Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
CI RIVEDIAMO MARTEDI’ 26 MARZO
Come avevamo da tempo programmato, ci prendiamo una settimana di pausa “disintossicante”: il blog riprenderà le pubblicazioni martedi 26 marzo
Un grazie alle centinaia di amici, comunque la pensino, che ogni giorno visitano il nostro sito, anche dall’estero, gratificandoci del loro interesse.
Essere da 17 anni tra i primi blog di area in Italia, basando la nostra attività solo sul volontariato, con un impegno di aggiornamento costante delle notizie (20 articoli al giorno dal mattino a tarda sera, festivi compresi) è una sfida unica nel panorama nazionale che testimonia che non siete in pochi a pensarla come noi.
Orgogliosi di rappresentare una destra diversa, popolare, sociale, nazionale, antirazzista, solidale, legalitaria, attenta ai diritti civili.
Un abbraccio a tutti e a presto.
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
“ASSASSINO, NON VINCERAI MAI, GLORIA ALL’UCRAINA”… NUMEROSI GLI INSULTI E LE FRASI DI PROTESTA SULLE SCHEDE, NONOSTANTE I MILITARI ALLE SPALLE DELLE CABINE ELETTORALI APERTE
«Voto per Ryan Gosling». «Assassino, non vincerai mai. Gloria all’Ucraina! Gloria alle forze armate ucraine!». «Ti aspettiamo a L’Aja». In un Paese in cui dissentire è sempre più pericoloso, spuntano alcune frasi di protesta direttamente sulle schede elettorali. Un atto di coraggio, considerando che i seggi in Russia sono presidiati dalla presenza militare – con diversi livelli di invasività – e in certi casi le cabine non hanno neanche la tendina.
D’altronde ai cittadini russi che vogliono dissentire senza troppi rischi non sono rimaste tante opzioni per farlo. Ci sono stati arresti nei confronti di chi ha manifestato dopo la morte del principale oppositore russo Alexei Navalny, ci sono stati arresti nei confronti di chi si è recato alle urne a mezzogiorno, rispondendo all’appello dell’opposizione lanciato da Yulia Navalnaya.
Di possibilità per dissentire, in modo pacifico e senza rischiare ripercussioni, ne restano poche. Qualche scritta sulla scheda elettorale. «Putin = guerra. Pace nel mondo», «Navalny», «Quand’è che muori e i bambini ucraini smettono di essere uccisi?». A volte, neanche questo è possibile.
«Entro nella cabina elettorale, il poliziotto mi guarda alle spalle. Gli dico qualcosa come “giovanotto, il voto è segreto”. Lui dice “Bene, vota” e non se ne va».
E ancora: «Nel mio seggio la cabina elettorale è aperta, un poliziotto e un vigilante sono letteralmente a un metro di distanza dal tavolo su cui voto». Sono diverse testimonianze anonime raccolte dalla giornalista indipendente Farida Rustamova.
Arrivano da diverse regioni della Russia e sono accompagnate dal codice del seggio, in modo che sia identificabile dai lettori. Scrive Rustamova: «Una tendenza a Mosca: gli elettori di diversi seggi ci hanno scritto che la polizia o i membri della commissione si guardavano alle spalle durante il voto. Segretezza del voto? No, non ci sembra».
Un’altra tendenza riportata dalla giornalista è quella di perquisire gli elettori nei seggi elettorali, come in un aeroporto. «Brateevo, mezzogiorno, coda per le sezioni 1724 e 1729. All’ingresso c’è stata una “perquisizione” senza precedenti con tastamenti di vestiti, svuotamenti di tasche e borse, hanno anche guardato nelle scatole con le cuffie. Tutto era molto “regime”, dentro e fuori».
Qualcuno riesce comunque a scrivere sulle schede. E nell’anonimato, non c’è censura che tenga. «Putin, pezzo di m…! Gloria all’Ucraina». Il voto, ovviamente, va a Navalny.
(da La Stampa)
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
LA REPLICA DELLA CGIL: “LEGGANO L’ARTI 1 DELLA COSTITUZIONE”
I sindacati confederali volevano organizzare nella struttura un dibattito dedicato ai temi del lavoro seguito, nel pomeriggio, da una merenda e un concerto. Il teatro si trova nel rione Scala in una zona periferica della città.
Il Comune ha giustificato la mancata concessione del teatro perché si tratterebbe di “attività non identificabili con gli indirizzi sociali e culturali fatti propri dall’amministrazione comunale”.
“Siamo rimasti perplessi perché la festa dei lavoratori è una festività nazionale che trova la propria rispondenza nell’articolo 1 della Costituzione – ha commentato Fabio Catalano Puma, segretario della Cgil di Pavia -. A Pavia non vi sono strutture alternative. Chiederemo un incontro al Comune per comprendere le ragioni di questo diniego”.
Anche Carlo Barbieri, segretario della Uil di Pavia, non ha nascosto la sua sorpresa: “Si tratta di un’iniziativa unitaria di tutte e tre le organizzazioni sindacali per una data celebrata a livello nazionale. Stiamo cercando di rimettere la questione del lavoro al centro del dibattito pubblico, anche in riferimento alla questione della sicurezza nei cantieri”.
(da agenzie)
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
“SIAMO APERTI AD ALTRE FORZE”… NON SI CONOSCE ANCORA L’INTENZIONE DI BASILICATA COMUNE, ANCHE CALENDA NON PERVENUTO
Accordo fatto su Piero Marrese, il presidente della Provincia di Matera. Sarà lui il candidato del campo largo in Basilicata.
L’intesa è arrivata pochi minuti fa dopo un incontro fra Pd, Movimento 5 Stelle, l’Alleanza Verdi-Sinistra italiana, Più Europa, Partito Socialista Italiano e Basilicata Possibile.
Resta l’incognita di una possibile alleanza fra Basilicata Casa Comune e Azione che potrebbe diventare un terzo polo capace di erodere consensi fino al 20 per cento alla coalizione progressista.
A Marrese è stato dato l’incarico di provare a fare rientrare la candidatura di Angelo Chiorazzo, che ieri sera ha annunciato la sua discesa in campo. Ma al momento non sembra ci sia questa volontà da parte dell’imprenditore del non profit che si sta confrontando con i dissidenti Dem e con l’ex ministro Roberto Speranza.
“Nel pomeriggio di oggi, le forzepolitiche del campo democratico, progressista ed ecologista della Basilicata si sono riunite e hanno indicato all’unanimità in Piero Marrese il candidato alla presidenza della Regione per le elezioni del prossimo 21 aprile”. Lo annuncia un comunicato congiunto del cosiddetto campo largo (Pd, M5s, Si, Ev, Psi, +Europa) precisando che “la proposta, che resta aperta ad altre forze civiche dello stesso campo che vorranno aderire, ha l’obiettivo di offrire ai cittadini della Basilicata un’alternativa di governo migliore rispetto a quella fallimentare degli ultimi cinque anni dell’amministrazione Bardi”.
Dopo la rinuncia di Domenico Lacerenza, l’oculista voluto da M5S e Pd per tentare di tenere insieme la coalizione dei progressisti, per tutta la giornata di domenica si è andati a caccia dell’unità intorno a un nome unificante. Angelo Chiorazzo, fondatore del movimento civico-cattolico Basilicata Casa Comune, aveva rotto gli indugi e si era proposto, forte dell’appoggio di una buona fetta di esponenti Dem – tra i quali l’ex governatore Filippo Bubbico – e di numerosi amministratori e segretari di circolo.
Ma era una scelta che non teneva conto del veto posto su di lui dal Movimento 5Stelle: solo sabato, a Napoli, Giuseppe Conte, aveva motivato la contrarietà con la necessità di “prevenire eventuali conflitti di interesse”, dal momento che Chiorazzo ha fondato la Auxilium, cooperativa non profit ora gestita dal fratello, che ha contratto anche con la Regione.
E il Pd, su impulso della segreteria nazionale, insisteva sull’asse con i pentastellati, al cui interno, però, cresceva la voglia di andare da soli, sostenendo per esempio una grillina della prima ora come la ricercatrice Alessia Araneo.
Domenica mattina il Pd e gli altri partner del centrosinistra si erano riuniti e avevano proposto ancora un altro candidato che alla fine ha tenuto insieme la coalizione, e cioè il presidente della Provincia di Matera Piero Marrese.
E Azione? Domenica mattina a Potenza il leader nazionale Carlo Calenda, pur tornando a deprecare la linea Schlein-Conte – “uno spettacolo vergognoso” – e pur denunciando le difficoltà di contatto con Schlein – “non mi risponde al telefono” – aveva lasciato aperte di fatto tutte le strade. Aveva espresso nuovamente apprezzamento per il presidente della Regione Vito Bardi, di Forza Italia, che aveva definito “una brava persona, colta, liberale ed europeista”.
(da agenzie)
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
ANGELUCCI POTREBBE RICHIAMARE A GUIDARE L’AGENZIA L’EX DIRETTORE MARIO SECHI… LA CARRIERA FULMINANTE: DA PORTANTINO DEL SAN CAMILLO AL PATRIMONIO DA 343 MILIONI DI EURO
Eni è sempre più vicina a vendere l’Agi ad Antonio Angelucci. La trattativa per l’acquisto della storica agenzia di stampa, fondata nel 1950 e controllata dal gigante petrolifero dal 1965, era stata anticipata dal Fatto a fine dicembre. Secondo fonti interne ed esterne ad Agi, la cessione sarebbe davvero imminente.
È un’ipotesi che racconta molto dello stato di salute e autonomia dell’informazione in Italia: Angelucci è un deputato della Lega (dopo una lunga carriera parlamentare in Forza Italia), è uno degli uomini più potenti della sanità privata laziale grazie alle sue cliniche private ed è già proprietario di un cartello editoriale con i principali quotidiani della destra italiana (Il Giornale, Libero e Il Tempo). La società pronta ad acquistare Agi è detenuta dal figlio Giampaolo.
L’affare potrebbe essere definito a giugno (dopo le elezioni europee) e perfezionato entro la fine dell’anno, con il cambio di proprietà che diventerebbe effettivo nel 2025. Oltre ai motivi di opportunità legati alla scadenza elettorale, i tempi sono dettati da questioni pratiche: Agi è sul punto di restringere la redazione grazie al ricorso ai prepensionamenti; in due passaggi, a fine maggio e fine novembre, dovrebbero uscire dall’agenzia 14 dei 70 giornalisti attualmente in organico.
Angelucci quindi acquisterebbe un’azienda più snella e meno costosa. Poiché i conti di Agi, come di gran parte delle agenzie di stampa, sono tutt’altro che floridi, il rischio è che l’imprenditore decida di ridimensionarla ulteriormente, una volta al comando.
La redazione dell’Agi non è stata informata dall’azienda di alcuna trattativa, ma le voci che si rincorrono hanno messo in agitazione i giornalisti, che a inizio settimana si riuniranno in assemblea per discutere la situazione. Non si confronteranno solo sulle notizie di vendita, ma anche sul clima pessimo che si respira sul posto di lavoro.
Agi non trova pace ormai da un anno, marzo 2023, quando Mario Sechi ha lasciato la direzione dell’agenzia per assumere l’incarico di capo ufficio stampa di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Un’esperienza breve (solo quattro mesi) e non particolarmente fortunata, al termine della quale Sechi è stato chiamato proprio da Angelucci alla direzione di Libero.
Per certi versi, Sechi non si è mai staccato del tutto dall’agenzia: anche da Palazzo Chigi ha mantenuto frequenti contatti con la nuova direttrice di Agi, Rita Lofano, che è considerata una sua fedelissima. E c’è chi sostiene che dopo l’acquisto di Angelucci Sechi tornerà a occupare l’incarico lasciato appena un anno fa.
Intanto però i rapporti tra la redazione e Lofano sono tutt ’altro che positivi. L’Agi ha già abbracciato una linea filogovernativa che per diversi dei suoi giornalisti sta danneggiando la credibilità dell ’agenzia. La direttrice è in conflitto con gran parte della forza lavoro e le comunicazioni sono ancora più gelide da quando la redazione ha bocciato il suo piano editoriale a fine giugno 2023. L’erede di Sechi si è circondata a sua volta di un nucleo ristretto di fedelissimi, premiati con mansioni e incarichi di responsabilità, mentre giornalisti con una lunga esperienza in Agi sono stati relegati in ruoli di secondo piano.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
“ABBIAMO TROVATO UN APPARTEMENTO IDONEO, MA NON NON SONO OTTIMISTA”
In vista della prossima udienza “abbiamo sistemato tutto quello che c’era da fare per essere pronti per i domiciliari: il 28 presentiamo la richiesta dei domiciliari in Ungheria”. Così Roberto Salis, padre di Ilaria, a margine dell’incontro intitolato “Senza catene. Per Ilaria Salis e per tutti” organizzato da Verdi Sinistra a Cinisello Balsamo, nel Milanese, sottolineando che “la prima opzione sarà sempre quella dei domiciliari in italia”.
In merito all’alloggio, “abbiamo trovato una soluzione che soddisfa le condizioni”, anche se “le prese di posizione che ci sono state, soprattutto dal governo ungherese, con interventi a gamba tesa sulla magistratura ungherese, non mi lasciano ottimista. Però – ha aggiunto – sarei molto contento di essere stupito”.
“Ilaria sta abbastanza bene, è molto nervosa perché chiaramente la situazione è abbastanza difficile. Ormai è un anno che passa 23 ore chiusa in cella con una sola ora d’aria. Sta diventando un pochino pesante – ha aggiunto – . I miglioramenti che si sono visti sul caso di Ilaria hanno iniziato a manifestarsi nel momento in cui, grazie ai giornalisti, l’opinione pubblica si è resa conto di cosa stava succedendo e l’indignazione ha fatto sì che qualcosa si sia mosso. Credo che bisogna insistere, sollevando il problema e mostrando quella che è la realtà ungherese, che è assolutamente inaccettabile nell’ambito di una comunità democratica come quella dell’Unione Europea”.
“Mi pare non ci sia volontà di collaborare e che ci sia invece una volontà chiara del governo ungherese di dare una prova di forza e mostrare all’Europa nella sua interezza che a casa loro fanno quello che gli pare senza nessun controllo di quelle che sono le regole dell’Unione Europea” ha poi detto Roberto Salis, commentando la risposta della procura di Budapest alla richiesta della Corte d’appello di Milano sul caso di Gabriele Marchesi, coindagato dell’insegnante brianzola, che al momento è ai domiciliari in Italia.
“È qui da novembre, si è sempre presentato a tutte le udienze regolarmente, però per loro sussiste ancora il pericolo di fuga – ha proseguito il padre di Ilaria Salis – Inoltre viste le prese di posizione che ha avuto il ministro degli esteri ungherese quando è venuto a Roma a parlare con il nostro ministro degli esteri mi pare che sia già definito che questo è un processo politico. Il governo ungherese ha già deciso che mia figlia è colpevole e che le deve essere comminata una pena esemplare. In una situazione così è difficile essere ottimisti”.
(da agenzie)
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
INTERNET DOMINA, CALANO I GIORNALI, STABILI RADIO E SOCIAL, BENE ANCHE I LIBRI
Chi lo fa usando il vecchio e amato schermo; chi lo fa muovendosi e spostandosi per strada con il telefonino; chi usa il computer: di fatto tutti, in Italia, guardano la televisione. Lo dice il Censis, nell’annuale rapporto sulla rilevazione dei consumi mediatici. E se quindi un vecchio adagio sosteneva che “siamo quel che mangiamo”, mediaticamente parlando possiamo sostenere di esser anche ciò consumiamo. Cioè, esseri televisivi.
Lo scopriamo analizzando quale sia stata la dieta mediatica seguita dagli italiani nel corso dell’anno appena passato. La Radio registra un lieve calo complessivo (appena l’1 per cento) e in generale tiene, soprattutto grazie ai processi di ibridazione del sistema dei media. I radioascoltatori sono il 78,9% degli italiani con un calo di chi la ascolta da casa con l’apparecchio tradizionale e l’incremento dell’auto- radio che ritorna ai livelli pre-pandemici. Dunque, è stata l’auto e l’aumento dei servizi streaming ad aver permesso alla “vecchia” radio di restare tra i principali alimenti di questa dieta.
Da sempre la radio si ascolta anche “in cammino”. Il fatto nuovo è che ormai lo si fa sempre più anche con la televisione che, in questo momento, è la regina indiscussa dei media: il suo uso rimane stabile dal 2022 al 2023: si va dal 95,1 % del 2022 al 95,9.
Rimane stabile la tv tradizionale (+0,9% rispetto al 2022) mentre diminuisce, leggermente, la visione di quella satellitare. Forse è un calo naturale dopo la grande sbornia per i programmi delle piattaforme internazionali.
A garantirle il primato è la visione attraverso internet (web e smart Tv) un tipo di consumo che tocca oltre la metà della popolazione arrivando all’emblematico dato di oltre il 56 per cento delle utenze. Più di un terzo degli italiani, per la precisione il 33,6 usa la tv in “mobile”. Sarebbe interessante verificare questi dati generali comparandoli con alcuni eventi particolari, tipo Sanremo, per vedere quanto in questa nuova forma di seguire il mezzo abbia un peso rilevante la presenza di un pubblico giovane.
E la stampa? Non c’è da stupirsi della decrescita che colpisce, dal lontano 2007, la lettura dei quotidiani tradizionali, cioè di carta: da quella data nella quale il 67 per cento degli italiani leggeva il giornale siamo passati al 22 per cento nel 2023
La media del calo oscilla oltre il 3 per cento all’anno cioè al meno 45 per cento negli ultimi 15 anni. Cala, anche se un po’ di meno, la lettura dei settimanali e dei mensili.
Una parte dei lettori, come sappiamo, è stata recuperata attraverso la lettura dei quotidiani on-line.
Anche questo processo si è momentaneamente interrotto dal momento che anche gli utenti dei quotidiani online, ora, diminuiscono: sono il 30,5% degli italiani (-2,5% in un anno), mentre sono stabili i cittadini che utilizzano i siti webd’informazione(il 58,1% ). Inoltre c’è da considerare che dal 2011 erano aumentati di oltre 1l, 20 per cento.
Nel consumo dei singoli media, o dei media incrociati, influisce l’uso massiccio che gli italiani fanno di Internet. Ormai lo usano l’89,9% degli italiani, con smartphone, in questo caso, che fa da padrone(l’88,2%).
I social mantengono un alto tasso di utenze a parte alcune eccezioni. Facebook ha subito una lieve decrescita (5,5 percento) nel consumo generale. È in particolare diminuito tra i giovani. Un calo maggiore l’ha subito Twitter, passato dal 20,1% al 17,2%. Un fenomeno, l’abbandono dei social più tradizionali, che è in atto da tempo e che perciò non stupisce molto. È semmai più curioso notare come i giovani non amino più le creazioni più recenti, alcune congeniate proprio per loro: Snapchat passa dal 23,3 all’11,4 per cento mentre Telegram scende dal 37,2% al 26,3%.
(da agenzie)
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
“MOLTI PAESI EUROPEI SONO D’ACCORDO CON LA MIA LINEA”
«Come si fa a dire che la Russia non può vincere la guerra e porsi dei limiti a priori?». A chiederselo è il presidente francese Emmanuel Macron, incalzato dal quotidiano francese Le Parisien al suo ritorno in aereo da Berlino dopo l’incontro con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il premier polacco, Donald Tusk.
Da qualche tempo, l’inquilino dell’Eliseo è diventato uno dei leader europei più vocali nel proprio sostegno all’Ucraina, arrivando nei giorni scorsi ad azzardare anche un possibile coinvolgimento sul campo di soldati Nato. Parole che hanno raccolto più preoccupazioni che applausi, anche tra gli alleati. «Non ci pensiamo neanche a mandare le nostre truppe a combattere», ha mandato a dire più volte negli ultimi giorni il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Eppure, nonostante il piccolo terremoto diplomatico, Macron sembra intenzionato a tirare dritto per la sua strada.
«Può darsi che a un certo momento, non me lo auguro e non prenderò io l’iniziativa, bisognerà portare avanti operazioni sul terreno, quali che siano, per far fronte alle forze russe», ha aggiunto oggi il presidente francese parlando con Le Parisien.
La forza della Francia, ha poi sùbito precisato Macron, «è che noi possiamo farlo». Il ragionamento fatto dal capo dell’Eliseo è il seguente: se è la Russia «che si assume la responsabilità dell’escalation, che gestisce l’ambiguità, la mancanza di limiti e la minaccia», come fa l’Occidente a escludere a priori un proprio coinvolgimento nel conflitto per aiutare la resistenza ucraina?
Al netto delle reazioni dei giorni scorsi, Macron ha assicurato di non sentirsi affatto solo. «Molti paesi in Europa, e non fra i minori, sono totalmente sulla nostra linea», ha rivendicato il presidente francese senza entrare troppo nei dettagli.
(da agenzie)
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Marzo 17th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX VICE REPUBBLICANO ROMPE LE FILA
Mike Pence ha deciso che alle presidenziali del 5 novembre non appoggerà Donald Trump. Non perché il suo ex capo avesse approvato le urla dei sostenitori che durante l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 minacciavano di impiccarlo, ma piuttosto perché non porta avanti un’agenda abbastanza conservatrice.
Sul piano politico non sposta molto, perché l’ex vice presidente è considerato ormai un traditore dalla base trumpista che si è impossessata del Partito repubblicano. Però potrebbe dare copertura ad altri leader meno coraggiosi, e soprattutto interpretare il malcontento di un gruppo di elettori che non andando alle urne, condannando Donald alla sconfitta.
Pence era stato il fedele vice di Trump fino al 6 gennaio del 2021, quando si era rifiutato di obbedire ai suoi ordini e boicottare la cerimonia al Congresso che doveva ratificare la vittoria di Biden nelle presidenziali del novembre 2020.
Mike riteneva di non avere l’autorità costituzionale per rovesciare il verdetto, ma solo l’obbligo di prenderne atto. Donald perciò si era arrabbiato e lo aveva definito un vigliacco, mentre i suoi sostenitori che avevano assaltato il Parlamento avevano minacciato di impiccarlo.
Quattro anni dopo Pence si è candidato alla presidenza, ma il suo tentativo è fallito, perché ormai nel Partito repubblicano la base trumpista lo ha rifiutato. Quindi si è ritirato prima ancora dell’inizio delle primarie.
Parlando con la televisione conservatrice Fox, però, ha detto che non appoggerà il suo ex capo a novembre: “Questa decisione non deve apparire come una sorpresa. Il motivo è che Trump sta portando avanti un’agenda in contrasto con quella conservatrice sulla cui base avevamo governato per quattro anni”.
Dalla tiepida opposizione all’aborto, soprattutto quando si tratta di promuovere il divieto a livello federale, alla scarsa responsabilità fiscale in tema di debito nazionale, passando per la politica verso la Cina e l’ammorbidimento su TikTok, Donald sta tradendo gli ideali di Mike. Che perciò non lo appoggerà, anche se non voterà Biden.
Pence ormai conta quasi nulla, nel Gop “trumpizzato” dalla nuova nomination per il suo ex capo, ma la decisione di non sostenerlo potrebbe avere due effetti. Il primo è quello di dare copertura ad altri leader meno coraggiosi, affinché facciano altrettanto, per le stesse ragioni politiche, o magari morali, perché non vogliono stare dalla parte di un pluri-incriminato e non apprezzano il suo carattere.
I leader di Camera e Senato, Johnson e McConnell, si sono già inginocchiati, ma magari Nikki Haley e altri troveranno la forza di continuare ad apporsi alla rielezione di Donald, portandogli via consensi importanti. Il secondo è che Pence potrebbe rassicurare alcuni elettori repubblicani non contenti di Trump sulla propria inclinazione a non votarlo: se neppure l’ex vice lo farà, a maggior ragione loro saranno giustificati a comportarsi nella stessa maniera.
Non riuscirà a muovere grandi percentuali, ma in una competizione con distacchi ravvicinati come quella del 2020, e presumibilmente del 2024, non è necessario. Tutto aiuta a fare la differenza, e una piccola percentuale di repubblicani che decidesse di non andare alle urne potrebbe bastare a condannare Donald alla sconfitta, negli stati chiave per conquistare la maggioranza nel Collegio elettorale e quindi la Casa Bianca.
(da agenzie)
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