Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
ARRIVA IL PERMESSO SPECIALE, FIRMATO DA GIOVANNI DONZELLI, CHE PERMETTERÀ AI 43MILA PATRIOTI ROMANI DI CIRCOLARE IN AUTO DURANTE LA DOMENICA ECOLOGICA… MA PRENDETE UN MEZZO PUBBLICO COME I COMUNI MORTALI, ALTRO CHE DEROGA DA CASTA DI FIGHETTI
Patrioti a congresso in auto, anche se è la domenica ecologica. Fratelli d’Italia si autofirma la deroga per il congresso cittadino. Si terrà all’Eur il 23 e 24 marzo. Bene, è la democrazia. Solo che quella domenica a Roma è una domenica ecologica. Quindi non si può circolare in auto se non nelle fasce orarie prestabilite, che sono a onor del vero sufficientemente ampie, dalle 7 e 30 alle 12 e 30 e dalle 16 e 30 alle 20 e 30.
Ma a Fratelli d’Italia non bastano. Così il commissario cittadino del partito Giovanni Donzelli firma una deroga per tutti i 43mila tesserati del partito romano. “Se non ce la fate, prendete pure l’auto. Vi autorizzo io”, è il senso della missiva.
Il Congresso di Roma inizia alle ore 9 e 30 al Palazzo dei Congressi in Piazza John Kennedy. Donzelli in prima battuta suggerisce agli iscritti “se possibile” di recarsi nel luogo del Congresso nelle fasce orarie senza limitazione, “ai fini di diminuire le emissioni di inquinanti atmosferici”.
Ma poi aggiunge che “chi dovesse spostarsi fuori dalle fasce orarie suggerite, potrà stampare e se necessario esibire alle autorità” la documentazione che lui mette a disposizione di ognuno dei 43mila iscritti.
Ecco la deroga made in Fdi alla domenica ecologica, in possesso di Huffpost: “Con la presente si attesta che l’autovettura è utilizzata per accompagnare, sia in andata che in ritorno, i tesserati di Fratelli d’Italia per partecipare al congresso romano in programma sabato 23 marzo e domenica 24 marzo 2024, dalle ore 9.30, presso il Palazzo dei Congressi in Piazza John Kennedy, 1 Roma”. Firmato: il commissario cittadino Giovanni Donzelli.
La domanda sorta spontanea è: ma usare i mezzi pubblici, come il resto dei 3 milioni e 770mila romani? Donzelli non è neppure sfiorato dal dubbio. Ma a parte questo, ci sono diverse questioni relative alla deroga. La prima: per disposizione di Roma Capitale, la deroga deve recare il numero di targa del veicolo. Ma soprattutto la deroga deve essere motivata secondo una delle casistiche previste dagli assessorati alla mobilità e all’ambiente. Tolti i casi di forza maggiore (persone con disabilità, personale sanitario, operatori di pronto intervento, sacerdoti…) gli eventi a carattere pubblico di solito non sono un motivo per ottenere un lasciapassare.
Dal Campidoglio spiegano che sì, la deroga l’hanno concessa loro. Anche se i patti non erano questi. Dopo aver provato a far spostare il congresso di Fdi – senza riuscirci – e dopo aver loro stessi resistito alle pressioni di Fdi per spostare la domenica ecologica, gli uomini del sindaco Gualtieri hanno detto sì a Donzelli ma a patto che lui avvertisse i tesserati di Fdi “che dovevano concentrare le votazioni al congresso preferibilmente nella giornata di sabato, oppure di domenica solo nelle fasce consentite”.
In questo modo si sarebbe diluito l’afflusso domenicale al palazzo dei Congressi. Invece Donzelli si è limitato a fare un po’ di moral suasion (‘se possibile’) solo per le fasce consentite. Per il resto ha dato una deroga urbi et orbi.
(da Huffingtonpost)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
A QUEL PUNTO TUTTO PUO’ SUCCEDERE: ANCHE CHE A SALVINI PARTA L’EMBOLO DI UN PAPEETE2 SFANCULANDO IL GOVERNO MELONI
Trattenete il respiro. Governate lo shock. Avvisate i cittadini abruzzesi che il 10 marzo si recheranno ai seggi per eleggere il nuovo presidente della Regione. Secondo l’ultimo sondaggio realizzato da Winpoll, il distacco percentuale che separa il candidato del centrodestra Marco Marsilio dal quello del centrosinistra Luciano D’Amico si è ridotto alla miseria dell’1,2 per cento. Per la precisione: il Melone d’Abruzzo ottiene il 50,6% delle preferenze mentre D’Amico lo tallona col 49,4%.
Il ciclone sardo avanza e sta davvero scombussolando la scena politica italiana. Appena quattro mesi fa un sondaggio registrava un vantaggio di ben 20 punti del politico che la Ducetta ha paracadutato in Abruzzo, pur essendo nato e cresciuto a Roma, dove continua a vivere e a lavorare (in smartworking con L’Aquila).
Quando poi si è formato un campo larghissimo – oltre al Pd e M5S anche Azione e Italia Morta – con la scelta di un candidato inclusivo come D’Amico, rettore dell’Università di Teramo, i 20 punti di sutura si sono ridotti a 15.
All’indomani del successo della grillina Todde sul camerata Trux Truzzo – una ipotesi inimmaginabile fino al 18 marzo quando Dagospia ha spifferato un sondaggio riservatissimo – la forchetta tra i due candidati si è accorciata a 4,5%.
Ora il colpo di scena: il vento della Sardegna ha spinto ancora più avanti il candidato del centrosinistra allargato: come abbiamo visto, la percentuale che divide l’”abusivo d’Abruzzo’’, e il suo competitor è fragilissima: 1,2%.
Insomma, tutto può succedere. E se per caso anche in Abruzzo andasse storto per il governo Ducioni, è ovvio che le farmacie intorno a Palazzo Chigi resterebbero senza un flacone di Xanax e Tavor. Se per la tenuta dei fragili otoliti della “Nana bionda” c’è il pronto intervento dei “badanti di Palazzo Chigi”, Scurti e Fazzolari, per contenere il friabile equilibrio mentale dell’attuale Matteo Salvini non si vede nessuno Basaglia in giro.
Anche perché è impensabile che la Lega ottenga il prossimo 10 marzo un risultato che possa avvicinarsi a quello delle Regionali abruzzesi del 2019, quando il Capitone trionfò portandosi a casa il 27,53% (165.008 voti). Solo cinque anni fa, pensate, Fratelli d’Italia con il 6,49% fu sorpassata da Forza Italia che toccò il 9,05.
In caso di disfatta abruzzese, per l’agitato fidanzato di Francesca Verdini, con una Ducetta ribastonata, paradossalmente potrebbe essere l’occasione di aver maggior potere nel governo. Prossimamente ci sono in ballo le nomine ai vertici di Ferrovie e Cdp, nonché la sostituzione di Mario Parente alla guida dei Servizi interni (Aisi). E a tale riguardo le opinioni di Salvini e Meloni sono diversissime.
Se invece “Io so’ Giorgia” vince con il suo Marsilio, con una Lega ridotta ai minimi termini, per il Capitone si avvicina davvero il capolinea. Il Carroccio, con la storia del terzo mandato, è già salito sulle barricate. La prossima scoppola arriverà sicuramente con il voto del 9 giugno: anche con il generalissimo Vannacci capolista, dai 28 eurodeputati Salvini si dovrà accontentare, se va bene, di 5 o 6. Marzo Zanni, presidente leghista del gruppo europeo Identità e Democrazia (quella con Le Pen e Afd), ha annunciato che non si candida perché non ha la forza di raccattare preferenze. Questa è l’aria che tira.
Se poi a Salvini, per salvare i cocci della sua leadership a pezzi, stanco di essere umiliato dalla manganelli di Palazzo Chigi, partisse l’embolo di un Papeete2, togliendo l’appoggio al governo Meloni, sorge spontanea la domanda: quanti parlamentari leghisti lo seguirebbero, sapendo che in caso di voto anticipato quello scranno non lo vedrebbero più? Ma con un Capitone sopra le righe, si sa, tutto può succedere…
(da Dagoreport)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
IL PIANO B DEL LEADER DELLA LEGA: “SE NON PASSA IL TERZO MANDATO PER I GOVERNATORI, IL CENTRODESTRA DOVRÀ PUNTARE SU UN LEGHISTA”… MA ZAIA E I SUOI FEDELISSIMI NON ARRETRANO: “SE A ROMA NON CI CONCEDONO IL TERZO MANDATO SIAMO PRONTI A QUALUNQUE CORSA”… ANCHE LA DUCETTA NON È BEN DISPOSTA: VUOLE PRENDERSI LA RICCA REGIONE CON IL TRUZZU VENETO, LUCA DE CARLO
Dalla regola del governatore uscente a quella del partito uscente. Zaia non può ricandidarsi perché il limite di due mandati non si tocca? Al suo posto la coalizione dovrà comunque puntare su un leghista.
Il piano B della Lega per tenersi stretto il Veneto è stato presentato al tavolo del centrodestra mercoledì sera, durante le trattative finali sui candidati per Basilicata, Umbria e Piemonte. La proposta, formalizzata mentre Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si leccavano le ferite della sconfitta sarda, eviterebbe di arrivare a uno scontro frontale al Senato sul terzo mandato. Che non sarebbe certo un bel segnale di unità.
Eppure, ad oggi, una spaccatura è ancora molto concreta: il Carroccio insiste nel voler presentare in Aula durante l’imminente voto sulla conversione del decreto legge sull’Election Day l’emendamento sul terzo mandato per i governatori già bocciato in commissione Affari costituzionali, Fratelli d’Italia e Forza Italia ribadiscono la loro contrarietà.
Senza contare che Giorgia Meloni potrebbe disinnescare la situazione mettendo la fiducia sul provvedimento, facendo decadere automaticamente tutti gli emendamenti e dando ancora più forza al suo no.
Il piano B della Lega nasce in questo scenario e consentirebbe a Matteo Salvini di potersi presentare davanti ai “lighisti veneti”, più in subbuglio che mai, con qualcosa in mano. Del resto Alberto Villanova, capogruppo del Carroccio al consiglio regionale Veneto, e fedelissimo del governatore Luca Zaia, non si sposta di un millimetro. «Dalla linea del Piave non si può arretrare – dice –. I veneti devono avere la possibilità di decidere liberamente da chi farsi governare anche per il prossimo mandato. Se a Roma decideranno di non concederci questa libertà siamo pronti a qualunque corsa».
Che Meloni accetti di discutere la proposta di Salvini, però, sembra molto complicato. Sia perché la regola del partito uscente rischia di congelare lo status quo non solo in Veneto, ma nel lungo periodo ad esempio anche in Lombardia, sia perché la premier deve tenere conto anche delle richieste «dal basso» del suo partito. Che spera di crescere ancora e, ovviamente, di contare di più. Lo ha ribadito ieri, intercettato nella sala Garibaldi del Senato, Luca De Carlo.
È presidente della Commissione agricoltura di Fratelli d’Italia, ma parla nelle vesti di aspirante successore di Luca Zaia: «Credo che la Lega andrà avanti sul terzo mandato fino alle Europee – dice con una certa rassegnazione – ma noi abbiamo deciso». I
l Carroccio insiste: «Il candidato lo scegliamo qui» e De Carlo risponde: «Anche Zaia a suo tempo fu scelto, come successore di Galan, con un accordo romano, quindi non mi sembra un argomento valido». Il senatore bellunese fissa anche una soglia per le Europee: «Prenderemo il 30%, come alle politiche».
In ogni caso non sono solo il Veneto, Luca Zaia e il terzo mandato a impensierire via Bellerio. Il risultato sardo, con la «Lega per Salvini premier» passata in cinque anni dall’11,4% del 2019 al 3,8% di domenica scorsa, avrebbe fatto cambiare idea a Matteo Salvini anche su un altro progetto: un congresso federale blitzkrieg, pensato per rinsaldare la sua leadership prima delle Europee. Una sorta di assicurazione preventiva, qualora i risultati del 9 giugno segnassero un nuovo arretramento nei consensi.
La suggestione, fra quadri e militanti, circola da qualche tempo, come circola anche la voce che Roberto Calderoli abbia cercato di dissuadere fin dall’inizio i più stretti collaboratori di Salvini.
La Sardegna lo avrebbe aiutato in questa moral suasion. La questione tra l’altro, oltre che politica, sarebbe anche tecnica. Prima di procedere con un congresso nazionale, infatti, il Carroccio dovrebbe innanzitutto portare a termine il processo dei congressi regionali celebrando quello lombardo. Congresso in stand-by da mesi. Anche perché in campo ci sarebbero due nomi di peso: quello dell’attuale commissario Fabrizio Cecchetti, fedelissimo di Salvini, e quello di Massimiliano Romeo, capogruppo del partito al Senato.
A detta di molti, però, nelle prossime settimane anche su questo fronte si starebbe valutando un’accelerata. C’è chi è convinto, ad esempio, che l’assemblea potrebbe essere convocata già ad aprile.
(da La Stampa)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
IN ASSENZA DI TERZO MANDATO, LA LIGA VENETA POTREBBE CORRERE DA SOLA CON UN FEDELISSIMO DEL “DOGE”. CHE UFFICIALMENTE NON SI ESPONE, MA SENTE REGOLARMENTE UMBERTO BOSSI
A Gemonio, dove vive Umberto Bossi, campanello e telefono del Senatur suonano con una certa insistenza. Il tonfo leghista in Sardegna e le difficoltà di governo hanno risvegliato la rivolta del Nord contro Matteo Salvini, al punto che in molti si sono riuniti di nuovo intorno al Capo, vuoi per qualche consiglio vuoi per avviare un nuovo progetto, stavolta (si spera) con miglior fortuna rispetto al Comitato Nord.
Il vicepremier, tra mille fuochi, cerca compromessi: se FDI lascerà il Veneto alla Lega anche per il dopo-zaia, Salvini si è detto disposto a “mollare” la guerriglia sul terzo mandato. Proposta, però, bocciata dalla premier.
Quello veneto è il fronte più caldo per la Lega. Non solo perché la presidente del Consiglio non è intenzionata a concedere il terzo mandato a Luca Zaia, ma anche perché FDI ha fatto sapere di volersi prendere il Veneto nel 2025, che significa colpire il cuore della Lega. Salvini ha chiesto a Zaia di correre alle elezioni europee per trainare la lista della Lega, ma lui non sembra intenzionato. Vuole rimanere presidente della Regione fino al 2025 e poi si vedrà.
Nel frattempo tra Treviso e Venezia la Liga Veneta si organizza: negli ultimi giorni i vertici del partito locale avrebbero chiesto a Zaia la disponibilità di far correre un suo fedelissimo con la “lista Zaia”, anche a costo di spaccare il centrodestra contro Fratelli d’italia. Lui, fanno sapere fonti del partito, avrebbe acconsentito.
È in questo quadro che Zaia nelle ultime settimane ha sentito di nuovo Bossi. Chi gli è vicino racconta che non è andato a Gemonio perché “non è nel suo stile, si sarebbe venuto a sapere subito”, ma le telefonate col Senatur sono regolari. Stesso discorso vale per Attilio Fontana, governatore lombardo che qualche giorno fa a La Stampa ha chiesto un partito “più concreto”.
E da Bossi è andato pure il ministro Roberto Calderoli, ansioso di confrontarsi con il fondatore sulla riforma dell’autonomia. Ma a Gemonio tornano soprattutto i leghisti con un piede (o entrambi) fuori, che cercano in Bossi una sponda per disarcionare Salvini.
Qualcosa si muove. Entro fine marzo dovrebbe nascere un’associazione per rilanciare i temi cari ai padani con l’obiettivo di riunire sigle, partiti e movimenti della galassia federalista, nati soprattutto dopo la trasformazione della Lega in un partito nazionale.
A coordinare i lavori ci saranno, tra gli altri, Paolo Grimoldi e Roberto Castelli. Con loro, a Gemonio, si è visto pure l’ex parlamentare Marco Reguzzoni: “Ci sono contatti costanti tra militanti ed ex militanti – dice al Fatto – e la ragione è che il partito persevera negli errori fatti. Mi dite cosa c’entra Vannacci con noi?”.
L’associazione – uno dei nomi ipotizzati è “Patto per il Nord” – potrebbe vedere coinvolti pure Roberto Mura e Giuseppe Leoni, decani del partito che fu. E che chissà se tornerà mai.
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
I FONDI, BLOCCATI DA TEMPO, SONO STATI SBLOCCATI PROPRIO ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI REGIONALI IN ABRUZZO… LE OPPOSIZIONI DENUNCIANO: “È UNA MARCHETTA ELETTORALE PER TIRARE LA VOLATA AL FEDELISSIMO DI MELONI, MARSILIO”
Una gara di velocità su rotaia, tra il Lazio e l’Abruzzo. Alla guida del primo treno c’è Giorgia Meloni e il macchinista del secondo convoglio è Matteo Salvini. Ma la sfida a colpi di finanziamenti e comunicati stampa produce scintille e le opposizioni si scagliano contro la premier e il suo vice, accusandoli di utilizzare gli organismi dello Stato per sottrarsi vicendevolmente voti.
«Una marchetta elettorale», denuncia il Pd del Lazio e dà voce al sospetto che il raddoppio della Roma-Pescara sia stato bloccato ad arte dal governo per essere sbloccato alla vigilia delle urne: «Non c’è una data di inizio e fine lavori, è una presa in giro colossale per tirare la volata al fedelissimo di Meloni, Marsilio».
Al centro della polemica sulla ferrovia Roma-Pescara c’è il Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile. [
Alle 11.39 gli spin doctor di Salvini inviano una note esultante. Titolo in neretto maiuscolo: «Abruzzo, la Lega: Roma-Pescara garantita dal Mit di Salvini». Il capo del Carroccio e ministro dei Trasporti plaude alla delibera che assegna 720 milioni per la realizzazione del raddoppio della ferrovia e sottolinea che lo stanziamento è un «passo fondamentale per il celere avvio dei lavori sulla direttrice, così come auspicato dal Vicepremier e Ministro (doppia maiuscola, ndr ) Matteo Salvini». Insomma, chi ha messo i soldi è lui.
Alle 12.06, ventisette minuti dopo che l’alleato-avversario ha posato il suo cappello sui binari della ferrovia, ecco che l’ufficio stampa di Palazzo Chigi invia ai giornalisti l’intervento della presidente del Consiglio «in occasione della riunione del Cipess». Si scopre così che Salvini si è mosso per «bruciare» sul tempo la leader della destra, che a sua volta aveva sorpassato in corsa il ministro dei Trasporti, convocando il Cipess mentre il suo vice era impegnato a Mantova per la riapertura del ponte San Benedetto Po.
Alla riunione Giorgia Meloni concede un «grazie ai ministri Salvini e Fitto», si intesta il maxi-finanziamento come «tappa importante nell’azione del governo» e lancia la Roma-Pescara, «opera di rilevanza strategica» che contribuirà a «colmare quel divario infrastrutturale che esiste oggi tra il Tirreno e l’Adriatico».
In soldoni, sulla regione Abruzzo che la premier a tutti i costi vuole continuare a guidare piovono i 720 milioni deliberati dal Cipess, cento in più rispetto alla quota stralciata dal Pnrr e rifinanziata col Fondo sviluppo e coesione. Risorse che si sommano ai 231 milioni a carico del Fondo opere indifferibili e agli altri 146 che, anticipa la premier, serviranno per settori strategici come «ricerca e sviluppo, innovazione, ambiente, prevenzione dei rischi, imprese, occupazione e istruzione».
Alla riunione del Cipess ha partecipato senza imbarazzo il presidente Marco Marsilio. Il «fratello» meloniano candidato alle elezioni del 10 marzo è assai grato per la «pioggia di milioni».
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
TODDE: “200 DELIBERE DOPO LA SCONFITTA, E’ GRAVISSIMO”
Alessandra Todde diventerà presto la nuova governatrice della Sardegna. Ma in attesa della proclamazione ufficiale e dei passaggi di consegne, la giunta uscente guidata da Christian Solinas è ancora in carica. Teoricamente per il solo disbrigo degli affari correnti.
Di fatto, denuncia questa mattina la presidente in pectore, per adottare una lunga lista di delibere dell’ultim’ora per distribuire le ultime nomine, prebende e risorse.
«Richiamo il Presidente Christian Solinas al doveroso rispetto istituzionale: lui e la sua giunta sospendano immediatamente le delibere inopportunamente adottate e si limitino all’ordinaria amministrazione», scrive su Instagram Todde. Che qualifica così la sua denuncia: «Nelle ultime ore di campagna elettorale la giunta Solinas si è riunita tre volte e ha adottato oltre 200 nuove delibere. Molte di queste, ad una settimana dalla loro approvazione, non sono neanche visibili dai cittadini sardi che vengono appositamente tenuti all’oscuro».
Ecco cosa conterrebbero questa «infornata di provvedimenti dell’ultimo minuto: nomine, proroghe di incarichi, piani e programmi che impegnano l’amministrazione per i prossimi anni. Hanno addirittura dato il via libera a una programmazione del fondo di coesione per oltre 2 miliardi di euro».
Un comportamento questo che Todde giudica «estremamente scorretto» da parte di una giunta «uscente, scaduta e sconfitta».
«La maggior parte di questi atti non è urgente e non è legata ad adempimenti di legge. È gravissimo che una giunta uscente, che dovrebbe attenersi agli atti di ordinaria amministrazione, decida di fare tutto ciò senza che nessuno possa fare niente. Solinas ha avuto 5 anni per programmare e investire le risorse che aveva a disposizione e siamo tutti consapevoli di come è andata a finire».
Non appena entrerà in carica, avverte l’ex viceministra eletta alla testa di una coalizione imperniata su Pd e Movimento 5 stelle, la nuova giunta verificherà «tutto ciò che è stato fatto all’oscuro e sulle spalle dei sardi in queste ultime ore».
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
A BORDO C’ERANO PURE AGENTI DELLA POLIZIA MUNICIPALE: CI VOLEVA TANTO A BLOCCARE CON LE VOLANTI IL BUS E A TRASFERIRE QUESTI RIFIUTI UMANI IN QUESTURA A CALCI NEL CULO?
La polizia locale di Treviso indaga su alcuni cori fatti da una trentina di studenti su un autobus del trasporto pubblico alla guida del quale si trovava una autista.
Secondo quanto reso noto, la conducente che guidava l’autobus nel Trevigiano si sarebbe sentita rivolgere un coro che inneggiava allo stupro da parte di circa 30 ragazzi. L’episodio risale a circa 20 giorni fa ed è al centro di un’indagine della polizia locale di Treviso.
Gli accertamenti sono scattati subito poiché una pattuglia della municipale si trovava in quel momento proprio sullo stesso mezzo. L’autobus stava percorrendo la tratta tra Conegliano e Pieve di Soligo, quando i 30 studenti sono saliti sul mezzo per tornare a casa dopo la fine delle lezioni a scuola. I giovani avrebbero iniziato all’unisono il coro “stupro, stupro” all’indirizzo della conducente.
I vertici della Mom, azienda per il trasporto pubblico, hanno subito segnalato alle autorità l’episodio. Non è la prima volta che azioni come violenze, bullismo e insulti sono perpetrati ai danni del personale dei mezzi pubblici. Il presidente della società, Giacomo Colladon, ha informato del problema Questore e Prefetto di Treviso. Il personale della società, ha spiegato Colladon, fa il possibile perché sia garantito l’ordine pubblico e la tranquillità per i passeggeri, e le forze dell’ordine sono spesso presenti. Un episodio così preoccupante, però, non si era mai verificato prima.
Le indagini su quanto accaduto all’autista sono attualmente ancora in corso. La municipale avrebbe raccolto anche le testimonianze delle persone presenti sul mezzo durante i cori ai danni della conducente. Secondo quanto finora noto, la municipale avrebbe inoltre visionato le immagini di alcune telecamere di sorveglianza e raccolto la versione dei fatti della conducente.
(da Fanpage)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
IL REPORT DELLA PROCURA EUROPEA: 556 INDAGINI RIGUARDANO IL NOSTRO PAESE CON UN DANNO STIMATO DI OLTRE 6 MILIARDI DI EURO
L’Italia è il primo Paese europeo per danni finanziari al bilancio dell’Unione, con la metà delle frodi che arriva proprio dal nostro Paese. Lo mette nero su bianco l’ultimo rapporto annuale della Procura europea (European Public Prosecutor’s Office, EPPO).
Guardando ai dati raccolti nel documento, emerge che nel 2023 sono state aperte 556 indagini per quanto riguarda l’Italia, con un danno stimato di oltre sei miliardi di euro (6.02 per la precisione), su un totale di 12.28 miliardi a livello europeo. Le indagini attive, quindi non sono quelle relative al 2023, sono 618, con un danno stimato di 7,3 miliari di euro. A livello europeo si segnalano 1.927 indagini attive per 19,2 miliardi di euro.
Il 59% del totale europeo (quindi 11,5 miliardi di euro, corrispondenti a 339 indagini) è legato a gravi frodi transfrontaliere in materia di Iva. “Questo tipo di frode coinvolge spesso organizzazioni criminali sofisticate ed è quasi impossibile da scoprirlo da una prospettiva puramente nazionale”, commentano dalla Procura europea.
La Procura è un ufficio indipendente e decentrato dell’Unione europea, che ha sede in Lussemburgo. I magistrati europei hanno il compito di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati a danno del bilancio dell’UE, come la frode, la corruzione o le gravi frodi transfrontaliere in materia di Iva.
Nell’ultimo report i magistrati hanno sottolineato che anche “i nuovi canali di finanziamento europei sono nel mirino dei truffatori”. Del totale delle indagini attive, infatti, ben 206 erano relative ai progetti del Next Generation Eu, con un danno stimato di 1,8 miliardi di euro: si tratta del 15% di tutti i casi di frode di spesa che ha coinvolto fondi Ue gestiti dalla EPPO durante il periodo di riferimento, ma in termini di danno stimato corrisponde a quasi il 25%. “Questo numero non potrà fare altro che crescere, nel contesto dell’attuazione accelerata dei finanziamenti dei Piani nazionali di ripresa e resilienza”.
Secondo i magistrati europei l’entità delle frodi non può che spiegarsi con il coinvolgimento di gruppi connessi alla criminalità organizzata: “Nelle nostre indagini vediamo come i gruppi legati alla criminalità organizzata finanziano le operazioni di frode sull’Iva con il denaro ottenuto dalle loro altre attività criminali”, spiega la procuratrice capo europea, Laura Kovesi, sottolineando poi che gli stessi soggetti si occupano del riciclaggio di denaro derivato appunto dalle frodi ai danni del bilancio comunitario. Secondo Kovesi la strategia della Procura europea dovrebbe essere quella di azzoppare la capacità finanziaria di questi gruppi, paralizzandone così l’attività.
(da Fanpage)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
SOLDI A POCHE SOCIETA’ INVECE DI ASSUMERE IN PIANTA STABILE E AUMENTARE GLI STIPENDI
Dal 2019 al 2023 i gettonisti sono costati 1,7 miliardi di euro. Soldi pubblici spesi per pagare medici e infermieri libero professionisti che, appoggiandosi a cooperative o società private, stipulano contratti con il Sistema Sanitario Nazionale, in drammatica carenza di organico. Soldi a fondo perduto, per spese “vive”, che escono dal pubblico ed entrano nelle casse del privato, senza risolvere davvero il problema che c’è alla base. Una soluzione tampone da quasi due miliardi di euro che le aziende sanitarie contabilizzano alla voce “beni e servizi”, per non sfondare, almeno sulla carta, il tetto di spesa per le assunzioni del personale stabilito dalla legge. In realtà si tratta di fondi utilizzati per corrispondere le paghe (alte) dei liberi professionisti, senza i quali non si riuscirebbe a garantire il pubblico servizio.
Secondo i rappresentanti dei lavoratori che ancora non sono fuggiti dal Ssn, questi fondi potevano essere investiti meglio. Per esempio per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici: l’intero rinnovo contrattuale del personale del comparto sanità (esclusa dirigenza), quello che fa riferimento al triennio 2022-2024, dovrebbe valere circa 1,5 miliardi.
I costi dei professionisti a gettone sono stati diffusi dall’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione. L’analisi dell’Authority dimostra che il fenomeno è diffuso in tutto il Paese (con l’eccezione di Trento), seppur con differenze significative tra le diverse Regioni. La Lombardia è quella che per il momento ha sostenuto la spesa più alta (56 milioni di euro), seguita da Abruzzo (51 milioni) e Piemonte (34 milioni). Queste cifre, spiega il dossier dell’Anac, fanno riferimento, però, solo “alla spesa effettivamente sostenuta dalle stazioni appaltanti nell’intero periodo 2019-2023, con specifico riferimento alla fornitura di personale medico e infermieristico”. A queste voci di spesa deve essere quindi aggiunta quella che fa riferimento ai “servizi di fornitura di personale generico”, ovvero quel personale non indicato specificatamente né come medico né come infermieristico.
La dicitura generica, precisa Anac, è utilizzata “con alta probabilità” per identificare la medesima tipologia di contratti (medici e infermieristici), seppur con un minor grado di accuratezza, perché potrebbe contemplare anche personale di natura amministrativa. Considerando anche questa voce di spesa, la prima regione per esborso sostenuto risulta essere la Toscana, con un importo di oltre 183 milioni di euro, seguita da Lombardia (169 milioni) e Abruzzo (153 milioni).
Un metodo, quello dei gettonisti, che non garantisce la qualità delle prestazioni e la continuità di cura per i pazienti: “Il personale sanitario deve essere stabile, non calato occasionalmente all’interno di un ospedale. Come fa un professionista a lavorare correttamente in un reparto se non ne conosce i meccanismi? A malapena sa i numeri di telefono dei colleghi”, prosegue. Inoltre, la disparità di trattamento economico frustra i dipendenti ospedalieri, già provati dal carico di lavoro a cui sono sottoposti. “A gennaio 2024 abbiamo rinnovato il contratto del triennio Covid (2019-2021, ndr), con un incremento che non compensa neanche l’inflazione. Questo è il trattamento riservato al dipendente pubblico che copre tutti i turni finché ce n’è bisogno, accumula montagne di straordinari e ferie non pagate. Mentre il gettonista può fare il prezzo che vuole. Bisogna trovare il modo di tenere i professionisti dentro il Ssn, premiandoli”. Un’idea in tal senso, tra quelle proposte al Ministero della Salute, è quella di finanziare l’indennità di specificità medica e sanitaria. L’apertura da parte del ministro Orazio Schillaci c’è, anche sul tema dell’abolizione del tetto di spesa per le assunzioni del personale. “Bisogna vedere se il Mef è dello stesso avviso – commenta Grasselli -. E anche se le lobby che sostengono gli interessi della sanità privata, sempre più forte sul mercato, non condizioneranno le scelte politiche”. E conclude: “Il privato va bene solo a chi ha i soldi. Per gli altri è a rischio il diritto alla salute”.
Il rapporto dell’Anac, inoltre, mette in evidenza come il florido mercato dei gettonisti sia concentrato nelle mani di pochi operatori economici, siano essi cooperative o società di professionisti. Per quanto riguarda i contratti di fornitura di personale medico, infatti, cinque operatori si sono assicurati il 64% del valore dei bandi complessivamente aggiudicati, mentre il restante 36% è ripartito tra 25 operatori. Accentramento che risulta ancora più significativo se si prende in considerazione la fornitura di personale infermieristico: in questo caso il 63% del mercato è spartito tra solo due operatori. Agli altri 30 resta da contendersi la quota rimanente del 37%. Queste cooperative o società private guadagnano trattenendo una percentuale del compenso pattuito per la prestazione del professionista che forniscono. Un meccanismo “scandaloso” secondo Alessandro Vergallo, presidente nazionale Aaroi-Emac. Parlando con ilfattoquotidiano.it, Vergallo chiede alla politica di intervenire e bloccare questo processo, per “impedire che la sanità pubblica continui a essere una mangiatoia per il lucro dei gruppi privati”. La quota richiesta dalle cooperative, afferma Vergallo, vale decine di milioni di euro: “Parliamo almeno del 15% dell’introito complessivo. Una delle cooperative che stiamo attenzionando annovera circa 500 colleghi che lavorano minimo 1500 ore all’anno, con una remunerazione oraria che va dai 120 ai 130 euro l’ora. Si tratta di almeno 100 milioni di euro per una singola cooperativa, di cui 20 milioni vengono intascati da una manciata di persone che si occupano solo di gestire la turnistica”.
Ma con la carenza di personale cronica nel Ssn, il ricorso ai gettonisti è un obbligo per gli ospedali. Come dimostra il caso di Orbassano, Torino, di cui parla a ilfattoquotidiano.it Antonio De Palma, presidente Nazionale di Nursing Up: “L’ospedale ha disposto una spesa di 67mila euro per ingaggiare tre infermieri, per tre mesi ciascuno, per coprire la mancanza di personale in sala operatoria. Si parla di una paga che supera di più del doppio quella dei colleghi dipendenti”. Episodi come questi portano sempre più infermieri a lasciare il pubblico. “A volte – prosegue De Palma – gli stessi che si dimettono da un ospedale ci rientrano come liberi professionisti”. Il fenomeno degli infermieri a gettone, lo specifica il dossier dell’Anac, è iniziato ben prima dell’emergenza Covid. “È normale – commenta De Palma -, rispetto ai parametri europei in Italia mancano 175mila infermieri”. Sono delusi, demotivati, non si sentono valorizzati. “Gli stipendi degli infermieri italiani sono al terzultimo posto in Europa – continua De Palma -. I giovani non vogliono più fare questo lavoro. Dopo un percorso di studio altamente formativo, li attende una vita di sacrifici, per 1500 euro al mese”. Questo a meno che non decidano di fare i gettonisti, appunto. O di trasferirsi all’estero: “Da dopo la pandemia stiamo assistendo a un fenomeno di emigrazione di massa. Gli altri Paesi vogliono gli infermieri italiani”.
Al congresso di Nursing Up del 13 di ottobre, racconta il presidente, si sono presentate agenzie interinali internazionali che hanno proposto stipendi tra i 5mila e i 7mila euro mensili per un lavoro in Arabia Saudita o negli Emirati. “Dobbiamo valorizzare contrattualmente questo personale o non ci sarà nessuno ad assistere gli anziani nei prossimi anni. Manca una politica lungimirante. Per ora dal Ministro ci sono state solo belle parole. Dal nostro sciopero del 5 dicembre, non abbiamo visto più nessuno”, conclude.
(da agenzie)
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