Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA BANDIERA DEI LEGHISTI E’ DIVENTATA “PRIMA GLI STRANIERI”
Prima gli stranieri. Dalla Russia di Putin alla riesumazionedell’isolazionista semicirillico Trump, passando per le estreme destre di Olanda e Germania che farebbero di tutto affinché l’Italia non riceva un solo euro di debito comune, fino agli interessi lobbistici delle grandi piattaforme internazionali di streaming. Sono tutte cose diverse, ma tutte regolate dalla medesima legge matematica: se c’è un forte interesse straniero che si manifesta in Italia, di qualsiasi tipo esso sia, scoprirete fatalmente che il partito italiano che sostiene questo interesse è quasi sempre lo stesso… il partito di Matteo Salvini. Sicché l’unico partito che in Italia ancora si definisce “sovranista”, cioè la Lega, è in realtà il partito più “altrista”o “sudditista” rappresentato in Parlamento.
Mosso certamente da una generosità e da un altruismo esterofilo indiscutibilmente disinteressati, ecco che il motto del sovranismo padano potrebbe essere: Make gli altri great again. E’ un’idea per la prossima campagna elettorale. Prima gli stranieri. Generosità. Specialmente poi se la cosa dà fastidio al governo di centrodestra presieduto da Giorgia Meloni, governo di cui Salvini, in teoria, sarebbe anche uno dei vicepremier. Ma questi sono dettagli. Di fatto, come chiunque può notare da sé, tanto più Meloni è filoucraina, tanto più la Lega scrive in cirillico. Tanto più Meloni è atlantista, tanto più la Lega manifesta il suo afflato per Trump che vorrebbe smantellare la Nato. Tanto più Meloni riesce a gestire il Pnrr mantenendo la rispettabilità italiana dei patti con l’Europa, tanto più la Lega tifa per i molti anti italiani diffusi nella politica tedesca e olandese, da quel bel tipo di Alice Weidel, la leader xenofoba dell’Afd che vuole chiudere il Pnrr, fino Geert Wilders (quello, tanto per ricordarne una, di “Geen Cent Naar Italie”, ovvero “nemmeno un centesimo all’Italia”).
L’ultima manifestazione di apertura all’estero della Lega, per così dire, l’ultimo atto di generosità disinteressata e altruista, riguarda l’industria dell’audiovisivo. Insomma le fiction e in particolare i colossi multinazionali dello streaming (Netflix, Amazon e Disney). Il lettore deve infatti sapere che esiste una direttiva europea non vincolante, ma applicata in Italia, che suggerisce la possibilità che gli stati membri chiedano alle piattaforme streaming americane di impegnarsi nella realizzazione di contenuti prodotti in Europa.
In particolare il governo Draghi aveva stabilito, a partire dal 1 gennaio 2024, che le piattaforme multinazionali come Netflix siano obbligate a reinvestire in prodotti europei il 20 per cento dei loro ricavi italiani. E nello specifico, di questo 20 per cento, un 50 per cento in prodotti fatti in Italia.
Cos’è successo? Che le piattaforme americane si stanno ribellando. Lo considerano un sopruso. Vogliono produrre meno in Italia. Vogliono investire di meno. E hanno iniziato una legittima attività di lobbying in Parlamento.
Ecco. Indovinate quale forza politica, in commissione Cultura, ha fatto proprie le posizioni di Netflix e delle altre multinazionali per produrre di meno in Italia? Ma la Lega, ovviamente. E’ praticamente certo che i leghisti a breve otterranno, a vantaggio delle multinazionali, un taglio dell’obbligo di reinvestire in prodotti europei: dal 20 al 16 per cento. Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, vorrebbe allora che almeno di questo rimanente 16 per cento venisse investito in Italia il 70 per cento (a fronte dell’attuale 50). Chi è contrario ancora una volta? Indovinate un po’.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL SOTTOSEGRETARIO NON TOLLERA PIÙ LE FUGHE DI NOTIZIE SUL SUO MATTINALE, CHE SPESSO FINISCE SPIATTELLATO SUI GIORNALI
Palazzo Chigi va a caccia delle “gole profonde” dentro Fratelli d’Italia per limitare le fughe di notizie. Nello specifico quelle che riguardano il mattinale “Ore 11”, bollettino quotidiano scritto dall’ufficio del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e responsabile comunicazione del governo Giovanbattista Fazzolari che serve per dare la linea ai parlamentari di Fratelli d’Italia.
Da questa mattina, infatti, l’ufficio stampa del partito ha comunicato nella chat interna una “novità importante”: “Ore 11” non sarà più inviato tramite un file pdf ai parlamentari ma attraverso un link Drive. Per leggerlo, dunque, i parlamentari e i vertici di partito dovranno avere l’autorizzazione degli amministratori che potranno controllare chi effettivamente lo scarica e potrà essere sospettato di inviarlo ai giornalisti.
In questo modo Palazzo Chigi potrà restringere il campo dei 181 parlamentari di Fratelli d’Italia tra Camera e Senato che ogni giorno ricevono il mattinale e magari individuare dei possibili sospettati delle fughe di notizie.
“Ore 11”, una sintesi di 5-6 pagine con il commento alle principali notizie del giorno, infatti spesso finisce testualmente sui giornali perché fornisce la linea di Palazzo Chigi: l’ultimo caso è stato l’attacco al presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul caso delle manganellate di Pisa in cui, come raccontato dal Fatto Quotidiano, le cariche della polizia contro gli studenti venivano definite “stato di diritto per fermare l’anarchia”.
Il mattinale scritto dall’ufficio di Fazzolari, inoltre, è diventato oggetto di polemiche a fine gennaio quando si era scagliato contro Repubblica per un titolo sulle privatizzazioni (“Italia in vendita”) accusandolo di fare gli interessi del suo editore e di “fare la guerra al governo”. Da quel momento a Palazzo Chigi ci si è interrogati sull’opportunità di mandare tutti i giorni un mattinale a 180 parlamentari che rischiava di uscire sui media suscitando polemiche.
Ma il risultato non cambia visto che “Ore 11” continua ad essere scritto nell’ufficio del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e fedelissimo di Giorgia Meloni. Questa mattina la novità: da settimane Palazzo Chigi stava studiando un meccanismo per “tracciare” gli accessi alla velina ufficiale così da individuare i possibili sospettati delle fughe di notizie e adesso lo ha messo in pratica.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
CI SI ORGANIZZA CONTRO LA FAMIGLIA MELONI: “GIORGIA E ARIANNA ACCENTRANO TROPPO POTERE” … LA PARTITA DEL CONGRESSO ROMANO: RAMPELLI POTREBBE PUNTARE SUL COGNATO (ARIDAJE) MARCO SCURRIA
Memorie dal sottosuolo di Fratelli d’Italia. Al piano meno uno dell’hotel Universo, alle spalle della stazione Termini, un bel pezzo del partito romano di Giorgia Meloni, che vuole “la democrazia”, si conta e si gasa in vista del congresso della Capitale del 23 e 24 marzo
Qui sotto, come i cristiani nella catacombe, c’è la minoranza organizzata del partito della nazione. Quelli che dicono “Giorgia e Arianna accentrano troppo potere, ma non scriva il mio nome o mi cacciano”.
E’ una piccola notizia. Ma anche un fatto politico non banale in un’organizzazione che finora è stata sempre abbastanza leninista, contraria a tutti i frazionismi cari alla sinistra. Si sta sotto terra in pura modalità Colle Oppio, la sede alfa della destra riaperta per una mostra sulle foibe, e “non ancora visitata da Meloni”.
L’animatore altri non può essere che il vicepresidente vicario della Camera Fabio Rampelli, re dei Gabbiani, con l’artiglio avvelenato. “Sono qui per Fabio, sono una militante da una vita”, dice una sfavillante Gabriella Carlucci, elegantissima.
Dettaglio rivelatore: all’ingresso della sala, terminata una rampa di scale, c’è un banchetto dove chi entra firma la sottoscrizione per la candidatura alla presidenza di Fratelli d’Italia a Roma. Si firma anche se non c’è il nome del candidato. Per quello serviranno trattative, ma questo è comunque un segnale di forza dei rampelliani. Tocca chiamarli così.
Ci sono un po’ di ragazzi con fisici palestrati di Gioventù nazionale. C’è Massimo Milani, il deputato commissariato da Meloni con Giovanni Donzelli prima delle ultime regionali. Spunta Andrea De Priamo, il senatore diversamente rampelliano, che la leggenda narra aprì la porta della sezione del Msi della Garbatella a una ragazzina bionda con la tutina rosa che voleva iscriversi al partito dopo le stragi di mafia del ‘92: era Giorgia.
In disparte Marco Scurria, senatore e già europarlamentare, nonché cognato di Rampelli (aridaje). Potrebbe essere lui l’oggetto contundente della minoranza contro la maggioranza al congresso di Roma. Arianna Meloni, e quindi la Fiamma magica, vuole invece Marco Perissa, quarantenne rampante con esperienza nel mondo dell’associazionismo sportivo.
Ovviamente nessuno qui mette in discussione la presidente del Consiglio. “E’ il Gabbiano che vola più in alto di tutti”, ebbe a dire un giorno Federico Mollicone, presidente dandy della Commissione cultura della Camera, che alla fine come le vere star si presenta, in ghingheri, per ultimo. C’è l’assessore del Lazio Fabrizio Ghera. Diverse spillette tricolore ai baveri delle giacche. Qualche saluto del legionario. Cristiano Ciotta, presidente dell’associazione Sentiero Trilussa, ricorda: “Sembra di essere ritornati ai tempi delle correnti di An”. La riunione nel sottosuolo deve ancora iniziare, la conta interna è già partita.
(da il Foglio)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO AVER FATTO PERDERE LE ELEZIONI IN SARDEGNA AL MELONIANO TRUZZU, CHRISTIAN SOLINAS È IN BALLO PER LA GUIDA DELL’ANAS, LA SUA CANDIDATURA E’ SOSTENUTA DA SALVINI … C’E’ CHI SI OPPONE ALLA SCELTA DELL’EX GOVERNATORE SARDO RICORDANDO L’INCHIESTA CHE LO VEDE INDAGATO PER CORRUZIONE SU UNA VICENDA DI COMPRAVENDITA DI TERRENI E SU NOMINE PILOTATE IN ENTI DELLA REGIONE
La politica sarda si trova ad affrontare un momento di significativo cambiamento con l’imminente conclusione del mandato di Christian Solinas come Governatore della Regione Sardegna.
Notizie circolate recentemente suggeriscono un possibile futuro per Solinas che potrebbe vederlo alla guida dell’Anas, l’ente nazionale per le strade.
Nonostante il contesto difficile, le qualifiche e le esperienze di Solinas sembrano aprirgli le porte verso nuove opportunità. Attualmente ricopre il ruolo di commissario straordinario per la viabilità in Sardegna, una posizione che lo ha visto responsabile della gestione di un miliardo di euro destinati a dieci progetti infrastrutturali.
Sebbene questi progetti non abbiano visto significativi progressi dall’assegnazione della nomina a Solinas nel settembre 2021, la sua candidatura alla guida dell’Anas è vista con un certo interesse. L’eventuale nomina di Solinas all’Anas è sostenuta da figure chiave, tra cui si sospetta la presenza di Matteo Salvini, influente leader della Lega, partito di appartenenza di Solinas.
Questa mossa è interpretata da alcuni come un riconoscimento del merito e delle competenze di Solinas, nonostante le controversie che hanno caratterizzato il suo mandato in Sardegna.
La possibile assegnazione di questo nuovo incarico a Solinas ha sollevato discussioni e speculazioni, con opinioni divergenti sull’opportunità e la convenienza di tale scelta. Da un lato, vi è chi vede in questa nomina una conferma dell’importanza della continuità e dell’esperienza in ruoli di gestione e supervisione delle infrastrutture.
Dall’altro, non mancano le critiche, soprattutto in relazione alle indagini in corso e ai risultati conseguiti in Sardegna. In attesa di conferme ufficiali, il dibattito rimane aperto, con la comunità sarda e l’opinione pubblica nazionale che osservano con interesse l’evolversi della situazione. La possibile nomina di Christian Solinas a capo dell’Anas potrebbe rappresentare un importante punto di svolta nella sua carriera politica e amministrativa, segnando l’inizio di un nuovo capitolo nel suo percorso professionale.
(da gazzettasarda.com)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
AVVISATA L’ITALIA CHE NON HA MOSSO UN DITO PER DIFENDERE IL DIRITTO INTERNAZIONALE
La nave Humanity 1, della Ong tedesca Sos Humanity, è arrivata ieri sera al porto di Crotone. All’imbarcazione umanitaria, che nel pomeriggio del 2 marzo aveva soccorso al largo della Libia, in acque internazionali, 77 persone a bordo di imbarcazioni alla deriva, era stato inizialmente assegnato il porto di Bari, poi la destinazione indicata è stata Crotone, anche in considerazione delle pessime condizioni meteo-marine.
Nel corso dell’attività di soccorso era anche intervenuta una unità della Guardia costiera libica che, secondo quanto raccontato dall’equipaggio della nave ong tedesca, aveva esploso dei colpi verso i mezzi nave Ong, impegnata nelle operazioni di salvataggio dei migranti.
Si parla di spari, al termine dei quali una persona sarebbe annegata e diverse sarebbero state sequestrate e deportate in Libia: “I nostri gommoni di salvataggio veloce – ha raccontato all’Agi Laura Gorriahn, presidente di Sos Humanity, a bordo della nave – erano già sul posto e distribuivano giubbotti di salvataggio quando un tender della cosiddetta Guardia Costiera libica si è diretto verso di noi. Hanno agito in modo molto aggressivo, causando caos e panico tra le persone in difficolta’ su tre imbarcazioni, che sono saltate o cadute in acqua durante la manovra rischiosa e minacciosa. Poco dopo la cosiddetta Guardia costiera libica ha sparato in acqua. C’è una foto in cui si può vedere il fumo dello sparo”.
La motovedetta libica era stata venduta dall’Italia, e potrebbe essere una delle due navi finanziate e consegnate dall’Ue nella seconda metà del 2023. “Confrontando le immagini della motovedetta che abbiamo scattato sabato con quelle delle due imbarcazioni fornite alle autorità libiche – ha aggiunto Gorriahn all’Agi – sembrano identiche. È uno scandalo che l’Ue abbia fornito attrezzature che vengono utilizzate per interventi in mare così sconsiderati, pericolosi per la vita e in totale violazione del diritto internazionale.
Dopo le minacce dei libici la Humanity 1 si è allontanata. “La nostra squadra di ricerca e soccorso è stata costretta ad abbandonare la scena quando le persone in pericolo avevano ancora un disperato bisogno di aiuto. Fortunatamente non ci sono stati feriti gravi tra le persone che abbiamo salvato, ma un numero imprecisato di persone in difficoltà è stato portato a bordo della nave libica dopo che abbiamo dovuto interrompere il soccorso. Secondo la testimonianza di un testimone, dobbiamo presumere che una persona sia rimasta indietro. Dobbiamo pensare al peggio. Senza l’intervento della cosiddetta Guardia Costiera libica non sarebbe successo nulla di tutto ciò”
“Abbiamo informato le autorità competenti – ha detto ancora la presidente della ong – compreso l’Mrcc italiano, sugli eventi che si stavano verificando. A quanto pare non c’è stato alcun intervento, né da parte delle autorità italiane né da parte di quelle maltesi, per impedire o fermare la cosiddetta Guardia Costiera libica che effettuava un’intercettazione illegale e pericolosa”.
Delle 77 persone sbarcate a Crotone la maggior parte provengono dal Bangladesh (54 persone di cui due minori non accompagnati); 20 sono i cittadini siriani (17 adulti tra cui 3 minori, due dei quali non accompagnati) e 3 del Pakistan. Lo sbarco è stato coordinato dalla Prefettura di Crotone e gestito sul porto dall’Ufficio immigrazione della Questura con la collaborazione di Guardia costiera e Guardia di Finanza. Le condizioni di salute delle persone arrivate ieri sono buone.
Al termine della operazioni di sbarco le forze dell’ordine sono salite a bordo della Humanity 1 per verifiche documentali e si teme un nuovo fermo amministrativo. La nave della Ong tedesca, infatti, era stata già sottoposta a fermo amministrativo a Crotone nel mese di dicembre scorso per aver violato le norme del decreto Piantedosi-Meloni.
(da Fanpage)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
GLI ARRESTATI FINORA SONO STATI 128, MA SI TEME CHE SIA SOLO L’INIZIO
Innominato da vivo e da morto. E soprattutto pericoloso. Il fatto che le forze dell’ordine non siano intervenute per disperdere le migliaia di russi che da giorni omaggiano la tomba di Aleksej Navalny e che venerdì, giorno del funerale, siano state fermate soltanto 128 persone in tutta la Russia non deve alimentare illusioni.
Come ha detto Dmitrij Anisimov, il portavoce di Ovd-Info, l’Ong che monitora gli arresti politici, le forze di sicurezza hanno deciso di non effettuare arresti di massa il giorno del funerale “probabilmente per non creare un quadro troppo disumano che sembrerebbe inadeguato ai sostenitori delle autorità”. Ma la repressione arriverà. A orologeria e diluita nel tempo. Anzi, è già iniziata.
Il primo arresto è avvenuto domenica. Agenti di polizia hanno bussato a casa di una moscovita che aveva pronunciato la frase “Gloria agli eroi” al funerale dell’oppositore morto in carcere ed era stata ripresa in un filmato. La donna è stata portata al dipartimento di polizia, dove ha dovuto passare la notte, ed è stata rilasciata dopo aver ricevuto una multa di 1.500 rubli per “esibizione di simboli vietati”.
Oggi altri quattro moscoviti sono stati prelevati dalle loro abitazioni per aver deposto fiori in memoria di Navalny all’indomani della sua morte il 16 febbraio in una colonia penale artica. Non si sa ancora per quale motivo sono perseguiti. Nei giorni scorsi episodi simili erano arrivati a San Pietroburgo e Kazan.
Non è che l’inizio, teme Anisimov che già nei giorni scorsi aveva avvertito del rischio di essere filmati e identificati e perseguiti in un secondo momento grazie ai sofisticati strumenti di riconoscimento facciale in dotazione alla capitale e alle telecamere aggiuntive installate vicino alla chiesa e al cimitero.
Così come era successo nella primavera del 2021 quando migliaia di persone avevano protestato contro la condanna al carcere di Navalny ed erano state identificate dalle forze di sicurezza attraverso le telecamere di sorveglianza e arrestati dopo i cortei.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL SOCIOLOGO RUSSO LEV GUDKOV: “LE ELEZIONI SARANNO TRUCCATE PER FAR VINCERE PUTIN, NON CI SARANNO RIVOLTE, NEI PAESI TOTALITARI NON SI PUO’ PROTESTARE”
L’addio a Alexei Navalny significa l’addio a un’epoca in cui — almeno fino a pochi anni fa — era ancora possibile “pensare di cambiare il sistema”. Che però oggi è diventato “quasi del tutto totalitario”. Ha instaurato “il terrore e il controllo sulla vita privata”. E non permette alcun tipo di opposizione e di dissidenza. Chi si illude che la folla dei fiori per Navalny e degli slogan pacifisti e anti-regime possa aver provocato la scintilla in grado di riaccendere il movimento contro Putin si sbaglia di grosso: “Troppo tardi, il Paese è cambiato dai tempi dei grandi cortei per la democrazia”, è il commento di Lev Gudkov, famoso sociologo russo, a Fanpage.it.
Gudkov, 77 anni, è il direttore scientifico del centro statistico indipendente Levada. L’istituto che ha guidato per oltre 15 anni potrebbe esser chiuso in ogni momento. È stato dichiarato “agente straniero”. Se il Cremlino ne tollera le attività è perché anche alle dittature i sondaggi indipendenti servono. E anche le analisi spietatamente critiche dei grandi sociologi. Lev Gudkov ha continuato gli studi del suo maestro Yuri Levada sulle caratteristiche dei cittadini — o forse dovremmo dire dei sudditi — dei regimi totalitari. Ritiene che l’”homo sovieticus”, che durante l’Urss aveva sviluppato il cinismo, il conformismo e altre “doti” utili alla sopravvivenza in ambiente totalitario, sia molto simile all’ “homo putinus” che prospera nella Russia di oggi.
Abbiamo raggiunto Gudkov in video conferenza nella sua dacia fuori Mosca.
Lev, se l’aspettava una partecipazione così ampia ai funerali di Alexei Navalny?
“È stata una sorpresa. Ed è stata una grande manifestazione contro Putin, contro la guerra e per Navalny. Tra 15mila e 30mila persone sono andate ai funerali o a portare un fiore sulla tomba. Non hanno solo partecipato al lutto ma hanno anche e soprattutto protestato. Però si tratta sempre di una cerchia ridotta di persone, rispetto ai 15 milioni di abitanti di Mosca. Erano in tanti. Ma se guardiamo le cose dall’alto, rimangono quei pochi che non hanno avuto paura a uscire per strada”.
Ma è la fine di qualcosa, un canto del cigno? O si tratta invece di un inizio?
“Pensare all’inizio di qualcosa di nuovo è probabilmente poco realistico. La repressione sta aumentando. Anche solo esprimere un’opinione è diventato quanto mai difficile. Soprattutto negli ultimi cinque anni la quantità di arresti sia per reati “amministrativi” (punibili con 15 giorni di carcere, diventano penali se reiterati, ndr) che per casi penali è aumentata di dieci volte. I prigionieri politici sono ormai di più di quanti fossero nell’Unione Sovietica di Brezhnev. Vige il terrore. Il governo agisce scientemente per spaventare la popolazione. E la propensione a protestare, o anche solo a dire la propria, è fortemente diminuita”.
Il sacrificio di Navalny, il suo esempio, non potrebbero far tornare il coraggio di protestare nonostante la repressione?
“Bisogna tener presente che la società è divisa, riguardo al giudizio su Navalny. Soprattutto in una città come Mosca. Una parte è completamente soggiogata dall’ideologia imperialista e sostiene la guerra e il regime. L’altra fazione è pacifista e vicina alle idee di Navalny. Non è certo la fazione maggioritaria. Ed è nel mirino della repressione. Non ci saranno proteste di massa, prevedibilmente”.
Da un sondaggio Levada risulta che la morte di Navalny non è considerata dai russi l’avvenimento più memorabile del febbraio scorso. È al secondo posto, dopo la vittoria militare di Avdiivka. E solo una persona su dieci afferma di approvarne l’operato. Due volte in meno rispetto a tre-quattro anni fa. Cosa ci dicono questi dati sull’eredità lasciata dal dissidente morto in Siberia?
“Vorrei sottolineare che sono stati gli intervistati a menzionare i due eventi. Né Avdiivka né Navalny erano in alcun modo suggeriti nelle domande del sondaggio. Quindi, questo dimostra come ci sia un gran quantità di sostenitori di Putin, felici della caduta di Avdiivka. E poco importa se in quella battaglia sono morti tantissimi russi. Altrettanti quanti nell’intera campagna in Afghanistan (ovvero tra i 14.500 e i 15mila caduti, ndr). D’altro canto, esiste anche un 20-22% della popolazione che è contro Putin. Questa gente è rimasta scioccata, addirittura terrorizzata dalla morte di Navalny. Ma la paura di essere alla mercé di un regime ormai totalitario non ha impedito loro di portare fiori sulla sua tomba”.
Le elezioni potrebbero diventare un referendum sulla guerra? Sappiamo che molti russi — anche non dissidenti — sono contrari al proseguimento del conflitto. Potrebbe esserci un risultato poco soddisfacente per Putin? Diverso dal plebiscito che vorrebbe?
“Non ci saranno risultati veri. Queste elezioni sono un esercizio di manipolazione dell’opinione pubblica. Mica vere elezioni. Putin prenderà tra il 70 e il 75%. Vuol dire che ufficialmente il sostegno alla “operazione militare speciale in Ucraina” sarà assicurato da tre quarti della popolazione o quasi. Cifre non distanti da quanto rilevato dai nostri sondaggi sul gradimento che ha il presidente: circa il 70%. Tra questa gente che si dice d’accordo con la guerra, ci sono comunque moltissime persone che della guerra non ne possono più. Ma a far convergere i sentimenti opposti ci pensa la propaganda. Che mobilita la società. Non tanto sul conflitto con l’Ucraina ma sulla sbandierata battaglia in corso contro quello che al Cremlino definiscono “Occidente globale”. La società a questo punto teme la Terza guerra mondiale e si stringe intorno alla bandiera”.
Parlando delle elezioni, lei non ha nemmeno menzionato gli altri tre candidati…
“Perché non sono candidati ma solo clown politici. E anche se, per assurdo, la gente votasse in massa per uno di loro, questi non potrebbe mai vincere”.
Perché?
“Perché i risultati saranno addomesticati in molti modi per avvicinarsi il più possibile a quelli che vuole il Cremlino. Un mezzo potente per i brogli è il voto elettronico. Controllato in tutto e per tutto dalla polizia politica, l’Fsb. Si tratta di ben 38 milioni di voti. Che andranno dove vuole il regime”.
Ci si può sempre astenere. Una scarsa affluenza alle urne sarebbe una sorta di sconfitta per Putin?
“Chi è contro Putin non andrà a votare. Ma anche sotto questo aspetto i dati verranno addomesticati. L’affluenza ufficiale risulterà senz’altro molto superiore a quella reale. La vittoria di Putin dovrà essere un trionfo totale. Dovrà dimostrare che il presidente ha dalla sua parte tutta la popolazione. E sarà così. O almeno così ci diranno in tivù”.
Dodici anni fa la popolazione si ribellò ai brogli elettorali, alle elezioni addomesticate. Centinaia di miglia di persone scesero in piazza contro Putin. Se il Cremlino sarà “costretto” a brogli troppo evidenti per ottenere il risultato desiderato, potrebbe succedere ancora? O ci troviamo in una Russia troppo diversa da quella di allora?
“Allora la popolarità di Navalny era al picco più alto. Durante le proteste del 2011 e 2012 aveva dalla sua parte il 40-45% dei russi. L’intera classe media scese in piazza: le persone con un’istruzione, con un tenore di vita superiore alla povertà. Ben coscienti di trovarsi di fronte all’ultima possibilità per cambiare il regime pacificamente, per uscire dall’autoritarismo in modo legale”.
E oggi non esiste più, quella possibilità?
“Il Paese è cambiato davvero tanto. Sono cambiate le leggi (proprio dopo le proteste del 2012 furono introdotte le leggi che di fatto restringono o annullano il diritto di manifestare previsto dalla Costituzione, ndr), è cambiato l’approccio del governo nei confronti dei cittadini. Il Cremlino controlla completamente i media e l’economia. E adesso arriva a controllare anche la vita privata della gente”.
Sta elencando le caratteristiche di un totalitarismo…
“La Russia di allora era sotto un regime autoritario. Quella di oggi è sotto un regime ormai quasi del tutto totalitario. È un regime che si fonda sul terrore politico per far paura ai cittadini ed evitare che protestino. E che si affida alla censura totale. Anche su internet. I russi non possono più scrivere le loro opinioni sui social. Altrimenti rischiano la galera. Soprattutto, non possiamo più dire alcunché se non in linea con la politica del Cremlino. E poi c’è stata l’emigrazione di centinaia di migliaia di dissidenti. No, nella Russia di oggi non sono pensabili le proteste di 12 anni fa. Nei regimi totalitari non si può protestare”.
(da Fanpage)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA “SEGEY KOTOV” ERA IL FIORE ALL’OCCHIELLO DELLA MARINA RUSSA
Quando – all’inizio del 2021 – la nave corvetta russa “Sergey Kotov” venne varata, con grandiosa cerimonia perché quello doveva essere il gioiello delle corvette russe sul mar Nero, durante la cerimonia il vice comandante in capo della Marina Alexander Vitko disse magniloquente: «Sono fiducioso che il destino della nave si compierà, e avrà successo. Non può essere diversamente».
La corvetta entrò a far parte della flotta del Mar Nero nel luglio 2022. Rossiya 1 suonava le fanfare della propaganda: «Si tratta della nave pattuglia più moderna russa: il design e il rivestimento speciali la rendono praticamente invisibile ai radar nemici». Il ministero della Difesa russo, nella presentazione ufficiale della nave, la descriveva come dotata di un equipaggio di 60 persone, in grado di totale autonomia in mare per almeno due mesi, e piena di armi radiotecniche e idroacustiche, e varie contromisure elettroniche alla electronic warfare, più una piattaforma per elicotteri. Questa mattina la nave è stata irreparabilmente colpita dai droni marittimi ucraina Magura V5, e molto probabilmente ha finito di esistere come nave da guerra. Il ponte di Crimea è stato chiuso al traffico per tutta la notte.
Ora lo conferma anche l’intelligence dell’Ucraina, che parla della distruzione o danneggiamento irreparabile della corvetta russa “Sergey Kotov” (65 milioni di dollari il costo). L’operazione è stata condotta dall’unità speciale del GSD “Gruppo 13”. Ma la notizia era stata già riportata questa mattina all’alba da diversi canali telegram della galassia Z ultranazionalista russa. La corvetta era la nave più nuova di tutta la flotta del Mar Nero.
I primi a raccontare dettagli sono stati i canali “Belarusian Silovik” e “Two Majors”. La nave è stata attaccata di notte con missili, droni e diverse altre imbarcazioni senza pilota, che sono riuscite a colpire la nave. Il canale telegram “Crimean Wind” parla di almeno cinque potenti esplosioni sentite a Kerch dopo la mezzanotte. Il canale Telegram Pozdnyakov 3.0 ha pubblicato un video di una grossa esplosione nel punto che corrisponde all’ultima geolocalizzazione della nave. Secondo diversi canali russi (e anche secondo l’intelligence ucraina), la “Sergei Kotov” ha subito danni pesanti a poppa, a tribordo e a sinistra. In pratica è andata. Gli ucraini ci avevano già provato tre volte, senza riuscirci, nei tre mesi dell’estate 2023. Discordanti invece le versioni sulla sorte dell’equipaggio. Secondo alcuni canali, ci sarebbero vittime, La Stampa non è in grado di confermare indipendentemente la notizia
La “Sergey Kotov” è (era) una nave molto importante dal punto di vista militare. Capace di portare un lanciatore d’artiglieria AK-176MA da 76 millimetri, un sistema missilistico antiaereo multicanale Shtil-1, un sistema missilistico antiaereo a corto raggio 3M-47 “Gibka” e due lanciatori di granate antisommossa DP-65 di piccole dimensioni azionati a distanza. Un elicottero Ka-27PS può essere basato sulla nave, decollare e atterrare.
Fino a oggi le forze armate ucraine hanno messo fuori uso almeno 15 navi della flotta russa sul Mar Nero, tra le quali l’ammiraglia della flotta, l’incrociatore missilistico Moskva affondato nell’aprile 2022 (ma anche la grande nave da sbarco Novocherkassk, la nave missilistica Ivanovets e la grande nave da sbarco Caesar Kunikov).
Ci sono altre quattro navi pattuglia nella flotta del Mar Nero, e tutte le corvette sono realizzate secondo lo stesso progetto. La “Vasily Bykov”, messa in servizio nel 2018, la “Dmitry Rogachev” e la “Pavel Derzhavin”, varate in servizio nel 2019 e nel 2020. Resta da vedere se anche il loro destino «si compierà, e avranno successo».
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA DELEGAZIONE DEI PARLAMENTARI ITALIANI SI E’ SPINTA FINO AL VALICO DI RAFAH
“Siamo di fronte al valico di Rafah, dal lato egiziano. Non possiamo andare oltre”. Inizia così la testimonianza che Nicola Fratoianni, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, manda a Fanpage.it mentre si trova al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. È partito alcuni giorni fa con una delegazione di parlamentari e Ong, una “carovana umanitaria” diretta al valico di Rafah per portare solidarietà alla popolazione palestinese, letteralmente intrappolata sotto le bombe dell’esercito israeliano, e testimoniare quello che sta accadendo. “In questi giorni abbiamo incontrato le organizzazioni della società civile, le organizzazioni umanitarie, le organizzazioni internazionali, tutte ci hanno detto la stessa cosa: serve ora un cessate il fuoco, una tregua, per evitare un’ecatombe. Un’ecatombe umanitaria che per tanti versi è già in corso, ma bisogna evitare che si aggravi. Sono oltre 30mila le persone morte fino ad oggi e sono altre migliaia quelle destinate a morire per malattia, per epidemia, per assenza di medicine”, racconta Fratoianni, con il valico alle sue spalle.
Poi aggiunge: “Il grande paradosso – l’ulteriore paradosso, perché una guerra è sempre un paradosso – è che le persone muoiono di fame, muoiono perché non hanno farmaci, muoiono perché non c’è il carburante per far funzionare gli ospedali, i forni e le attività essenziali, ma tutto questo in realtà ci sarebbe. È qui vicino a noi, ci sono 1.500 camion fermi in attesa che non riescono a entrare. Poco fa il responsabile dell’Unrwa a Gaza, è venuto qui per raccontarci che ieri è stata una buona giornata perché sono entrati 40 camion. Ne servirebbero più di 500 ogni giorno perché la situazione potesse un poco migliorare. I camion ci sono, ma non entrano”.
In una diretta Instagram con Fanpage.it Fratoianni mostra un deposito dove finiscono tutti gli aiuti umanitari respinti dal valico. “È un paradosso inaccettabile. Allora è il momento di cambiare passo, serve un’iniziativa più forte per imporre il cessate il fuoco a Benjamin Netanyahu, al governo israeliano, all’esercito israeliano. È necessario che la comunità internazionale non si limiti più agli appelli generici alla responsabilità, ma imponga un cambio di passo”.
A Rafah c’è anche Angelo Bonelli che racconta delle centinaia e centinaia di camion parcheggiate di fronte al valico, in attesa di poter entrare. Oppure, se saranno rifiutati, di tornare indietro. Per Bonelli, anche lui deputato di AVS, si tratta di una precisa strategia del governo israeliano. “Nel parcheggio a poche centinaia di metri dal valico di Rafah ci sono centinaia e centinaia – secondo il responsabile delle Nazioni Unite sono 400 – i camion che da almeno dieci giorni stanno aspettando di entrare per portare aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. Sotto le tende di questi camion, sotto questi teloni di plastica, ci sono beni di prima necessità. Farina e molto altro: sono sotto il sole, con un rischio di forte deperimento. Ma non è questo il principale problema: il problema è che sono fermi da decine di giorni a causa di un meccanismo di controlli imposto dal governo israeliano che rallenta volutamente l’entrata di questi beni di prima necessità”.
Bonelli, anche da parte sua, rinnova l’appello per il cessate il fuoco: “I camion con gli aiuti umanitari entrano con il contagocce. Li abbiamo incontrati lungo il nostro tragitto, sono più di mille. A Gaza c’è il disastro umanitario, bisogna fermare le armi, bisogna chiedere con forza il cessate il fuoco, che è l’unica via del processo di pacificazione. La politica non può voltare le spalle di fronte a questo disastro umanitario”.
Infine, a mandarci le immagini dal valico di Rafah è anche un altro deputato di Avs, Francesco Mari. Che sottolinea la quantità di ambulanze ferme al valico, mentre dall’altra parte le persone muoiono, i feriti sono a migliaia: “Ci sono anche moltissime ambulanze, ferme perché respinte. Sono nuove, senza targa. Sono decine. Chissà se riusciranno ad entrare a Gaza”.
(da Fanpage)
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