Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
IN ITALIA LA LOBBY DELLE AUTO BIANCHE TIENE SOTTO SCACCO I COMUNI E UNA LIBERALIZZAZIONE DELLE LICENZE NON È PIÙ RINVIABILE… L’AUTHORITY CHIEDE DI AUMENTARE LE AUTO A MILANO, NAPOLI E ROMA: “OCCORRE ADEGUARE LE LICENZE ALLA DOMANDA, SPINGENDO L’AUMENTO OLTRE IL TETTO DEL 20%”
Bisogna aumentare il numero delle licenze dei taxi e la flessibilità dei turni perchè si sono riscontrate criticità a Milano, Napoli e Roma. E’ la segnalazione dell’Antitrust ai comuni che devono fornire un monitoraggio stabile sull’offerta e un adeguato livello del servizio taxi per il trasporto di soggetti portatori di handicap.
Secondo l’Autorità l’offerta è carente anche a Palermo mentre nei Comuni di Bologna, Genova e Torino non sono emerse particolari criticità nell’offerta. Occorre adeguare il numero delle licenze alla domanda spingendo l’aumento oltre il 20% fissato in via straordinaria nel cosiddetto decreto Asset.
Già ad agosto 2023 -ricorda l’autorità guidata da Roberto Rustichelli – l’Antitrust aveva inviato una prima richiesta di informazioni ai Comuni di Milano, Napoli e Roma e alle principali cooperative e piattaforme per la prenotazione dei taxi al fine di valutare le condizioni di fornitura del servizio e far luce sui gravi disservizi riscontrati dall’utenza.
Terminata l’analisi delle informazioni acquisite, l’Autorità ha inviato una segnalazione ai suddetti tre Comuni in cui venivano evidenziate alcune importanti criticità come la strutturale insufficienza delle licenze per soddisfare la domanda (che genera un numero molto elevato di richieste inevase e tempi di attesa eccessivamente lunghi); una diffusa inerzia dei Comuni nel richiedere alle cooperative di taxi le informazioni necessarie a verificare l’adeguatezza del servizio, con esiti negativi in termini di rilevazione e correzione tempestiva di eventuali criticità; un’eccessiva rigidità del regime dei turni.
Il 17 novembre 2023 l’Agcm ha rivolto un’altra richiesta di informazioni ai Comuni e alle cooperative di taxi di Bologna, Firenze, Genova, Palermo e Torino. Nel Comune di Palermo è emersa la strutturale carenza dell’offerta e l’assenza di controlli e di misure di regolamentazione flessibile dei turni, mentre nel Comune di Firenze è risultata la mancanza di un meccanismo di monitoraggio sull’erogazione e sulla qualità del servizio, per cui l’Autorità ha deciso di inviare ai medesimi una segnalazione in cui sono state evidenziate tali criticità. Viceversa nei Comuni di Bologna, Genova e Torino non sono emerse particolari criticità nell’offerta del servizio, per cui non è stata inviata loro alcuna comunicazione.
L’Antitrust propone l’adozione di alcune misure correttive: occorre adeguare il numero delle licenze alla domanda spingendo l’aumento oltre il tetto del 20% fissato in via straordinaria nel cosiddetto decreto Asset adottando in tempi brevi i bandi di concorso pubblico per l’assegnazione delle nuove licenze. In secondo luogo, è necessario rendere stabile ed effettivo il monitoraggio sulla qualità del servizio, richiedendo, almeno annualmente, alle cooperative di taxi le informazioni necessarie per stabilire se il numero di licenze attive sia sufficiente. Secondo l’Autorità andrebbero adottate misure aggiuntive, come la regolamentazione dell’istituto delle doppie guide, l’implementazione del taxi sharing e l’efficientamento dei turni.
(da agenzie)
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
NIKKI HALEY SI RITIRA MA POTREBBE CANDIDARSI COME INDIPENDENTE (SOLO PER FAR PERDERE TRUMP), MICHELLE OBAMA SI CHIAMA FUORI “DALLA PRESIDENZA”: E SE FINISSE A FARE LA VICE?… L’ALTRO NOME DA AFFIANCARE A BIDEN E’ GAVIN NEWSOM, GOVERNATORE DELLA CALIFORNIA
Passato il Super-Tuesday, ora si fa sul serio: comincia la vera partita per le elezioni americane. Joe Biden si farà aiutare dal suo “gran visir” Barack Obama; Donald Trump, che ha allontanato la moglie Melania (insofferente e algida), la figlia Ivanka e il marito Jared Kushner (considerati troppo moderati), ora si appoggerà alla nuora Lara, moglie del figlio Eric.
Sarà lei, futura co-presidente del Comitato nazionale repubblicano, a gestire la macchina organizzativa per la campagna elettorale.
La vittoria a valanga di “The Donald” alle primarie repubblicane in 13 stati su 15 ha avuto come primo effetto l’annuncio del ritiro di Nikki Haley. Con l’unica candidata alternativa fuori dai giochi, l’ex puzzone della Casa Bianca ha la strada spianata per la nomination (salvo condanne).
Ma, per il tycoon, essersi tolto dai piedi l’ex ambasciatrice presso le Nazioni Unite potrebbe essere una vittoria di Pirro. La combattiva Nikki, infatti, che aveva raccolto l’entusiasmo di ricchi finanziatori e dell’ala moderata del partito repubblicano (ha raccolto il 9% dei delegati) non ha intenzione di fare subito un endorsement a Trump.
Haley valuta le sue chance di rientrare dalla finestra: potrebbe candidarsi come indipendente, come sognano gli esponenti del partito democratico e come la incitano a fare i repubblicani anti-Trump.
Catalizzando un 5-6% di voti, la sua candidatura potrebbe essere determinante per la vittoria di Joe Biden e per affossare il “rusty Trumpone”.
A proposito di “Sleepy Joe”: nel suo partito hanno ormai capito che l’ottuagenario presidente uscente è insensibile agli appelli di chi gli chiede un passo indietro.
È convinto, il barcollante “commander-in-chief”, di essere l’unico in grado di battere Trump. Ma con la senescenza che incombe, i democratici devono farsi trovare pronti: stanno pensando di affiancargli un vicepresidente giovane, autorevole e in grado di prendere le redini della Casa bianca ovemai la demenza senile mettesse fuori gioco BIden.
Il “cervellone” dietro la strategia campagna elettorale del presidente è Barack Obama che il 28 marzo sarà insieme al collega Bill Clinton (e allo stesso Biden) al Radio City Hall di New York: i tre daranno vita a un evento di raccolta fondi spillando dollari ai mejo riccastri di Manhattan. D’altronde la corsa fino al voto di novembre è costosa e i donatori vicini ai democratici sono piuttosto tiepidi sulla ricandidatura di Biden. Non solo: Obama sta conducendo un casting per individuare il migliore vicepresidente
La moglie, Michelle, rimane in cima alla sua lista: è popolare, combattiva, e l’allure del suo cognome è una garanzia di autorevolezza.
Ci sono due problemi: il primo è proprio Biden, che non ha intenzione di mettersi vicino una personalità così ingombrante e “scomoda”. Il secondo è la stessa Michelle, scettica all’idea di scendere in campo a stretto giro.
Non a caso, tramite il suo staff, ha fatto sapere che “non intende correre per la presidenza”. Le parole non sono scelte a caso: ha specificato “per la presidenza”, non volendo (potendo?) smentire una sua possibile candidatura come numero due.
L’altro nome in ballo è quello di Gavin Newsom, luccicante governatore della California: un nome popolare nell’élite hollywoodiana e nello star system, che andrebbe però a rafforzare la polarizzazione tra la “deep America” rurale, che vota Trump e il partito democratico “delle città”.
Newsom aspetta e sta a guardare: nel frattempo, ha lanciato alcuni suoi spot sul territorio nazionale. Perché un governatore dovrebbe essere interessato ad aumentare il suo appeal nel resto del Paese? Qui candidatura ci cova?
(da Dagoreport)
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
CITTA’ SOTTO SCACCO DI TRAFFICO E SMOG: IL REPORT DI LEGAMBIENTE
L’Italia è l’ultimo tra i principali Paesi europei per mobilità sostenibile su ferro e tra i primi, invece, per utilizzo di auto private, con un parco vetture tra i più grandi d’Europa. Di conseguenza le città sono sempre più “sotto scacco di traffico e smog” mentre gli investimenti sono praticamente fermi: “Un immobilismo quello delle città italiane, sempre più fragili e vulnerabili a causa della crisi climatica, che racconta anche quanto si stia investendo poco nei trasporti”. È questo il quadro che viene fuori dal report “Pendolaria – Speciale aree urbane” di Legambiente diffuso nell’ambito della campagna Clean Cities. Per l’associazione ambientalista serve, pertanto, “uno sforzo aggiuntivo” per realizzare nuove linee di metro e tram, incentivando la ciclabilità, e soprattutto “evitando di sprecare risorse per inutili opere faraoniche come gli 11 miliardi di euro stimati dal governo per realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina“.
La carenza delle metropolitane
Secondo il report a pesare è soprattutto la carenza infrastrutturale. In Italia la lunghezza totale delle linee di metropolitane si ferma a poco meno di 256 chilometri, ben lontano dai valori di Regno Unito (680,4 km), Germania (656,5), Spagna (615,6) e Francia (389,8 km). Praticamente il totale delle linee metropolitane nella Penisola è inferiore, o paragonabile, a quello di singole città europee come Madrid (291,3) o Parigi (225,2). Tra l’altro dei 256 chilometri di metro italiane, 104 sono della sola città di Milano, mentre Roma (con i suoi quasi 61 km) risulta tra le città europee peggiori in termini di dotazioni di binari e metro: nella capitale sono presenti 1,43 chilometri di binari di metro ogni 100mila abitanti, rispetto ai 4,93 di Londra, ai 4,48 di Madrid e ai 4,28 di Berlino. Milano si attesta a 3,2 chilometri ogni 100mila abitanti mentre Torino a 0,66.
Tram e ferrovie suburbane
Situazione analoga quella delle tranvie e delle ferrovie suburbane. I 397,4 chilometri di binari per i tram italiani sono molto lontani dagli 875 della Francia e soprattutto dai 2.042,9 della Germania. In termini di ferrovie suburbane, molto utilizzate ogni giorno da tanti pendolari, l’Italia è dotata di una rete totale di 740,6 chilometri mentre sono 2.041,3 quelli della Germania, 1.817,3 nel Regno Unito e 1.442,7 in Spagna.
Investimenti fermi
Non solo gli altri Stati hanno migliori infrastrutture ma hanno anche molti progetti di sviluppo per aumentare il numero di utenti. E in Italia? Sul fronte investimenti su ferro, il rapporto di Legambiente evidenzia che l’Italia ha fatto ben poco preferendo quello su gomma. Nel 2023, ricorda l’associazione, non è stato inaugurato nemmeno un chilometro di nuove tranvie, mentre l’unica aggiunta alla voce metropolitane riguarda l’apertura di un nuovo tratto della M4 a Milano. E se si guarda indietro negli anni, dal 2016 al 2023 sono stati realizzati appena 11 chilometri di tranvie e 14,2 di metropolitane, con una media annua rispettivamente di 1,375 chilometri e 1,775 chilometri, ben lontani da quanto sarebbe necessario per recuperare la distanza dalle dotazioni medie europee.
Parco auto tra i più grandi d’Europa
Di conseguenza in Italia l’utilizzo dell’automobile raggiunge cifre record, confermandosi il Paese europeo più legato al trasporto su gomma, con un parco vetture tra i più grandi del vecchio continente: 666 auto ogni mille abitanti, il 30% in più rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna. Questo anche perché, spiega Legambiente nel rapporto, pesa la mancanza di interconnessioni tra le varie linee di trasporto di massa, di Tpl (trasporto pubblico locale) e di mobilità dolce, di integrazione delle stazioni con il tessuto urbano pedonabile e ciclabile.
Traffico e inquinamento
Gli effetti di tutto questo quadro riguardano direttamente i livelli di inquinamento urbano e, indirettamente, la salute delle persone e la vivibilità delle stesse città. “Ancora nel 2023, come raccontato dal rapporto Mal’aria di città di Legambiente, in Italia 18 città su 98 hanno superato i limiti giornalieri di PM10“, si legge nel report. “Frosinone la peggiore con 70 giorni di sforamento, seguita da Torino (66), Treviso (63), Mantova, Padova e Venezia con 62. In particolare, preoccupa il confronto con i nuovi target europei al 2030: sarebbero, infatti, fuorilegge il 69% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 50% per l’NO2 . Le conseguenze di questa situazione sono innanzitutto sulla salute: ogni anno nella Penisola, stando ai dati dell’EEA4 , sono oltre 50.000 le morti premature dovute all’inquinamento atmosferico“, scrive Legambiente.
Crisi climatica ed eventi meteo estremi
“Un immobilismo quello delle città italiane, sempre più fragili e vulnerabili a causa della crisi climatica, che racconta anche quanto si stia investendo poco nei trasporti”, osserva Legambiente spiegando che dal 2010 al 2023 sono 182 gli eventi meteo estremi che hanno avuto, ad esempio, impatti sui servizi ferroviari con rallentamenti o interruzioni causati non solo da piogge intense e allagamenti; frane dovute a intense precipitazioni, ma anche da temperature record e forti raffiche di vento. Le regioni più colpite: Lazio (37), Lombardia (25) e Campania (17).
“Basta sprecare risorse inutili per opere faraoniche come il Ponte” “Mentre l’Europa viaggia sempre più velocemente su ferro le città italiane sono ferme al palo“, afferma Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente commentando i risultati del report, sottolineando che “serve uno sforzo aggiuntivo sulle risorse economiche fino al 2030, pari a 1,5 miliardi di euro l’anno, per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane, recuperando i fondi dalle tante infrastrutture autostradali e stradali previste, rifinanziando i fondi per il trasporto rapido di massa e la ciclabilità, completamente svuotati dal governo Meloni, evitando di sprecare risorse per inutili opere faraoniche come gli 11 miliardi di euro stimati dal governo per realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina“. “In un’epoca in cui la crisi climatica ha accelerato il passo bisogna ripartire dalle città per farle diventare davvero moderne, vivibili e sostenibili ottenendo, così, importanti benefici ambientali ed economici”, conclude Ciafani.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
L’ITALIA NON ADERIRA’ AL “GREEN PASS GLOBALE”, DOCUMENTO PENSATO DALL’OMS PER CONDIVIDERE I DATI SULLA CERTIFICAZIONE VACCINALE A LIVELLO INTERNAZIONALE
L’Italia non aderirà al Green pass globale, il documento pensato dall’Organizzazione mondiale della sanità per condividere i dati sulla certificazione vaccinale a livello internazionale, nato da un accordo tra Oms e Unione europea nel giugno scorso.
L’obiettivo è quello di sviluppare, a partire dal modello utilizzato per il Covid, un sistema da usare in altri casi, come ad esempio, la digitalizzazione del certificato internazionale di vaccinazione o profilassi.
È stato il ministro della Salute Orazio Schillaci, ieri ad annunciare che il governo «non ha alcuna intenzione di aderire» perché «in sede di conversione del decreto-legge del 26 febbraio, verrà presentato un emendamento per riformulare il testo e ricondurre la norma agli obiettivi Pnrr in tema di salute, a partire dalla piena operatività del fascicolo sanitario elettronico».
(da “La Stampa”)
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
VOLEVA CANCELLARE LA RISERVA NATURALE DI ROSETO PER FAVORIRE UNA CEMENTIFICAZIONE SELVAGGIA… PER IL MINISTERO DELLA CULTURA E’ INCOSTITUZIONALE CON IL PARADOSSO CHE ORA TOCCA ALLA MELONI IMPUGNARE LA LEGGE REGIONALE: CHE FIGURACCIA
Prima di iniziare la storia, andate su Google e digitate “Riserva del Borsacchio”, cliccando su immagini. Ebbene sì, il cronista (abruzzese) sente un po’ il richiamo della foresta (anzi, della riserva).
Però, oggettivamente è uno dei luoghi più suggestivi della costa abruzzese: 1100 ettari tra Roseto degli Abruzzi e le frazioni di Cologna Spiaggia e Montepagano (provincia di Teramo), insomma mare e collina ancora integre dal punto di vista ambientale. E protette dai fenomeni di urbanizzazione.
C’è anche il famoso uccello fratino, specie a rischio di estinzione (date una googlata anche qui): l’uccello giramondo, con la mascherina nera, che si aggira per le dune.
Ebbene, alla fine dell’anno scorso, con un emendamento approvato a notte fonda nelle pieghe della legge di bilancio regionale, la maggioranza che sostiene Marco Marsilio l’ha quasi cancellata del tutto, tagliando 976 dei circa 1100 ettari. Ne restano così circa 25 (la parte a ridosso del mare), mentre il resto viene liberato dai vincoli, scatenando così gli appetiti dei palazzinari.
La modalità è piuttosto spiccia: zero confronti, nessuna consultazione preliminare, nessuna valutazione né sull’impatto ambientale (prevista dalla legge quadro del 1991 sulle aree protette), né sulle conseguenze anche in termini di perdita di finanziamenti per le attività sostenibili nelle riserve.
Scoppia il classico putiferio in cui mezzo mondo, dalle opposizioni, al Wwf alla stazione ornitologica abruzzese denuncia profili di incostituzionalità. E l’argomento entra pure in campagna elettorale, in particolare Elly Schlein, che ha un cuore ambientalista, non perde occasione per denunciare lo “scempio”.
La storia diventa davvero gustosa da raccontare. Quando c’è un odore di incostituzionalità, per competenza, in casi come questo, se ne occupa l’ufficio legislativo del Ministero della Cultura, che ha sessanta giorni di tempo dalla pubblicazione della legge sul Bollettino della Regione per impugnarla.
La prassi è che scrivi al dipartimento degli Affari regionali della presidenza del Consiglio, chiedi di cambiarla, sennò la impugni (come governo). L’Ufficio del ministero della Cultura ha scritto, e l’HuffPost ha potuto visionare il parere.
Carta canta: la legge regionale viola la Costituzione, per tre motivi. Il primo è che, contrariamente a quanto sostenuto dalla maggioranza di centrodestra, aver soppresso la riserva significa far venir meno la tutela paesaggistica. La seconda è che la legge è illegittima perché non ha rispettato il procedimento, essendo stata approvata senza coinvolgere gli enti territoriali interessati (in questo caso comune di Roseto e Provincia di Teramo). La terza ragione è quella più grave e va al cuore dell’operazione Marsilio (raffreddando gli entusiasmi dei palazzinari): il Ministero dice sostanzialmente che la legge regionale innesca un meccanismo micidiale per la riserva: il meccanismo è dato dalla riduzione della riserva da un lato, e, dall’altro, dalla possibilità di derogare al regolamento comunale di Roseto e ai piani urbanistici. Risultato: nei territori interessati si potrà cementificare senza regole.
Insomma, un bel pasticcio in campagna elettorale. Amplificato dal fatto che, a questo punto, la legge non si può cambiare perché la Regione è in prorogatio.
Resta solo la strada dell’impugnazione, da parte del governo Meloni. Due mesi di tempo, a partire dalla pubblicazione della legge (data 26 gennaio). Non ci vuole Cassandra per prevedere che il termine sarà utilizzato fino a scadenza, per svalicare la data delle elezioni. Però, che figuraccia.
(da Huffingtonpost)
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
“AVEVA UN IMPEGNO”, DICONO DALLA LEGA. MA LA SCOMPARSA DI SALVINI LA DICE LUNGA. IL CARROCCIO E’ AI MINIMI E RISCHIA DI ESSERE DOPPIATO DA FORZA ITALIA: DOPO LO SPOGLIO IL CAPITONE POTREBBE PASSARE UN BRUTTISSIMO QUARTO D’ORA E FAR INIZIARE A BALLARE DI BRUTTO L’ESECUTIVO
«Altre elezioni saranno quelle che arriveranno a giugno e sono il vero timore di tutti. Sono il vero timore di tutti che questa maggioranza possa essere confermata con il voto delle elezioni europee. Succederà di tutto. Io ho messo l’elmetto e vinceremo anche questa battaglia», le parole di Giorgia Meloni a Pescara per sostenere il candidato alle regionali e governatore uscente Marco Marsilio. / Youtube FdI (Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev)
Dice che ha già l’elmetto in testa perché succederà di tutto da qui alle europee, ma intanto quando può si mette il cappuccio (rosa) per ripararsi dall’acqua. Non è la pioggia nel pineto, quella che cade su piazza Salotto, qui ci sono le palme dietro Giorgia Meloni. Complice il maltempo tutto prende una bella accelerata.
La premier chiude come d’abitudine, ma taglia corto: venti minuti di comizio senza gli eccessi teatrali già visti a Cagliari (anche se alla fine una vocina le scappa quando sfotte la sinistra che accusa il governatore Marsilio di fare il pendolare da Roma all’Abruzzo).
Usa quello che Ennio Flaiano, nato giustappunto ieri 114 anni fa, avrebbe chiamato “frasario essenziale per passare inosservati in società”. I toni sono da campagna elettorale, ma non c’è lo show che mal le ha portato in Sardegna. Meloni parla per esempio di “infrastrutture di cittadinanza”. E rilancia la Roma-Pescara, spuntata come un fungo nei giorni scorsi. Tutto filerebbe liscio, ma sul finale, mentre i militanti sono bagnati come pulcini, ecco la sorpresa.
Al momento della foto di gruppo sotto le note dell’Inno Mameli non si trova Matteo Salvini. Ci sono Lupi e Cesa, Rotondi e Marsilio, Meloni e Tajani, ma lui, il leader della Lega è scomparso. “Avevo un impegno”, diranno balbettando qualcosa dalla Lega. Ma questa scomparsa di Salvini, apparso remissivo e non di buon umore, la dice lunga. Nel retropalco i tre leader evitano smancerie. Il capo della Lega sa che domenica notte qui potrebbe passare un bruttissimo quarto d’ora quando inizierà lo spoglio.
Dettaglio: bandiere della Lega contate in piazza due, quelle dell’Ucraina ben quattro. “Noi andremo in doppia cifra. La Lega? Io penso a Forza Italia”, gongola un rinato Antonio Tajani, pronto a scommettere una frittura a pranzo e un piatto di arrosticini a cena sulla vittoria di Marsilio. Sarà l’ora di cena, ma le metafore gastronomiche vanno per la maggiore.
Carovane di ministri e sottosegretari in pellegrinaggio in questa regione perché dopo la scoppola sarda questa volta non si può sbagliare. Lo dimostra anche la doppia tappa meloniana: prima a Teramo, terra del candidato del campo larghissimo Luciano D’Amico, con le imprese e poi in piazza. “Sono stata eletta qui: non vorrete mica cacciarmi?”, scherza esorcizzando la grande paura. Anche se questa volta dai classici sondaggi casarecci sembra non esserci il timore della sconfitta. Anche i tassisti parlano bene di Marsilio.
La premier scherza anche con i giornalisti inviati qui. “Pagano vi ha consigliato il ristorante per pranzo? Pagano, li dovevi avvelenare!!”. Non c’è quella elettricità percepita alla fiera di Cagliari. La presidente del Consiglio ammette di essere “stanca”, fa la vittima contro i giornali di sinistra, ma tiene un tono meno aggressivo e pirotecnico.
Anzi, una cosa forte la dice sul caso del dossieraggio: “Fuori i mandanti”. E poi torna a difendere le forze dell’ordine. Non a caso oggi riceverà con Tajani e Piantedosi i sindacati di polizia per discutere del rinnovo contrattuale, ma anche per continuare sulla linea della solidarietà agli agenti, nonostante la macchia – isolata – di Pisa. Elemento di scricchiolìo con il capo dello stato, come si sa. Al punto che costringe Salvini a dire: “Le parole di Mattarella sui manganelli? Le ho lette, ma non le commento”.
Qui il capo del Carroccio si ritrova un partito ridotto ai minimi termini, transumato in gran parte verso Fratelli d’Italia: dagli assessori regionali ai consiglieri passando perfino per un’eurodeputata. I sondaggi dicono che la Lega sarà doppiata da Forza Italia: ecco perché forse Salvini non ha il migliore degli umori, e se ne va, al contrario di Tajani, pieno di soffici sicurezze. Nessuno crede nel colpaccio del campo largo in versione XXL. Basta osservare l’allegria elettrica di Donzelli. Perfino Meloni sembra più moderata e istituzionale, nonostante l’appuntamento. Avrà letto il Frasario di Flaiano quando diceva: “Abbia la compiacenza di parlarmi con dolcezza”
(da il Foglio )
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
ROTTAMAZIONI, CONCORDATI, AGEVOLAZIONI: CON IL GOVERNO MELONI CONVIENE NON PAGARE
In principio, come sempre, fu il condono. In grande stile. Novembre 2022: Giorgia Meloni firma la sua prima legge di Bilancio e dentro ci sono una dozzina tra sanatorie e definizioni agevolate. Nei successivi 15 mesi, via via che il governo ha dato attuazione alla delega fiscale approvata in agosto, la lista dei favori agli evasori si è allungata. L’ultimo tassello, per ora, è il decreto che taglia le sanzioni e garantisce la non punibilità penale a chi accetta di pagare a rate. Per il viceministro con delega al fisco, Maurizio Leo, sono le tappe di un piano per rendere il fisco “più equo e giusto”. Ma il messaggio che arriva ai contribuenti, nel Paese in cui l’evasione è un fenomeno di massa, è ben diverso: non versare il dovuto conviene. Per chi può, è la scelta più razionale.
Ripartiamo dall’inizio. Poco dopo la vittoria elettorale la maggioranza di destra ha tradotto in pratica una delle periodiche promesse di Matteo Salvini: l’ennesima pace fiscale. I condoni in Italia sono tradizione bipartisan, ma il set di opzioni apparecchiato in questo caso ha pochi precedenti: dallo stralcio delle cartelle sotto i 1.000 euro alla definizione agevolata degli avvisi bonari, dalla rottamazione quater con abbuono di aggio, sanzioni e interessi alla chiusura delle liti pendenti nei vari gradi di giudizio. Aggiungendo anche lo spalma-debiti delle società sportive e la regolarizzazione delle criptovalute si arriva a una dozzina di misure che il testo della manovra definisce “di sostegno al contribuente”. Peccato che a perderci sia il fisco. Perché l’altra metà della promessa salviniana – “decine di miliardi di incassi” – non si è avverata. Se è vero che da queste misure lo Stato qualcosa ricava, le condizioni di favore offerte per incentivare l’adesione comportano la rinuncia a cifre enormi: stando alla relazione tecnica almeno 3,5 miliardi, 1,4 al netto dei maggiori introiti.
Per capire quanto dannoso sia il pacchetto prendiamo uno degli interventi all’apparenza più innocui, la rottamazione. Che male c’è nel tendere la mano a chi ha dichiarato ma non versato e accetta di farlo a rate? Il fatto è che buona parte dei milioni di contribuenti che aderiscono smette presto di rispettare le scadenze stabilite. Di fatto, dice la Corte dei Conti, usa l’agenzia della riscossione come una finanziaria che fa credito a tasso zero e senza pretendere garanzie. Per molte aziende è diventato un modus operandi: pagano dipendenti e fornitori, magari distribuiscono pure i dividendi ai soci e poi, se la liquidità è agli sgoccioli, invece che chiedere un prestito “risparmiano” sulle tasse. Il risultato è che l’incasso finale si ferma sempre molto sotto l’introito preventivato: è successo con le rottamazioni di Renzi, Gentiloni e del Conte 1, sta succedendo con quella di Meloni. Lo scorso anno sono mancati all’appello 5,4 miliardi su 11,9 attesi. Falso anche che queste misure siano preziose per svuotare il magazzino delle cartelle non riscosse: le prime tre tornate l’hanno ridotto solo di 30 miliardi. Su un totale che oggi ha raggiunto quota 1.200 miliardi.
Avanti di qualche mese: a marzo il governo approva il ddl delega per la riforma del fisco, che prevede tra l’altro (ci torneremo) il concordato preventivo biennale con le partite Iva. Due settimane dopo infila a sorpresa nel decreto Bollette una nuova causa di non punibilità fino al giudizio di appello per chi non ha versato oltre 150mila euro di ritenute e 250mila di Iva. Se rateizza il debito – dopo essere stato scoperto e condannato in primo grado – il processo va al macero. Uno scudo penale allargato che tributaristi e magistrati, in audizione, bocciano senza appello definendolo “messaggio criminogeno”. Meloni e Leo tirano dritto. A fine maggio la premier, chiudendo la campagna elettorale per le comunali in Sicilia, dà la sua lettura della lotta all’evasione: insistere perché i “piccoli” versino il dovuto equivale a chiedere un “pizzo di Stato”.
In agosto il Parlamento vota la delega e parte la corsa al varo dei decreti attuativi. In autunno c’è l’ok a quello sull’adempimento collaborativo, un regime di interlocuzione preventiva con le Entrate riservato finora ai grandi gruppi: il governo, oltre a prevedere di allargarlo anche alle medie aziende, si inventa per tutte le altre un “regime opzionale”. Basta che adottino un sistema di rilevazione e controllo dei rischi fiscali “certificato da professionisti indipendenti”, leggi commercialisti e avvocati. Si appaltano ai privati controlli da cui dipenderà la concessione di benefici sostanziali come la non punibilità per la dichiarazione infedele.
Con l’anno nuovo arriva il via libera definitivo a una delle misure bandiera, il concordato preventivo per piccole imprese e lavoratori autonomi. In pratica l’Agenzia proporrà loro un reddito presunto su cui pagare le tasse nei due anni successivi e non potrà pretendere nulla di più nel caso in cui i ricavi effettivi siano superiori. Leo, che aveva rivendicato la scelta di consentire l’accesso solo ai contribuenti con buone pagelle fiscali (gli indicatori Isa), smentisce se stesso. Accogliendo una richiesta arrivata dalla maggioranza durante il passaggio parlamentare, elimina il requisito. La nuova opzione sarà aperta anche a chi ha un punteggio bassissimo: probabili evasori, che dichiarano decine di migliaia di euro in meno rispetto ai virtuosi. Così il maggior gettito atteso prima della modifica – 1,6 miliardi stando alla relazione tecnica – si azzera. Le proposte del fisco arriveranno entro metà ottobre: molti addetti ai lavori temono che saranno “morbide” per evitare il flop della misura. In quel caso il nuovo strumento si tradurrà in un condono preventivo. Di sicuro, per ora, c’è il fatto che il testo del decreto quantifica una “modica quantità di evasione” considerata ammissibile: chi occulta meno del 30% del dichiarato, infatti, non decadrà dal concordato.
L’ultimo regalo – per ora – è il decreto sul sistema sanzionatorio. La bozza esaminata in Consiglio dei ministri riduce le sanzioni amministrative, con l’eccezione dei casi di frode e violazioni reiterate, e depenalizza l’omesso versamento di Iva e ritenute – oggi punito con la reclusione da sei mesi a due anni – quando il debito è “in corso di estinzione mediante pagamenti rateali”. Si estende insomma il beneficio offerto col decreto Bollette ai condannati in primo grado. Tra l’altro, chi smette di ottemperare resterà non punibile nel caso tenga per sé meno di 50mila euro di ritenute e 75mila di Iva. Novità che rendono ancora più “razionale” non pagare per poi rateizzare. Tanto più che, salvo eccezioni, chi sta estinguendo il debito a rate non sarà più soggetto al sequestro dei beni.
Manca ancora all’appello un altro provvedimento delicato, quello di riforma della riscossione. Per prevenire l’accumulo di milioni di cartelle inesigibili il governo vuol prevedere la restituzione automatica delle quote non riscosse al creditore (Entrate o altri enti) a 5 anni dall’affidamento, fatte salve quelle per cui è in corso qualche forma di recupero. Ma dovrebbe valere solo per il futuro. E 1.200 miliardi pregressi? La tentazione sarà quella di fare tabula rasa: una nuova sanatoria.
(da agenzie)
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
“IO ASCOLTO IL POPOLO”
«Zero», risponde Pier Luigi Bersani quando gli chiedono quanti detrattori incontri sul suo cammino ora che gira l’Italia «molto di più» di quanto non facesse da ministro, leader di partito, parlamentare.
Non certo le vagonate di odio pubblico denunciate in tv da Chiara Ferragni, non le contestazioni che ogni tanto riceve Giorgia Meloni; al contrario, racconta nelle pause di questo «su e giù dal palco» delle campagne elettorali che lo stanno vedendo in prima fila — citazione da Ligabue nonostante lui sia decisamente più incline alla tendenza Vasco Rossi — non c’è viaggio in treno in cui non si avvicini qualcuno «a dirmi “sa, io sono di destra ma lei la stimo molto”, io rispondo sempre ringraziando due volte, perché il complimento è doppio».
Sarà per questo che Schlein lo considera un punto di riferimento imprescindibile e che la war room elettorale del Pd si affanna a prenotarlo, date su date, città su città, manifestazioni su manifestazioni su manifestazioni.
Prima in Sardegna, dove l’evento di Carbonia con la segretaria del partito è considerato quasi «un format» per l’ufficio comunicazione del Pd, così come le sortite in solitaria a Orosei e Nuoro; e adesso in Abruzzo, dove la sua annunciata presenza non è passata inosservata neanche nel fronte opposto, col governatore uscente (e ricandidato) del centrodestra Marco Marsilio che ha causticamente notato come nel centrosinistra abbiano «riesumato persino Bersani, che ha dismesso i panni del commentatore televisivo ed è tornato a fare campagne elettorali…».
Lui, Bersani, c’è. Nei manifesti delle iniziative elettorali, il suo nome è tornato a essere scritto a caratteri cubitali, come se fosse l’attrazione principale della serata. Soltanto oggi, come segnalato da locandine con scritta bianca su sfondo rosso, che rimandano a certi classici del marxismo ripubblicati negli anni Settanta dagli Editori Riuniti, sarà a L’Aquila a metà pomeriggio e in Val Pescara alle nove di sera, sempre insieme al candidato presidente Luciano d’Amico (nelle locandine, c’è scritto prima Bersani e poi D’Amico). Perché in campagna elettorale, soprattutto per chi è chiamato a inseguire la lepre, vale quello che vale per la tv: questo funziona, questo no.
Bersani funziona sì, ma perché? «Credo che i motivi di fondo siano due: il primo — spiega lui in privato — è che le persone riconoscono la gratuità che sta dietro il mio impegno, nel senso che hanno capito che vado in giro da militante senza voler nulla in cambio».
Il secondo «è che finalmente si è capito, anzi si è visto, che cosa ci fosse dietro la mucca nel corridoio di cui parlavo da anni: questa destra che evocavo nella mia metafora e che adesso è lì, radicata anche se indebolita, come se i bulloni del loro patto con le persone si siano allentati ma non del tutto staccati».
Certo, dall’altra parte c’è la difficoltà della sinistra nelle zone più lontane dalle grandi città, «guardate anche al voto dei paesini della Sardegna, che segnala a noi tutti il fatto che abbiamo smesso di andare al bar anche se il bar dovremmo tornare a frequentarlo».
A parlare, dice lui, di quella linea di demarcazione «tra noi e loro», tra centrodestra e progressisti, «che adesso è tornata a essere ben visibile. Basta parlare di sanità e si capisce tutto: sei per l’universalità del servizio, che va fatto funzionare a tutti i livelli, oppure punti a dare sempre più pezzi al privato, di modo che finisca per funzionare solo per chi paga? La differenza è tutta là».
Quando gli si fa notare che le differenze sono anche tra Pd e Cinquestelle, Bersani fa un sospiro: «Capiranno tutti che i ragionamenti di certi dirigenti su un decimale guadagnato o perso non interessano al popolo, che vuole un’alleanza. Ci si arriverà col “lodo Totò”: perché è la somma, non altro, che fa il totale». Quanto a lui, di quel campo largo sperimentato in Sardegna e Abruzzo, rimane il testimonial più fedele. Ha smesso di mettere Tumbling dice dei Rolling Stones in macchina, come faceva ai tempi in cui era candidato premier, e magari pensa che tutto sommato «io sono ancora qua», come cantò Vasco Rossi al rientro dopo un lungo pit stop. «La gente mi trova simpatico», dice Bersani. Poi aggiunge: «Non ho ancora capito bene il perché».
(da agenzie)
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Marzo 6th, 2024 Riccardo Fucile
LE IMPROVVISE PROMESSE DEL CENTRODESTRA ALLA VIGILIA DEL VOTO
Da politica navigata – c’erano ancora le Province quando vi fu eletta la prima volta, 26 anni fa – ieri Giorgia Meloni ha chiuso il comizio per le regionali in Abruzzo cancellando la Sardegna.
“Partiamo da qui per confermare il governo con la vittoria alle Europee”, ha detto prima di lasciare gli abruzzesi ai loro problemi di sempre e tornarsene a Roma. A Pescara restano le sue amnesie – dal disastro del fidato Truzzu a Cagliari al dissesto della Sanità abruzzese dopo cinque anni di Marsilio – e le solite bugie.
Le più grosse, di questi tempi, sono la compattezza della coalizione di governo e i dossier di Perugia contro le destre (quando sotto esame c’era persino Conte con la sua compagna), ma stavolta la premier si è voluta superare, rivendicando i milioni assegnati per l’alta velocità ferroviaria tra Pescara e Roma.
Soldi già previsti, ma che proprio il suo governo aveva dirottato altrove prima di restituirli, quando ci si è ricordati che domenica prossima si vota.
Anche per questo, il clima che si respira tra gli elettori è di una forte crescita delle opposizioni, unite intorno a un candidato preparato e credibile come Luciano D’Amico.
Allora a Giorgia nostra non è rimasto che osare di più, scopiazzando gli avversari e promettendo le infrastrutture di cittadinanza, qualunque cosa voglia dire, magari per far dimenticare le opere che non ha realizzato Marsilio.
“Vi vedo fracidi”, ha detto infine a chi la ascoltava sotto una pioggia battente. Domenica vedremo se quelli che non ha visto sono invece gli abruzzesi che non sono fessi.
(da La Notizia)
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