Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL NUOVO “PATTO” CON GLI ALLEATI: LEI SI PRENDE IL PREMIERATO, FORZA ITALIA LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE E LA LEGA LA DIVISIONE DEL CSM
Guardasigilli sì, ma “dimezzato”, come il visconte di Calvino. Resta ministro della Giustizia Carlo Nordio, perché Giorgia Meloni non può smentire sé stessa. Ma da due settimane lui è sotto “tutela stretta”. Sulla giustizia comanda Chigi. Perché «quello di politica non sa nulla e si muove come un elefante nella cristalliera ». Eh già, come dimostra l’ultima pièce. Che non si celebra in via Arenula, ma nelle stanze della premier. Com’è già avvenuto 15 giorni fa per il primo vertice sulla giustizia.
E lì Meloni, lunedì dopo il Cdm, rafforza il patto di governo in vista del voto europeo sulla testa dei giudici. Aggiungendo un capitolo nella strategia delle riforme. Una a me, una a te, una a lui, avrebbe detto Davigo. Ai meloniani il premierato, a Forza Italia la separazione delle carriere, cioè da sempre il sogno di Berlusconi. Alla Lega non solo l’autonomia differenziata, ma anche la divisione in due del Csm, uno per i giudici e uno per i pm.
Quest’ultimo capitolo affidato alle mani della leghista Giulia Bongiorno, che la chiede da vent’anni. In asse con il forzista Pierantonio Zanettin, proprio lei ha già messo sul tavolo, per ingabbiare le correnti, il sorteggio come futura legge elettorale per il Csm.
Inutilmente, Nordio e i suoi, cercano di vendere come una propria vittoria la loro débâcle. Da via Arenula esce la notizia che il ministro lavorerà alla separazione delle carriere, che piazzerà l’abuso d’ufficio per il voto definitivo alla Camera il 25 marzo (impossibile, perché non è ancora partito l’iter in commissione).
Ma la versione delle “fonti” di Chigi è tutt’altra. Anche perché Nordio ha commesso l’ennesima mossa falsa, parlando a piazzale Clodio. Gliela rimproverano, chiedendone conto a Meloni, Pd e M5S, che citano le sue parole “molto gravi”: «Le risorse sono limitate perché vi è scarsa attenzione finanziaria, è un ministero importante nella forma e non gradito nella sostanza». Parla del “suo” dicastero. Nordio “deve” smentire – «Sono indignato dal grave e strumentale travisamento » – ma la frittata è fatta.
Nelle stesse ore il Csm lo boccia per via dell’app che dovrebbe garantire l’evoluzione telematica del processo penale e che i procuratori delle sei più grandi città criticano perché si sta rivelando un disastro.
Senza licenziarlo, la premier lo ha commissariato. Lui non parla più della commissione d’inchiesta, ormai archiviata perché tutto è in mano all’Antimafia di Chiara Colosimo. La premier vuole gestire da sola il dossier sulla giustizia. Assieme ad Alfredo Mantovano. La separazione delle carriere avrà un timing strettissimo, il testo andrebbe già al primo Consiglio dei ministri dopo Pasqua. La mossa dà ad Antonio Tajani una bandiera da sventolare in campagna elettorale. Ed è nota la volontà di Meloni di rafforzare Forza Italia a scapito di Matteo Salvini, dando però alla Lega la partita del futuro Csm. Almeno sulla carta la premier assicura al Carroccio l’accelerazione sull’autonomia, arenata da tempo. Ma sarà lei a gestire tutto. E non Nordio.
(da La Repubblica)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL MERITO E’ DI DRAGHI, QUESTO DICONO I FATTI…. L’ALLARME DELLA TESORERIA DI STATO: “CON LE MAXI-RATEIZZAZIZONI MINOR GETTITO PER 2,5 MILIARDI IN 12 ANNI”
Altro che regali agli evasori, condoni e maglie larghe. “Ringraziando Dio – incalza Giorgia Meloni – a smentire queste accuse ci sono i numeri: dicono che il 2023 è stato un anno record nella lotta all’evasione fiscale”. E, aggiunge, il merito è dell’Agenzia delle Entrate e delle “norme specifiche introdotte da questo governo”.
Peccato però che l’incasso senza precedenti sia frutto del lavoro di altri.
Basta leggere il report delle Entrate sui risultati dell’anno scorso: quasi 16 dei 24,7 miliardi recuperati fanno riferimento ai versamenti diretti e alla compliance, l’adempimento spontaneo che matura dopo la possibilità offerta dall’Agenzia ai contribuenti di correggere errori ed omissioni contenuti nella dichiarazione dei redditi. Su entrambi i meccanismi il governo di destra non può rivendicare alcuna paternità.
Può farlo l’esecutivo che l’ha preceduto: fu Mario Draghi a inserire l’incremento delle lettere di compliance tra gli obiettivi del Pnrr.
E neppure un euro figura come recuperato attraverso la norma per arginare il fenomeno delle partite Iva “apri e chiudi”, che cessano l’attività prima di essere intercettate dal Fisco. Persino la tanto sbandierata pace fiscale è stata un flop: le somme raggranellate ammontano ad appena 200 milioni.
Ecco allora che per provare a tenere a galla l’autocelebrazione della premier sull’incasso record, il fedelissimo viceministro dell’Economia Maurizio Leo gioca la carta della rottamazione quater, che ha portato 6,8 miliardi nelle casse dell’erario. Il “jolly” è alquanto singolare: il contrasto al “nero” con una sanatoria, come è l’ultima edizione della rottamazione che permette di saldare i debiti con il Fisco senza versare le somme dovute per sanzioni e interessi, compresi quelli di mora e l’aggio.
Tra l’altro circa il 45% dei soggetti che ha aderito all’agevolazione a un certo punto ci ha ripensato e ha interrotto i versamenti, generando così un “buco” da 5,4 miliardi.
E altri soldi rischiano di andare persi. Questa volta sì per le misure adottate dall’attuale governo.
È la relazione tecnica al decreto che riscrive la riscossione a certificare l’azzardo della maxi-rateizzazione, fino a dieci anni, per chi ha problemi economici: un minor gettito per 2,5 miliardi nei prossimi dodici anni. Quaranta milioni in meno l’anno prossimo, fino al picco del 20230, quando si rinuncerà a 411 milioni. Eccolo l’alert della Ragioneria: “È prevedibile – si legge nel documento – un impatto finanziario negativo in conseguenza della riduzione dell’importo delle rate da corrispondere in ciascun anno legato alla maggior durata del piano di rateazione concesso”.
A beneficiare dell’allungamento dei pagamenti saranno gli autonomi. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti invita a “non vedere un covo di evasione dietro le attività delle piccole partite Iva e dei commercianti”. Ma che la propensione a evadere degli autonomi sia intorno al 70% è scritto nella Relazione sull’economia non osservata e l’evasione fiscale e contributiva che arriva dal Mef. L’ennesimo cortocircuito di un governo “vittima” dei numeri che dovrebbero provare la grande caccia agli evasori.
(da La Repubblica)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
L’INFLUENCER, AL SECOLO FILIPPO ROMEO, E’ IL FRATELLO DEL CAPOGRUPPO DELLA LEGA IN SENATO
L’influencer Champagne – all’anagrafe Filippo Romeo, fratello del capogruppo della Lega in Senato, Massimiliano Romeo – contro Matteo Salvini: in un video pubblicato nelle stories su Instagram, dov’è seguito da quasi 500mila persone, Champagne si scaglia contro il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture per la condizione dell’autostrada Como – Chiasso e prende come pietra dello scandalo il Ponte sullo Stretto.
“Facciamo il Ponte, facciamo le autostrade. Fai sempre il cinema. Dove sei, fenomeno? – domanda provocatoriamente l’influencer, rivolgendosi direttamente al leader leghista, che è anche stato taggato in modo che il messaggio non rischi di sfuggirgli – Sono 20 anni che sulla Como-Chiasso fanno i lavori e la galleria è chiusa quasi tutte le sere, questa è la situazione”.
Filippo Romeo, noto anche per le sue partecipazioni al programma radiofonico ‘La Zanzara’, rincara poi la dose: “Dai facciamola questa cosa, aggiustiamo questa strada, forza”. Su Instagram l’influencer si presenta così: “Il fatto che ogni sera mi voglia ubriacare di champagne non significa che io sia alcolizzato”.
Nell’attacco via Instagram a Salvini, che procurerà non poco imbarazzo in casa Lega visti i rapporti di parentela dell’influencer, è affiancato da Nevio Lo Stirato (altro personaggio ben noto agli ascoltatori de ‘La Zanzara’): “Visto che io e Nevio dobbiamo andare a ballarci la fresca al casinò, vogliamo dopo 20 anni sistemare una galleria?”.
Segue un secondo video della galleria in questione, con Champagne che in questo caso si limita a commentare: “Non ho parole”.
(da Open)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO CHE LA CASSAZIONE HA STABILITO CHE LA LIBIA NON E’ UN PORTO SICURO QUALCUNO VORREBBE VIOLARE LA LEGGE, IMPONENDO UN RESPINGIMENTO IN LIBIA? … LA ONG: “PROVVEDIMENTO OLTRAGGIOSO IN VIOLAZIONE DI LEGGE, CI PENSERANNO I NOSTRI AVVOCATI”… NEL FRATTEMPO ALTRI AFFOGHERANNO PER MANCANZA DI SOCCORSI
È finita in fermo amministrativo per venti giorni la Sea Watch 5, nave della Ong tedesca Sea Watch che negli scorsi giorni ha soccorso in mare 56 persone migranti e le ha trasportate fino a Pozzallo.
Le informazioni diffuse finora indicano che la colpa della nave sarebbe quella di non essersi coordinata con le autorità della Libia, come invece era stato richiesto dal Centro coordinamento salvataggi in mare di Roma.
Al contrario, l’equipaggio ha navigato fino all’Italia, e qui la Guardia costiera è intervenuta portando a terra su una motovedetta quattro persone che avevano necessità mediche urgenti.
Il caso della Sea Watch 5 aveva attirato l’attenzione pubblica negli scorsi giorni, soprattutto perché militari della Guardia costiera durante il loro intervento hanno rifiutato di prendere con sé il corpo di un ragazzo (l’età stimata è tra i 17 e i 18 anni) che era morto a bordo, senza spiegare il perché. In quel momento, il porto assegnato alla nave era quello di Ravenna: si prospettavano quindi circa quattro giorni di navigazione con un corpo a bordo, su un’imbarcazione che non è dotata di una cella frigo grande abbastanza per conservarlo.
Per ore, l’equipaggio aveva dovuto sostituire manualmente il ghiaccio all’interno della sacca in cui era tenuto il corpo, per evitare che si deteriorasse. A seguito delle proteste, alla nave è stato assegnato il porto di Pozzallo, dove ha fatto sbarco nella notte tra giovedì e venerdì. Poi è arrivato il fermo amministrativo.
Non è il primo caso di fermo ai danni di una nave Ong che non rispetta le indicazioni delle autorità italiane.
Soprattutto nell’ultimo anno, da quando il governo Meloni ha stretto le regole sul soccorso in mare e ha previsto sanzioni più pesanti per le Ong, ci sono stati diversi esempi.
Si tratta, in molti casi, di punizioni nei confronti di navi che effettuano procedure necessarie a garantire la sicurezza delle persone a bordo o che necessitano di soccorso. Nel caso della Libia, poche settimane fa la Corte di Cassazione ha ribadito che si tratta di un porto non sicuro per le persone migranti.
La stessa Sea Watch aveva fatto sapere di aver provato a mettersi in contatto con le autorità tunisine, ma senza successo: in un primo caso l’interlocutore non parlava inglese, mentre più tardi la stessa Tunisia aveva dato indicazione di coordinarsi con Roma.
La Ong ha commentato: “Dopo il dramma, la beffa: le autorità italiane hanno notificato alla Sea-Watch 5 un oltraggioso fermo amministrativo che bloccherà la nave in porto per venti giorni. Siamo al lavoro per contestare la misura nelle opportune sedi legali: basta con gli ostacoli a chi salva vite in mare”.
(da Fanpage)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO DELL’UGL PAOLO CAPONE A PROCESSO A ROMA PER I NUMERI GONFIATI DEGLI ISCRITTI… SOLO TRA I PENSIONATI GLI ISCRITTI RISULTANO UN DECIMO DI QUELLI DICHIARATI
Il 12 febbraio scorso, davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Roma, è cominciato il processo contro il segretario dell’Ugl Paolo Capone, per le presunte irregolarità nelle comunicazioni al ministero del Lavoro, sui dati degli iscritti al sindacato “di destra”.
Capone è chiamato a rispondere del reato di falso ideologico in atto pubblico. Il procedimento riguarda i numeri, degli anni che vanno dal 2015 al 2019, periodo nel corso del quale a ricoprire la carica di vicesegretario dell’Ugl è stato anche Claudio Durigon, attuale sottosegretario al Lavoro e uomo forte della Lega nel Centro e Sud Italia. Durigon non è coinvolto nel processo e non è mai stato indagato per questa vicenda.
L’indagine che ha portato Capone sul banco degli imputati nasce da un esposto di un ex Consigliera nazionale dell’Ugl, Maria Rosaria Selliti ed è stata rivelata per la prima volta da Fanpage.it nell’ambito dell’inchiesta Follow the Money, sui rapporti tra il sindacato e il partito di Matteo Salvini.
Negli anni presi in considerazione, il numero degli iscritti autocertificato dall’Ugl al ministero del Lavoro è oscillato, tra circa un milione e 700mila e un milione e 800mila. Secondo l’esposto, si tratterebbe di un dato largamente sovrastimato, rispetto alla realtà. La quantità dichiarata di aderenti alle diverse confederazioni sindacali serve al ministero per valutare la loro rappresentatività. Da essa, deriva la possibilità di accedere ai tavoli di trattativa governativi, ma anche la concessione di diversi incarichi pubblici retribuiti, come quelli nei Consigli di Vigilanza di Inps e Inail. Nella tesi della querelante, questi posti sarebbero stati ottenuti anche sulla base di dati falsi o comunque privi di un effettivo riscontro.
Il cuore del lavoro dei pm – durato oltre due anni – si trova nella relazione del consulente tecnico dell’accusa, che Fanage.it ha potuto visionare. La conclusione dell’attività investigativa è che i numeri degli iscritti comunicati dall’Ugl al ministero del Lavoro sono privi di riscontro. C’è quindi un’incongruenza tra dati forniti autocertificati dal sindacato in sede ufficiale e l’incapacità – di fronte alle ripetute richieste del pubblico ministero – di fornire le prove e le pezze d’appoggio, per dimostrare che questi corrispondano alla reale consistenza della confederazione.
Il caos delle tessere
Per arrivare a questa conclusione, il perito si è concentrato sulla quantità delle tessere rilasciate dall’Ugl – negli anni presi in considerazione dall’inchiesta -, legato al regolare versamento delle quote associative. Il numero delle tessere rilasciate di anno in anno infatti sarebbe l’unico in grado di comprendere tutte le diverse modalità, con cui è possibile iscriversi al sindacato. Peccato che nemmeno l’Ugl sa (o quantomeno non è stata in grado di provare) quanti sono gli effettivi tesserati.
Dall’interrogatorio dell’attuale vicesegretario Luca Malcotti infatti è emerso come “non esiste una procedura formale di raccolta dati, vengono acquisti in vari modi formali e informali”. E soprattutto, “i dati non sarebbero informatizzati e archiviati in modo da poter ricondurre la tessera al singolo iscritto”. In altre parole, non esiste un database che permetta di associare ogni tessera rilasciata in modo univoco a un iscritto al sindacato. E neppure – annota il consulente dei pm – è possibile stabilire con certezza il numero effettivo di tessere rilasciate ogni anno.
Di fronte a questo, nella consulenza si sottolinea un’incongruità tra “l’assenza di sistemi di memorizzazione dei dati degli associati”, con la necessità “di verificare la sussistenza e il mantenimento delle condizioni di validità dell’iscrizione”, come il regolare versamento delle quote. Insomma, ci si chiede nella relazione, senza un sistema che tenga traccia degli associati, come possono gli uffici della confederazione stabilire chi ha diritto ogni anno ad aderire e chi no? E si prosegue con un’altra domanda, che arriva al cuore della questione: come è possibile certificare al ministero il numero degli iscritti, suddiviso tra le diverse categorie, senza avere la possibilità di verificare, con una documentazione precisa, il numero degli associati?
Di fronte a questi interrogativi, i documenti prodotti dall’Ugl nel corso delle indagini non avrebbero dissipato i dubbi, ma anzi sembrerebbero confermare il caos sulle cifre. Si legge nella relazione: “Sono stati prodotti elenchi nominativi privi delle generalità degli iscritti, del codice fiscale, non è stato fornito l’elenco delle tessere confederali emesse/rinnovate in ciascun anno di interesse, non è stato prodotto l’elenco che associa la tessera al nominativo dell’iscritto al sindacato”.
Il caso dei pensionati
Nell’unico caso in cui è stato possibile effettuare una controprova efficace con dati esterni, è risultata un’ampia differenza tra i numeri autodichiarati dall’Ugl al ministero del Lavoro e quelli reali. Si tratta della federazione dei pensionati, per cui è possibile ricavare la quasi totalità del numero degli iscritti reali al sindacato, in base alle trattenute effettuate dall’Inps sulle retribuzioni. Ecco, tra il 2015 e il 2019 all’Istituto di previdenza risultano poco più di 58mila aderenti annuali alla confederazione, a fronte di cifre comunicate al ministero che variano da un minimo di 462.555 nel 2017, a un massimo di 511.893, nel 2015.
Come anticipato sopra, la conclusione della consulenza è impietosa: “non appaiono congruenti, sul piano logico le certificazioni sul numero degli iscritti al ministero del Lavoro dal sindacato, con l’apparente incapacità dello stesso di fornire/ documentare il sottostante elenco delle tssere confederali (in corso di validità negli anni di interesse) emesse/ rinnovate e dei correlati nominativi (completi di dati identificativi: luogo, data di nascita, codice fiscale) degli iscritti/associati”.
Nel corso dell’udienza predibattimentale del 12 febbraio, gli avvocati del segretario dell’Ugl Capone hanno sollevato una questione preliminare, sostenendo che non basta eccepire la veridicità delle autodichiarazioni, se non si contesta un beneficio per cui queste sarebbero state fatte. I pm si sono opposti, ritenendo che per i reati di falso non sia necessario dimostrare un danno effettivamente verificato, ma basta il solo fatto di non dichiarare il vero. Il prossimo 6 maggio il giudice dovrà sciogliere la questione e decidere se portare o no il processo nella fase del dibattimento vero e proprio.
(da Fanpage)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
CON I VECCHI CONDONI ALMENO SI FISSAVA UN TERMINE ENTRO IL QUALE ERA PREVISTO L’INCASSO DI UNA PERCENTUALE. CON LA NUOVA RATEAZIONE SUPER PROLUNGATA, I RISULTATI SI VEDRANNO DOPO ANNI… L’ESSENZIALE CHE, ENTRO LA LARGA AREA SOCIALE IN CUI MELONI CONTA DI RACCOGLIERE CONSENSI, I CONTRIBUENTI NON SEMPRE ESEMPLARI PERCEPISCANO CHE IL GOVERNO È AMICO
Meloni lo ha detto con parole chiare, che più chiare non avrebbero potuto essere: la politica fiscale del governo è l’esatto opposto di quella che immaginava Padoa Schioppa, lo scomparso ministro dell’Economia del secondo governo Prodi (2006-2008), che fu impiccato a una frase pronunciata forse con troppa ingenuità in un Paese a forte evasione come l’Italia: «Le tasse sono bellissime». Meloni ha insistito sulla difesa degli autonomi (piccoli e medi imprenditori, popolo delle partite Iva che raccoglie gran parte degli elettori di centrodestra).
Si può dire infatti che quella annunciata da Leo due giorni fa, con la possibilità di rateizzare fino a dieci anni le tasse dovute, sia una seconda tappa in direzione dei contribuenti-elettori cari alla premier. La prima, con la legge di Stabilità dell’anno scorso, è stato il rialzo da 50 a 85mila euro della fascia di autonomi agevolati con la flat-tax al 15 per cento. La seconda sarà compiuta con la rateizzazione fino a 120 rate del dovuto.
Che poi sia un modo di sfoltire la massa dei 1.200 miliardi di tasse non pagate, o evase, che lo Stato, attraverso l’Agenzia delle Entrate, non è più in grado di esigere sarà da vedere. Con i vecchi condoni almeno si fissava un termine entro il quale era previsto l’incasso di una percentuale. Con la nuova rateazione super prolungata, i risultati si vedranno dopo anni.
E nel frattempo gli evasori incalliti avranno il tempo di studiare nuovi espedienti per sfuggire ai propri doveri fiscali, o per compierli al minimo. L’essenziale che, entro i confini della larga area sociale in cui Meloni conta di raccogliere ancora a lungo i propri consensi, i contribuenti non sempre esemplari percepiscano che il governo è amico e saprà venir loro incontro.
(da la Stampa)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
“NON VOGLIO FARE NOMI. MA CREDO DOVRESTE SVILUPPARE STRUMENTI ANTI-PROPAGANDA RUSSA BEN PIÙ EFFICACI”… “VINCERE LA GUERRA IN UCRAINA? CREDO CHE ABBIAMO PERSO LA POSSIBILITÀ ALL’INIZIO, QUANDO SI È ESITATO A SOSTENERE PIENAMENTE KIEV. LO STESSO VALE PER LE ÉLITES RUSSE: ORA È TROPPO TARDI PER FARLE RIVOLTARE CONTRO PUTIN”
Mikhail Khodorkovsky, incarcerato da Vladimir Putin per oltre dieci anni, ora vive a Londra e parla delle elezioni generali che si terranno in Russia da domani a domenica 17 marzo
Khodorkovsky, che cosa si aspetta dal voto?
«Putin non è così forte come sembra. Quando decide di uccidere qualcuno, ultimo Navalny, vuol dire che ha qualche problema. Perché l’opposizione è molto più ampia di quanto si pensi in Russia: secondo le ultime rilevazioni, c’è un 17% della popolazione che vorrebbe fermare la guerra e restituire i territori occupati all’Ucraina, mentre coloro che chiedono la pace sono il 52%».
Eppure Putin sembra solidissimo.
«Anche per l’atteggiamento sbagliato dell’Occidente. Tutti i Paesi, e non solo qualcuno, non devono riconoscere il risultato delle elezioni. Questo sarebbe un grande segnale di unità. Invece il Cremlino gioca su queste divisioni interne in Europa e in America».
A tal proposito, qualche giorno fa Putin ha detto che “in Italia si è sempre sentito a casa, anche perché è un Paese molto vicino alla Russia”. Lei come interpreta queste parole?
«È una chiara strategia di Putin per allargare le fratture, in Italia ma anche nel resto d’Europa. Certo, in Italia il terreno per lui è ancora più fertile, per la vostra storia, ma non solo. I sondaggi mostrano un Paese diviso a metà sulla guerra in Ucraina. E, da quel che vedo, ci sono agenti al soldo del Cremlino in Italia che fanno un lavoro di propaganda eccellente. Non voglio fare nomi. Ma credo dovreste sviluppare strumenti anti-propaganda russa ben più efficaci».
L’opposizione in Russia potrà essere davvero unita un giorno?
«È quasi impossibile perché ha varie anime. Non è una struttura verticale come quella che domina Putin. Ma voi occidentali dovete capire che non esiste uno zar buono. Anche se cadesse Putin, ci sarebbe comunque un altro al suo posto, pericoloso come lui. Per questo bisogna sostenere il processo democratico in Russia, e fomentare e accogliere la diaspora, soprattutto dei russi più intelligenti e i professionisti».
Putin ieri di nuovo ha minacciato l’uso di armi nucleari. È credibile?
«Non credo Putin sia così suicida. Ci tiene alla sua vita. Farebbe una cosa del genere solo se credesse nella sua impunità. Per questo è cruciale che l’Occidente non lo implori mai di non usare l’atomica, bensì lo minacci con enormi conseguenze, qualora si azzardasse. Gli scenari che potrebbero presupporre un suo ricorso alla bomba nucleare, come la perdita della Crimea, sono al momento sono irrealizzabili».
Secondo lei Kiev può ancora vincere la guerra contro la Russia?
«Credo che abbiamo perso la possibilità all’inizio, quando si è esitato a sostenere pienamente Kiev. Lo stesso vale per le élites russe: ora è troppo tardi per farle rivoltare contro Putin. E anche se finisse oggi il conflitto in Ucraina, Russia e Occidente entreranno in una guerra fredda di almeno 10 anni. Si potrà trovare un compromesso con Mosca sulla guerra, anche sulle attuali posizioni, solo inviando a Kiev altre centinaia di miliardi in armi e aiuti. Non il contrario, come potrebbe presupporre una vittoria di Trump in America. Perché, altrimenti, Putin andrà avanti. E se non ha attaccato la Moldavia o i Paesi baltici, è solo perché lo stiamo tenendo “impegnato” in Ucraina».
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
C’È DA STUPIRSI SE OGGI IL GOVERNO MELONI FAVORISCE AGLI EVASORI?
«Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani»: la passione della destra per gli slogan che ammiccano agli evasori sta tutta in uno dei memorabili richiami per le allodole di Silvio Berlusconi. Lui, il Cavaliere, l’uomo del “meno tasse per tutti” la cui parabola politica si è interrotta per una condanna per frode fiscale, è anche da defunto il portabandiera ideale di una campagna obliqua a favore di chi aggira l’obbligo di versare le imposte. C’è, in fondo, ancora la sagoma del tycoon scomparso a giugno dietro gli atteggiamenti dei leader di governo.
Non ultimo quello di Giorgia Meloni, che ha avvertito sui rischi di un fisco che disturba chi produce ricchezza: «Non dirò mai che le tasse sono bellissime». Concetto estrapolato da ragionamento più ampio, va sempre così, però il messaggio passa in ogni caso. Ed è una rassicurazione per chi viola la legge, in un Paese che produce 80 miliardi di euro l’anno di evasione fiscale. La stessa premier, d’altronde, nel chiudere a maggio 2023 la campagna elettorale siciliana, andò abbastanza dritta: «Non puoi chiedere al piccolo commerciante il pizzo di Stato ». Per l’opposizione, nella terra segnata dal marchio di Cosa nostra, non fu esattamente un’uscita felice. Ma quella fu.
Che sia un tema di sicuro impatto popolare, quello dell’eccessiva pressione fiscale, è certo. E i condoni — fatti o annunciati, poco conta perché basta sfruttarne l’effetto — sono sempre stati un cavallo di battaglia del centrodestra. In realtà, il padre di tutti i condoni è considerato quello varato dal socialista Rino Formica nel 1982, in un’Italia ancora sotto sbornia per la vittoria al Mundial, che in due anni fruttò qualcosa come 11 mila miliardi di lire di allora.
Nella Seconda repubblica, è stata indicata come un successone la sanatoria fiscale inserita nella Finanziaria 2002, premier Berlusconi e ministro Giulio Tremonti, che permetteva con il pagamento dell’imposta lorda dal 1996 al 2002, di chiudere una volta per tutte i conti con l’erario. Incassi record: 34 miliardi di euro. Poco conta che, cinque anni dopo, la Corte di giustizia europea condannò l’Italia per quella legge che «induce fortemente gli italiani a dichiarare solo una parte del debito dovuto… evitando qualsiasi accertamento o sanzione ». Berlusconi prese atto e andò avanti. Rieletto nel 2008, il Cavaliere riapparve subito in alcuni video con la posa del buon padre di famiglia: dicendo che è «moralmente autorizzato a evadere» chi è soggetto un’elevata pressione fiscale.
D’altronde, la letteratura elettorale del centrodestra è piena di attacchi alla sinistra che impone le tasse. E pazienza se anche Matteo Renzi, da premier e segretario del Pd, approvò una voluntary disclosure che ha in sé i caratteri del condono. Il modello rimane Silvio Berlusconi, quella sua promessa di «non mettere le mani nelle tasche degli italiani» che è stata ripresa, senza rossore, da Renzi medesimo e persino da Luigi Di Maio.
C’è da stupirsi se un governo di centrodestra, oggi, strizza l’occhio nuovamente agli evasori? La «pace fiscale» di Salvini, per esempio, è un tormentone che accompagna la vita dell’attuale esecutivo, e non ha mancato di creare frizioni nei rapporti mai felici con Meloni.
(da la Repubblica)
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Marzo 14th, 2024 Riccardo Fucile
ANCHE IN EUROPA LA MELONA HA UN PROBLEMA DI ALLEANZE: ORBAN E ZEMMOUR SONO LA ZAVORRA PIÙ INGOMBRANTE PER I SUOI SOGNI DI GLORIA IN UE. CHE FARE? RESTARE CON LORO È UN SUICIDIO MA SFANCULARLI VUOL DIRE PERDERE LA FACCIA
Si è aperto un dibattito nella “Fiamma tragica” di Palazzo Chigi dopo il voto in Abruzzo. La spallata a quel cagacazzi di Matteo Salvini je la damo o nun je la damo?
La debolezza della Lega, certificata dalle ultime tornate regionali, è uno zolfanello acceso sotto le chiappe del Capitano degradato a piantone a guardia del bidone.
La tentazione della Thatcher immaginaria, visto il suo carattere rude e fumantino, è quella di chiudere la partita una volta per tutte, infliggendo a Salvini l’ultima umiliazione: sulle prossime nomine (Rai, Ferrovie, Cdp): avanti tutta vuole procedere in solitaria impedendo al rompicojoni di mettere mano e bocca.
Di diverso parere è il resto del suo “inner circle”, ovvero il sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari, la segretaria-tuttofare Patrizia Scurti e la sorella d’Italia, Arianna Meloni.
Los tres caballeros spingono per raggiungere il medesimo risultato attraverso una strada meno cruenta, consapevoli che un animale ferito è anche più pericoloso. La triade consiglia di isolare gradualmente Salvini attirando e favorendo, una volta entrati nell’orbita dei Fratellini d’Italia, i suoi fedelissimi.
Una volta sedotti i vari Fedriga, Molinari e Romeo, saranno loro a fare il “lavoro sporco”, liberandosi del Salvini impazzito.
Non è un mistero, infatti, che i vertici di Fratelli d’Italia sognino una Lega moderata, localista, circoscritta al loro giardinetto del Nord, quindi meno intrusiva nelle grandi questioni di potere nazionale.
Un’operazione davanti al quale Salvini non resta con le mani in mano. Il segretario ha voglia di battagliare fino alla fine per salvare la sua leadership e portare a casa qualche bandierina da utilizzare per la campagna elettorale delle elezioni europee.
Il “Capitone” vuole giocare, dall’alto della sua debolezza, la partita sulle nomine in Ferrovie, il cui cda scade ad aprile, che lui considera una propaggine del ministero delle Infrastrutture, da lui guidato.
L’obiettivo è arrivare a discutere dei nomi e a dare gli incarichi prima del 9 giugno, quando cioè si potrebbe materializzare l’ennesima scoppola, quella definitiva, per la Lega.
Giorgia Meloni fa muro, convinta che sia più opportuno rinviare le nomine a dopo il voto: davanti all’ennesima debacle elettorale del Carroccio, pensa la Ducetta, anche i più testardi salviniani dovranno rendersi conto che un cambio di leadership è necessario.
Salvini s’aggrappa a quel semolino di Giorgetti, visto che formalmente le nomine spettano al Mef. Il ministro dell’Economia, al suo solito, traccheggia, e prova a prendere tempo, sia con Salvini, sia con la Meloni, magari con un compromesso: procedere con le nomine a metà maggio, quando nei sondaggi sarà chiarissimo cosa accadrà alle elezioni Europee.
I problemi che disturbano gli otoliti fragili della “Evita Peron della Garbatella” non arrivano solo dal suo spaccapalle di governo: a Bruxelles si trova quei due legni storti di Orban e Zemmour che rischiano, con le loro prese di posizione, di complicare non poco i suoi piani in vista della prossima Commissione europea.
Il premier ungherese, filo-putiniano e futuro acquisto dopo le Europee, su invito del presidente di Ecr Meloni, è andato a baciare la pantofola di Trump a Mar-a-lago, a dire “Portaci la pace, salvaci tu”, facendo incazzare nonno Biden.
Alla Casa Bianca hanno masticato amaro, non pensavano che un amico della super atlantista Giorgia, a cui Biden ha pure concesso bacini sulla cofana bionda in segno di apprezzamento, arrivasse a tanto.
Dall’altro lato, il giornalista francese Zemmour e la sua bombastica ancella, Marion Marechal Le Pen, imbarazzano la Ducetta con le loro posizioni estremiste contro neri, migranti e “l’islamizzazione” del Continente.
L’ultimo caso sono le critiche alla cantante, Aya Nakamura, originaria del Mali ma naturalizzata francese, arrivate dalla nipote di Marine Le Pen: “Si vuole rappresentare la Francia multiculturale, la Francia che non canta in francese. Perché si può amarla o meno, ma questa cantante non canta in francese”.
Gli alleati della coatta premier rappresentano, probabilmente, la più ingombrante zavorra nella euro-partita di potere che la Meloni sta giocando: se vuole davvero contare a Bruxelles, aver potere in Commissione, può accollarsi due puzzoni oltranzisti come Orban e Zemmour, a cui si aggiungono, tanto per gradire, anche i neo-franchisti di Vox dell’amato Santiago Abascal?
Macron e Scholz, viste le sue alleanze, accetteranno la “Camaleonte” del Colle Oppio nella futura maggioranza, probabilmente guidata da Ursula von der Leyen? Che fare? Uscire dal gruppo dei Conservatori? Restare in quel manipolo di mal-destri è un suicidio ma sfancularli vuol dire perdere la faccia…
(da Dagoreport)
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