Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
È UN PARENTE D’ITALIA COME DA PEGGIORE PATRIOTTISMO MELONIANO. SUA SORELLA LAURA MARSILIO È DIRIGENTE NAZIONALE DI FDI ASSIEME AD ARIANNA MELONI E FU ASSESSORA A ROMA NELLA GIUNTA ALEMANNO
Di certo non sapete che Giorgia Meloni, per un certo periodo ha fatto da badante a una signora anziana. Era la mamma di Marco Marsilio, primo governatore meloniano eletto 5 anni fa in Abruzzo, e ricandidato per le elezioni che vanno in scena tra una settimana. Sì perché Marco Marsilio, soprannominato il Lungo, non è abruzzese. E’ romano, proprio della Garbatella, il quartiere della Meloni.
Sono amici da molti anni, da quando Marsilio capeggiava il Fronte della Gioventù capitolina. E infatti è stata proprio la Meloni a spedire Marsilio all’Aquila, collegio nel quale si è candidata capolista alla Camera alle ultime politiche, dove Marsilio vinse le elezioni regionali nel 2019 credendo che l’Abruzzo affacciato sull’Adriatico fosse bagnato addirittura da 3 mari. Manco fosse stato la Sicilia.
Del resto Marsilio è un parente d’Italia come da peggiore patriottismo meloniano. Sua sorella Laura Marsilio è dirigente nazionale di Fratelli d’Italia assieme ad Arianna Meloni e fu consigliera e assessora a Roma nella giunta del condannato Gianni Alemanno. Il suo ex marito, Pierpaolo Terranova, ex cognato di Marsilio, è a sua volta dirigente di Fratelli d’Italia a Roma.
Assieme al ministro Lollo, marito di Arianna, Marsilio è stato di recente a cena al consolato italiano di Barcellona non si sa bene per quale motivo, ovviamente a spese dei cittadini. Marsilio ama la tavola. Ce lo ricordiamo a cena in riva al mare qualche estate fa, mentre sui monti intorno all’Aquila andavano in fumo 700 ettari di bosco e decine di soccorritori rischiavano la vita per spegnere le fiamme, il governatore rimase imperturbabile al ristorante con molto appetito.
Era il periodo nel quale doveva decidere chi mettere alla poltrona di direttore generale della Regione. Scelse Antonio Sorgi, imputato nel processo per la strage di Rigopiano, alla faccia dei parenti delle vittime.
Insomma , oggi Marco Marsilio si ritrova al termine di un mandato nel quale i sondaggi lo danno in leggero vantaggio sullo sfidante Luciano D’Amico, candidato indipendente sostenuto da tutto il centrosinistra che va da Renzi ai 5 stelle.
Parliamo di circa 2 punti percentuali, 50, 8 per Marsilio, contro il 49,2 per D’Amico
Allora chiediamoci da cosa può derivare questo gradimento? Stando ai fatti sembra che a diversi abruzzesi Marsilio stia piacendo in questi giorni perché ha appena dato contributi a pioggia con l’ultima finanziaria concomitante con la campagna elettorale.
Per dire, la corte dei conti indaga con l’ipotesi di violazione della legge che vieta il finanziamento pubblico ai partiti sul destino di 12 milioni di euro erogati a fiere, sagre, circoli, bocciofile, a premi per scrittori di destra, e ad associazioni varie, tra cui alcune che hanno partecipato a competizioni elettorali. L’inchiesta ha preso il via dopo un esposto denuncia presentato dall’ex governatore Luciano D’Alfonso.
Il gradimento potrebbe venire anche dai balneari, per i quali Marco Marsilio si è detto felice del fatto che la Cassazione abbia bocciato la decisione del Consiglio di Stato di aver escluso dalla discussione della Bolkestein i sindacati dei balneari.
In questo modo resta inapplicata la norma approvata nel ddl Concorrenza dal governo Draghi, che avrebbe mandato a bando pubblico le spiagge e messo fine alle multe salate che l’Italia paga all’Europa da anni a causa delle continue deroghe.
Quelle che piacciono a Meloni e quindi anche a Marsilio. E comunque poiché anche per Marsilio i parenti e gli amici saltano la fila sui meritevoli e i competenti, ha pensato bene di nominare Commissario del post terremoto il senatore ed ex sindaco di Ascoli Piceno Giuliano Castelli, ovviamente fedelissimo patriota d’Italia, ma anche contestatissimo, persino dal vescovo di Norcia, visto che Castelli ha preso il posto dell’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, l’unico che era riuscito ad ottenere un fondo per la ricostruzione.
Ah, non va dimenticato che Marsilio, in Abruzzo, è l’unico governatore che permette alla sua giunta di fare riunioni da remoto in pantofole o dalla spiaggia al modico stipendio di oltre 100 mila euro l’anno. Tra gli assessori incompatibili è rimasto in carica per 4 anni anche Guido Liris, nella doppia veste di senatore a Roma, da cui fino all’anno scorso ha fatto la spola dall’Aquila.
E non è finita. A differenza dei consiglieri, gli assessori di Marsilio hanno il privilegio di riscuotere l’indennità facendosi sostituire in aula al momento del voto da gente pescata tra i primi non eletti nelle liste elettorali.
Tuttavia, se si tratta di favorire i palazzinari che portano voti, si può arrivare a votare anche in piena notte, alle 2 e mezza come è successo il 29 dicembre scorso, quando la giunta Marsilio, con un emendamento ha cancellato 1000 ettari di Riserva Naturale protetta del Borsacchio, nel comune di Roseto degli Abruzzi (Teramo) così da poter costruire.
Il tutto senza confronti in aula e senza seguire l’iter delle leggi nazionali. Il WWF parla di ennesima vergogna e il sindaco di Roseto Mario Nugnes, si dice incredulo, mentre l’opposizione parla di porcata.
Porcata a fine mandato. Porcata a inizio mandato, quando con la scusa dell’emergenza Covid la giunta Marsilio approvò un condono fiscale chiamato restando seri “pace legale” che comprendeva quella fiscale, edilizia e processuale. Con un ammanco milionario alle casse pubbliche e un incentivo a delinquere.
In tema di sanità, la gestione Marsilio è un disastro. La mancata approvazione del piano sanitario regionale ha prodotto disservizi ai cittadini e accordi con i privati. Gli ultimi dati disponibili dicono che la giunta dell’Abruzzo paga 120 milioni alle Regioni confinanti per garantire le cure degli abruzzesi, mentre il disavanzo sulla sanità ammonta a 150 milioni di euro.
Vabbè ma tanto mica paga Marsilio…
Lui si ricandida speranzoso di continuare la sua gestione amicale e familistica di una Regione che dovrebbe avere al centro dei propri interessi i cittadini. Ai cittadini a questo punto non resta che aprire gli occhi e votare informati. Prima di ritrovarsi incornati
(da blog Daniele Martinelli)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
“MATTEO HA PERSO OGNI CREDIBILITÀ. SE NON AVESSE COMBINATO TUTTE QUELLE CAGATE, DAL PAPEETE IN POI, OGGI SAREMMO UN ALTRO PARTITO. C’È ANGOSCIA DIFFUSA PER LE CANDIDATURE DEI VARI VANNACCI, CESA, PATRICIELLO: MOSSE DELLA DISPERAZIONE E DELLA CONFUSIONE”… “LA BATOSTA DELLE EUROPEE SARÀ LA SUA CONDANNA: CON O SENZA TESSERA, LIBEREREMO QUESTO PARTITO”
Ha la dignità dell’uomo sul patibolo. “Solo che il condannato a morte non sono io oggi. Ma Salvini domani”. Gianantonio Da Re è stato appena espulso dalla Lega, dopo 42 anni di militanza. Rimpianti? “Assolutamente no: stavano solo aspettando. Ed è un provvedimento che mettevo serenamente in conto nelle mie esternazioni. Siccome il segretario non risponde al telefono, in un modo o nell’altro volevo esortarlo a modificare la sua linea comportamentale”.
Decisivo quel “cretino”, sganciatogli a mezzo stampa. “Forse dovevo dargli del mona”. Maledetto italiano. “Dalle nostre parti non è un’offesa. E la mia è una critica politica, mica alla persona. Le scorse europee erano state la grande vittoria di Salvini: se poi non avesse combinato tutte quelle cagate, dal Papeete in poi, oggi saremmo un altro partito”. Ovvero? “Consenso, credibilità, valori integri. Tutto ciò che ormai abbiamo perso. Peggio di così un leader non poteva fare: io lo dico, ma mi sento in buona compagnia”.
Da Re sbrocca, il direttivo veneto si riunisce per direttissima e lo espelle a gran maggioranza: 11 voti contro 5, più un astenuto. E pure gli amministratori tanto critici sulla deriva del Carroccio hanno preso le distanze dal collega. “Lasciamo stare le mosse di facciata”, sorride al Foglio l’europarlamentare uscente. “Contano gli sms che ho ricevuto in privato. Solidali dal primo all’ultimo: ‘Hai esternato quel che pensiamo tutti’. Cioè che Salvini se ne deve andare. Mona o non mona, ma con la valigia in mano”.
Dalle europee alle europee. “Sarà difficile che scampi un proiettile del genere: avete visto come siamo ridotti?”. Lo vedono i veneti e i lombardi. “C’è angoscia diffusa per le candidature dei vari Vannacci, Cesa, Patriciello: mosse della disperazione e della confusione. A giugno prenderemo quel che varremo. Cioè poco. E qualcuno dovrà pagare”.
“Non abbiamo bisogno di scissioni, ma di pazienza: la Lega Salvini premier – anzi, vicepremier – è un’usurpazione della Liga Veneta-Lega Nord. Questa è la mia distinta entità di riferimento, ciò in cui credo e in cui rimango: ho versato i 2.000 euro richiesti fino all’altro mese”.
Il ‘Baffo’ di Treviso lo dice quasi con orgoglio. “Mi sono immolato per il bene comune”. Nostalgia canaglia. “Con Paolo Grimoldi – scelto da Bossi per coordinare il Comitato Nord, ndr – ci sentiamo quasi ogni giorno: c’è solidarietà e vicinanza”.
Mentre lo stesso Senatùr, in queste ore, ha espresso forte preoccupazione per il Carroccio. “Chiaro. Siamo convinti di dover tornare alle origini, ma oltre i confini storici. Cioè una Lega nazionale senza Salvini: basta con ‘sta Lega ponte delle arance. Il problema non è Toni Da Re, se le percentuali sono così basse”.
“Magari Salvini sul territorio ha i segretarietti che fanno i primi della classe. E con la loro testardaggine sovranista perseguono un progetto irrealizzabile, che non fa il bene dei militanti. Il Nord e Salvini sono in contrapposizione ovunque: solo Stefani e il consiglio direttivo non l’hanno capito”.
La Liga resistente riparte da Vittorio Veneto, dove Da Re è stato sindaco e prepara l’elezione del prossimo. “Lavoriamo sulle comunali. Ma il vero spartiacque sarà a Bruxelles: con o senza tessera, libereremo questo partito”. Hasta la Padania siempre.
(da agenzie)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL PROBABILE REFERENDUM SI TRASFORMEREBBE IN UN PLEBISCITO PRO O CONTRO LA SORA GIORGIA. E IN CASO DI SCOPPOLA SOPRAVVIVERE POLITICAMENTE E’ QUASI IMPOSSIBILE, COME DIMOSTRA IL PRECEDENTE DI MATTEONZO NEL 2016
Tra i tanti sondaggi in circolazione, ce n’è uno, curiosamente silenziato, che fotografa un sentiment che, qualora si stabilizzasse, cambierebbe la politica italiana, altroché Sardegna.
Il 27 febbraio i ricercatori di Euromedia Research hanno compattato le risposte al quesito proposto il giorno prima in tutta Italia: «Lei è favorevole o contrario alla Riforma del Premierato, riforma che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio?».
Hanno risposto di essere favorevoli il 40,6 per cento degli interpellati e contrari il 41,1 per cento. E’ la prima volta che un istituto rileva il sorpasso dei “No” sui “Sì”. A prima vista, un dato inatteso. Ma se durasse, avrebbe effetti dirompenti.
Perché il probabile referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo di centro-destra, e prevedibile a partire dalla primavera 2025, è destinato ad andare oltre il merito, trasformandosi in un plebiscito – sì o no – sulla presidente del Consiglio.
E ai plebisciti finiti male di solito non si sopravvive politicamente: come dimostra il tanto citato caso di Matteo Renzi del referendum 2016, ma dimenticando un altro appello a “più poteri”, che costrinse alla resa l’unico statista che l’Italia abbia avuto: l’Alcide De Gasperi della legge truffa del 1953.
Naturalmente è legittima l’obiezione: all'(eventuale) referendum sul premierato manca ancora tanto tempo. C’è tempo per correggere la rotta o per cambiare timing.
La riforma deve ancora essere approvata e con margini di maggioranza che potrebbero condizionare il compimento del referendum: un (complicatissimo) via libera a due terzi lo precluderebbe. Ma Giorgia Meloni si dice sicura di sé: «Sono convinta che gli italiani coglieranno l’occasione storica di accompagnare l’Italia nella Terza Repubblica». E ha già deciso: il premierato sarà una delle bandiere della campagna elettorale per le Europee.
Lo confermano in queste ore le prime votazioni in Senato: sono stati respinti tutti gli emendamenti delle opposizioni, anche quelli che non intaccavano lo spirito e la lettera della riforma, rendendola più condivisibile da tutti.
Ma il dopo-Europee è condizionato da molte incognite. Dietro il risultato del sondaggio Euromedia c’è altro, molto altro.
Anzitutto c’è l’affidabilità dei sondaggi nel prevedere l’esito dei referendum: «Quando il quesito è binario – spiega il fondatore di Swg Roberto Weber, l’unico che nel 2013 anticipò il ciclone M5S – l’attendibilità del risultato è decisamente superiore a quella, ad esempio, per i partiti».
Tanto più che quei “No” in vantaggio si spiegano anche alla luce di un dato ancora più importante. Un dato clamoroso: in sé per sé e anche per l’ignoranza che lo circonda.
Alle elezioni Politiche del 2022, i partiti del centro-destra furono votati da 12 milioni e 300 mila elettori, il 43,8%, ed essendo coalizzati, conquistarono legittimamente la maggioranza dei seggi alla Camera e al Senato. Ma esattamente quel giorno gli elettori che non votarono per i partiti di centro-destra furono 15 milioni e 300mila, pari al 56,2%. Uno stacco di 13 punti percentuali e di tre milioni di elettori: non pochi.
E nel Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, si sa come vanno certe cose: se c’è da coalizzarsi contro il governo, si forma subito la fila. Ne sa qualcosa Matteo Renzi: nel 2016, da palazzo Chigi, lanciò il referendum costituzionale e accorsero subito in tanti, anche gente che si era avversata per una vita: Ciriaco De Mita e Massimo D’Alema, Rifondazione comunista e Casa Pound. E poi una fila infinita di associazioni, alcune anche corpose. Come la Cgil.
Dunque, dal sondaggio Euromedia, dalle elezioni 2022 e dal referendum Renzi, tre “big data” che suggerirebbero prudenza al governo. Ma c’è un altro precedente che sembra polveroso e invece non è da sottovalutare perché racconta la psicologia collettiva degli italiani.
Nel 1953 Alcide De Gasperi promosse una riforma elettorale che prevedeva un cospicuo premio di maggioranza. Sembrava una passeggiata: alle Politiche del 1948, i partiti di governo avevano raggiunto il 62,4% e invece nel 1953 lo slogan della “legge truffa” fece breccia: le opposizioni – divise su tutto il resto e in piena guerra fredda – arrivarono nientedimeno che al 50,2%, facendo saltare il super-premio. Uno che c’era anche allora, Rino Formica, avverte: «Attenzione, perché gli italiani hanno sempre cercato dei leader, ma hanno rigettato i leader che hanno provato a diventare padroni».
(da la Stampa)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
+ EUROPA VERSO UN ACCORDO CON IL PD
Prima che la Leopolda – con i suoi annessi di copertura mediatica – apra stasera a Firenze, Emma Bonino e Riccardo Magi hanno fischiato la fine delle trattative per la costruzione della lista unitaria per «gli Stati uniti d’Europa» che avrebbe dovuto unire +Europa, Psi, Azione e Italia Viva, oltre a soggetti più piccoli e associazioni.
In sintesi, non ci sono le condizioni: «Ringraziamo coloro che hanno dato la disponibilità a partecipare al progetto» di una lista di scopo «senza porre condizioni e convocheremo nei prossimi giorni un tavolo di confronto per verificare definitivamente se sia possibile riprendere il lavoro a condizione che vi siano almeno tutti i soggetti dell’area liberaldemocratica Alde-Pde-Renew», ovvero +Europa, Azione, Italia Viva e Psi.
E proprio qui sta il punto: Carlo Calenda ha ripetuto in pubblico e in privato che dove c’è Renzi lui non sta. Bonino però ha risposto che lei non si fa mettere diktat da nessuno.
E infatti il comunicato recita: «Se dovessero invece confermarsi preclusioni o veti per noi politicamente incomprensibili e che ci rendono impraticabile la via di unirci agli uni “contro” gli altri, ci organizzeremo autonomamente confermando comunque il nostro obiettivo di queste elezioni europee, gli Stati Uniti d’Europa». Dunque, si va avanti ma senza lista anche perché la strada alternativa, di accordarsi con il solo Renzi avrebbe avuto i suoi elementi di pericolosità: l’ex premier avrebbe avuto un protagonismo forte, persino troppo.
Molto probabilmente a questo punto Bonino e Magi accetteranno di indicare qualche candidato nella lista del Pd, come proposto da Elly Schlein, mentre Calenda e Renzi correranno separati col rischio che lo sbarramento del 4% tenga Azione e Italia Viva lontane da Strasburgo.
(da Open)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
STAVOLTA A METTERE BECCO SULLA NOMINA DI FUORTES È STATO IL FIORENTINO “MINNIE” DONZELLI, IRRITATO PER NON ESSERE STATO INFORMATO…LO SGAMBETTO HA FATTO INCAZZARE IL MINISTRO SANGIULIANO
Come mai l’ex ad Rai Carlo Fuortes è stato designato sovrintendente del Maggio musicale fiorentino con il voto contrario dell’esponente del ministero della Cultura nel cda del teatro lirico? La ragione va individuata nell’ormai onnipresente e occhiuto controllo che la “fiamma tragica” di Palazzo Chigi vuole esercitare su ogni scelta del governo.
Stavolta a mettere becco sulla nomina di Fuortes è stato il fiorentino “Minnie” Donzelli, irritato per non essere stato informato dal ministro Sangiuliano dell’accordo raggiunto con il sindaco di Firenze dem Dario Nardella sulla scelta dell’ex direttore del Teatro dell’Opera di Roma. Il voto contrario in cda è stato espresso dal notaio Gennaro Galdo che è in carica in quota Donzelli.
Il ministro Sangiuliano si è adontato per lo sgambetto architettato dal suo sodale di partito. È sì vero che “Genny” sopporta la pervasività della “Spectre di Colle Oppio” ma ogni pazienza ha un limite, visto che il ministro si è sbattuto come una trottola per facilitare la presa della Rai da parte di Giorgia Meloni cercando una exit strategy gradita a Fuortes, mandandolo prima al San Carlo e poi al Maggio Fiorentino. Morale della fava by Sangiuliano: mi sono adoperato per togliervi le castagne dal fuoco e quando lo faccio mi rompete pure i cabasisi?
(da Dagoreport)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
LE BOMBE DI BISIGNANI SUL DOSSIER-GATE: “STRIANO È UN FANTASMA. NESSUNO L’HA TOCCATO. È COPERTO DA QUALCUNO”. SÌ, MA DA CHI? – LA PREVISIONE DI “BISI”: “FINIRÀ TUTTO IN UNA BOLLA DI SAPONE”. TANTO L’EFFETTO DESIDERATO È STATO GIÀ OTTENUTO: SEGNALARE IL MALESSERE TRA GLI 007, AGITATI PER LA NOMINA DEI VERTICI DELL’AISI – LA CHIOSA DEL LOBBISTA: “LA POLPETTA AVVELENATA ARRIVA DAI SERVIZI CHE STANNO INQUINANDO LE ACQUE”
L’inchiesta sui presunti dossieraggi a politici e vip, di giorno in giorno, si arricchisce di dettagli che rendono la vicenda un inestricabile labirinto da cui affiorano, per ora, molte domande e pochissime risposte.
Di questa storia piena di ombre, ha parlato, ospite a “L’aria che Tira”, su La7, Luigi Bisignani. Nel suo intervento, “l’uomo che sussurra ai potenti” fa una serie di affermazioni forti su Pasquale Striano, il luogotenente della Guardia di Finanza al centro dell’inchiesta sugli accessi abusivi alle banche dati della Procura Antimafia.
Bisignani rileva che, nonostante sia passato un anno da quando lui e Paolo Madron parlarono di una maxi-inchiesta a relativa a “intercettazioni abusive”, nel libro “I potenti al tempo di Giorgia”, nulla di eclatante sia avvenuto.
“È passato un anno – dice Bisignani – A proposito del giornalismo d’inchiesta, che è benvenuto, una cosa però mi fa sorridere. Striano, del quale si parla praticamente da 7-8 mesi, luogotenente della Guardia di Finanza che è al centro dell’inchiesta, nessuno l’ha mai toccato”.
Come mai il luogotenente Striano non è stato fermato dall’autorità giudiziaria? E come mai, nonostante sia da mesi al centro della vicenda, del finanziere distaccato alla DNA non esiste alcuna fotografia?
Nota Bisignani: “Non l’ho mai visto, non c’è un Gabibbo, non gli hanno dato il tapiro, non c’è quella cosa che i giornali fanno, con chiunque viene toccato da un’inchiesta, vanno sotto casa, il citofono, gli prendi gli amici, ecco Striano invece è coperto da un’immunità fantastica…”.
La risposta a questo singolare enigma la dà lo stesso “Bisi”: “Certamente è coperto da qualcuno”. Sì, ma da chi? C’è una regia dietro agli accessi abusivi e alla fuga di notizie? C’è il solito “grande vecchio” o è in corso uno scontro tra poteri portatori di interessi confliggenti?
Bisignani segnala un dettaglio piuttosto singolare sul “fantasma” Striano: “È stato distaccato nel 2016 dalla Guardia di finanza all’antimafia. E uno distaccato non dovrebbe avere più accesso al computer della Guardia di finanza, mentre invece lui giocava con questi dossier. All’Espresso con Lino Jannuzzi e Peppe Catalano stavamo lì a parlare della stessa cosa. E poi c’è stato Genchi, e poi c’è stato Pompa, è una pratica continua…”
Un’altra domanda sorge spontanea: quando il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, parlando della fuga di notizie successiva all’allontanamento di Striano dalla Procura nazionale antimafia, dice “Il mercato delle Sos non si è affatto fermato C’era qualcuno che continuava a vendere sottobanco le Sos”, usa le parole “mercato” e “vendere” a ragion veduta? Ci sono stati passaggi di denaro? Qualcuno ha pagato per avere informazioni riservate? Che fine hanno fatto i documenti?
Dei 50mila file scaricati da Striano, solo una manciata è stata effettivamente inviata a cronisti. Come scrive “il Messaggero”, “migliaia di download eseguiti da Striano dalle banche dati non sono stati ritrovati e non ci sono tracce di trasmissione a terzi (probabilmente per l’avventata gestione del fascicolo da parte della procura di Roma che subito lo ha indagato informandolo delle contestazioni) mentre pochissime sono state mandate ai giornalisti”.
Misteri su misteri, che lascerebbero ipotizzare un’inchiesta lunga, tortuosa e dai risvolti clamorosi, eppure Bisignani ha già una sua idea su come finirà l’indagine della Procura di Perugia: “In una bolla di sapone, perché queste inchieste vanno a finire sempre così”.
Probabilmente perché l’effetto desiderato sarà stato già ottenuto: segnalare un “malessere”, magari all’interno degli apparati dell’intelligence. Gli 007 di casa nostra sono da tempo agitati per la nomina del successore di Mario Parente alla guida dell’Aisi.
Una partita che appare da mesi imminente, e che invece non arriva mai, e sulla quale lo stesso Governo di centrodestra si è spaccato. Giorgia Meloni preme per promuovere Giuseppe Del Deo, attuale vicedirettore, ma sono contrari sia Matteo Salvini che il sottosegretario Alfredo Mantovano.
E chissà se ha ragione Bisignani, quando sostiene che l’inchiesta sul caso Striano affonda le radici in un momento drammatico nel mondo dell’intelligence e dei servizi: “È appena finito uno scontro tra il Sottosegretario alla Presidenza con la delega ai servizi (Alfredo Mantovano) e il Consiglio superiore della magistratura per la nomina del Procuratore generale di Roma, che è quello che autorizza le intercettazioni. C’è un timing preciso: ci sono le nomine ai nuovi servizi”
“I Presidenti del Consiglio che si sono succeduti negli ultimi anni – prosegue Bisignani – hanno avuto tutti un pallino per l’intelligence. Ricordiamoci Conte che ha messo Vecchione, contro tutti, a capo dei servizi. Lo stesso Mantovano, che è un magistrato integerrimo, la prima cosa che fa quando arriva a Palazzo Chigi? Dire ‘facciamo la riforma dei servizi’”.
Il petardo col fischio finale by Bisi: “La polpetta avvelenata arriva dai servizi stessi che stanno inquinando le acque”. Quanto c’è di vero nella ricostruzione del ciarliero lobbyista? Ah, saperlo…
(da Dagoreport)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
SALVINI HA BLOCCATO TUTTO PERCHÉ TEME DI FINIRE SCONFESSATO DAL SUO PARTITO… NEL CARROCCIO È GIÀ PRONTO L’AVVISO DI SFRATTO, TRA MOVIMENTI SOSPETTI DEI NORDISTI DI BOSSI E IL RAPPORTO “OTTIMO” TRA FEDRIGA E MELONI
“Matteo in questa fase è così debole che sembra non avere agibilità politica all’interno del suo partito”. Il commento, analitico e spietato, è stato consegnato dal segretario centrista Lorenzo Cesa ai suoi “amici democristiani” nei giorni scorsi.
Salvini per le europee aveva proposto a Cesa un accordo politico – con baricentro al centro sud dove il Carroccio rischia di scomparire – con uno sguardo anche alle prossime politiche.
Una lista di impegni onerosi e dettagliati da rispettare che però il capo del Carroccio non riesce a ratificare. Cioè a farli approvare dal Consiglio federale di Via Bellerio.
Cosa prevede il patto federativo Lega-Udc? Il Foglio ha potuto visionare il documento, al momento bloccato.
L’accordo prevede quattro punti. Il primo: “Nascita della componente Udc alla Camera dei deputati”. Per fare questa operazione Salvini aveva promesso il prestito di una manciata di leghisti a Cesa, tutti eletti nel sud, pronti a traslocare per arrivare alla creazione di una componente centrista, con tanto di simbolo, nel gruppo Misto.
Secondo punto: “Riconoscimento del diritto di tribuna per le prossime elezioni al Parlamento europeo che preveda nella lista della Lega l’inserimento di candidati indicati dall’Udc provenienti dall’area politico culturale democratico-cristiana”.
In questo caso l’unico nome certo è quello dell’europarlamentare di lungo corso, proveniente da Forza Italia, Aldo Patriciello, che sarà candidato con la Lega (operazione strana visto che è uno storico esponente italiano del Ppe che si troverebbe intruppato nel gruppo di Id, salvo andarsene il giorno dopo, appena eletto, per ritornare con i Popolari).
Il terzo punto del patto federativo che il Foglio ha potuto leggere è ancora più interessante: “Riconoscimento della pari dignità e della rappresentanza dell’Udc nella lista della Lega per le prossime elezioni politiche. La rappresentanza è determinata in numero di quattro candidati alla Camera dei deputati e numero due al Senato della Repubblica in posizioni favorevoli”.
Sei posti sicuri ceduti ai centristi. Uno scenario che sta facendo borbottare (eufemismo) il partito del nord. Basta ascoltare i commenti del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari o quelli di Stefano Candiani, ex sottosegretario.
Il quarto ed ultimo punto è legato invece alla comunicazione: “Un evento nazionale dell’Udc al fine di presentare il patto federativo ai territori”.
Salvini in questa fase ha bloccato tutto. Teme che in Consiglio federale si levino, per la prima volta, pareri contrari a questa operazione: sarebbe una clamorosa sconfessione dell’operato del leader nonché un mezzo avviso di sfratto.
Per il leader sembra che lo spazio politico nei territori si restringa sempre di più. Vanno messi insieme i segnali. Se l’intesa con i centristi è congelata, anche nella vecchia base del nord si segnalano scricchiolii. Ieri alla Camera Cateno De Luca ha presentato l’alleanza con un pezzo di ex leghisti che fa capo a Roberto Castelli.
Alla fine si è finiti a parlare di Umberto Bossi, non proprio entusiasta della linea salviniana. I lumbard delusi fanno sponda con “Sud chiama Nord” per le europee.
“La Lega di Salvini ha tradito gli ideali autonomisti della Lega di Umberto Bossi, e la ha trasformata in un partito centralista: da qui la fondazione del nostro Partito popolare del Nord, che si oppone al centralismo di Roma e al centralismo di Bruxelles”, ha detto l’ex Guardasigilli Castelli.
Alla domanda se si cercherà l’appoggio esplicito di Bossi, De Luca ha risposto ricordando di averlo incontrato a Gemonio lo scorso 22 settembre: “Cercherò di andarlo a trovare di nuovo”. Castelli ha invece osservato che “Umberto è un parlamentare della Lega Salvini premier, ma il fatto che la parola Nord sia evocata nel nostro simbolo gli farà piacere. Gli chiederò il voto, poi c’è il segreto dell’urna”.
Tutti segnali che piovono addosso al vicepremier. Costretto a destreggiarsi tra i risultati elettorali incombenti e l’ombra di Massimiliano Fedriga, il governatore del Friuli Venezia Giulia, sempre più evocato come unica soluzione praticabile per un ipotetico dopo-Salvini. Sospetti e veleni arricchiti anche dal rapporto personale (“ottimo”) fra il presidente di regione e Giorgia Meloni. Oggi la premier sarà a Pordenone per la firma dell’accordo di programma sui fondi di coesione. A riceverla ci sarà, come da grammatica, Fedriga. Bisogna dunque unire i puntini e metterli insieme da nord a sud.
(da il Foglio)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
SEGNO NEGATIVO ANCHE PER LEGA E FORZA ITALIA
Alla viglia del voto per le Regionali in Abruzzo il centrodestra si presenta con il fiato corto. C’è un segno meno nei sondaggi per tutti i partiti della coalizione di governo.
Ma il calo più marcato è per la compagine della premier: secondo la supermedia Agi/Youtrend, ricavata sulla base dei sondaggi delle ultime due settimane, Fratelli d’Italia perde mezzo punto percentuale rispetto ai quindici giorni precedenti. Si conferma quindi al primo posto ma scende al 27,6% accentuando il trend negativo che l’ha spinta sotto alla soglia del 28%.
Una sorta di effetto Sardegna che era stato previsto dai sondaggisti già all’indomani del ko alle Regionali, quando Paolo Truzzu aveva segnato il primo flop elettorale per Giorgia Meloni.
Uno scotto che coinvolge, in proporzioni diverse, Matteo Salvini – alle prese anche con le contestazioni interne al Carroccio – e Antonio Tajani: la Lega perde due decimi e scende ormai all’8,1%, lieve flessione per Forza Italia che è al 7,5%. Il partito fondato da Silvio Berlusconi rimette un solo decimo e finisce così per rosicchiare qualcosa sul Carroccio, nel derby interno alla coalizione.
A sorridere è invece il centrosinistra e soprattutto Elly Schlein: il Pd dopo il voto in Sardegna ha conquistato mezzo punto percentuale, in modo speculare al partito della premier, e ora si presenta in Abruzzo attestandosi sopra al 20% su base nazionale. Positivo, ma più contenuto, il dato relativo al M5S, che sfrutta la scia garantita dal risultato sull’isola della pentastellata Alessandra Todde portando a Giuseppe Conte un decimo che vale il 16,3%.
Tra gli altri partiti, resta fermo sulla soglia del 4% utile per le Europee Azione di Carlo Calenda, si attesta un decimo più su l’Alleanza Verdi Sinistra. Italia Viva di Matteo Renzi è al 3,2%, +Europa al 2,7%.
(da agenzie)
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Marzo 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL PIANO DEL COMUNE È AUMENTARE LE LICENZE PER IL GIUBILEO, MA LA LOBBY DEI CONDUCENTI OVVIAMENTE SI OPPONE E, SENZA VERGOGNA, CHIEDE UN INCREMENTO DELLE TARIFFE, CHE GIÀ RAGGIUNGONO CIFRE ESORBITANTI (PER UN SERVIZIO INDECENTE)
La deadline, per i taxi della Capitale, si avvicina: a dicembre si aprirà la Porta Santa, e il Campidoglio non può arrivare all’appuntamento con il Giubileo con un servizio che i romani considerano ampiamente insufficiente già nei periodi “normali”
L’amministrazione comunale vuole archiviare una volta per tutte le ormai proverbiali file davanti alla stazione Termini oltre alle centinaia di migliaia di chiamate di utenti (fino a 1,3 milioni a luglio scorso secondo l’Antitrust) che, ogni mese, cercano invano un’auto bianca disponibile. Nelle ore notturne il 42 per cento delle richieste resta senza risposta.
Effetto della carenza di taxi, ma anche di turni mal distribuiti e della voglia di molti conducenti di buttarsi sulle più lunghe (e redditizie) corse dall’aeroporto, lasciando sguarnito il centro cittadino. Inizialmente all’ombra del Colosseo si era puntato sulle doppie guide. Un’iniziativa – a cui hanno aderito circa cinquecento tassisti – che, almeno finora, non ha portato i risultati sperati.
L’ITER
Ora l’obiettivo di Palazzo Senatorio – in vista del 2025 e delle decine di milioni di pellegrini e visitatori attesi per l’Anno Santo – è di mettere in strada almeno 1.500 nuove licenze. Auto che si aggiungerebbero alle 7962 attualmente in circolazione, per adeguare il trasporto pubblico non di linea della Città eterna agli standard internazionali. Ma la strada aperta dal decreto Asset non incontra i favori dell’amministrazione di Roberto Gualtieri.
Questo per una valutazione economica (i soldi incassati dalla vendita delle licenze andrebbero interamente alla categoria): il Campidoglio punta a chiedere circa 70 mila euro a licenza, meno della metà del prezzo di mercato, con sconti per chi garantisce vetture ecologiche o adibite al trasporto dei disabili.
Ma soprattutto per una questione di tempi tecnici necessari a concludere la procedura: gli uffici capitolini, infatti, sono ancora indietro nella redazione dello studio propedeutico al bando, che potrebbe essere pronto realisticamente tra giugno e luglio. Così, tra gli esami da espletare e i vari passaggi dell’iter previsto per l’assegnazione delle nuove autorizzazioni, il rischio concreto sarebbe di vedere più taxi in giro soltanto a Giubileo inoltrato.
Il Comune pensa invece a un accordo con i tassisti, che preveda l’innalzamento delle tariffe del servizio nella Capitale: a partire dalla quota fissa di partenza, valida anche per percorsi brevissimi, che verrebbe stabilita tra i 7 e i 9 euro. Una rielaborazione del sistema tariffario che porterebbe, come contropartita, a un sostanziale via libera delle auto bianche all’aumento delle licenze, con l’obiettivo di pubblicare il bando entro l’inizio dell’estate.
Diverse le posizioni dei tassisti, che puntano invece a portare la vertenza verso l’introduzione, in tempi brevi, di mezzo migliaio autorizzazioni temporanee – secondo un modello già pensato a Milano per Expo 2015 – valide esclusivamente per la durata del Giubileo. Parallelamente, il Comune accelera l’iter per aumentare le auto a noleggio con conducente (Ncc) in circolazione.
Attualmente le autorizzazioni attive sono 953, e nuove licenze Ncc non vengono emesse dagli anni Novanta. Ma per le strade della Capitale stabilmente lavorano circa cinquemila vetture di noleggio con conducente. Qui l’idea del Campidoglio è di aggiungere duemila licenze a quelle giù circolanti per rendere il servizio degli Ncc un vero sostegno alla mobilità cittadina.
(da il Messaggero)
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