Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
NON È STATA DATA ALCUNA SPIEGAZIONE, MA COLPISCE LA COINCIDENZA CON UN EDITORIALE AL VELENO, PUBBLICATO OGGI DA “LIBERO”: “L’UNIVERSITÀ DI CONFINDUSTRIA RIDOTTA AL RANGO DI CASA DEL POPOLO”… LO SFOGO DI NARDELLA: “MI HA CHIAMATO IL PRESIDENTE DELLA LUISS, GUBITOSI, MOLTO DISPIACIUTO. IO SONO RIMASTO SBIGOTTITO. C’È UN CLIMA PESANTE DI DISCRIMINAZIONE”
In relazione alla notizia del presunto annullamento della presentazione del libro di Dario Nardella ‘La città universale. Dai sindaci un futuro per l’Italia e l’Europa’, prevista alla Luiss per il prossimo 4 aprile, l’Ateneo intitolato a Guido Carli precisa che questo evento “non è stato cancellato ma semplicemente rinviato a dopo le elezioni europee”. E’ quanto apprende l’ANSA.
La presentazione del libro del sindaco di Firenze Dario Nardella ‘La città universale’ era in programma il 4 aprile alla Luiss a Roma ma “mi ha chiamato il presidente della Luiss Gubitosi, molto dispiaciuto e mi ha chiesto di annullare l’evento”.
Lo ha reso noto lo stesso Nardella dicendo di essere “rimasto sbigottito e dispiaciuto perché avevamo concordato la presentazione del libro con personalità di varie posizioni politiche come Gaetano Quagliarello la cui storia politica di centrodestra è nota a tutti e anche la professoressa Cerrina Feroni che certo non è un’intellettuale di sinistra, tutt’altro”. Anche Romano Prodi figurava tra i partecipanti all’incontro, moderato dal direttore di Repubblica, Maurizio Molinari.
“Nonostante questa attenzione e sensibilità – aggiunge Nardella – la Luiss ha preso questa decisione e io sono dispiaciuto anche per lo stesso Gubitosi, pensavo che in Italia si potesse fare in una università un confronto libero su un libro, evidentemente c’è un clima pesante di discriminazione politica frutto dell’atteggiamento che questo Governo di destra ha verso chiunque la pensi diversamente”.
Nardella si è detto “sinceramente sbigottito ed anche un po’ preoccupato per il clima che c’è, però ovviamente non voglio certo mettere in imbarazzo Gubitosi o la Luiss anche se con loro avevamo concordato tutto; quindi, ora decideremo con il professore Prodi e il direttore di Repubblica Molinari se a questo punto annullare tutto, perché mancano pochi giorni, o farlo da un’altra parte.
Certo francamente è la prima volta che mi succede una cosa del genere, sono sinceramente senza parole”. Il sindaco ha precisato che “non è una iniziativa elettorale, la campagna elettorale per le Europee non è affatto cominciata, non ci sono ancora candidature ufficiali”. Nardella ha concluso parlando di “una sconfitta per la cultura, una sconfitta per il mondo universitario che non si sente più libero di poter organizzare un semplicissimo dibattito su un libro”.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
IL TITOLO È INTRADUCIBILE IN ITALIANO. SI TRATTA DI UN GIOCO DI PAROLE SULLE DUE FACCE DELLA DUCETTA, CHE “MOLTIPLICA LE MISURE DI ESTREMA DESTRA, MOLTO LONTANA DALL’IMMAGINE MODERATA CHE ILLUSTRA AL LIVELLO INTERNAZIONALE”
Giorgia Meloni è anche sulla prima pagina di “Libération”, il grande quotidiano della sinistra parigina, in edicola venerdì 29 marzo. “Italie. Giorgia Meloni. Coté Pile, Coté Faf”, scrive il giornale, in un titolo intraducibile in italiano.
In pratica, si tratta di un gioco di parole su quelli che, secondo il quotidiano, sarebbero i due rovesci della stessa medaglia della presidente del consiglio.
“Testa o croce”, “Pile ou face”, si dice in francese, ma nel titolo ‘Face’ diventa ‘Faf,’ un acronimo slang sull’approccio dei nazionalisti di estrema destra, per dire la ‘Francia ai francesi’.
“Attacchi alla gioventù, agli omosessuali agli ecologisti – prosegue Libération – la leader italiana moltiplica le misure di estrema destra, molto lontana dall’immagine moderata che illustra al livello internazionale”.
(da Liberation)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
“ABBIAMO SEGUITO LE INDICAZIONI DEL MINISTRO, CI HA ACCUSATO DI AVER PERSO TEMPO… ED ECCOCI QUI”… “LE CATENE ALLE CAVIGLIE E AI POLSI DI ILARIA? SONO UNA DECISIONE DEL GOVERNO UNGHERESE. NON DIPENDONO DAL GIUDICE, MA DIRETTAMENTE DAL POTERE ESECUTIVO”
«Il governo italiano è immobile. A questo punto chiederò una mano al Quirinale». C’è amarezza nella parole di Roberto Salis, il padre di Ilaria, che lascia l’aula del tribunale di Budapest subito dopo la decisione del giudice.
Cosa rimprovera all’esecutivo?
«I nostri ministri non hanno fatto bella figura, dovrebbero fare un esame di coscienza».
Perché?
«Nordio ha detto che era colpa nostra se Ilaria non era fuori dal carcere, che abbiamo perso un anno a non chiedere i domiciliari in Ungheria. Ora abbiamo avuto la prova che era una fandonia. E la conferma che il motivo per cui al tempo non avevamo avanzato la richiesta dei domiciliari a Budapest era fondato».
Ragioni di sicurezza?
«All’ingresso del tribunale l’avvocato italiano di mia figlia è stato aggredito dai neonazisti».
Cosa si aspetta ora?
«Che qualcuno chieda scusa o prenda dei provvedimenti. Oggi non ho ricevuto nemmeno una chiamata dalle istituzioni italiane. Al processo c’erano 7 parlamentari, nessuno di maggioranza».
Il ministro Tajani ha detto che “il caso non va politicizzato”.
«Non c’è da politicizzare o meno, questo è già un processo politico. Ci sentiamo dire che il governo italiano non può interferire sui giudici di Budapest ma la scelta di portare mia figlia in aula in catene non dipende dalla magistratura ma dal ministero di Giustizia ungherese, in barba alle norme europee e allo stato di diritto. Il governo italiano può e deve fare in modo che una nostra cittadina non venga trattata come un cane».
Il suo coimputato, Gabriele Marchesi, invece è libero.
«Sotto il potere giudiziario qualcuno si preoccupa delle difficoltà di un cittadino italiano, sotto l’esecutivo il risultato è completamente diverso».
Cosa pensa dell’idea nel Pd di candidare sua figlia alle Europee?
«Non abbiamo preso in considerazione questa ipotesi, siamo concentrati su altro, devo tirare mia figlia fuori di lì».
Cosa vi siete detti in aula con sua figlia?
«C’erano troppi microfoni accesi. Era impossibile parlare liberamente. È molto delusa. Molto provata. Si aspettava un’evoluzione diversa».
Come giudica quelle catene ancora alle caviglie e ai polsi di Ilaria?
«Sono una decisione strategica del governo ungherese. Non dipendono dal giudice, ma direttamente dal potere esecutivo. Hanno stabilito che per loro è giusto così. Volevano dare una prova di forza sul fatto che loro se ne infischiano delle regole europee e dello stato di diritto».
E il governo italiano?
«Il nostro governo non ha fatto una bella figura. Perché abbiamo seguito esattamente le indicazioni del ministro Nordio, il quale ci ha accusato di aver perso tempo dietro alla richiesta di arresti domiciliari in Italia. Dovevamo chiedere gli arresti domiciliari in Ungheria, era quella la strada corretta da seguire.
Nel concreto cosa significa?
“Spero che ci sia una protesta contro l’immobilismo del governo italiano».
Lei non voleva che succedesse, ma adesso lo può dire: il caso Salis è un caso politico?
«È evidente. Mia figlia in questo in Paese è colpevole per tre motivi specifici. È una donna. Non è un ungherese. Ed è antifascista. La combinazione dei tre fattori la rende a Budapest il nemico pubblico numero uno, qualcosa da eliminare anche fisicamente»
Non è cambiato lo status di detenuta pericolosa. Cosa pensa di questo?
«Mia figlia è stata trattata ancora come un cane».
È una scelta di Viktor Orban?
«L’Ungheria aveva la chiara intenzione di dare una prova di forza. E tutte le fandonie che ci vengono propinate sul fatto che sia impossibile interagire e interferire da parte del governo sul sistema giudiziario sono cose ridicole a cui non crederebbe nessuno. È una precisa decisione politica».
Si torna sempre alla questione del caso politico?
«Sì, ma non è per volontà di politicizzare a tutti i costi o meno la questione, davvero. Ci sono evidenti infrazioni a delle regole elementari, non ultima quella di condurre una cittadina italiana in catene davanti a un giudice. Lo hanno fatto un’altra volta con mia figlia. Ripeto: è qualcosa che non dipende dal potere giudiziario. Ma da una precisa volontà dell’esecutivo. È un messaggio dell’Ungheria all’Europa. Una prova di forza».
(da la Stampa)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
NON CI SAREBBE ALCUN IMPEDIMENTO ESSENDO DETENUTA DA 13 MESI IN VIA CAUTELARE, SENZA UNA CONDANNA IN PRIMO GRADO, ILARIA HA PIENI DIRITTI ELETTIVI…I PRECEDENTI DI ENZO TORTORA E TONI NEGRI
1. Si parla di candidare Ilaria Salis al Parlamento europeo. Quali precedenti ci sono?
Il giornalista Enzo Tortora fu candidato al Parlamento europeo dal partito radicale nel marzo 1984, quarant’anni fa. Era ai domiciliari. Il 14 giugno fu eletto deputato al Parlamento europeo, insieme a Marco Pannella e Emma Bonino, con oltre mezzo milione di preferenze; ottenne il decreto di scarcerazione e lasciò gli arresti domiciliari.
La procura di Napoli chiese al Parlamento europeo l’autorizzazione sia al processo sia all’arresto. Nonostante l’elezione garantisse a Tortora l’immunità parlamentare, fu lui stesso a chiedere l’autorizzazione a procedere, che venne concessa, mentre fu negata da Strasburgo l’autorizzazione all’arresto.
L’anno precedente, i radicali avevano candidato al Parlamento nazionale l’ideologo di Autonomia operaia, il professore universitario Toni Negri. Arrestato nel 1979 […] e ancora in regime di carcerazione preventiva, a differenza di Tortora non mise mai piede alla Camera e approfittò dell’immunità parlamentare per fuggire in Francia.
2. Ci sono norme che possano impedire la candidatura di Salis al Parlamento europeo?
Non c’è alcun impedimento e non ci sarebbe nemmeno per il Parlamento italiano. Trattandosi di una detenuta in via cautelare, senza una condanna in primo grado .
3. Ilaria Salis ha quindi pieni diritti elettivi?
Teoricamente, sì. Non potrà esercitare il suo diritto al voto, trovandosi rinchiusa in un carcere ungherese. Ma nulla è di ostacolo al diritto di candidarsi. Soltanto una condanna definitiva con la pena accessoria alla perdita dei diritti civili, cioè l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, fa decadere i requisiti alla candidatura.
4. Che cosa potrebbe succedere se fosse eletta?
Le variabili sono molte, legate soprattutto alla eventuale reazione della giustizia ungherese. Un caso simile riguardò Oriol Junqueras Vies, ex vicepresidente del Governo autonomo della Catalogna, arrestato in Spagna dopo il referendum secessionista del 2017.
Eletto in Europa nel 2019, la Cassazione spagnola gli negò il permesso di uscire dal carcere. Junqueras ha fatto tre ricorsi alla giustizia europea, ma sono ancora pendenti e il suo seggio è rimasto vacante per tutta la durata della legislatura.
(da La Stampa)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
SCHLEIN: “VERGOGNA, IL GOVERNO SI MUOVA”
Il governo italiano ha molte buone ragioni per chiedere di «non politicizzare» la vicenda giudiziaria di Ilaria Salis. Vuole spegnere i riflettori, muoversi in silenzio, e questo è in fondo quel che da sempre consigliano i manuali della diplomazia. Specie se aiuta a mettersi alle spalle l’imbarazzante sgambetto di Viktor Orban a Giorgia Meloni: l’unica richiesta avanzata due mesi fa dalla premier in visita a Budapest, e cioè di riservare un trattamento di dignità a Salis, e quindi di evitare le catene ai piedi e il guinzaglio, ieri è stata platealmente ignorata. Ceppi ai piedi e ai polsi. Guinzaglio «come i cani», protesta il padre, Roberto Salis. E non per scelta del tribunale di Budapest, ma del sistema penitenziario ungherese, che risponde direttamente al governo Orban.
Intorno alla premier allargano le braccia sconsolati. C’è chi prova a indicare il padre della ragazza e il centrosinistra come le principali cause del problema: «Hanno attaccato Orban, acceso riflettori che non servivano, complicato il nostro lavoro». Ma la verità – come riconosce una fonte vicina a Palazzo Chigi – è che gli inviti a «non politicizzare» la vicenda, ripetuti anche ieri dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, erano già fuori tempo massimo. Il destino giudiziario di Salis, da alcune settimane ormai, è un tema politico anche in Ungheria. Orban subisce pressioni interne dal “Movimento nostra Patria”, Mi Hazánk Mozgalom, un partito nazionalista radicale che in Parlamento prova a drenargli consenso da destra, spingendolo a usare il pugno duro. D’altronde in Ungheria, come in Italia, si avvicinano le elezioni europee.
Martedì scorso, poi, Orban è stato travolto da un grosso scandalo. Uno dei suoi nuovi e più agguerriti oppositori, Peter Magyar, ha pubblicato online una registrazione audio in cui l’ex ministra della Giustizia, Judit Varga, accusava a sua insaputa dei fedelissimi di Orban di aver falsificato le carte di un’inchiesta su un caso di corruzione al ministero della Giustizia. E l’ombra pesante che si è allungata sul principio di indipendenza del sistema giudiziario non aiuta a rasserenare il clima intorno al caso Salis. Nei messaggi che l’ambasciata italiana a Budapest ha inviato alla Farnesina emerge con chiarezza il «muro di gomma» ungherese contro il quale i diplomatici italiani si scontrano da tempo.
Resta, comunque, l’irritazione del ministero degli Esteri per la presenza di una delegazione del centrosinistra nell’Aula del tribunale di Budapest, per gli attacchi contro Orban e la richiesta di portare il caso alla Corte europea per i diritti dell’uomo. L’idea del Pd di candidare Salis alle Europee, poi, in modo da concederle l’immunità parlamentare, per Tajani è l’errore più grande e prova a frenarla: «Se vogliono candidarla, si trasforma il processo in scontro politico, e lo scontro politico non aiuta». Tesi sulla quale concorda anche il M5S: «Non va candidata, le faremmo un danno». Ma i Dem non abbandonano l’idea e tengono alto il pressing, soprattutto su Meloni. La segretaria del Pd Elly Schlein parla di «uno schiaffo irricevibile ai diritti di una persona detenuta, una nostra connazionale. Ci aspettiamo che il governo di Giorgia Meloni reagisca, subito». Interviene anche la scrittrice ungherese Edith Bruck, ospite de Il cavallo e la torre, per «supplicare l’autorità giudiziaria, il presidente Orban, di lasciare libera Salis, che ha protestato contro un gruppo di neonazisti a Budapest. Proprio contro coloro che hanno annientato la mia famiglia, mi hanno privato di tutti i diritti. E – aggiunge – anche il governo italiano deve fare di più».
Tajani assicura che «continueremo a protestare», contro i ceppi alle caviglie e il guinzaglio. «Ma se la vogliamo riportarla in Italia, dobbiamo agire con diplomazia, serietà e prudenza».
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
MASSIMO GARNERO SGOMITA PER UN SEGGIO SICURO IN PIEMONTE
Che in Fratelli d’Italia la giusta parentela sia una virtù lo sa un ministro al’Agricoltura e sua moglie nonché sorella e capo dell’organizzazione del partito. Ora all’orizzonte si staglia anche il fratello della ministra la Turismo Daniela Santanchè pronto per entrare nel listino bloccato delle prossime elezioni regionali in Piemonte. Massimo Garnero è fratello della più famosa Daniela già coniugata Santanchè, figli di quel’Ottavio che dalle parti di Cuneo è stato per anni il titolare di un’agenzia di spedizioni, la Unione Corrieri Cuneesi.
Diplomato in ragioneria, Massimo ha continuato l’attività del padre fino al 2015 ed è direttore generale della Tomatis autotrasporti srl. Un passione per lo sport (presidente del Busca calcio dal 1998 al 2001 e vice presidente del Country Club di Cuneo dal 2012 al 2018) nel 2022 Garnero si è candidato ed è stato rieletto consigliere comunale a Cuneo, tra i banchi dell’opposizione. Per lui una campagna elettorale altisonante: l’8 giugno del 2022 a sostenerlo c’è stata la sorella insieme all’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa. “Noi siamo Fratelli d’Italia e io qua ho il fratello capolista”, diceva Santanchè in un video elettorale. In Consiglio comunale Garnero si distingue per i temi cari al suo partito.
Il 5 settembre 2022 firma un’interpellanza a risposta orale per sapere degli “extracomunitari irregolari e come la Giunta intenda far fronte a tale problematica”, poi un’interpellanza sullo spaccio di droghe leggere al Parco Parri e una polemica per il mancato patrocinio al Giorno del ricordo alle iniziativa del Comitato 10 febbraio. Un fratello d’Italia perfetto, con l’aggiunta di essere anche un fratello giusto. Ora Garnero sarebbe pronto per il grande salto in Regione. Lo schema del ricandidato presidente di centrodestra Alberto Cirio prevede il cinque-tre-due: sono questi i posti riservati per Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia nel listino bloccato del presidente che evita ai candidati di doversi procacciare le preferenze.
Tra i cinque posti per i meloniani un posto è riservato proprio al fratello della ministra. Ma il destino del fratello minore dicono dalle parti di Cuneo che sia legato a doppio filo a quello della ministra. Garnero ha pedissequamente sempre seguito le mosse della sorella (è passato a Fratelli d’Italia da Forza Italia nel 2018 due mesi dopo la Santanchè) e l’indagine aperta dopo lo scoop di Report ora rischia di essere un incidente di percorso anche per lui. Così la candidatura alle regionali data per scontata fino a pochi giorni fa ora sembra essere in bilico. Lui per ora non si esprime, accontentandosi di essere ancora (per ora) il fratello giusto al posto giusto.
Non è un caso che quando il 22 febbraio scorso il capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Piemonte Paolo Bongioanni è partito per Roma per incontrare alcuni esponenti del governo e delle istituzioni abbia deciso di portarsi dietro il fratello della ministra Santanchè come passe-partout. Nel listino di Cirio a oggi ci sarebbe Gabusi per Forza Italia l’assessora comunale di Valenza Alessia Renza Zaio e la presidente del consiglio comunale di Borgomanero Annalisa Beccaria, coordinatrice provinciale di Azzurro Donna e molto vicina al coordinatore regionale Paolo Zangrillo.
Per la Lega l’attuale capogruppo Alberto Preioni, l’attuale vicepresidente della Regione Fabio Carosso e l’europarlamentare Gianna Gancia. Nei posti riservati al partito di Giorgia Meloni il vercellese Carlo Riva Vercellotti, la biellese, attuale assessore regionale, Elena Chiorino, Valerio Cattaneo, Matteo Marcovicchio e un punto di domanda sul “fratello d’Italia” Garnero.
(da lanotiziagiornale.it)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
IL LEADER DELLA LEGA RISCHIA DI PERDERE PEZZI AL NORD
Un fortino cinto d’assedio sia dagli alleati diventati avversari sia dai competitor dichiarati. Con qualche colpo subito dagli organismi indipendenti, come l’Anac e il Tar che hanno fatto sentire la propria voce sulla diga di Genova e sulla precettazione per gli scioperi. Matteo Salvini è un leader sempre più isolato. E il vicepremier sta rispondendo a modo suo: radicalizzando lo scontro. Lo scopo è ambizioso: recuperare consenso. Il risultato è incerto, per non dire difficile da ottenere.
Forza Italia sente l’odore del sorpasso alle europee. Prima era solo una voce di palazzo, adesso qualche sondaggio mette il bollino all’ipotesi. Una rilevazione, pubblicata dal Corriere della sera, dà FI all’8,7 per cento e la Lega, ferma all’8. A Nord è in corso un’operazione di accerchiamento in piena regola. Il segretario azzurro, Antonio Tajani, sta arruolando i leghisti della prima ora per parlare a un elettorato sfiduciato dalla strategia di Salvini.
FORZA PADANIA
Dopo il veneto Flavio Tosi, ex sindaco di Verona e ora deputato di Forza Italia, è toccato a Roberto Cota, ex presidente della regione Piemonte. Ma la punta di diamante è Marco Reguzzoni, già capogruppo alla Camera della Lega, in procinto di finire nelle liste forziste alle europee sebbene da indipendente. Era uno dei dirigenti in rampa di lancio, ma quando è arrivato Salvini è finito ai margini. E per anni è sparito dai radar politici. La sua candidatura con FI sarebbe un affronto per il leader leghista, funzionale al progetto di Tajani, il romano che punta a far risplendere l’azzurro berlusconiano sui cieli dei ceti produttivi settentrionali. Prosciugando un bacino fondamentale per la leadership di Salvini. Del resto la Padania più profonda sta voltando le spalle al vicepremier in carica. Paradossalmente per mano di un siciliano: Cateno De Luca, fondatore della lista Libertà, presente alle prossime europee.
Il sindaco di Taormina ha arruolato varie forze politiche settentrionali: i valdostani del Rassemblement Valdôitan, il movimento Popolo Veneto, così come Grande nord, che ha messo insieme realtà in dissenso rispetto alle politiche di Salvini, e il Partito popolare del Nord dell’ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli, guardato con una certa simpatia da Umberto Bossi. Una galassia di micro forze politiche che insieme possono fare massa. E togliere ossigeno elettorale a Salvini.
Il vicepremier sembra essere finito in una strettoia, se non addirittura in un vicolo cieco. Al centro-sud, l’avversario principale è Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni che vuole prendersi i voti che fecero grande la Lega alle europee. Dalla Toscana alla Calabria, passando per le roccaforti di Lazio e Abruzzo. FdI vuole cancellare la presenza leghista al centro e ancora di più nel Mezzogiorno. L’intenzione di Salvini resta comunque battagliera. Nel suo inner circle vengono evidenziati due risultati parlamentari. Uno già incassato, con l’approvazione del codice della strada alla Camera. È solo il primo passaggio: il provvedimento deve passare all’esame del Senato.
L’impatto mediatico c’è stato: il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti può apporsi una stelletta al petto. Si è detto «orgoglioso del passo avanti», a dispetto delle critiche provenienti da più parti. L’altro parziale successo maturerà la prossima settimana: a Montecitorio gli alleati di centrodestra dovranno difenderlo dalla mozione di sfiducia delle opposizioni, con la prima firma del capogruppo di Azione, Matteo Richetti.
Scontata la conferma di fiducia dalla maggioranza, impensabile un voto diverso. Sarebbe il collasso del governo e dell’alleanza di centrodestra. Così il leader leghista può permettersi di tirare un po’ la corda. «In nessun paese islamico chiudano le scuole per la Santa Pasqua o per il Santo Natale», ha insistito sulla vicenda della scuola di Pioltello (che ha annunciato la chiusura nell’ultimo giorno del Ramadan). Quindi si è spinto a chiedere un tetto del 20 per cento di bambini stranieri nelle scuole.
Con il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, allineato: «In classe la maggioranza sia di italiani». Ma la posizione ha provocato la bacchettata del moderato Maurizio Lupi: «Esasperare un concetto per conquistare un voto è sbagliato». Insomma, il dimenarsi non serve a rompere l’assedio. Anzi.
ANAC & TAR
A completare, seppure in maniera involontaria, l’accerchiamento, ci sono i pronunciamenti di organismi indipendenti, che sono entrati nel merito di decisioni assunte da Salvini. L’Anac ha individuato vari profili di criticità nei lavori per la diga di Genova, tra cui l’inserimento dell’opera tra i progetti del Pnrr, garantendo così le deroghe al codice dei contratti. «È come se pezzi di stato remassero contro l’interesse nazionale», è stata la replica arrivata dal ministero delle Infrastrutture, dietro impulso di Salvini.
Il Mit accusa l’Autorità di aver sollevate obiezioni «fortemente contestate dai nostri uffici, basti pensare che i costi dell’opera non sono aumentati e nessuna contestazione riguarda presunti fenomeni corruttivi». Il leader della Lega è «pronto a procedere con assoluta determinazione». In pieno stile salviniano.
Un’altra battuta d’arresto è arrivata dalla sentenza del Tar del Lazio che ha bocciato la precettazione, ordinata dal ministro, per lo sciopero dei trasporti del 15 dicembre: è stato il ricorso dell’Unione sindacale di base. Per la giustizia amministrativa, l’ordinanza presenta una «violazione di legge e da eccesso di potere». Con somma gioia dell’Usb, che accusa Salvini di essersi «comportato più da Napoleone in miniatura che da ministro». E dalla sentenza è arrivata l’ennesima, piccola, Waterloo.
(da editorialedomani.it)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
“OGNI SCENARIO E’ POSSIBILE”
La guerra sta per arrivare in Europa. Dobbiamo prepararci all’arrivo di un’era prebellica. L’Unione Europea deve prepararsi per la sua difesa. E spendere di più per l’Ucraina. Il cui destino è nelle mani dell’Occidente.
Il premier della Polonia Donald Tusk parla oggi in un’intervista a Repubblica del pericolo russo alle porte del Vecchio Continente. Dal giorno della sua elezione Tusk guida il governo di Varsavia con una coalizione composta da Piattaforma Civica, Terza Via e Nuova Sinistra. E oggi parla della possibilità che la Russia attacchi un paese della Nato: «Non voglio spaventare nessuno, ma la guerra non è più un concetto del passato. È reale, è già iniziata più di due anni fa. La cosa più preoccupante è che ogni scenario è possibile».
L’era prebellica
Nel colloquio con Tonia Mastrobuoni Tusk dice che «è la prima volta dal 1945 che ci troviamo in una situazione del genere. So che sembra devastante, soprattutto per i più giovani, ma dobbiamo abituarci mentalmente all’arrivo di una nuova era. È l’era prebellica. Non sto esagerando. Sta diventando ogni giorno più evidente». Mentre ad oggi «il nostro obiettivo principale deve essere quello di proteggere l’Ucraina dall’invasione russa e di tutelare la sua indipendenza e integrità. Il destino dell’Ucraina è soprattutto nelle nostre mani. Non mi riferisco alla sola Polonia o all’Ue, ma all’intero Occidente». E poi, a prescindere da chi vinca le elezioni americane, se Joe Biden o Donald Trump, «è l’Europa che deve fare di più sulla difesa. Non per raggiungere l’autonomia militare nei confronti degli Usa o per creare strutture parallele alla Nato, ma per sfruttare meglio il nostro potenziale, le nostre capacità e la nostra forza».
L’Europa deve armarsi
E ancora: «Francamente, anche se Trump dovesse vincere, l’Europa dovrà comunque essere più attiva nel promuovere i legami transatlantici, perché sono l’unico modo responsabile per difendersi dalla Russia e da altre autocrazie». Tusk dice anche che noi europei «dobbiamo spendere il più possibile per acquistare attrezzature e munizioni per l’Ucraina, perché stiamo vivendo il momento più critico dalla fine della Seconda guerra mondiale. I prossimi due anni saranno decisivi. Se non riusciremo a sostenere l’Ucraina con attrezzature e munizioni sufficienti, se perderà, nessuno in Europa potrà sentirsi al sicuro». Mentre è sicuro che Vladimir Putin userà la strage al Crocus City Hall di Mosca per inasprire la guerra in Ucraina: «Ricordiamo cosa è successo dopo l’attacco al teatro Dubrovka o alla scuola di Beslan»
Putin, la strage e l’Ucraina
Tusk ricorda che Putin «ha già iniziato a incolpare l’Ucraina di aver organizzato l’attentato, senza fornire alcuna prova a riguardo. Evidentemente ha bisogno di giustificare attacchi sempre più violenti contro obiettivi civili in Ucraina». Infine, parla del triangolo Francia-Germania-Polonia: «La cosa più importante per la sicurezza dell’Europa è l’intesa e la cooperazione tra Francia, Germania e Polonia sulla difesa. La Polonia, grazie alla sua posizione geografica e al suo attivismo nell’area, può svolgere un ruolo molto costruttivo. Nell’Ue esistono vari formati. Quando sono diventato primo ministro, la mia prima iniziativa è stata quella di rinnovare le relazioni con i Paesi nordici, in particolare con la Svezia e la Finlandia quando hanno aderito alla Nato. In termini di solidarietà sulle questioni di sicurezza, è un formato estremamente promettente. E ora sto cercando di migliorare le relazioni con i colleghi del gruppo di Visegrad».
(da La Repubblica)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
DIETRO C’E’ MEDVEDCHUK, L’AMICO PERSONALE DI PUTIN: OBIETTIVO INFLUENZARE LE PROSSIME ELEZIONI EUROPEE
Il Servizio di informazione per la sicurezza ceco (Bis) ha stanato una rete finanziata da Mosca accusata di diffondere propaganda volta a scoraggiare l’invio di aiuti in Ucraina e soprattutto a influenzare le prossime elezioni europee.
A darne l’annuncio è stato il primo ministro della Repubblica Ceca, Petr Fiala, che ha spiegato come il gruppo condividesse contenuti che “avrebbero avuto un grave impatto sulla sicurezza del Paese e dell’Unione Europea” attraverso il sito voice-of-europe.eu (che, se cercato sul web, risulta al momento inesistente). Le operazioni tracciate dal Bis miravano “a contrastare l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”, raggiungendo “anche il Parlamento europeo”.
A finanziare e controllare le attività sarebbero stati due politici ucraini filo-Cremlino, Viktor Medvedchuk e Artyom Marchevsky, che sono stati aggiunti dal governo ceco alla sua lista di entità sotto sanzioni.
Il quotidiano locale Denik N ha fornito alcune specifiche riguardo i contenuti di Voice of Europe. ll sito riportava dichiarazioni di politici apertamente anti-Ucraina che chiedevano a gran voce l’interruzione dei sostegni a Kiev.
Alcuni politici europei che hanno collaborato con Voice of Europe sarebbero stati pagati con fondi russi che, in alcuni casi, avrebbero anche foraggiato le loro campagne elettorali per le prossime elezioni. Il quotidiano, citando una fonte del ministero degli Esteri ceco, menziona (senza fare nomi) funzionari provenienti da Belgio, Francia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia e Germania. In quest’ultimo caso, viene chiamato in causa anche il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd).
L’agenzia Reuters ha diffuso ulteriori dinamiche sul funzionamento del sito web e sul coinvolgimento di Medvedchuk e Marchevsky, un po’ il braccio e la mente dell’intera operazione. Il primo iniettava segretamente i capitali, mentre il secondo era responsabile dei contenuti e della comunicazione del sito web.
“Se i deputati del popolo scelgono di servire non il popolo ucraino, ma gli assassini che sono venuti in Ucraina, le nostre azioni saranno appropriate”. Con queste parole lo scorso gennaio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva revocato la cittadinanza a Medvedchuk, ex parlamentare a Kiev che nel settembre 2022 era stato mandato in esilio in Russia in cambio di prigionieri di guerra ucraini. Medvedchuk, “amico personale” del leader del Cremlino Vladimir Putin, era a capo di un partito filorusso bandito dal governo di Kiev, la “Piattaforma di opposizione – Per la vita” e prima del trasferimento era stato messo ai domiciliari per tradimento. Evaso in seguito all’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio, era stato colto in flagrante mentre tentava la fuga verso Mosca travestito da soldato. Diventò virale la fotografia, esibita a mò di trofeo da Kiev, che lo ritraeva accasciato su una sedia, in manette e con lo sguardo perso nel vuoto.
(da Huffingtonpost)
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