Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
AVANZA L’IPOTESI DI SPEDIRE GIORGETTI IN EUROPA COME COMMISSARIO (SEMPRE CHE LA DUCETTA OTTENGA UNA POLTRONA DI PESO NELLA PROSSIMA COMMISSIONE)… IN QUEL CASO, ALLA GUIDA DEL MEF ANDREBBE L’ULTRAMELONIANO MAURIZIO LEO
Il silenzio di Palazzo Chigi, nelle ore di festa, avvolge tutto e conferma le indiscrezioni. Rafforza soprattutto i timori della Lega che vedono con incertezza la prospettiva del post-voto, in considerazione dei sondaggi che non premiano il Carroccio, e sono preoccupati dal rimpasto cui Giorgia Meloni sta pensando, come scritto ieri da Repubblica.
I rapporti della premier con Salvini si sono di nuovo raffreddati, al di là della consuetudine degli auguri pasquali: pesano ancora le critiche di Marine Le Pen “veicolate” dalla convention di Identità e democrazia organizzata dal Carroccio a Roma. Negli ambienti parlamentari della Lega molti ritengono, e sperano, che la presidente del Consiglio non alimenterà le tensioni con la vendetta costituita da un siluramento di ministri leghisti.
Ma un ridimensionamento potrebbe passare anche dalla promozione di Giancarlo Giorgetti a commissario europeo. Indicando il ministro dell’Economia nell’esecutivo di Bruxelles, Meloni potrebbe lanciare sulla poltrona di via XX settembre il suo vice, Maurizio Leo, esponente di FdI. La Lega sostanzialmente perderebbe un posto a favore del partito della premier.
Giorgetti gode di ottimi rapporti in Europa, anche se non scalpita per fare il grande salto. E il favorito, per il ruolo di commissario, rimane il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, che però potrebbe essere “costretto” a restare nel governo per chiudere il Pnrr.
Di certo, l’opzione di Giorgetti ai vertici Ue ricomporrebbe gli equilibri nel governo, destinati a mutare in caso di un calo elettorale della Lega suggerito dai sondaggi.
Dentro Forza Italia, al contrario, si attende una crescita dopo i buoni risultati delle Regionali in Abruzzo e Sardegna. Il segretario Antonio Tajani non sembra intenzionato a reclamare più spazio nel governo ma la richiesta di qualche modifica è già pronta: Alberto Granillo, manager del settore, potrebbe prendere il posto di Gilberto Pichetto Fratin all’Energia.
Si libererebbe la casella della Pubblica amministrazione: fra i possibili nuovi ingressi forzisti quelli di Deborah Bergamini, neo vicepresidente del partito, o del capogruppo alla Camera Paolo Barelli, molto vicino a Tajani
Di certo, Meloni dopo le Europee dovrà cambiare qualcosa, e non solo in superficie. La precipitazione politica della vicenda Santanchè, la ministra del Turismo alle prese con diverse inchieste giudiziarie, è ormai messa nel conto dalle parti di Palazzo Chigi. […
C’è poi il caso Nordio: il Guardasigilli è sempre più un corpo estraneo al governo. La sua permanenza nell’esecutivo è tutt’altro che scontata. Il problema è trovare un sostituto: l’unico che metterebbe tutti d’accordo sarebbe Alfredo Mantovano, che però oggi ha un ruolo centrale a Palazzo Chigi. E, quando arriverà il rimpasto, ci saranno altri movimenti: da tempo il titolare dello Sport, Andrea Abodi, chiede un altro incarico, e la cosa si farà con soddisfazione di entrambe le parti.
(da la Repubblica)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
“CORSE GRATIS PER I SUOI CONTROLLI”, MA INTANTO IL TASSISTA NON E’ STATO ANCORA SANZIONATO
All’inizio del mese di marzo la sua storia aveva fatto il giro d’Italia: il trapianto per il quale era stato chiamato rischiava di saltare perché mancavano solo 6 euro per pagare la corsa in ospedale con taxi e il conducente, dopo averlo portato senza successo a un bancomat, lo ha abbandonato in piazza De Amicis a Torino portandosi via lo zaino con tutti i suoi documenti e le cartelle cliniche.
Come riporta Il Corriere della Sera, nelle scorse ore, Kanda Kouyatè, che è riuscito lo stesso a sottoporsi a quel trapianto all’ospedale Le Molinette, e che ora sta bene, ha incontrato una delegazione della cooperativa Taxi Torino che gli ha chiesto scusa per il comportamento del collega.
Quest’ultimo nel frattempo è stato interrogato dai vigili, che hanno avviato un’indagine. “Non ci sono parole. Siamo dispiaciuti e ti chiediamo scusa”, hanno detto accogliendolo in via Duino.
Kanda, che è sulla via della guarigione, dovrà andare a fare controlli in ospedale due volte alla settimana. “Potrà andarci in taxi gratuitamente”, ha ha precisato Roberto Sulpizi, presidente di Torino Taxi, che, assieme ai vertici della cooperativa, ha consegnato a Kanda una mazzetta di buoni prepagati, aggiungendo: “Ci impegneremo anche ad aiutarlo a trovare un nuovo impiego”, dal momento che dopo il trapianto non potrà più tornare a lavorare come muratore.
Intanto, l’uomo ha deciso di non denunciare il tassista, che rischia comunque conseguenze disciplinari: “Vorrei solo capire perché lo ha fatto. Mi ha chiesto di lasciare i documenti in macchina e avrebbe solo dovuto aspettare qualche minuto e sarei riuscito a prelevare i contanti, come poi ho fatto. Ora però voglio guardare avanti e pensare alla nuova vita che mi aspetta grazie alla generosità del donatore e della sua famiglia”, ha detto.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
DA QUANDO SI È PENTITO, SONO STATI GIÀ MESSI AGLI ATTI I PRIMI CINQUE INTERROGATORI, MA È SUL FILO CHE LEGA SANDOKAN ALLA MAFIA SICILIANA CHE SI APRE LA PARTITA CON LO STATO: NEL 1992, ANNO DELLE STRAGI DI CAPACI E VIA D’AMELIO, SCHIAVONE ERA ALL’APICE DEL SUO POTERE
I primi cinque interrogatori sono già agli atti. Si ricomincia dopo Pasqua, al ritmo di due alla settimana. È arrivato il momento, per l’ex boss Francesco Schiavone detto “Sandokan”, di mettere nero su bianco la lista degli imprenditori collusi con il clan camorristico dei Casalesi.
Sono questi i giorni, da qui ai prossimi sei mesi fissati dalla legge, durante i quali il collaboratore di giustizia dovrà indicare gli elementi in grado di condurre i magistrati alle chiavi della cassaforte dell’organizzazione di Casal di Principe: le tracce di investimenti che potrebbero essere arrivati all’estero, Spagna, Canarie, forse Romania, i nomi dei riciclatori, di chi è stato finanziato con il denaro della cosca e poi ha continuato a fare affari, spesso negli appalti pubblici
E naturalmente i politici sostenuti con i voti inquinati dalla camorra.
Sui complici della stagione di Gomorra, “Sandokan” gioca buona parte della sua partita con lo Stato.
«Sono un uomo d’onore, dirò la verità », assicura il settantenne che sin dai primi colloqui con i magistrati ha voluto rivendicare la sua appartenenza a Cosa nostra. Questo dato può schiudere ulteriori scenari investigativi: Schiavone è stato arrestato dopo una lunga latitanza l’11 luglio del 1998.
Era all’apice del suo potere quando la mafia siciliana pianificò e realizzò le stragi del 1992, il 23 maggio sull’autostrada all’altezza di Capaci fu assassinato il giudice Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e la scorta, il 19 luglio successivo in via D’Amelio a Palermo un’autobomba uccise il giudice Paolo Borsellino e gli agenti che lo proteggevano. L’ex boss casalese conosce qualche retroscena, di quegli eventi? E soprattutto, partecipò all’acceso confronto tra i capi delle mafie che volevano esercitare pressioni per far attenuare il carcere duro?
I primi verbali saranno presumibilmente allegati agli atti del processo, in corso a Santa Maria Capua Vetere, sugli appalti nel settore ferroviario che vede imputato l’imprenditore di Casal di Principe Nicola Schiavone, 70 anni
Nicola Schiavone fu assolto nel maxiprocesso “Spartacus” al clan dei Casalesi, dove il fratello Vincenzo, più giovane di dieci anni, fu invece condannato a due anni di reclusione.
Nelle carte del procedimento figurano anche riferimenti a presunti contatti con ambienti della massoneria
Potrebbe essere proprio il processo sugli appalti ferroviari, dunque, il primo nel quale la verità di “Sandokan” sarà messa alla prova.
(da la Repubblica)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
“LA COSTITUZIONE VUOLE UNA MAGISTRATURA DEL TUTTO AUTONOMA DALL’ESECUTIVO”
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio non finisce mai di stupirmi perché in tanti anni di magistratura sembra non essere riuscito a capire quale è la magistratura e quale è il tipo di magistrato disegnati dalla Costituzione della Repubblica.
Inoltre, per sostenere le sue tesi, incorre spesso in manifeste illogicità (che, per la motivazione delle sentenze, è un caso di annullamento da parte della Corte di cassazione). Basta leggere la Costituzione, che nella Parte seconda “Ordinamento della Repubblica” nel Titolo I tratta del Parlamento, nel Titolo II del presidente della Repubblica, nel Titolo III del governo e nel Titolo IV della magistratura. E dichiara nell’art. 101 che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” e nell’art. 104 che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Nello stesso articolo è introdotto il Consiglio superiore della magistratura, composto per due terzi da magistrati. Nell’art. 105 si affidano al Csm “secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”. Nell’art. 106 si precisa che “le nomine dei magistrati hanno luogo mediante concorso” (mentre per i dipendenti pubblici c’è il concorso salvo i casi previsti dalla legge). Nell’art. 107 la Costituzione afferma che “i magistrati sono inamovibili”. Nell’art. 109 si legge che “l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Inoltre, secondo l’art. 108, “le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge”.
Chiunque capisce che la Costituzione vuole una magistratura del tutto autonoma dall’esecutivo. Lo stesso ministro della Giustizia, che pur è titolare dell’azione disciplinare verso i magistrati (art. 107 comma 2), è indicato come colui al quale, “ferme le attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura, spettano l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia” (art. 110). Quanto ai singoli magistrati, oltre alla inamovibilità e – per i giudici – alla soggezione solo alla legge (mentre per il pubblico ministero è previsto dall’art. 107 ultimo comma che “gode delle garanzie stabile nei suoi riguardi dalle norme di ordinamento giudiziario”), l’art. 107 comma 3 afferma che “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”. Non solo quindi vi è l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, ma anche l’indipendenza interna, con la sola soggezione alla legge per i giudici. Il ministro Nordio invece finge che tutto quanto riassunto non esista: per sostenere l’opportunità di test psicologici per l’ammissione in magistratura, ha pensato bene di paragonare i magistrati alla polizia giudiziaria sostenendo che, siccome il pubblico ministero è il capo della polizia giudiziaria (che è composta da soggetti che vengono sottoposti ai test), anche i magistrati devono essere sottoposti ai test. Intanto è evidente la prima fallacia logica là dove pretende di sottoporre ai test non solo i magistrati del pubblico ministero, ma anche i giudici che, pur disponendone, non sono a capo della polizia giudiziaria. Anche a tacere del fatto che la polizia giudiziaria non è un corpo ma una funzione, sicché ci sono persone ha hanno la qualità di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria senza appartenere a corpi di polizia e che quindi non hanno fatto quei test, vi è una seconda fallacia là dove pensa che l’autorità da cui dipende una struttura faccia parte della struttura stessa. Il pubblico ministero è il capo della polizia giudiziaria, ma non è un ufficiale di polizia giudiziaria. Secondo l’art. 87 comma 9 della Costituzione, il presidente della Repubblica ha “il comando delle Forze armate”, ma non per questo è un militare. Secondo il curioso argomentare di Nordio, invece, bisognerebbe sottoporre a test il presidente della Repubblica poiché i militari sono sottoposti a test. Ma quel che più conta è che la caratteristica essenziale degli appartenenti a corpi militari o comunque di polizia, gerarchizzati, è l’obbedienza; la caratteristica dei magistrati è l’indipendenza, cioè l’esatto contrario. Ammesso che siano necessari i test, questi non potrebbero essere uguali a quelli in uso presso Forze armate o Corpi di polizia. A meno che non si abbia in mente un modello di magistrato diverso da quello descritto nella Costituzione, cioè un magistrato che ubbidisca, in spregio della Costituzione.
PierCamillo Davigo
(da ilfattoquotidiano.it)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
CERCASI ASPIRANTI CITTADINI, ARRUOLAMENTI SEMPRE PIU’ DIFFICILI: L’IPOTESI DI RECLUTARE I “NUOVI ITALIANI” (CHE IN QUESTO CASO VANNO BENE)
Negli uffici degli Stati maggiori della Difesa si lavora a un progetto che consentirà di arruolare, nelle forze armate, un certo numero di giovani cittadini stranieri. Magari già residenti in Italia da qualche anno, con piena padronanza della nostra lingua e interessati ad acquisire la cittadinanza, come una sorta di premio, alla fine di un servizio che sarebbe per lo più a termine. Quando si dice l’integrazione. Al momento è solo un’ipotesi, non c’è ancora nulla di definito e neppure un via libera del ministro Guido Crosetto, che però vuole forze armate giovani e prontamente mobilitabili in uno scenario internazionale sempre più inquietante.
L’idea risponde alla stessa logica della riserva addestrata proposta da Crosetto, che del resto solleva continuamente il problema dell’inadeguatezza di apparati e mezzi della Difesa e punta a interventi normativi per poter arruolare specifiche professionalità quali esperti informatici e hacker, indispensabili nella guerra moderna. Non è questione di numeri, con la legge 119/2022 approvata dopo l’attacco russo all’Ucraina è stato bloccato il processo di riduzione degli organici previsto dalla legge Di Paola (244/2012): gli Stati maggiori ne vorrebbero di più ma i 160 mila effettivi attuali tra Esercito, Aeronautica e Marina sono garantiti. Vogliono però militari più giovani anziché in servizio permanente dopo i 40 anni. Detto un po’ brutalmente non sanno che farsene di 20 mila sottufficiali, spesso in là con gli anni, solo nell’Esercito.
Naturalmente l’evocazione della Legione straniera fa discutere anche se al momento nulla indica che avremo reparti formati solo o prevalentemente da cittadini con un altro passaporto. Del resto ce l’hanno in Francia ed è la più famosa del mondo, ce l’hanno anche in Spagna. Negli Stati Uniti, alle prese con la peggiore crisi di reclutamento degli ultimi 25 anni, il governo ha raddoppiato gli sforzi per prendere personale dalle comunità di immigrati. Il punto è proprio quello: il reclutamento delle forze armate si fa sempre più difficile, sempre meno giovani vogliono rischiare la vita per la patria. In Germania, dove il dibattito sul riarmo procede con accelerazioni e frenate almeno dall’inizio della guerra in Ucraina ma nel 2023 è mancato il 7 per cento degli arruolamenti, il ministro della Difesa socialdemocratico, Boris Pistorius, qualche mese fa ha parlato del possibile ricorso agli stranieri, escludendo invece il ripristino della leva obbligatoria. È la stessa posizione di Crosetto, mentre nei Paesi scandinavi la coscrizione obbligatoria non è mai stata abolita o è stata ripristinata (Svezia) o estesa alle donne (Danimarca), anche in conseguenza della reale o presunta minaccia russa.
Problemi di reclutamento ci sono anche da noi. L’ultimo rapporto Esercito (2023) dà conto di un “rinnovato appeal verso la carriera militare con quasi 69 mila domande presentate a fronte di circa 10 mila posti messi a concorso”; periodici sondaggi assicurano che un giovane su tre, o addirittura due su cinque, guardano con attenzione alle forze armate. Però poi gli arruolamenti sono sempre un po’ al di qua dei posti disponibili: secondo il rapporto Esercito, nel primo blocco dell’anno scorso sono entrati 2.138 volontari sui 2.200 previsti (sono 6.500 l’anno), in altri casi è andata peggio. Molti non si presentano, altri vengono scartati ai test, altri ancora preferiscono puntare subito alle forze di polizia che offrono stipendi iniziali leggermente più alti dei 1.100 euro di un Vfi (volontario in ferma iniziale), una vita meno difficile, qualche rischio in meno e soprattutto maggiori garanzie di stabilità.
Da un anno c’è un nuovo sistema di reclutamento, ma solo una parte dei volontari in ferma annuale o triennale viene stabilizzata, altri sono destinati alle forze di polizia e altri ancora avranno solo qualche aiuto per il reinserimento. È un dettaglio ma aiuta a capire: al centro di reclutamento della Cecchignola, la cittadella militare romana nei pressi dell’Eur, vogliono offrire i posti letto agli aspiranti volontari che a volte non si presentano al concorso anche per non pagare una o più notti in hotel e b&b.
Pesa, ovviamente, il declino demografico: pochi figli, pochi giovani per servire la patria. Infatti anche da noi si parla di arruolare stranieri da prima ancora che fosse abolita la leva (2005): dagli archivi del Senato esce una proposta di fine 2001, poco dopo gli attacchi dell’11 settembre, primo firmatario l’ex sindaco dc di Lecce Salvatore Meleleo, passato al Ccd e poi all’Udc. “La legione straniera non dovrebbe scandalizzare, è un problema che prima o poi finirà col porsi”, diceva nel 2006 Antonio Martino, ministro della Difesa dei governi Berlusconi II e III, scomparso nel 2022. Forse ci siamo arrivati. C’è la destra al governo, ma potrebbe essere un caso.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
“MELONI STA INDEBOLENDO LE NORME ANTICORRUZIONE E SPUNTANDO LE ARMI DI INQUIRENTI E GIUDICI”
Presidente Conte, il pentimento di Francesco “Sandokan” Schiavone potrebbe aprire una nuova pagina nella lotta alla camorra e squarci inediti sulle collusioni ai più alti livelli. Eppure, non ha la sensazione che la parola mafia sia uscita dall’agenda politica, a ridosso delle amministrative e delle Europee?
«Il governo Meloni sta indebolendo le norme anticorruzione e spuntando le armi della magistratura, un pezzo alla volta. Solo un esempio: il partito di Meloni voleva una norma per dare incarichi negli enti locali ai condannati per corruzione, noi li abbiamo fermati. Noi nelle istituzioni portiamo campioni dell’antimafia come De Raho — oggi oggetto di ignobili attacchi — e Scarpinato, tra gli artefici di indagini e condanne contro Cosa nostra e Casalesi. Candidiamo in Europa Giuseppe Antoci, ideatore di un protocollo contro le frodi mafiose sui fondi europei, perché non possiamo permettere che i 209 miliardi conquistati a Bruxelles vadano nelle mani dei comitati di affari e della malavita. La verità è che interi settori della maggioranza sono più concentrati a far la guerra all’antimafia che a mettere all’angolo mafiosi e corrotti».
Nel frattempo il tandem Meloni-Nordio l’ha spuntata laddove i predecessori Berlusconi-Castelli non erano riusciti: l’introduzione per legge dei test psicoattitudinali per i magistrati. Non si rischia la delegittimazione di chi è impegnato in prima linea sul fronte della legalità?
«Questo esecutivo mira ad assoggettare il potere giudiziario, secondo una logica di subordinazione perseguita da tutti coloro che, da Gelli in giù, hanno lavorato per condizionare obliquamente i processi decisionali democratici. Questa maggioranza vuole scardinare il nostro ordinamento costituzionale e, in particolare, i principi dell’autonomia della magistratura e della legge “uguale per tutti”. Quanto ai test psico-attitudinali, ho qui davanti l’appello che gli esponenti della società scientifiche di psicoanalisi e psicoterapia firmarono contro la riforma Castelli nel 2004. È più attuale che mai. Si contestava già allora il fatto che, non avendo il test “alcun vero ancoraggio scientifico”, gli esaminatori “si troverebbero, nella migliore delle ipotesi, in balia di suggestioni intuitive ed empatiche”. Il rischio, ancora peggio, sarebbe quello di una “subordinazione all’ordinamento politico del momento”. Non c’è da aggiungere altro».
Il governo cancella quel che resta del Superbonus edilizio. La considera un’ulteriore vendetta politica verso il suo Movimento, padre di quel bonus?
«Ormai “tutta colpa del Superbonus” è diventata la foglia di fico dietro la quale Meloni e il suo governo nascondono i loro fallimenti. Le polemiche attuali e il discorso sui costi sta oscurando completamente i grandi vantaggi prodotti dalla misura: un extra-gettito record confermato ancora nel 2023, prezioso soprattutto adesso che con Meloni abbiamo il record di povertà e 12 mesi consecutivi di crollo della produzione industriale. Anche il Financial Times ha riconosciuto che il Superbonus ha rilanciato l’economia italiana: in 3 anni il rapporto debito/Pil si è ridotto di 17,6 punti, per Nomisma e Censis ha creato quasi 1 milione di posti di lavoro fra diretti e indotti».
Insomma, il suo governo non ha responsabilità?
«Il mio governo ha ideato la misura in un periodo di emergenza per rilanciare l’economia, ma poi ha l’ha gestita solo per pochi mesi. Se io sono il genitore 1, Draghi e Meloni sono i genitori 2 e 3, con Giorgetti a far da “compare” onnipresente. Perché il governo, anziché cercare capri espiatori alla propria incapacità, parla solo di costi e non fornisce i dati puntuali sui ritorni diretti, indiretti e indotti del Superbonus?».
Nei prossimi giorni, in aula, sarà discussa la mozione di sfiducia per Daniela Santanchè. Perché la ministra secondo lei dovrà lasciare?
«La ministra ha mentito al Parlamento e vi è anche l’accusa circostanziata di truffa aggravata sui fondi Covid che il mio governo stanziò in pandemia. Nei mesi più difficili di quella crisi, Meloni urlava a squarciagola contro le nostre misure e adesso di fronte a queste gravi accuse fa finta di niente? Tolga la testa da sotto la giacca e smetta di proteggere gli “amichetti” di partito. Non è solo il premier libanese a non riconoscerla più, Meloni appare sempre più irriconoscibile anche ai suoi elettori».
Alla ripresa sarà discussa anche la legge sul conflitto d’interessi da voi proposta. Un compromesso con la maggioranza è possibile?
«Sarebbe un grave autogol affossarla come avvenuto col salario minimo. Evidentemente non vogliono spezzare il legame fra politica e affari e impedire a chi rappresenta lo Stato italiano di essere al libro paga di governi stranieri. Stiamo assistendo al ritorno dei privilegi di casta, dei vitalizi al Senato, delle norme di favore alle lobby e ai potentati economici. Si rinuncia a tassare gli extraprofitti di banche che fanno 28 miliardi di utili, mentre i cittadini rischiano di perdere la casa all’asta per i mutui alle stelle».
Quale soglia ritiene accettabile per il M5S alle Europee? I sondaggi vi danno oltre il 15-16 ma con un distacco dal Pd.
«Non è qualche punto in più o in meno che cambia la nostra strategia politica. La nostra sfida è dare risposte chiare ai cittadini che chiedono un’Europa giusta e solidale, che ripudia la guerra e che non lascia indietro nessuno».
Però la sensazione che si ha è che il Movimento, non trainato dal suo leader — lei ha rinunciato alla candidatura — faccia fatica a schierare figure dotate di appeal elettorale.
«Il M5S ha l’obiettivo di cambiare la politica, non di adeguarsi alle sue pratiche più viziose. Mettere il mio nome su una scheda sapendo che non andrò all’Europarlamento, può certo portare nell’immediato qualche voto in più al Movimento, ma alla fine finisce per assimilarlo a un certo modo di far politica miope e ingannevole. I cittadini devono sapere che, in base ai nostri principi e valori, non apriamo a candidature di comodo, che servono solo per attrarre voti. Anche i pochi, mirati innesti dalla società civile, nascono da progetti politici ben precisi, come le candidature già annunciate di Tridico e di Antoci, che rafforzeranno le nostre capacità e competenze europee in materia di politiche del lavoro e di lotta alla mafia e alla corruzione».
Sarà una Pasqua sferzata dai venti di guerra che lambiscono l’Europa e il Mediterraneo, dall’Ucraina ai confini Nato alla striscia di Gaza. Lei ha da sempre sostenuto posizioni pacifiste. Ma non pensa che un passo indietro di Putin sia decisivo per riconquistare la sicurezza perduta?
«I cittadini italiani ed europei non vogliono la Terza guerra mondiale: la strategia delle armi a oltranza ci sta portando lì. Altro che “deterrenza” come predica fuor di luogo la Meloni. A far la pace bisogna essere in due, certo. Ma è un fatto che sul fronte occidentale non si registra la volontà di investire in un negoziato, preferendo cullare ancora l’illusione di una vittoria militare sulla Russia. I nostri governanti non hanno il coraggio di ammettere che la strategia militare e tutte le previsioni sin qui fatte si stanno rivelando fallimentari e che conveniva da subito investire in un più faticoso, ma proficuo, processo negoziale».
(da repubblica.it)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
QUESTA HA PAURA PERSINO DELLA SUA OMBRA, NO AGLI ESTERNI… IN BILICO RACHELE, NIPOTE DEL DUCE
La linea l’ha dettata la leader Giorgia Meloni: per le Europee le liste di Fratelli d’Italia saranno composte da interni al partito. Da pezzi di classe dirigente che fino a oggi hanno portato molta acqua al mulino della Fiamma. La premier non vuole esterni, al momento: «Non siamo come il Pd», ha ribadito nelle prime riunioni interne vista voto per l’Europarlamento.
E quindi niente di quelle che lei chiama «figurine». Cosi l’unico colpo di scena, si fa per dire, sarà l’annuncio della candidatura della stessa Meloni, alla convention programmatica nella Pescara di Marsilio, dal 26 al 28 aprile. In lizza ci saranno tanti volti noti del partito: tutti gli uscenti all’europarlamento, escluso Raffaele Stancanelli, ormai fuori squadra. Ma ci sarà Vincenzo Sofo (sposato con la nipote di Marine Le Pen) che dalla Lega è passato a FdI. E poi possibilmente volti fedeli e parenti di fedelissimi. Nessun ministro, come si paventava, anche se fino a qualche giorno fa circolavano ancora i nomi degli unici due componenti del governo di FdI non deputati: Gennaro Sangiuliano e Andrea Abodi.
Le certezze non mancano, comunque. Sul fronte parentele — d’altronde la premier al governo ha portato il cognato mentre la sorella guida il partito — nella circoscrizione Nord-Est saranno candidati il nipote del ministro Guido Crosetto, Giovanni, attualmente consigliere comunale a Torino e l’ex senatore azzurro ora uomo forte del partito in Lombardia Mario Mantovani (la figlia Lucrezia è deputata da due legislature).
In questa circoscrizione ci saranno anche Stefano Balleari, capogruppo di FdI nel consiglio regionale ligure e gli uscenti Pietro Fiocchi e Carlo Fidanza. Nel Nord-Est ha annunciato la sua candidatura il sindaco di Pordenone, Alessandro Ciriani, fratello del ministro dei Rapporti con il parlamento Luca.
Possibile anche la candidatura dell’assessora di FdI in Veneto Elena Donazzan, di Stefano Cavedagna, capogruppo di FdI in comune a Bologna e fedelissimo del sottosegretario Galeazzo Bignami.
In Emilia potrebbero registrarsi le poche aperture all’esterno: quella di Piergiacomo Sibiano di area Comunione e liberazione e Guglielmo Garagnani, presidente uscente di Confagricoltura.
Nell’Itala Centrale, nell’eventualità (remota) che non dovesse candidarsi la premier, circola sempre il nome della sorella Arianna, che al congresso ha escluso questa ipotesi aggiungendo però di «essere un soldato» a disposizione delle scelte del partito. Meloni premier punta molto sull’uscente Nicola Procaccini.
Il caso Rachele Mussolini
C’è poi il caso di Rachele Mussolini. Sorella di Alessandra, che si ricandiderà con Forza Italia, alle ultime Comunali di Roma nel 2021 è stata la consigliera più votata della Capitale: un bottino di oltre 6.500 voti personali, più di tutti gli altri Fratelli in lista (e dei candidati degli altri partiti). Lei si dice «a disposizione del partito per le Europee, se mi proponessero di correre — dice a Repubblica — anche perché tanti militanti me lo chiedono e sono al secondo mandato in Campidoglio. E so che in queste elezioni il partito valorizzerà i territori. Credo di avere tutte le carte in regola». Il problema però, secondo alcuni voci inconfessate dentro FdI, sarebbe proprio il cognome: se Meloni a Bruxelles vuole giocare da moderata, candidare la nipote del Duce potrebbe essere un problema. Anche se nel caso specifico, Rachele Mussolini ha posizioni tutt’altro che da destra retriva: «Sono a favore dei diritti civili, a discutere di fine vita». E aggiunge: «Auspico che non sia un ostacolo il mio cognome, proprio dentro FdI». Messaggio chiaro.
Al Sud, insieme agli europarlamentari uscenti Chiara Gemma e Denis Nesci, si fanno i nomi del campano Alberico Gambino e del consigliere regionale pugliese Michele Picaro.
Nelle Isole, oltre all’uscente Giuseppe Milazzo, il nome sul quale punta Meloni al momento è quello del vicecapogruppo alla Camera Manlio Messina, che ha dato la disponibilità. Una candidatura potrebbe essere anche quella dell’ex deputato Basilio Catanoso.
In Sardegna il nome sul tavolo è quello di Sasso Deidda, presidente della commissione Trasporti alla Camera. Sul fronte donne, in pole l’assessora regionale Elvira Amata e la deputata regionale Giusi Savarino. Insomma, tutti dirigenti locali del partito.
A Bruxelles Meloni vuole una truppa fedele: senza troppi voli pindarici e ambizioni personali.
(da repubblica.it)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
L’IGNOMINIA DELLA REPUBBLICA ITALIANA SOVRANISTA CHE DISCRIMINA CENTINAIA DI MIGLIAIA DI BAMBINI STRANIERI
«Sono nati qui, si chiamano Patrizia, Fabio, Aurora, magari Mohamed o Karima, stanno coi nostri figli, parlano la lingua dei nostri figli, sono esattamente come i nostri figli: italiani».
In queste strepitose due righe Mattia Feltri ha sintetizzato al tempo stesso l’ignominia della Repubblica italiana, che tratta da esuli in patria centinaia di migliaia di bambini stranieri solo formalmente, e la modestia culturale di una destra incapace di andare al di là della burocrazia dei passaporti e prigioniera di slogan anti-immigrati, magari comprensibili vent’anni fa ma oggi del tutto fuori dalla realtà.
Il rilancio della battaglia sulla “quota immigrati” da parte di Matteo Salvini è in aperta contraddizione con una delle principali missioni che il governo si è dato, almeno a parole: quella di scuotere antiche egemonie culturali per promuovere la nuova era dell’ideologia italiana.
Non c’è luogo migliore della scuola dove lavorare per questo obbiettivo. Non c’è modo peggiore di perseguirlo della discriminazione programmatica dei 900mila minori figli di stranieri, di cui 600mila nati in Italia e molti altri arrivati tra noi da piccolissimi: bambini e ragazzi che non conoscono altra patria che l’Italia, che parlano non solo l’italiano ma spesso pure i dialetti.
La specifica vicenda storica della destra italiana, i “figli di un dio minore” come spesso si sono rappresentati, dovrebbe essere un potente antidoto a queste sciocchezze.
Chi ha fatto esperienza del ghetto dovrebbe conoscerne gli esiti fatali e farne un tabù assoluto ogni volta che la tentazione si ripresenta, anche per motivi pragmatici. La scuola è la prima istituzione con cui un cittadino si confronta: alimentare in una folla di ragazzini la sensazione di essere ospiti sgraditi del luogo che abitano non presenta vantaggi né per il presente né per il futuro. L’elogio del merito, altra stella polare del racconto conservatore, in fondo è basato su questo: tutti uguali nel diritto all’istruzione, tutti giudicati per i risultati e per l’impegno, non per altro.
La vecchia destra aveva ben chiari questi paletti. Fece, a suo tempo, molte battaglie persino sull’obbligo di grembiule o di divisa, ritenendo che la scuola dovesse azzerare alle radici, anche nell’estetica, le differenze di censo e provenienza per rendere chiaro il fatto che i privilegi o gli svantaggi sociali si fermano alla porta della classe.
Risulta assai difficile tenere insieme questa visione con l’idea che qualcuno sia trasferito dalla sezione o addirittura dall’istituto che frequenta in virtù di un dato “politico”: la qualifica di non-italiano che leggi fuori dal tempo gli hanno appiccicato addosso e il rispetto di un’astratta quota che distingue gli studenti in base allo status anagrafico.
È incredibile che la desta patriottica non riesca a vedere le contraddizioni del discorso “censitario” rilanciato da alcuni suoi esponenti. In nome di pregiudizi poco coerenti con la sua storia rinuncia, tra l’altro, a una grande occasione: trasformare la scuola in un autentico laboratorio di italianità, dove respirino insieme i valori della nostra cultura e della nostra Costituzione, sradicando ogni tentazione discriminatoria e offrendo sostegno a chi zoppica in modo orizzontale, a prescindere dal passaporto dei genitori. Costruire nuovi italiani anziché nuovi paria della Repubblica, cittadini tutti interi anziché esuli nella nazione dove vivono e vivranno. Quale prova migliore per il fronte identitario, se davvero ci crede
(da lastampa.it)
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Marzo 31st, 2024 Riccardo Fucile
I DUE GIOVANI ERANO STATI ARRESTATI A MARZO A ORENBURG
Lo scorso novembre la Corte suprema russa bandì il cosiddetto «movimento Lgbt internazionale» per estremismo, punto di arrivo di una nuova dura ondata di repressione contro le minoranze sessuali. Ora arrivano i primi, surreali esiti giudiziari.
I gestori di un bar Lgbtq di Orenburg, nel sud-ovest della Russia, arrestati poche settimane fa sono ora incriminati come «terroristi ed estremisti». È con questo capo d’accusa che Diana Kamilianova, 28 anni, e Alexandre Klimov, 21, saranno presto giudicati nel primo procedimento penale di questo genere.
Rischiano fino a 10 anni di carcere per estremismo, appunto, e per aver consentito la «promozione di rapporti sessuali non tradizionali» tra i frequentatori del bar.
Nell’attesa, ha stabilito il tribunale di Orenburg, i due gestori del bar Pose rimarranno in custodia fino al 18 maggio. Le forze dell’ordine avevano fatto irruzione nel bar il 9 marzo scorso, ricorda l’Ansa, nell’ambito di una svolta ultra-conservatrice voluta dal regime di Vladimir Putin dopo il lancio dell’invasione dell’Ucraina e l’acuirsi del conflitto «sistemico» coi Paesi occidentali.
(da agenzie)
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