Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
I CITTADINI EVADONO 83 MILIARDI L’ANNO: UN TESORO CON CUI SI POTREBBERO COPRIRE TUTTI I COSTI DELLA SCUOLA, DUE TERZI DELLA SPESA SANITARIA O LA METÀ DI QUEL CHE LO STATO HA INVESTITO PER I BONUS EDILIZI
Ottantatré miliardi di euro. Con ottantatré miliardi di euro l’Italia potrebbe onorare tutti gli interessi sull’enorme montagna del debito pubblico. Ottantatré miliardi di euro sono l’equivalente di due terzi della spesa sanitaria, molto di più di quel che lo Stato si può permettere di spendere per la scuola pubblica – circa cinquanta miliardi – la metà di quel che i contribuenti hanno investito per i costosissimi bonus edilizi. Con ottantatré miliardi si può pagare un quarto dell’intera spesa per assistenza e pensioni: 322 miliardi l’anno, con la Grecia la più costosa dell’Unione a Ventisette.
Gli ultimi dati disponibili sono del 2021. In quell’anno gli italiani non hanno versato al fisco 73 miliardi di imposte, ai quali vanno aggiunti i contributi previdenziali non versati.
La buona notizia è che con il passare degli anni, grazie soprattutto alla tecnologia e ai controlli telematici, le cose migliorano. Al netto dei contributi locali – noi italiani evadiamo anche quelli – nel 2017 il totale delle imposte non pagate erano poco meno di novanta miliardi, per la precisione 89,2. Sono scese a 84,2 nel 2018, 80,3 nel 2019, 68,5 nel 2020, 66,5 nel 2021.
Il totale delle somme evase è sceso sotto la soglia psicologica dei cento miliardi nell’anno della pandemia, e nonostante la forte ripresa dell’economia ha continuato a scendere.
La cattiva notizia è che si tratta ancora di un fenomeno endemico, una delle voci costanti delle raccomandazioni della Commissione europea all’Italia.
Fino a metà degli anni duemila i governi di centrodestra non hanno avuto remore ad introdurre veri e propri condoni di massa, fiscali, edilizi, delle somme depositate illecitamente all’estero. L’abitudine alle sanatorie non è passata, ma i governi oggi agiscono con più cautela, limitando le possibilità di perdono fiscale.
L’ultima «rottamazione» delle cartelle fiscali – oggi si chiamano così – l’ha varata il governo Meloni. Le precedenti le avevano decise quelli di Giuseppe Conte (il primo dei due), e poi Paolo Gentiloni e Matteo Renzi. Ciascuno dei governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio ha scelto una soluzione semantica all’ipocrisia dei condoni.
Mario Monti permise «l’annullamento» dei debiti fino a mille euro. Enrico Letta varò una «definizione agevolata dei ruoli», Mario Draghi un limitato «stralcio delle cartelle», con scorno di Matteo Salvini, che delle sanatorie è da sempre un grande fan.
Allora si decise di non perdonare più di cinquemila euro, tenuto conto dei redditi. Ma quando si presentò in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri l’ex governatore della Banca centrale europea lo ammise con sincerità: «Sì, è un condono». Ma «permetterà all’amministrazione di perseguire la lotta all’evasione anche in modo più efficiente».
Draghi non mentiva, ed è forse l’aspetto più odioso della faccenda: più aumenta la mole di somme non riscosse, più si accumula arretrato sulle scrivanie dell’Agenzia delle Entrate, complicando il lavoro di chi lo deve gestire.
L’ultimo aggiornamento del «carico residuo contabile» dice che mancano all’appello la bellezza di 1.200 miliardi di euro. Una volta esclusi deceduti, falliti e nullatenenti, restano 502,5 miliardi di «contribuenti già sottoposti ad azione cautelare od esecutiva». Quei cinquecento miliardi di euro – scriverlo per esteso fa più effetto – sono evasione accertata di chi è riuscito ad avere la meglio sullo Stato.
I poteri dell’Agenzia delle Entrate negli anni sono aumentati, ma resta quasi impossibile accedere ai conti correnti degli italiani.
Una norma che dovrebbe facilitare l’opera è stata introdotta anche nell’ultima Finanziaria, ma fin qui non attuata.
Il governo Meloni sembra invece deciso a non far crescere ulteriormente la montagna dell’arretrato: di qui in poi, ciò che l’amministrazione non riuscirà ad incassare entro cinque anni, verrà sostanzialmente cancellato.
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
SCHLEIN AVREBBE “SCIPPATO” A CONTE L’EX DIRETTORE DI AVVENIRE, MARCO TARQUINIO
Elly Schlein ha corteggiato per mesi, praticamente dal suo insediamento, Lucia Annunziata. E l’ex conduttrice di In Mezz’ora alla fine avrebbe detto sì. La notizia l’ha data ieri l’Ansa, quindi c’è da credere che non sia una velina maligna, di quelle che vorticano spesso intorno al Nazareno. Per l’ex presidente della Rai sarebbe già pronto il posto da capolista della circoscrizione Sud.
Sorpresa: ha benedetto la candidatura di Annunziata, ancora non ufficiale, Antonio Decaro, il sindaco di Bari che correrà proprio al Sud e fa parte della minoranza dem. Dovrebbe spuntare il posto numero due nel maxi-collegio, Decaro, subito dopo la giornalista classe 1950, ex Repubblica, ex Corriere, poi 18 anni a In Mezz’ora su Rai3, che ha lasciato l’estate scorsa in rotta coi vertici meloniani.
Giuseppe Conte avrebbe voluto in lizza coi 5S Marco Tarquinio: era perfetto per la linea anti-armi a Kiev del Movimento.
Ma l’ex direttore di Avvenire è a un passo dalla candidatura con i democratici. L’ha proposto a Schlein Paolo Ciani, il vice-capogruppo alla Camera, in quota “Demos”, il movimento cattolico vicino a Sant’Egidio.
La segretaria, dopo averci riflettuto per giorni alla fine si sarebbe convinta. Ma va ancora trovata la collocazione giusta: circoscrizione Centro, sicuro. Forse dopo Schlein, se come pare si candiderà.
Alla voce cronisti, tra i contiani c’è chi propone Gaetano Pedullà, il direttore del giornale ultra-grillino La Notizia, ma le sue quotazioni paiono in discesa.
(da Dagoreport)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
I BOSSIANI, NOSTALGICI DELLA LEGA NORD, VORREBBERO FESTEGGIARE PIU’ PER RIMARCARE L’ABISSO CHE SEPARA IL VECCHIO PARTITO DALL’ATTUALE … SALVINI HA TOLTO L’ACCOMPAGNATORE A BOSSI
Questa è la storia di un partito che ha paura di festeggiare il suo compleanno. La Lega, la più antica forza politica italiana oggi in campo, sta per compiere 40 anni. Sì, ma quale Lega? Quella di Matteo Salvini, stravolta e ribattezzata pochi anni fa a immagine e somiglianza del suo leader?
O quella di Umberto Bossi, della quale ormai non si vede quasi più traccia nel Carroccio salvinizzato e spostato all’estrema destra? Evidente quale sia la grana che un tempo, con abusato gioco di parole, si sarebbe detta padana: chi ha voglia di festeggiare l’anniversario, cioè i bossiani e i nostalgici della Lega Nord, vuol cogliere l’occasione per rimarcare l’abisso che separa il vecchio partito dall’attuale. Che è appunto il motivo per cui Salvini e i suoi non hanno voglia di celebrazioni, tanto che al momento, e manca meno di un mese alla data, non è in calendario alcuna iniziativa nazionale, tanto meno una festa.
Varese, pomeriggio del 12 aprile 1984. Il quarantaduenne Umberto Bossi da Cassano Magnago entra nello studio del notaio Franca Bellorini insieme a: Marino Moroni, rappresentante di commercio; Pierangelo Brivio, commerciante; Giuseppe Leoni, architetto; Emilio Sogliaghi, dentista; Manuela Marrone, sua moglie. Per i curiosi: sull’atto notarile, alla voce professione, Bossi è “editore”, e tecnicamente non fa una grinza. Dal marzo 1982 pubblica in proprio “Lombardia autonomista”, un giornale di poche pagine stampate con il ciclostile, macchinario caro a ogni militante di qualsiasi orientamento che superi i 60 anni, sul cui primo numero è scritto così: «Non importa che lavoro fate e di che tendenza politica siete, quello che importa è che siete, e siamo, tutti lombardi».
Mancano pochi mesi alle elezioni europee del 1984, perfetta coincidenza con l’attualità, dove Bossi si presenterà per la prima volta con la sua creatura al giudizio dell’elettorato nazionale, alleato con gli indipendentisti della Liga Veneta che hanno già clamorosamente eletto due parlamentari alle Politiche del 1983.
La lista si chiama: Liga veneta – Unione per l’Europa federalista. Il risultato sarà un trascurabile 0,47 per cento. Ma è la prima scintilla di un grande incendio. Soprattutto, a dispetto dei rapporti di forza iniziali, non saranno i veneti a inglobare i lombardi, bensì molto presto il contrario.
Oggi sono di nuovo i veneti a guidare la rivolta verso i lombardi. Anzi, un lombardo: Salvini. L’europarlamentare ed ex segretario della Lega veneta Gianantonio Da Re, espulso una settimana fa per aver definito «cretino» Salvini in una intervista a Repubblica , non è portatore di un parere isolato tra gli indigeni. Il presidente della Regione Luca Zaia, strattonato dalla contesa nella maggioranza di governo sul terzo mandato, è su posizioni molto distanti da Salvini e da qualche tempo non fa più molto per nasconderlo.
Su un punto molti militanti veneti sono in assoluta sintonia con i compagni lombardi: la Lega per Salvini premier è un partito che ha tradito lo spirito e la missione politica del partito che fu di Bossi, un partito che ha svenduto il federalismo per un nazionalismo di risulta, ha sostituito l’industrialismo con la lotta al gender, l’antifascismo bossiano con un criptofascismo alla Vannacci, la cui probabile candidatura alle Europee nelle liste della Lega provoca itterizia nella vecchia base nordista. Insomma, una succursale della Fiamma missina, che per giunta, a differenza del Carroccio, arde di salute e voti.
Ancora oggi Bossi racconta spesso con orgoglio la storia di sua nonna Celesta, socialista e torturata dai fascisti perché custodiva in casa una foto di Giacomo Matteotti: fu portata in uno scantinato di Busto Arsizio, legata su una specie di cyclette e costretta a pedalare a tutta fino a quando non si ruppe le rotule. Anche per questo il Senatur non nasconde il ribrezzo per il fatto che la sua creatura vada un Europa a braccetto con quella che lui, quando era già un affermato leader nazionale, chiamava «canaglia fascista».
Dopo la disfatta in Sardegna, un misero 3 per cento, l’ex deputato Paolo Grimoldi, animatore della fronda Comitato Nord e molto vicino a Bossi, ha chiesto di togliere il nome di Salvini dal simbolo: «Serve a evitare una debacle alle Europee», ha spiegato. A domanda sul Ponte sullo Stretto, il nuovo Graal salviniano, Grimoldi risponde fantozzianamente: «Una cagata pazzesca». Pochi giorni fa, dal palco di una festa del partito in provincia di Bergamo, Grimoldi ha chiesto «un passo di lato » di Salvini. La notizia è che parte del pubblico ha risposto con scroscianti applausi.
§I rapporti tra il Capitano e il Senatur, è cosa nota, sono pessimi. Ad aggravare la situazione c’è che la Lega ha deciso di non farsi più carico del pagamento di un nuovo accompagnatore per Bossi dopo che l’ultimo è andato in pensione, cosa che ha reso ancora più rare le sortite romane del fondatore della Lega. Il quale, però, seppur costretto nello storico domicilio di Gemonio non rinuncia a pizzicare il successore: «Salvini? Ha le sue idee. Bisogna vedere se funzionano », è l’ultima stilettata.
Nella Lega il clima interno è pesante, tanto che al confronto persino il litigioso Pd pare una confraternita zen. I bossiani rimproverano di aver giustificato la mancata assunzione di un nuovo accompagnatore per Bossi spargendo voci, infondate, di un grave peggioramento del suo stato di salute. Si dice che la moglie di un importante colonnello salviniano, impegnata nella stesura di un libro sulla storia della Lega, abbia chiesto a Bossi di scriverne la prefazione.
Risposta: non se ne parla. Capite bene perché non sia aria di festeggiamenti condivisi per l’anniversario. Anche se la differenza con Forza Italia, che il mese scorso ha celebrato in pompa magna a Roma il trentennale della scesa in campo di Berlusconi, è lampante come il rischio del sorpasso postumo del berlusconismo alle Europee.
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
IL DIMEZZAMENTO DELLE FIRME NECESSARIE PER PRESENTARE UNA LISTA, MOLTIPLICA I PARTITINI – E’ UN PROLIFERARE DI CACICCHI DE’ PAESE, EX DC (CUFFARO) E MOVIMENTI…LA CORSA DI BANDECCHI CON PALAMARA, DEL COMUNISTA MARCO RIZZO E GIANNI ALEMANNO
«C’è un fidanzamento in corso», sussurra Clemente Mastella, che dal suo quartier generale di Benevento sta mettendo assieme i satelliti della galassia sopravvissuti all’estinzione della Prima Repubblica con l’obiettivo di agganciarli al locomotore di Italia viva, per dar vita tutti assieme alla lista de Il Centro.
Ci sono molti ex della Balena Bianca ma non solo: per esempio l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro, che ha rispolverato non senza conseguenze legal-burocratiche il simbolo della Democrazia cristiana, con cui però starebbero trattando altri; ma anche l’ex ministro socialista Claudio Signorile e una serie di piccoli cespugli in cui si segnala anche la presenza di Ivo Tarolli, già senatore dell’Udc all’inizio degli anni Duemila, noto alle cronache dell’epoca per essere il referente in Parlamento dell’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Ai piani più alti di quel vecchio condominio centrista, tra l’altro, Renzi starebbe mettendo in campo una serie di corteggiamenti politici non di poco conto, con l’obiettivo di riportare sul proscenio (leggasi, nella lista delle Europee) alcuni protagonisti di quella fase che hanno poi deciso di dedicarsi ad altro.
Cronache dalle forze politiche piccole o piccolissime che in questi giorni varano le proprie liste in vista delle Europee, con le rispettive scalate al Monte Quorum (il 4 percento nazionale) che oscillano tra il difficile e l’impossibile e le imprese sognate che vanno dall’epico al leggendario.
«Ciascuno con i suoi mezzi e magari arrivando a pezzi», come cantava Lucio Dalla in Telefonami tra vent’anni, c’è chi si attrezza con un quid di creatività mutuato dallo show business. «Io per esempio faccio come ha fatto Amadeus con i superospiti di Sanremo: annuncio un accordo a settimana», spiega il vulcanico sindaco di Taormina Cateno De Luca, leader di Sud chiama Nord, che ogni giovedì fa una conferenza stampa per svelare l’ultimissimo tassello dell’accordone politico che, alla fine del percorso, vedrà la nascita della lista Libertà.
Dopo l’alleanza con il Partito popolare del Nord dell’ex ministro leghista Roberto Castelli, ieri ha annunciato l’intesa col Movimento Italexit degli orfani della creatura di Gianluigi Paragone, che portano in dote un simboletto stilizzato con rimandi neanche troppo vaghi all’originale. «E non finisce qui. Giovedì prossimo arriva un’altra bella sorpresa…».
La sorpresa, per tutti i cespugli, è arrivata l’altro giorno dal Parlamento, dove in prima lettura è passato il dimezzamento delle firme necessarie (da trentamila a circoscrizione a quindicimila) per poter presentare le liste. Impresa comunque ardua, perché «c’è il famoso scoglio delle millecinquecento firme da raccogliere nella sola Val d’Aosta», più semplice a dirsi che a farsi, come sottolinea il comunista Marco Rizzo.
Con la sua Democrazia sovrana popolare – «Scrivetelo bene e spiegate bene il simbolo, altrimenti visto che ci sono io di mezzo vanno a cercare sulla scheda elettorale una falce e martello che non trovano» – Rizzo, insieme a Francesco Toscano, porta in dote al suo movimento no-Nato e no-Ue anche due pezzi della vecchia Rai, Glauco Benigni e Giovanni Masotti.
Stefano Bandecchi, sindaco di Terni, s’è rimangiato la promessa di candidare il suo cane Milo nelle liste di Alternativa popolare ma ha confermato la decisione di far salire a bordo del camper, il mezzo scelto per la campagna elettorale delle Europee, l’ex pm Luca Palamara.
Proseguono intanto i lavori dentro Indipendenza!, la creatura di Gianni Alemanno, che dopo aver resistito alle sirene dei comunisti di Rizzo e anche a quelle di Cateno De Luca, farà corsa a sé. Firme permettendo, ovviamente.
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO LE PROTESTE DEGLI AGRICOLTORI, ORA IL COGNATO D’ITALIA DEVE GESTIRE GLI AGGUERRITISSIMI PESCATORI DILETTANTI, IMBUFALITI PERCHÉ UN SUO DECRETO LIMITA LA TECNICA ITTICA DELLA “PALAMITO”, OVVERO LA LUNGA LENZA CUI SONO ATTACCATI CENTINAIA DI AMI E DI ESCHE
Prima i trattori, ora i pescatori. È un periodaccio per il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che dopo aver fatto infuriare migliaia di coltivatori ora deve gestire gli agguerritissimi pescatori dilettanti, adirati perché un suo decreto ha quasi bandito l’antica tecnica ittica della “palamito”. Una tradizione che a quanto pare è cara pure alla Lega, visto che il Carroccio non ha esitato a prendere le difese dei pescatori contro il ministro.
La tradizione del palamito è diffusa soprattutto in Liguria e in Toscana e consiste nell’usare un attrezzo costituito da una lunghissima lenza cui sono attaccati centinaia di ami e di esche.
Fino a febbraio la legge imponeva alla pesca sportiva un tetto di 200 ami per ciascun palamito, ma un decreto di Lollobrigida ha abbassato la soglia a 50, riducendo di molto le probabilità di un buon “raccolto”.
Il ministero allarga le braccia, richiamando le normative europee e sostenendo che il limite di 200 ami era troppo invasivo per l’ecosistema. Non solo: obiettivo sarebbe anche quello di contrastare quelle zone grigie di chi, dietro alla pesca dilettantistica, ha messo in piedi un mercato abusivo di pesce.
Motivo per cui la Coldiretti Imprese Pesca sostiene convintamente il decreto, in maniera analoga a come la Coldiretti di Ettore Prandini ha sempre avuto parole al miele per Lollobrigida. Sui social però non si fa fatica a trovare decine di commenti preoccupati.
A esporsi è, tra gli altri, il Consorzio Nautico di Livorno: “Lollobrigida rischia di cancellare l’antica e tradizionale pesca sportiva-ricreativa con il palamito costringendo migliaia di pescasportivi a non godersi più qualche ora di tempo libero in mare” [
Una versione magari edulcorata, ma che trova ampie sponde politiche anche a destra. Sia in Forza Italia che, soprattutto, nella Lega. Nei giorni scorsi se n’è parlato durante l’ultimo Consiglio regionale ligure, nel quale il capogruppo di FI Claudio Muzio e il salviniano Stefano Mai hanno promesso di farsi carico degli interessi dei pescatori.
Ma il caso ora è arrivato anche in Parlamento e non solo per tramite del dem Luca Pastorino, che ha presentato un’interpellanza urgente a Lollobrigida, ma pure per bocca del leghista Francesco Bruzzone, deputato savonese che sarà candidato alle Europee e che ha depositato un’interrogazione scritta al ministro: “Pur nella giusta e condivisibile tutela dell’attività della pesca professionistica – è la posizione di Bruzzone – esistono decine di migliaia di pescatori dilettantistici che non possono subire una così forte restrizione”
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
IL CAPITONE NON NE AZZECCA UNA E I MARINAI PRONTI A SCENDERE DALLA NAVE
La solitudine di Matteo Salvini. Non c’è solo la grana Istat. Prendete ieri: nel centrodestra è riemerso anche un fronte trasversale che vuole rinviare la votazione sull’Autonomia, mettendogli l’ennesimo bastone fra le ruote in vista delle Europee. Ma è soprattutto dentro la Lega che molti gli stanno voltando le spalle. Le motivazioni sono varie. C’è la questione ormai sclerotizzata del cattivo rapporto con i “territori”
«Vedete nostri gazebo in giro? Se ne vedete uno andate a controllare: sotto se va bene ci troverete il segretario di sezione con lo zio» sintetizza con amarezza un esponente di primo piano della Liga veneta. La sua mappa sbiadita dell’Italia leghista è pure peggio: «Il Veneto è una polveriera, in Lombardia stanno più attenti a nascondere la polvere sotto il tappeto ma la sostanza è la stessa. E cosa dobbiamo dire della Toscana o dell’Emilia-Romagna? Non cresce più un filo d’erba. Quanto al Sud, ormai si sarà accorto pure Salvini che lì dirigenti e voti vanno e vengono a seconda del vento».
Ma c’è pure il tema, che non è più un tabù nemmeno fra i 95 parlamentari che sono il nocciolo duro del salvinismo, del posizionamento a destra in Europa e delle candidature per Strasburgo.
Con l’avvicinarsi del voto di giugno, infatti, aumentano i dubbi sia sull’alleanza con Marine Le Pen e i tedeschi dell’Afd, sia sulla scelta “disperata” di provare a raggranellare voti schierando il generale Roberto Vannacci o accordandosi con l’Udc di Lorenzo Cesa, l’Mpa di Raffaele Lombardo o “Italia del Meridione” di Orlandino Greco.
Poi c’è chi critica Salvini a parole e chi, invece, lo indebolisce stando in silenzio.
Martedì a Verona, ad esempio, non è sfuggita a nessuno la distanza, anche fisica, che separa ormai Salvini dal governatore veneto Luca Zaia. Raccontano che il segretario gli abbia chiesto un faccia a faccia di cinque minuti e che il Doge abbia provato in tutti i modi a svicolare. Discorso simile per il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, che da tempo si limita a una difesa d’ufficio del segretario. Molti, poi, sono rimasti colpiti dall’intervista rilasciata ieri a Libero dal capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. Titolo: «Matteo non si discute. Alla nostra Lega serve una linea più chiara».
Sommario: «Dobbiamo parlare agli elettori di Nord, autonomia e imprese». I toni sono soft, il perimetro delle critiche è circoscritto, ma basta leggere tra le righe per cogliere perplessità e timori. E che pensare invece delle esternazioni via Instagram di Filippo Champagne, al secolo Filippo Romeo, fratello del capogruppo del Carroccio al Senato Massimiliano Romeo? In un video l’influencer si rivolge al Salvini ministro dei Trasporti con queste parole: «Facciamo il Ponte, facciamo le autostrade. Fai sempre il cinema. Dove sei, fenomeno? Sono 20 anni che sulla Como-Chiasso fanno i lavori e la galleria è chiusa quasi tutte le sere».
Indizi, con pesi politici diversi, che però portano tutti nella stessa direzione: nell’ultimo partito leninista italiano è iniziato l’assedio al segretario federale, in vista di una sua sostituzione qualora le Europee dovessero confermare la fine di un ciclo. I risultati infelici delle regionali in Sardegna e in Abruzzo (3,7 e 8,4%) sono stati un catalizzatore. Si è tornati a parlare di triumvirati (con il partito affidato ai tre governatori Attilio Fontana, Massimiliano Fedriga e Luca Zaia), gestioni collegiali e traghettatori super partes (il ministro Roberto Calderoli). «Chi si aspetta una sfida congressuale, però, ha sbagliato film, anche perché da quel punto di vista Matteo è blindato – ragiona un deputato -. Qui piuttosto lo stanno lavorando ai fianchi, e andranno avanti finché non sarà lui a mollare il colpo».
A inaugurare la guerra di logoramento sono stati i bossiani. Il Senatur ha rilasciato una delle sue ormai rare interviste a Malpensa24.it dicendo di voler «rimettere a posto la Lega».
Paolo Grimoldi, coordinatore del Comitato Nord lanciato dallo stesso Bossi, ha chiesto al segretario «un passo di lato» e gli ha suggerito di togliere il suo nome dal simbolo per evitare ulteriori crolli. Ma non è finita. Ci sono l’ex ministro Roberto Castelli pronto ad allearsi con “Sud chiama Nord” di Cateno De Luca e l’ex capogruppo Marco Reguzzoni che pensa di candidarsi da indipendente nelle liste di Forza Italia. Ovvero con gli alleati-rivali che ora sognano di superare il Carroccio anche in Lombardia e di fare campagna acquisti pure fra i consiglieri leghisti del Pirellone e di palazzo Marino. Provando a lasciare Salvini un po’ più solo anche nella sua Milano.
(da La Repubblica)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
IL 30% DI CHI HA VOTATO FDI ALLE POLITICHE DEL 2022, COSÌ COME IL 61% DI CHI SCELSE FORZA ITALIA ED IL 43% DEI LEGHISTI VORREBBERO CHE I PROPRI PARTITI SU POSIZIONI PIÙ MODERATE”…SULL’EUROPA: IN FORZA ITALIA IL 55% È FILO UE. IN FDI SU POSIZIONI CRITICHE E’ IL 57% (NONOSTANTE LA FILOEUROPEISTA MELONI) E NELLA LEGA
Quattro elettori del centrodestra su 10 chiedono ai propri partiti di avere posizioni più moderate. Questo è quanto emerso da un’indagine effettuata dall’Istituto demoscopico Noto Sondaggi per Repubblica sui sostenitori della maggioranza di governo.
Esiste un elettorato moderato e non ha un peso irrilevante all’interno della base del centrodestra. Per la precisione il 30% di chi ha votato FdI alle Politiche del 2022, così come il 61% di chi scelse gli azzurri ed il 43% dei leghisti vorrebbero che i propri partiti avessero posizioni più moderate.
Non solo. Il 27% dei simpatizzanti centrodestra si definisce “moderato” e non di destra. Il partito guidato da Antonio Tajani si conferma come il maggiore contenitore di questo elettorato. Per esempio, pensando alla politica estera, in FI la maggioranza si dichiara esplicitamente filoatlantica (52%), mentre sia tra i votanti FdI (44%) che tra quelli della Lega (43%) prevale una posizione più critica nei confronti dell’Alleanza Atlantica. Rispetto all’Unione Europea le differenze si acuiscono e questo non è irrilevante con l’avvicinarsi del voto del prossimo 8-9 giugno.
Se infatti il 55% di Forza Italia è apertamente filoeuropeo, in Fratelli d’Italia il 57% è critico, nonostante la posizione europeista della presidente Meloni, e nella Lega il dissenso è condiviso dal 65%.
(da Repubblica”)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
LA PREMIER NON PUÒ CONTINUARE AD ANDARE DIETRO AI MALUMORI DELLA BASE SENZA SCONTENTARE L’UNIONE EUROPEA
I trattori hanno arato per primi il campo del dissenso, su cui adesso iniziano a fiorire gli ombrelloni degli stabilimenti. È un momento complicato per il governo Meloni, che dopo gli anni delle promesse per ingraziarsi interi comparti, assapora il malcontento di quelle stesse lobby: agricoltori, balneari, tassisti, ambulanti e, in parte, gli ex forestali che dopo la riforma Madia erano stati blanditi a lungo da Fratelli d’Italia e ora sono ringalluzziti dalla riapertura del caso grazie all’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Insomma, le stesse categorie amiche che hanno spinto il consenso verso l’alto, iniziano a sentirsi tradite […]. E possono rappresentare una spada di Damocle in vista delle europee. Un bel rebus con un grattacapo politico aggiuntivo per la premier: la guerriglia continua del suo alleato, Matteo Salvini, pronto a cavalcare l’onda dei malumori dei vari settori.
L’obiettivo è chiaro: spingerli tra le braccia della Lega alle prossime elezioni, lasciando i voti nell’alveo della coalizione ma sottraendoli a Fratelli d’Italia. La spia di questa strategia si è accesa con una dichiarazione scritta sui social: «Chi sceglie Lega, sceglie più Italia e meno Europa». E nell’immaginario la direttiva Bolkestein è la quintessenza delle imposizioni di Bruxelles, soprattutto nella narrazione del vetero-populismo salviniano.
La premier non può traccheggiare ulteriormente, deve prendere una posizione per rispondere all’Unione europea. Assumendosi la responsabilità di aprire la faglia definitiva con i sostenitori di un tempo
L’ultimo atto è arrivato con la mobilitazione annunciata dai balneari: hanno compreso che dietro l’immobilismo si cela […] tatticismo […], con il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, che prova a barcamenarsi tra le diverse esigenze. Finendo per scontentare tutti.
Le sigle sindacali dei balneari hanno messo nero su bianco l’atto d’accusa a palazzo Chigi. «L’inerzia del governo e del parlamento rischia di distruggere un importante settore economico perfettamente efficiente e di successo», hanno scritto in una lettera, rivolta a Meloni, Antonio Capacchione della Sib-Confcommercio e Maurizio Rustignoli della Fiba-Confesercenti, sigle storicamente schierate a destra.
Come se non bastasse il dossier è nelle mani di Fitto, che per i concessionari degli stabilimenti è un nemico. In più di una circostanza ha lasciato intendere la preferenza per una soluzione che accontenti maggiormente l’Unione europea con le gare per assegnare le concessioni. L’obiettivo della lobby sarebbe quello di affidare ad altri profili, più vicini, la gestione della vicenda
Un assist imperdibile per Salvini, allineato sulla posizione «dobbiamo garantire il lavoro e le imprese». Lo stesso trend potrebbe riguardare gli ambulanti, che pure sono stati abbastanza tutelati dal disegno di legge sulla Concorrenza
E se già questi fronti sono aperti, ce n’è un altro che è in fase di surriscaldamento: quello dei tassisti. I problemi per gli utenti sono all’ordine del giorno. La domanda è spesso superiore all’offerta, determinando un’oggettiva criticità. Il governo è intervenuto alla fine dello scorso anno con il decreto Asset.
Una soluzione alquanto soft che ha previsto l’introduzione delle licenze temporanee, indipendentemente dall’attivazione al livello comunale, e dalla facilitazione della cosiddetta doppia guida. E l’aggiunta di altre responsabilità assegnate ai sindaci sulla garanzia del servizio.
Nonostante la riforma tutt’altro che dirompente, le auto bianche hanno protestato contro il governo. Per anni sono state sostenute dalla destra all’urlo di «nessuno tocchi i taxi», salvo poi trovarsi a fare i conti con un esecutivo, a trazione Fratelli d’Italia, che ha modificato la normativa sulle licenze.
Sullo sfondo resta l’agitazione degli agricoltori, che nelle scorse settimane hanno protestato nelle città italiane per chiedere più garanzie al loro settore. L’attenzione mediatica è calata, grazie anche a una strategia all’insegna del “troncare e sopire” seguita dall’esecutivo. Con qualche sgravio fiscale in più è stato spaccato il fronte dei trattori.
Ma in molte località l’agitazione prosegue, sotto traccia, nell’attesa di far scoccare di nuovo la scintilla per incendiare il fuoco della protesta. La Lega, per questo, accarezza l’ambizione di alzare la posta in palio. E promettere di più.
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2024 Riccardo Fucile
TRA I CANDIDATI, IL VIGNETTISTA VAURO, IL MATEMATICO ODIFREDDI, L’EX PENTASTELLATO PIERNICOLA PEDICINI, LO SCRITTORE NICOLAI LININ, AUTORE DEL LIBRO “EDUCAZIONE SIBERIANA” E IL SEGRETARIO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA MAURIZIO ACERBO
Presentati a Roma nella sede di Servizio Pubblico i candidati delle liste di “Pace Terra Dignità” per le prossime elezioni europee. Candidati come capilista Michele Santoro e Raniero La Valle. Alla presentazione presente anche Marta Grande, già deputata M5s ed ex presidente della commissione Affari esteri della Camera, anche lei in corsa con il movimento guidato da Santoro. Diversi i volti noti candidati nelle liste tra le diverse circoscrizioni.
Tra questi, il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, lo scrittore Nicolai Lilin, il vignettista Vauro Senesi e il matematico Piergiorgio Odifreddi. Candidata come seconda in lista in tutte le circoscrizioni Benedetta Sabene, autrice del libro “Ucraina. Cntrostoria del conflitto oltre i miti occidentali”. IN lista anche l’ex pentastellato Piernicola Pedicini. Il movimento raccolto intorno a Santoro darà inizio alla raccolta delle firme in vista delle elezioni di giugno.
“Con il progetto di Michele Santoro ‘Pace Terra e Dignità’ puntiamo ad apportare un contributo incisivo in un Parlamento Europeo composto oggi da una schiacciante maggioranza bellicista. Un contributo che sto provando a dare già da anni, essendo uno dei pochi deputati europei, oltre che l’unico parlamentare italiano, ad aver sempre manifestato contrarietà a una politica interventista e guerrafondaia, che spinge a fabbricare armi e a emettere sanzioni, distraendo fondi a territori sottosviluppati come il Mezzogiorno d’Italia”.
Lo dichiara l’europarlamentare e segretario del Movimento Equità Territoriale Piernicola Pedicini, intervenendo in collegamento da Strasburgo alla conferenza di presentazione della lista ‘Pace Terra e Dignità’ di Michele Santoro, con cui è candidato alla circoscrizione Sud.
“Vogliamo imporre in Europa la parola pace, contaminando con il tema della diplomazia un’Europa succube del progetto atlantista che alimenta i conflitti al solo obiettivo di creare un muro con la Russia e la Cina. Vogliamo riformare il Parlamento Europeo, affinché abbia più voce in capitolo sulle decisioni di politica internazionale dell’Unione europea.
A pagare il prezzo delle scelte sulle guerre oggi è soprattutto la politica di coesione, penalizzando le regioni del nostro Sud, dove vivono oltre venti milioni di cittadini”, spiega Pedicini. “Un’area che avrebbe dovuto essere rilanciata con i fondi del Pnrr, mentre si è preferito investire quelle risorse per fabbricare sempre più missili e munizioni. ‘Pace Terra e Dignità’ è la forza politica che oggi manca in Europa, l’unica capace di difendere il Mezzogiorno e i territori in ritardo di sviluppo socio-economico. L’unica che può far cambiare corso a questa Europa, che deve puntare a essere mediatrice nei processi di pace e non parte attiva nei conflitti in corso”, conclude la nota.
(da agenzie)
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