIDENTE, LI DÀ LA POLITICA
Sergio Mattarella ci sta facendo capire a cosa serve un garante e perché rinunciarvi sarebbe un peccato. Ce lo spiega con una quantità di esempi concreti che derivano direttamente dalle cronache, e come tali pretendono la nostra attenzione. L’ultimo caso è quello di Ilaria Salis, con la telefonata di ieri al papà Roberto sconfortato dall’inerzia ai piani alti e altissimi dove, forse, si teme di scatenare una rissa sovranista con l’Ungheria di Viktor Orbán.
Il presidente ha promesso che si darà da fare e questo suo impegno già suona come una sveglia, un sollecito a chi dovrebbe alzare la voce in difesa di una nostra connazionale messa al guinzaglio come un animale
Altro intervento di queste ore: il sostegno alla vice-preside di Pioltello che si sentiva nel mirino dopo la vacanza concessa agli studenti musulmani in occasione del Ramadan. Lei gli ha scritto, lui le ha risposto senza perdere tempo, esortando tutti a non esasperare il clima di convivenza e qualcuno, nella Lega in particolare, l’ha presa male.
Prima ancora, le parole di incoraggiamento alla ragazza straniera trattata come se l’Italia non fosse anche casa sua; chi lo sostiene «dice sciocchezze» era stata la risposta del presidente. Due settimane fa il rimbrotto severo sulle carceri. E sempre procedendo a ritroso, le manganellate a Pisa con le parole di biasimo del presidente perché non è così che vanno trattati i ragazzi o si gestiscono le proteste in un Paese libero come il nostro. Giorgia Meloni se n’è dispiaciuta, salvo poi correggersi perché entrare in urto col Colle quasi mai conviene a chi governa. Ma la lista degli interventi, già lunga, non finisce qui.
Ultimamente Mattarella ha difeso l’informazione libera e pluralista; ha segnalato i rischi del «pensiero unico». Si è speso per la prevenzione degli incidenti sul lavoro.
Ha alzato la voce contro i femminicidi. Per celebrare il Primo Maggio, visiterà quest’anno un distretto agricolo dove non si pratica il caporalato, altra piaga.
E queste sue denunce suscitano sentimenti misti, nervosismi compresi. Danno corso all’equivoco che una certa pubblicistica alimenta presentando Mattarella come se fosse il leader della sinistra sconfitta nelle urne, il contraltare del governo democraticamente scelto dagli elettori. Tesi che non sta in piedi però.
Il Quirinale non rema contro nessuno, destra compresa. Ha dato sempre via libera sui disegni di legge (compresi i più controversi come quello, ultimo, sui test alle toghe) e disco verde su tutti i decreti, nessuno escluso, limitandosi a qualche raro rilievo. Altro che remare contro o mettere i bastoni tra le ruote.
Massima è stata la collaborazione istituzionale. Né sono mancati pubblici interventi graditi alla maggioranza o in difesa della stessa premier quando il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, l’aveva definita «stracciarola» e nei cortei studenteschi Meloni veniva bruciata in effige. Sull’antifascismo Mattarella tocca nervi scoperti e il prossimo 25 aprile sarà a Civitella Val di Chiana per commemorare una delle stragi naziste più dolorose.
Pure sulle Foibe però ha detto parole chiare, di chiara condanna delle stragi titine.
Così sui bombardamenti alleati a Cassino […]. Si coglie lo sforzo, perennemente incompiuto, di costruire una storia condivisa.
Ma allora, se Mattarella non è il capo dell’opposizione, se rifiuta di farsi tirare per la giacca, se non è di parte né vuole sembrare tale, come mai interviene sempre più spesso, con una cadenza ormai quotidiana?
La risposta che si riceve sul Colle suona perfino ovvia, banale: il presidente fa il suo mestiere, appunto. Applica la Costituzione col giusto rigore. Ne difende i valori, né più né meno. Come tutti gli arbitri, fischia i falli quando li vede; interviene se si va oltre il lecito o sarebbe impossibile far finta di niente. Se capita sempre più spesso la riposta non va cercata al Quirinale. I tempi non li detta il presidente, li dà la politica. Né dipende di lui se viene considerato il tribunale supremo, l’ultima spiaggia, l’estrema risorsa di un’Italia che altrove non trova più udienza.
(da agenzie)
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