Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
ORMAI E’ CHIARO CHE E’ FORSE L’UNICO MODO PER FARLA USCIRE DAL CARCERE DEL REGIME CHE INCARCERA SENZA PROVE E PORTA I DETENUTI AL GUINZAGLIO ALLE UDIENZE
“Cosa pensate di un’eventuale candidatura di Ilaria Salis alle Europee?”. Elly Schlein avrebbe voluto che questo sondaggio, che ha fatto con i suoi fedelissimi, rimanesse riservato. Voleva evitare fughe in avanti e ponderare bene la strategia.
La segretaria del Partito democratico sta lavorando in prima persona a una possibile candidatura dell’antifascista detenuta in Ungheria perché accusata di aver picchiato dei militanti di estrema destra alle elezioni di giugno.
Ha condiviso il ragionamento con l’entourage, con estrema cautela, per capire se l’idea fosse percorribile o no. “Nessuno si è opposto”, ci dice chi è stato sondato. L’idea prende forma e non è escluso che nei prossimi giorni la segretaria possa condividerla con il resto del partito.
La strada, nonostante qualche complicanza, non è in salita. Salis, certo, è una figura associata all’estrema sinistra. Un nome vicino ai centri sociali, non esattamente il profilo preferito dai riformisti del Pd. Ma nessuno potrebbe esporsi al punto di negare il consenso alla candidatura di una persona detenuta in condizioni non dignitose nel Paese governato da Viktor Orban.
Portare Ilaria al Parlamento europeo, del resto, significherebbe sottrarla dalla galera. Almeno fino alla condanna.
Come spiega ad HuffPost Federico Conte, già deputato di LeU e oggi avvocato di Andrea Cozzolino: “L’immunità copre i reati commessi durante il mandato, quindi il fatto che viene contestato a Salis non può essere coperto dall’immunità. Però, la custodia cautelare è un ostacolo al mandato popolare che riceverebbe in caso di elezione al Parlamento europeo. Sicuramente, dunque, l’elezione potrebbe portare a chiedere, e ottenere, lo stop alla detenzione. In caso di condanna, però, l’immunità non potrebbe essere richiamata, perché il fatto è avvenuto prima dell’elezione”.
Fallita la strategia dei domiciliari, l’ipotesi di una candidatura non è esclusa dalla famiglia Salis: “Non abbiamo preso in considerazione questa ipotesi, ma ora dobbiamo ridefinire la strategia. Sarebbe un’idea costruttiva? Le idee vanno bene tutte, purché aiutino e non danneggino”, ha detto a Metropolis, il web talk di Repubblica, Roberto Salis, padre di Ilaria.
A Schlein non resta, dunque, che condividere l’idea con il resto del partito. Difficile che qualcuno si alzi in piedi per dire no, però qualche perplessità e la richiesta di un approfondimento emergono sin da ora. “In questo momento dobbiamo batterci per i diritti di Ilaria, per la giustizia. L’ipotesi della candidatura? Voglio sentirla in un luogo fisico, discuterla, e poi votarla. Non commento cose apprese dai giornali”, dice ad HuffPost Sandra Zampa, senatrice del Pd che oggi è andata a Budapest a seguire l’udienza, insieme con altri sei parlamentari.
“Politicizzare troppo questa faccenda – aggiunge – non va bene”. Zampa attacca la magistratura ungherese: “Non è giustizia questa, è arbitrio. Hanno anticipato l’udienza solo per far vedere all’Italia che si erano attivati. La verità è che è stato precostituito un giudizio e Ilaria viene considerata colpevole. Il governo italiano si attivi e si rivolga alla Cedu. Riparto da Budapest molto preoccupata”.
L’area riformista del Pd, che pure forse qualcosa nel merito avrebbe anche da dire, è più impensierita da come questa scelta possa cambiare lo scacchiere, già precario, delle candidature: “Questa logica a panino – ci dice una fonte della minoranza dem – con i candidati della società civile messi come capolista e Schlein al terzo posto ammazza la classe dirigente del Pd. È uno schema che non regge. Il problema non è il nome di Salis, il problema è che bisogna prima sistemare il resto. Perché così gli uomini più o meno se la giocano, anche se al centro alcuni rischiano. Tra le donne, invece, rischiamo di perdere figure come Pina Picierno, che è vicepresidente del Parlamento europeo”.
Se Schlein vorrà andare fino in fondo con la candidatura di Salis, dunque, dovrà stare molto attenta a costruirla bene. Altrimenti il rischio di scontentare qualcuno, nonostante la nobiltà della causa, è molto elevato.
Intanto, dopo il no agli arresti domiciliari, l’opposizione in blocco attacca il governo. Schlein parla di “uno schiaffo irricevibile ai diritti di una persona detenuta, di una nostra connazionale. Ci aspettiamo che il governo di Giorgia Meloni reagisca, subito”.
Stefania Ascari, del Movimento 5 stelle, parla di “decisione gravissima che umilia l’Italia”.
“Basta traccheggiamenti, Meloni e Tajani agiscano”, afferma, invece Enrico Borghi di Italia Viva. Nicola Fratoianni, di Sinistra italiana, parla “rabbia e amarezza per la decisione sproporzionata”.
Se da Budapest arriva l’ennesimo “no” alla liberazione di Salis, notizie migliori arrivano da Milano. La corte d’Appello meneghina, infatti, ha detto no al trasferimento di Gabriele Marchesi, coimputato di Ilaria Salis, in un carcere ungherese. Determinanti per la decisione proprio le “condizioni inumane” nei penitenziari ungheresi denunciate da Ilaria.
(da Huffingtonpost)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
UN LEADER NON GUARDA IN FACCIA NESSUNO, GLI ELETTORI NON VOGLIONO PIU’ SENTIRE PARLARE DI CORRENTI E POLTRONE
Il braccio di ferro era nell’aria, ma è stato martedì, quando la segretaria ha cominciato a mettere sul tavolo le scelte maturate sulle liste delle Europee, che si è palesato chiaramente.
Nulla che non fosse prevedibile, a conoscere il percorso di Elly Schlein e le decisioni assunte fin qui. Eppure la scossa è stata forte, se all’indomani di una riunione che doveva certificare il metodo, non solo la minoranza del Pd, ma persino pezzi della maggioranza che l’hanno sostenuta prevedono due settimane di scontro.
Già la scelta di candidarsi, non ancora ufficializzata ma ampiamente discussa, aveva fatto fibrillare il partito, in un moltiplicarsi di alert, dal «non è nella nostra tradizione» a «rischi di penalizzare le altre donne». Schlein ha ascoltato tutti, rinviando l’annuncio a «quando sarà pronta la squadra», come ha ripetuto in ogni occasione, ma ha continuato a coltivare l’idea provando a immaginare uno schema nuovo, quello che il suo fedelissimo Igor Taruffi ha rappresentato tra i nasi arricciati dei presenti: cinque capolista donne civiche, e la segretaria in posizione più bassa. Lucia Annunziata al Sud, Cecilia Strada nel Nord Ovest, la scrittrice Chiara Valerio o Annalisa Corrado a Nord Est, che della segreteria Pd fa parte ma è un’ingegnera ecologista che nel partito si è affacciata solo a seguito di Schlein. Sarebbe stato accarezzato anche il nome di Ilaria Salis, l’attivista in attesa di giudizio nel carcere di Budapest, accusata di aver aggredito due neonazisti. Figure esterne al mondo del Partito democratico, «dobbiamo aprirci» ha ripetuto come un mantra la leader dem e lo ha ribadito anche nelle riunioni di vertice.
E poi c’è il caso Bonaccini, il presidente del partito che potrebbe trovarsi secondo in lista nella sua Emilia: non si può fare, non sta bene, hanno detto in tanti a Schlein l’altro giorno in segreteria. Lui non commenta, ma chi lo conosce esclude che accetterebbe un secondo posto.
Anche se nessuno ne è certo: se la maggioranza rischia l’esplosione, pure la minoranza vive giornate convulse. «Stefano gliele sta facendo passare tutte», sospirano amari i parlamentari che dovrebbero fare riferimento a lui: non gestisce la sua corrente, Energia popolare, non mette bocca, dopo un periodo di freddo con la segretaria sembra tornato un rapporto che è sempre stato migliore tra loro che tra i rispettivi sostenitori.
Paradossalmente, sono gli aspiranti europarlamentari della minoranza a sentirsi più sicuri: tra loro molti sindaci, da Giorgio Gori a Dario Nardella fino a Matteo Ricci, convinti di avere un proprio bacino di consensi.
La Direzione che dovrà ratificare le liste sarà tra il 15 e il 18 aprile, una decina di giorni prima della scadenza del 28. Da qui a lì, saranno giorni di tentativi e trattative. Un braccio di ferro della segretaria col suo partito. Per arrivare alla Direzione con (apparente) serenità: mancheranno poche ore alle urne in Basilicata, da largo del Nazareno scommettono che nessuno vorrà creare fibrillazioni alla vigilia di un voto regionale. O almeno ci sperano.
(da la Stampa)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
POLITICA E AFFARISMO, CONCENTRAZIONE DI POTERE, CONFLITTI DI INTERESSE: LA SCANDALOSA VENDITA DELL’AGENZIA GIORNALISTICA
Politica e affari, concentrazione di potere, conflitti d’interessi… c’è di tutto e di più nella scandalosa vendita dell’Agi, la seconda Agenzia di stampa del Paese, di proprietà dell’Eni. Per questo i giornalisti sono in sciopero e il caso è finito in Parlamento, dove però si annida la radice stessa del problema.
Nonostante sia costosa persino per un colosso come il cane a sei zampe, il patron delle cliniche private Antonio Angelucci ha fatto un’offerta per prendersi l’Agi.
Niente di strano se non fosse che l’Eni è partecipata dal ministero dell’Economia, presieduto dal leghista Giancarlo Giorgetti, e Angelucci è un parlamentare della stessa Lega.
Come ai tempi degli oligarchi al crepuscolo dell’Unione sovietica, con questa operazione lo Stato cederebbe un bene, su cui ha indirettamente il controllo, a un politico della stessa maggioranza che sostiene il governo, e perciò decide della conferma o del licenziamento dei manager che vendono. Tutto in famiglia, insomma.
Chiamato a risponderne personalmente, ieri al question time Giorgetti è caduto dal pero sul conflitto d’interessi, dicendo che non è compito suo occuparsene, e ha posto il tema dell’anomalia di una partecipata pubblica che detiene una fonte d’informazione.
Un argomento pure buono se non fosse che i partiti da sempre controllano militarmente la tv di Stato e molta della stampa, in mano a finanziatori amici come, appunto, Angelucci. Un signore che detiene già Libero, Il Tempo, il 70% del Giornale e altre testate, e che con l’Agi si ritroverebbe uno dei maggiori poli editoriali nazionali, capaci di orientare – più di quanto non faccia già oggi – l’opinione di milioni di italiani.
Per arrivare a questa concentrazione, il re delle cliniche private ha già preso milioni di euro con i contributi dello Stato alla stampa, e indiscrezioni sulla trattativa in corso con l’Eni ipotizzano un altro pacco di milioni, gentilmente concessi dal Gruppo petrolifero sotto forma di pubblicità. Tutte notizie di cui Giorgetti ha fatto finta di non sapere nulla, ma che dimostrano l’arroganza con cui le destre al governo mischiano politica e affari, mentre il controllore dorme o, chissà per quale convenienza, fa finta di non capire.
(da lanotiziagiornale.it)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
I TRISTI RECORD DELLA POVERTA’ CHE LA MELONI NASCONDE
Mentre il governo si attribuisce meriti che non ha per la crescita dell’occupazione, continua la marcia all’insù della povertà, di cui non si parla.
Ce lo ricorda l’Istat con gli ultimi dati presentati qualche giorno fa. La povertà assoluta sale ancora, seppure di poco. Nel 2014, dopo la grande crisi economica, colpiva il 6,9 per cento delle famiglie, nel 2023 è arrivata al 9,8. Ciò vuol dire che abbiamo circa 2 milioni e 200mila famiglie coinvolte, mentre a livello individuale il fenomeno interessa oltre 5 milioni e 700mila persone. D’altra parte, i dati forniti dalla Ue ci pongono al secondo posto in Europa per le persone “a rischio povertà”, a un soffio dalla Spagna. Perché l’Italia ha questo triste primato?
Come suggeriscono in una bella ricerca Chiara Saraceno, David Benassi ed Enrica Morlicchio (La povertà in Italia), le cause sono molteplici e devono essere colte nella loro interdipendenza; quindi, come uno specifico “regime di povertà” che prende forma tra condizioni economiche e sociali di lungo periodo e sistema pubblico di protezione sociale. Tra le prime vanno certo considerate l’irrisolta questione del Mezzogiorno (dove il fenomeno è particolarmente concentrato), il peso delle piccolissime imprese e dei servizi a bassa qualificazione, insieme alla diffusione dell’economia sommersa e del lavoro nero.
Un’altra specificità italiana è il basso tasso di occupazione femminile (il più basso tra i grandi paesi europei) che a sua volta porta a una maggiore presenza di famiglie monoreddito più esposte alla povertà e quindi di lavoro povero, e alla forte incidenza di minori in condizioni di povertà (un’altra preoccupante specificità del nostro paese). Per non dire del carico di problemi di cura (bambini, anziani, non autosufficienti) che si riversano sulle famiglie e sulle donne.
IL WELFARE
Questo ci porta all’altra questione centrale: l’inadeguatezza del nostro sistema di welfare a fronte di condizioni economiche e sociali che aggravano particolarmente la domanda di protezione sociale. Qui, di nuovo, il confronto con altri paesi europei e i dati Ue possono aiutarci. Ci fanno infatti intravedere meglio una sorta di paradosso della povertà: siamo tra i paesi che spendono di più per l’esclusione sociale, ma abbiamo i livelli più elevati di povertà.
Per far fronte in modo più adeguato al problema della povertà (come del resto a quello delle disuguaglianze più generali che sono da noi particolarmente forti) non dobbiamo pensare che il problema principale sia quello di fare crescere la spesa.
Spendiamo già non poco, ma spendiamo male, e questo può spiegare la differenza di risultato con altri paesi. Non abbiamo avuto un reddito minimo per i poveri – diffuso in molti paesi – fino all’introduzione del Reddito di cittadinanza (ora sostituito dall’Assegno di inclusione, di cui si sa già che non sarà sufficiente).
In genere, la protezione sociale ha proceduto in modo particolaristico e frammentato sulla base delle condizioni occupazionali più che di criteri universalistici, preferendo trasferimenti monetari a servizi pubblici. Siamo ai livelli più bassi per investimenti in politiche attive del lavoro, in politiche di conciliazione e in servizi per l’infanzia (asili nido).
La verità è che più in generale abbiamo avuto una redistribuzione perversa: volumi di spesa in percentuale del Pil vicini a quelli dei paesi nordici e continentali, ma livelli di povertà e di disuguaglianza più simili a quelli di paesi, come gli Stati Unititi e la Gran Bretagna, dove si spende meno. Ciò è dovuto al fatto che il welfare e il fisco sono diventati strumenti primari di un consenso politico particolaristico.
Non esiste dunque una ricetta unica per contrastare la povertà. Bisogna agire a monte e a valle. Certo, è importante un reddito minimo che funzioni. Ma occorre guardare anche al tasso di occupazione femminile, ai servizi per sgravare donne e famiglie, alle politiche attive del lavoro e al salario minimo, senza perdere di vista le politiche industriali volte a favorire lo spostamento dell’apparato produttivo verso l’alto che permette salari più alti.
E tutto questo richiede un sistema fiscale che funzioni e sia ispirato a criteri universalistici e di progressività (altro che flat tax!). Insomma, la povertà e le disuguaglianze sono come le parti di un motore. Non si può modificarle efficacemente senza cambiare il funzionamento di altre parti, e senza favorirne l’integrazione complessiva. Quindi non bisognerebbe essere schiacciati sulla “veduta corta” e sulle prossime elezioni. Ci vogliono un progetto e un programma.
(da editorialedomani.it)
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Marzo 29th, 2024 Riccardo Fucile
“CI SONO IRREGOLARITA’ E PROBLEMATICHE MAI RISOLTE”
L’Anac risponde al ministro Matteo Salvini, precisando che le verifiche sulla Diga foranea di Genova e sulle «criticità emerse» vanno avanti «dal 2022, secondo le procedure previste dalla legge».
E nel 2023 sono state segnalate alla struttura commissariale «le diverse irregolarità riscontrate e le indicazioni migliorative».
Ed è la stazione appaltante ad aver contestato la competenza dell’Autorità invece di «risolvere in tempo le problematiche avanzate». L’Autorità «come sempre non agisce per bloccare, non avendone tra l’altro la facoltà o i poteri, ma per agevolare la realizzazione delle opere nel doveroso rispetto della legalità».
Una risposta piccata quella della Autorità Nazionale anticorruzione che arriva dopo le parole di Salvini. «Sorprende lo stop dell’Anac: è come se pezzi di Stato remassero contro l’interesse nazionale», aveva dichiarato il ministro, attribuendo a non meglio precisate “fonti” del dicastero le critiche sulla diga.
L’Anac ha puntato il dito sui rilievi fatti sull’opera-simbolo del Pnrr, il cui costo è di 1,3 miliardi di euro, e il primo lotto, da 863 milioni, è stato affidato al consorzio PerGenova Breakwater, capitanato da Webuild (ex Salini Impregilo). Pensata per dare una banchina alle navi commerciali di grandi dimensioni, in molti mettono in dubbio la sua funzionalità.
Lo scorso luglio, secondo quanto costruito dal Fatto Quotidiano, L’Anac ha chiuso l’istruttoria confermando l’«omessa motivazione nell’utilizzo della procedura negoziata senza bando», il «mancato aggiornamento dei prezzi» e l’«alterazione delle condizioni» tra la prima procedura, deserta per i costi troppo alti, e quella successiva.
«Abbiamo formalizzato le contestazioni non per bloccare l’opera semmai per proteggere i finanziamenti Pnrr»
Oggi in una nota l’organismo anticorruzione ricorda che, dopo aver indicato alla Struttura commissariale le irregolarità, la stazione appaltante «ha ritenuto di concentrare la propria attività nella contestazione della competenza di Anac ad intervenire e nel difendere il proprio operato, senza adoperarsi per risolvere in tempo le problematiche evidenziate». Ecco perché, con la delibera del 20 marzo, le osservazioni sono state «formalizzate. Ancora una volta – sottolinea l’Anac – non con l’intento di fermare l’opera, il cui carattere strategico e fondamentale non viene messo in discussione ma, al contrario, proprio per scongiurare che tale importate realizzazione possa subire blocchi o ritardi in seguito, in ragione del mancato rispetto delle procedure di legge, ponendo anche a rischio i finanziamenti Pnrr». L’intento dell’Autorità non è infatti quello di «bloccare le opere, non avendone fra l’altro la facoltà o i poteri», ma «agevolare la realizzazione nel doveroso rispetto della legalità, delle regole di trasparenza e concorrenza, così da consentire che si intervenga in tempo, evitando quelle irregolarità che possono avere un impatto anche con riferimento all’erogazione dei finanziamenti dell’Unione europea».
(da agenzie)
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