Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
L’INSOFFERENZA RISALE ALL’APRILE 2023, QUANDO FINI, OSPITE DI LUCIA ANNUNZIATA, INVITÒ LA NOVELLA PREMIER A DICHIARARSI “ANTIFASCISTA”… LA MELONA DECISE DI SCOMUNICARE IL SUO EX MENTORE, DICHIARANDOLO “PERSONA NON GRADITA” AL POPOLO DEI POST-CAMERATI
Ma i parlamentari di Fratelli d’Italia, che oggi hanno accolto e applaudito Gianfranco Fini a Montecitorio, sanno che Giorgia Meloni malsopporta (eufemismo) il fondatore di Alleanza Nazionale, colui che la svezzò politicamente fino a farla ministro della Gioventù dell’ultino governo Berlusconi (2008-2011)?
Si dice che l’insofferenza (altro eufemismo) della Ducetta verso Fini risalga all’aprile del 2023, quando ospite di Lucia Annunziata nella trasmissione “Mezz’ora in più”, invitò la premier a fare, senza ritrosie, professione di antifascismo: “La destra i conti li ha fatti, Giorgia Meloni dica, perché so che ne è convinta, che libertà e uguaglianza sono valori democratici, sono della Costituzione, sono valori antifascisti. Non capisco la ritrosia a pronunciare questo aggettivo. La capisco, ma non la giustifico”.
Dopo dieci minuti dalla messa in onda, Giorgia Meloni chiamò i suoi “scomunicando” Fini e dichiarandolo “persona non gradita” al popolo dei post-camerati, accusandolo pure di aver affossato la destra italiana con le sue traversie sentimentali e i suoi guai giudiziari.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
LA GUARDIA DI FINANZA CONTESTA SPESE NON DICHIARATE E UN CONTO CORRENTE ALL’ESTERO
La Guardia di Finanza di Savona ha svolto un’attività di verifica fiscale nei confronti di una digital content creator seguita da oltre 400mila follower sui più popolari social network, come Instagram e TikTok, e titolare di un account sul sito Onlyfans che non avrebbe dichiarato al Fisco i compensi percepiti, rientranti nella categoria di redditi di lavoro autonomo.
Si tratta di Giusy Rizzotto, volto molto noto in città anche perché nel 2021 si era candidata con Forza Italia e Udc alle elezioni comunali, finendo anche al centro di uno scandalo. Che in una nota ha parlato di “cifre decisamente inferiori”.
In base a quanto comunicato dalla Finanza l’attività esercitata, consistente nella registrazione di foto e video e nel successivo caricamento su internet finalizzato alla condivisione pubblica, secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza avrebbe fruttato all’influencer, fra il 2017 e il 2023, oltre 120.000 euro di ricavi non dichiarati, derivati dall’acquisto, da parte degli utenti privati, di abbonamenti o di singoli contenuti digitali sul sito Onlyfans, mentre, per quanto attiene alle piattaforme social, i compensi venivano erogati in base al numero di visualizzazioni raggiunto dai contenuti pubblicati e dei like ricevuti.
Nel corso degli accertamenti, effettuati anche con il ricorso alle indagini bancarie, è emersa la disponibilità di un conto corrente estero sul quale confluivano parte dei ricavi non dichiarati dall’influencer.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
SARA’ SOSTENUTO DA PD, M5S, VERDI-SINISTRA E BASILICATA CASA COMUNE
Pd e M5S hanno raggiunto l’accordo per il candidato governatore per le Regionali in programma in Basilicata il 21 e il 22 aprile. Sarà l’oculista Domenico Lacerenza.
Pd, M5S, AVS e +Europa e Basilicata Casa Comune, il movimento che fa riferimento a Angelo Chiorazzo, hanno individuato nell’oculista lucano il candidato presidente per le prossime elezioni. Al momento non sarebbe ancora definito se anche Azione farà parte della coalizione a sostegno di Lacerenza, 66 anni, direttore della Sic (Struttura interaziendale complessa) di Oculistica dell’azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza.
“Siamo soddisfatti, abbiamo individuato una candidatura che unisce il campo progressista e riformista. Siamo aperti a tutte le forze che insieme a noi vogliono archiviare 5 anni di governo della destra in Basilicata”, commenta Giovanni Lettieri, segretario regionale del Pd lucano,
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
LA CASTA PIU’ PROTETTA D’ITALIA (INSIEME AI TASSISTI) SI RIVOLTA CONTRO IL GOVERNO PER IL FUTURO INCERTO DELLE CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME, CHE DOVRANNO ANDARE A GARA, COME IMPOSTO DA BRUXELLES… “UN TEMPO LA PREMIER LA PENSAVA COME NOI. ABBIAMO GIÀ FATTO SALTARE TRUZZU IN SARDEGNA CHE SI ERA SCHIERATO CONTRO DI NOI, GLI ABBIAMO FATTO MANCARE UN MIGLIAIO DI VOTI”
Alla fine si sono decisi anche i sindacati dei balneari a prendere posizione contro il governo e a scrivere una lettera alla presidente del Consiglio in cui proclamano lo stato di agitazione in assenza di una norma che decida il futuro delle concessione demaniali marittime in scadenza il 31 dicembre del 2024.
È il simbolo di un malcontento che va avanti da tempo e che ha portato a una rottura profonda all’interno di una categoria che non ha mai fatto mistero di essere di destra e che sperava di avere un trattamento diverso dal suo governo.
Ma se Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti si sono decisi ieri a ufficializzare la rottura con Giorgia Meloni, una gran parte dei balneari aveva già annunciato la presa di distanza scendendo in piazza a febbraio e, prima ancora, fondando il Popolo Produttivo, un movimento che, partito dai balneari si è allargato a venti altre categorie di lavoratori e che in pochi mesi ha raggiunto i 3100 associati circa solo tra i titolari di stabilimenti.
È Giorgia Meloni il bersaglio contro cui si scagliano, è lei la principale causa della rabbia e del malcontento di una categoria che dal 2010 si batte contro le regole decise a Bruxelles che minacciano il sistema di rinnovo delle concessioni in nome di una libera concorrenza che per i titolari degli stabilimenti è soltanto una pratica sleale. «Un tempo la pensava come noi anche l’attuale presidente del Consiglio», ricorda Daniele Ercoli, titolare dello stabilimento Caracoles.
Quando era all’opposizione Fratelli d’Italia era stato l’unico partito a votare contro il provvedimento del governo Draghi che tentava di riformare il settore adeguando le norme al diritto europeo. In campagna elettorale più volte Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida e gli altri esponenti del partito che ora si è installato nelle stanze dei bottoni avevano assicurato che si sarebbero battuti corpo e anima per la difesa delle coste italiane e avevano garantito una soluzione.
Un anno e mezzo dopo ai balneari le uniche soluzioni arrivate dal primo, attesissimo governo di destra sono stati l’ennesima proroga e un emendamento presentato da Maurizio Gasparri che – accusano i balneari – ha reso ancora più confusa la situazione mentre in Veneto una legge regionale ha introdotto le prime concessioni attraverso i temuti bandi.
La concorrenza dei grandi gruppi è lo spettro che spaventa questo settore che spesso viene identificato con Flavio Briatore e il suo Twiga che ha un fatturato di circa 100milioni l’anno. In realtà Briatore è un’eccezione. Secondo i dati più recenti presentati da Nomisma lo scorso febbraio in Senato, sono 15.414 le concessioni rilasciate agli stabilimenti balneari che occupano circa 60mila addetti (di cui 43mila dipendenti, circa 6,5 per impresa) e hanno un fatturato medio di 260mila euro l’anno.
Per questo settore che dal 2010 si regge sulle proroghe concesse da governi di ogni colore e composizione e da un affastellarsi di norme e sentenze che rappresentano un ginepraio inestricabile di ostacoli e obblighi, è arrivata la resa dei conti. E il governo Meloni rischia di rimanere con il cerino acceso in mano. L’Ue ha intimato di non poter accettare altri rinvii, ora è il momento di applicare la direttiva.
L’esecutivo ha preso in mano la questione ma si è presentato impreparato al primo appuntamento, la stesura della mappatura delle coste che va inviata all’Ue. È un documento importante perché la direttiva Bolkestein non si applica se esiste spazio a sufficienza per garantire il rispetto delle norme sulla concorrenza e quindi la possibilità anche di altri di aprire attività lungo le coste.
«Il governo ha portato a ottobre una mappatura incompleta, mancavano laghi e fiumi. Ha solo perso tempo e non ha voluto nemmeno prendere la mappatura completa e dettagliata che abbiamo realizzato noi. Sono un governo di incapaci o di venduti. In ogni caso noi siamo stanchi di aspettare. Giorgia Meloni deve saperlo, prima salvi il settore e poi il settore la voterà», sottolinea Battistelli.
Non sono soltanto parole né i ricatti tipici dei periodi preelettorali, assicurano. «Abbiamo già fatto saltare Truzzu in Sardegna che si era schierato contro di noi e gli abbiamo fatto mancare un migliaio di voti. Siamo in grado di fare altrettanto anche altrove. Possono esserci altre Sardegne», avverte Claudio Maurelli, portavoce nazionale del Popolo Produttivo. «In Abruzzo Marsilio è stato tutelato dai sindacati politicizzati ma ora la partita si sposta sulle europee e se i balneari finiranno all’asta – avverte -finiranno all’asta anche coloro che dovevano tutelarli. Questo è il nostro piano elettorale».
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
AUTONOMI, PICCOLI IMPRENDITORI FALLITI E GRANDI EVASORI SARANNO ANCORA PIÙ INCENTIVATI A EVADERE…È UNA RESA CHE VALE OLTRE 600 MILIARDI DI EURO E LA SORA GIORGIA HA PURE IL CORAGGIO DI DIRE: “AIUTIAMO GLI ONESTI”
La grande rinuncia vale 600 miliardi. Si arrende, lo Stato. Ai grandi evasori, ai piccoli imprenditori falliti, agli autonomi infedeli che tali restano nonostante i pignoramenti e i prelievi sui conti correnti. A sé stesso, soprattutto. Perché i 600 miliardi in questione sono dovuti: tasse, contributi, multe.
Finiranno invece nel cestino, sotto forma di cartelle che da strumento di riscossione si trasformeranno nel veicolo della resa.
Perdona e cancella i debiti, la destra al governo.
Eccolo il lato oscuro del Fisco «amico» che stamattina Giorgia Meloni tornerà a rivendicare in Parlamento, affiancata dal fedelissimo viceministro dell’Economia Maurizio Leo, il regista del «discarico » che si declinerà presto nel grande regalo a chi non è in regola con il pagamento delle imposte. Anche il titolare del Tesoro Giancarlo Giorgetti ci metterà la faccia. Domande dei giornalisti non ammesse, modalità convegno-comizio. Ma nel decreto approvato 48 ore fa dal Consiglio dei ministri sono chiare le tracce del colpo di spugna.
Basterà aprire le porte del magazzino dell’Agenzia delle Entrate, arrivato a contenere 1.206 miliardi di crediti non riscossi, e i giochi saranno fatti. Oltre la metà di queste somme, circa 661 miliardi, fa riferimento a cartelle datate. Alla fine del 2027, quando finiranno nella discarica della grande rinuncia, avranno tra i 10 e i 27 anni d’età. Anni in cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha provato invano a recuperare il dovuto. L’alibi per il colpo di spugna è pronto: le cartelle sono intestate a soggetti deceduti e a ditte cessate. Vero, per un valore di 148 miliardi.
Fanno riferimento a nullatenenti, in tutto 73 miliardi. Altrettanto corretto. Ma evidentemente qualcosa non ha funzionato. E il legislatore è stato altrettanto latente se quei crediti da somme dovute si sono trasformate in una sorta di ricatto da parte dei contribuenti infedeli. E poi c’è chi è riuscito a farla franca – in questo caso i miliardi “bruciati” sono ben 295 perché i pignoramenti possono arrivare fino a un certo punto: sono i miliardi che lo Stato non avrà mai indietro nonostante le cosiddette azioni cautelari ed esecutive che hanno aggredito solo una parte della montagna dei debiti.
Il conto inevaso è ancora più consistente. Nella lista ci sono i contributi previdenziali che l’Inps ha chiesto alle Entrate di riscuotere e lo stesso hanno fatto i Comuni con le multe stradali, l’Imu, la Tari e tutti gli altri tributi di propria competenza che non sono riusciti ad incassare.
In tutto 181 miliardi, considerando anche le Regioni, le Casse di previdenza, le Camere di commercio e gli ordini professionali. Sono tutti enti creditori “traditi” dalle Entrate. Dal 2030 diventeranno anche il capro espiatorio del governo. Saranno loro, infatti, i destinatari del “pensateci voi”, alla fine dei cinque anni concessi alle Entrate per riscuotere le nuove cartelle che recheranno la data del 2025.
Potranno affidarsi a soggetti privati per tentare di recuperare il dovuto, ma la possibilità offerta dall’esecutivo suona come una beffa: non ce l’hanno mai fatta, non ce la faranno neppure ora. Ma a loro toccherà l’ingrato compito di stralciare le cartelle, certificando così la resa. Lo stesso faranno le Entrate, con l’Irpef e l’Iva, la parte più “succulenta” del regalo del governo.
La beffa è stata già annusata dai Comuni. Alle Entrate sono rimasti circa 10 miliardi in affidamento eppure, incalzano dall’Anci, l’Agenzia non è riuscita a recuperarli. Piccole somme – in media 250 euro per una multa e 600 euro per l’I-mu – ma l’interesse sembra riservato solo alle grandi cifre. E con la maxi-rateizzazione fino a 10 anni, voluta dal governo, le cose si complicano ulteriormente: l’incasso di una multa spalmato in 120 rate. Due euro al mese girati alle case comunali. Eccola la riscossione della discordia.
Ma alla destra importa solo il colpo di spugna.
(da La Stampa)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
DA FDI FANNO SAPERE CHE LA RIMOZIONE DI NORDIO NON È ALL’ORDINE DEL GIORNO “ALMENO FINO ALLE EUROPEE, DOPO SI VEDRÀ”
C’è un caso Nordio nel governo. Non è inedito, ma con il passare dei mesi, si arricchisce di nuovi capitoli, con una corda che rischia di spezzarsi. Giorgia Meloni è molto seccata con il ministro della Giustizia, che tanto ha voluto all’interno del suo governo
La goccia che sta per far traboccare un vaso ormai colmo di malumori è la richiesta di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulla vicenda degli accessi abusivi alle banche dati. Meloni ha risposto in maniera durissima e, cosa inedita nei rapporti tra i due, ha negato a Nordio un colloquio per un chiarimento che viene ritenuto inutile, almeno in questo momento.
Sostituire il Guardasigilli non è strettamente all’ordine del giorno, «almeno fino alle Europee», spiegano fonti vicine alla premier, «dopo si vedrà». Per Meloni cambiare adesso questa casella significherebbe un’ammissione di colpevolezza, uno smacco personale.
Forza Italia, infatti, già fa capire che potrebbe chiedere un ministero in più in caso di un sorpasso importante sulla Lega a giugno. Complicato poi sarebbe individuare un sostituto, visto che il sottosegretario Andrea Delmastro, il più vicino alla premier, è imputato per rivelazione di segreto d’ufficio nel caso dell’anarchico Alfredo Cospito.
Il candidato naturale potrebbe essere il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, un magistrato conservatore come Nordio, ma con maggiore tatto ed esperienza politica. Mantovano però ricopre un ruolo fondamentale a Palazzo Chigi, specie nei rapporti con il Quirinale e ha in mano dossier delicati come quello dei Servizi.
Spostarlo da Piazza Colonna quindi sarebbe complicato. Eppure la rabbia è tale, che nessuno esclude più nulla da giugno in poi. Politicamente, il ministro è di fatto commissariato e in questi mesi ha dovuto avallare decine di misure lontane dalla sua cultura giuridica, a cominciare dall’introduzione di diversi reati e dal sostanziale abbandono di battaglie di una vita, come la separazione delle carriere, di cui Meloni non vuole sentire parlare.
Quella della commissione d’inchiesta è una proposta, condivisa con il ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha stupito, per usare un eufemismo, la presidente del Consiglio, giudicata del tutto intempestiva e sbagliata in sé, visto che una commissione al lavoro già c’è, l’Antimafia, ed è guidata dalla sorella d’Italia Chiara Colosimo, legatissima alla premier. La cosa che più ha sconcertato Meloni è che una proposta di questa portata fosse annunciata dal ministro senza minimamente averla condivisa con Palazzo Chigi, né con i capigruppo di maggioranza.
Tra palazzo Chigi e via Arenula c’è anche un altro conflitto in questi giorni. Il ministro vorrebbe promuovere Giusi Bartolozzi, da vicecapo di gabinetto a capo, per occupare il posto lasciato vuoto da Alberto Rizzo, dimessosi due mesi fa proprio per gli scontri continui con Bartolozzi. A questa nomina si sta opponendo fermamente Mantovano, dall’esito di questo scontro si capirà forse anche il futuro di Nordio.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO DELLA PREMIER È BOCCIARE I CANDIDATI DI GIORGETTI A CDP, FS E ANAS… POSSIBILE CONFERMA DI SCANNAPIECO (MA SALVINI VUOLE DAFFINA), L’IPOTESI DEL FANTE E I MOVIMENTI NEI SERVIZI: IL FAVORITO DELLA SORA GIORGIA RESTA DEL DEO
Nell’eterna sfida tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini si prepara un nuovo atto. Non sarà l’ultimo duello, ma rientrerà tra i più cruenti, nel senso politico del termine. La leader di Fratelli d’Italia vuole relegare all’angolo l’alleato-avversario.
Ci sono decine di consigli di amministrazione di società partecipate in scadenza. Qualche poltrona di istituti pubblici ancora da assegnare. E il puzzle dei servizi segreti, con l’imminente scadenza dei vertici che richiede una ricollocazione delle pedine. Le regionali in Abruzzo hanno provocato un effetto collaterale, ma non proprio secondario: il posizionamento in vista del prossimo giro di nomine, previste in primavera. E ogni operazione deve passare da Meloni.
La vittoria del fedelissimo, Marco Marsilio, è una spinta per le ambizioni della premier, determinata a decidere le sorti del cda e dell’intelligence, senza badare alle richieste degli alleati, Salvini in testa, confrontandosi solo con l’inner circle di palazzo Chigi: i sottosegretari, Giovanbattista Fazzolari, per la partita sulle partecipate statali, e Alfredo Mantovano, supervisore di ogni sommovimento nell’ambito dei servizi segreti.
La Lega dovrà accontentarsi delle briciole per due motivi. I calcetti negli stinchi tirati dal suo segretario hanno infastidito molto Meloni. E poi le ultime tornate hanno ridimensionato la forza leghista. Chi invece ha intenzione di reclamare un posto d’onore al tavolo delle trattative è Antonio Tajani, ringalluzzito dalla performance di Forza Italia in Abruzzo, ora pronto a passare all’incasso in Basilicata con la conferma Vito Bardi alla presidenza della regione.
L’intreccio delle poltrone riguarda pure un fattore temporale: alla Lega conviene sbrigare la pratica prima del voto delle europee, mentre fonti qualificate non escludono un rinvio a dopo le elezioni con la mini-proroga degli organi in scadenza. Una soluzione-Armageddon per Meloni che conta di uscire ulteriormente rafforzata dalla tornata di giugno. E ammutolire i leghisti.
Una delle nomine più ambite è quella dell’ad di Cassa depositi e prestiti, forziere pubblico, prezioso per gestire le privatizzazioni e fondamentale per gli investimenti pubblici. Il dossier, durante la campagna elettorale abruzzese, è stato congelato.
Ma sta prendendo quota l’ipotesi della conferma dell’amministratore delegato uscente, Dario Scannapieco, voluto dal governo Draghi in una casella delicata. Alla chiusura delle urne, nel settembre 2022, il manager era nella lista nera della destra. In questo anno e mezzo, però, Meloni ha iniziato ad apprezzarlo e sta valutando di tenerlo.
L’opzione è un dito nell’occhio a Salvini, che vuole cancellare qualsiasi traccia riporti a Draghi, creando un’asse con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, scettico su Scannapieco.
Per questo il leader della Lega sta spingendo per Alessandro Daffina, proveniente dai vertici di Rothschild e quindi con il pedigree di uomo di banca d’affari. Il terzo incomodo potrebbe essere Stefano Donnarumma, ex ceo di Terna e da sempre vicino a FdI, rimasto scottato lo scorso anno, quando era il favorito per guidare Enel ed è stato sopravanzato da altri profili.
Il nome di Donnarumma si adatta un po’ a tutto: le indiscrezioni lo danno anche come possibile candidato alla poltrona di ad della holding di Ferrovie dello stato. Anche in questo caso, comunque, il ceo uscente, Luigi Ferraris, voluto da Draghi, non è dato per spacciato.
In materia di trasporti, Salvini vuole dire la sua da ministro, promuovendo Luigi Corradi, attuale ad di Trenitalia, con cui i rapporti si sono comunque raffreddati dopo la fermata ad hoc del treno per il ministro Francesco Lollobrigida. Meloni non vuole assecondare le richieste leghiste. La conferma di “tecnici” draghiani potrebbe accreditarla presso i mondi imprenditoriali.
Per Anas dalla Sardegna rimbalza l’ipotesi Christian Solinas, un “risarcimento” della mancata ricandidatura. Sembra un fanta-nomine, ma è sicuro che Salvini voglia una figura di fiducia che faccia da cinghia di trasmissione con il suo ministero. Forza Italia, però, valuta di prendersi quella posizione, forte del risultato in Abruzzo, in sinergia con FdI. Sui candidati è in corso una valutazione. E poi ci sono altre società ancora, per esempio Cinecittà, dove si gioca un match per interposte persone.
La sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, salviniana doc, sponsorizza la “sua” Chiara Sbarigia, già presidente della società, come amministratrice delegata. Ma l’attuale ad Nicola Maccanico beneficia dei buoni uffici del ministro Gennaro Sangiuliano e punta alla conferma..
Il voto in Abruzzo ha blindato la discussione sui vertici dei servizi. Meloni vuole fare da sola, si limita ad ascoltare giusto Mantovano, di cui si fida, ancora di più su un tema così delicato. La nomina a sherpa del G7 di Elisabetta Belloni, capa del Dis, ha confermato come palazzo Chigi si muova in autonomia.
Per l’Aisi (l’Agenzia per la sicurezza interna) il favorito resta Giuseppe Del Deo, con cui la premier vanta un rapporto eccellente, anche se il sottosegretario spinge per l’attuale numero due dell’Agenzia, Bruno Valensise. dal governo non è passato inosservato il pasticcio-Istat, rimasto paralizzato per l’inamovibilità di Salvini sul nome di Gian Carlo Blangiardo. Adesso l’Istituto ha avviato una procedura di selezione. E al momento del dunque potrebbe arrivare un tecnico di area meloniana. Per far capire a Salvini che il tempo delle bizze è finito.
(da Domani)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
IL TASSO DI OCCUPAZIONE NEL NORD (69,4%) E’ DI 21 PUNTI PERCENTUALI SUPERIORE A QUELLO DEL MEZZOGIORNO (48,2%)
Prosegue la crescita dell’occupazione, una tendenza che si registra ormai da alcuni anni. Nonostante il dato positivo – messo nero su bianco dall’Istat nell’ultimo report sul mercato del lavoro– rimangono ampi i divari territoriali tra Nord e Sud: nel Mezzogiorno, infatti, i disoccupati sono il triplo di quelli delle Regioni settentrionali.
In generale nel 2023 è proseguita la crescita del numero di occupati (+481 mila, +2,1% in un anno), con il tasso di occupazione che è salito al 61,5%, cioè 1,3 punti percentuali in più sull’anno precedente. L’Istituto nazionale di statistica certifica come la crescita dell’occupazione, rispetto al 2022, interessi soprattutto i dipendenti a tempo indeterminato (+491 mila, +3,3%) e gli indipendenti (+62 mila, +1,3). Risultano invece in calo i dipendenti a termine (-73 mila, -2,4%). In aumento sia il lavoro a tempo pieno (+446 mila, +2,4%) che quello a tempo parziale (+35 mila, +0,8%).
Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, invece, nel 2023 l’Istat fotografa un calo – seppur più contenuto del 2022 – delle persone in cerca di lavoro (-81 mila, -4%): il livello di disoccupazione scende al 7,7%, cioè 0,4 punti in meno rispetto al 2022. Diminuisce anche il numero di inattivi, cioè di persone non occupate e che non sono in cerca di un lavoro (-468 mila, -3,6% in un anno). Il tasso di inattività – analizzato nella platea di popolazione tra i 15 e i 64 anni – scende al 33,3% (-1,1 punti rispetto al 2022): in numeri assoluti parliamo di oltre 12 milioni di persone.
Oltre a fornire questi dati l’Istat certifica come nel 2023 i divari territoriali sul mercato del lavoro, rimangono “molto elevati”: il tasso di occupazione nel Nord (69,4%) è di 21 punti superiore a quello del Mezzogiorno (48,2%) e il tasso di disoccupazione nelle regioni meridionali (14%) è circa tre volte quello del Nord (4,6%).
(da FanPage)
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Marzo 13th, 2024 Riccardo Fucile
SUI REDDITI IL COMPLETO FALLIMENTO DEL GOVERNO
La crisi per le famiglie italiane non si ferma. Anzi, la situazione continua a peggiorare, con un balzo indietro di sei anni. La capacità di spesa delle famiglie italiane continua a essere debole, anche se il costante peggioramento iniziato nel 2021 sembra rallentare. In ogni caso, però, nel 2023 non c’è stato alcun segnale di ripresa e la situazione resta allarmante.
L’indagine annuale Termometro Altroconsumo 2023 ha analizzato il livello di difficoltà dei consumatori nell’affrontare le spese durante l’anno appena terminato, evidenziando anche le differenze fra aree geografiche e fra le tipologie di famiglia, esaminando infine le aspettative per il 2024.
Nel 2023 si registra una stabilizzazione della capacità di sostenere le spese correnti, ma con livelli ancora molto negativi. Sono sei gli ambiti di spesa analizzati: abitazione, mobilità, salute, alimentazione, istruzione, cultura e tempo libero. L’indice del 2023 è di 45,1 (-0,1 rispetto al 2022): una flessione minima ma che fa raggiungere il record negativo da quando l’indagine è iniziata nel 2018.
Una famiglia su dieci, in particolare, risulta in gravi difficoltà economiche: vuol dire che nel 2023 ha avuto difficoltà a sostenere le principali spese quotidiane in tutti gli ambiti esaminati. Il dato è di poco in salita rispetto al 9% del 2022 ed è il peggiore mai registrato.
Solo il 27% delle famiglie dichiara di non aver avuto alcuna difficoltà, mentre aumentano quelle che faticano a risparmiare: il 74% spiega di avere difficoltà a mettere da parte risparmi (+4% rispetto al 2022) e il 40% (in aumento di cinque punti percentuali) ha avuto grosse difficoltà. Prevale, inoltre, una percezione fortemente negativa degli italiani in molti ambiti di spesa.
IL FALLIMENTO DEL GOVERNO
Ciò che emerge dall’analisi di Altroconsumo, considerando sia le difficoltà di spesa che quanto viene percepito, sembrerebbe che le politiche messe in campo dal governo a sostegno dei redditi (come la proroga del taglio del cuneo fiscale, le misure anti-inflazione, i bonus nuovi o prorogati) non stiano avendo effetti positivi. Insomma, il governo non è riuscito a migliorare le condizioni delle famiglie italiane. Anzi.
(da agenzie)
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