Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
SANTORO ESORDISCE NEI SONDAGGI CON L’1,6%, LEGA E FORZA ITALIA APPAIATI, FDI IN CALO AL 27,4%, PD IN AUMENTO AL 20% M5S SALE AL 16.3%
Carlo Calenda è in affanno e vede allontanarsi l’obiettivo del 4 per
cento che vale l’accesso a Bruxelles. E perde terreno pure Matteo Renzi, che in vista delle Europee ha varato la doppia trazione con Emma Bonino associando in una lista di scopo Iv a +Europa senza però riscuotere entusiasmo tra gli elettori di entrambi i partiti, dopo le polemiche sulla probabile presenza nella futura lista comune “Stati Uniti d’Europa” dei candidati che fanno riferimento a Totò Cuffaro.
E se il barometro politico segna nubi sul centro, a sinistra è Avs a vedere orizzonte cupo, mentre debutta nei sondaggi la lista Pace Terra Dignità di Michele Santoro che sostituisce Unione Popolare ed esordisce con l’1,6%.
Sono questi gli elementi più marcati nella fotografia scattata con la Supermedia Agi/Youtrend, elaborata sulla base di una media ponderata dei sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto.
In cima alla classifica c’è sempre FdI che però torna a registrare un segno meno, perdendo un decimo. Ne guadagna due il Pd e tre il M5S e i protagonisti del campo largo si confermano così sul podio al 20% e al 16,3% rispettivamente.
Ormai appaiati (e staccatissimi) restano Lega e Forza Italia all’8,2%, con i berlusconiani che confermano il trend di crescita.
Il calo di Avs è quantificato in quattro decimi, che riportano l’alleanza Verdi Sinistra al 3,7%. Flessione parallela vice Azione, ma Calenda ora è al 3,5.
Iv e + Europa presi singolarmente pesano rispettivamente 3,1% (in calo di un decimo) e 2,6% (in calo di due decimi). La somma algebrica è abbondantemente oltre il 4. Ma la reazione degli elettori davanti a una lista unica è ancora tutta da pesare.
(da agenzie)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
“CONTROLLA LA TV DI STATO, MEDIASET E GRAN PARTE DELLA STAMPA , SIAMO A LIVELLI UNGHERRESI”
I turisti in fila per entrare al Pantheon di Roma sono stati sorpresi ieri da un flusso di politici dell’opposizione che sono entrati in piazza e hanno declamato la morte della libertà di stampa in Italia.
L’evento era una protesta dei giornalisti in sciopero dell’AGI, la seconda agenzia di stampa italiana, dopo le insistenti notizie sull’acquisizione da parte di un ricco deputato della coalizione di governo di Giorgia Meloni.
Antonio Angelucci starebbe per aggiungere l’AGI alla sua collezione di tre giornali di destra, “Il Tempo”, “Il Giornale” e “Libero”, che diffondono notizie pro-Meloni.
“Siamo un Paese del G7? Siamo una democrazia? In una democrazia cose del genere non accadono”, ha dichiarato Giuseppe Conte, leader del partito di opposizione Cinque Stelle.
L’acquisto renderebbe un altro pezzo dei media italiani favorevole alla Meloni, aggiungendosi alla rete radiotelevisiva di Stato RAI, dove i posti chiave sono stati occupati da sostenitori della premier, e alla rete privata Mediaset, gestita dalla famiglia del defunto primo ministro Silvio Berlusconi, il cui partito Forza Italia fa parte della coalizione di governo della Meloni.
“Rischiamo che l’Italia raggiunga livelli ungheresi di controllo della stampa”, ha dichiarato Alessandra Costante, segretario generale del sindacato dei giornalisti italiani FNSI, facendo riferimento all’acquisizione dei media da parte di Viktor Orban, primo ministro ungherese.
L’AGI è di proprietà dell’ENI, un’azienda energetica italiana controllata dal ministero delle Finanze. Quest’ultimo, a sua volta, è gestito da Giancarlo Giorgetti, membro del partito Lega di Matteo Salvini, che fa parte della coalizione della Meloni.
“Angelucci è un deputato della Lega, quindi avremmo un ministro delle Finanze coinvolto nella vendita dell’AGI a un membro del suo stesso partito politico, il che significa un grande conflitto di interessi”, ha dichiarato un giornalista dell’AGI.
Costante ha detto che Angelucci è proprietario di alcune cliniche sanitarie a Roma e sta “costruendo un impero della stampa per aiutarlo” a espandersi in Lombardia.
Oltre ai giornali di destra di Angelucci, le principali testate italiane includono il filogovernativo Il Messaggero, il Corriere della Sera, che rimane neutrale, e La Repubblica, orientata a sinistra.
“Le discussioni sulla libertà di stampa in Italia devono tenere conto dei confini sfumati tra lo Stato e i media che lo coprono. Le agenzie di stampa italiane ricevono circa 46 milioni di euro (39 milioni di sterline) di sussidi statali all’anno, e l’AGI ha ricevuto 5 milioni di euro l’anno scorso.
Tom Kington
(da The Times)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
COMUNQUE VADA, PER LA DUCETTA SARÀ UN INSUCCESSO: O FA INCAZZARE GLI ALLEATI O SI INIMICA GLI EUROPOTERI
Bruxelles, in quanto capitale dell’Unione europea, è anche
l’Eldorado delle società di lobby, che, tra un report e un dossier, spesso finiscono a fare “servizietti” utili alle agenzie di intelligence.
Chi governa l’Ue deve tenere conto del groviglio di interessi e di pressioni a cui è sottoposta la Commissione: ogni decisione premia uno e scontenta molti e i delusi, in alcuni casi, possono trasformarsi in nemici.
Negli ultimi anni, nella “House of cards” dell’Unione europea, si è aggiunta la Procura di Bruxelles, che si è via via sempre più politicizzata (Michel Claise, il giudice istruttore diventato famoso per il Qatargate, si è candidato alle elezioni politiche in Belgio con il partito Democratico federalista, Défi).
L’inchiesta che puntava a oscurare i mondiali in Qatar, mostrando il lato affaristico e cinico di Doha, esplose, con un tempismo eccezionale, nel dicembre del 2022, proprio mentre nel Golfo iniziava il campionato mondiale di Calcio.
Le indagini, che coinvolsero anche la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, poi sono finite in un mezzo flop, tra scarcerazioni, patteggiamenti e misure cautelari distribuite con troppa disinvoltura.
Doveva essere la spallata alla presenza tentacolare del Qatar nell’Unione europea, ed è finita con una storia miserevole di furbacchioni e arraffasoldi.
Ora, a due mesi dal voto europeo, sempre con un tempismo più che sospetto, la Procura europea (EPPO) fa esplodere il Pfizergate, un’indagine che punta a chiarire le modalità con cui l’Unione acquistò i vaccini durante la pandemia di Covid.
L’inchiesta tira in ballo direttamente la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, accusata di interferenza nelle funzioni pubbliche, distruzione di SMS, corruzione e conflitto di interessi.
A Bruxelles sono in molti ad auspicare che l’inchiesta porti risultati a breve scompaginando le carte in vista delle elezioni del 9 giugno. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: chi sta sperando o brigando per silurare Ursula e impedirle la rielezione?
Sicuramente il mondo della destra, da Salvini a Le Pen, non ha mai smesso di osteggiarla, criticando ogni sua scelta a partire dal Green Deal.
La vuole fuori anche Manfred Weber, il leader del partito bavarese della Csu, e gran capo del Partito Popolare europeo, che non ha dimenticato il “tradimento” subito cinque anni fa, quando, da spitzenkandidaten, fu uccellato dal Consiglio europeo: su proposta di Macron e con l’appoggio di Angela Merkel gli fu preferita la Von der Leyen.
A osteggiare Ursula c’è anche il suo partito, la Cdu tedesca, che le rimprovera un comportamento troppo accondiscendente nei confronti di Giorgia Meloni e dei Conservatori.
La corsa a ostacoli della cofana bionda, sempre più “oca zoppa”, rende la vita difficile anche a quelli che si erano aggrappati a lei confidando nel suo bis.
La capofila di questa corte è Giorgia Meloni, che negli ultimi mesi ha portato in giro la presidente della Commissione Ue come una madonna pellegrina, facendosi accompagnare anche nelle frazioni più sperdute.
La sora Giorgia ha fatto male i suoi conti: forse non era a conoscenza delle trame in corso sulla poltrona più importante a Bruxelles, forse ha sopravvalutato il consenso di Ursula, fatto sta che adesso si ritrova a pettinare la cofana di una candidata depotenziata rispetto a qualche mese fa.
Dopo i sondaggi che danno Ecr dietro a “Identità e democrazia”, l’eurogruppo del duplex Le Pen-Salvini, e di fronte alla certezza di non essere decisiva per la rielezione di Von der Leyen, che farà Giorgia Meloni?
Porterà i suoi europarlamentari a votare comunque per l’inciucio pro-Ursula sperando di ottenere un commissario di peso per l’Italia? Lascerà libertà di voto agli eurodeputati di Ecr così da non legarsi le mani per cinque anni alla Commissione?
Oppure si sfilerà all’ultimo momento, voltando le spalle alla leader tedesca? Comunque vada, sarà un insuccesso, perché da ognuna di queste ipotesi deriveranno problemi con gli alleati o con gli europoteri, o sarà un danno alla sua credibilità personale.
Nel frattempo, annusata la malaparata a Bruxelles, dentro Fratelli d’Italia si cerca una sponda oltreoceano: gli emissari di Fdi hanno preso contatti con l’entourage di Donald Trump, sperando di riallacciare i vecchi rapporti interrotti dopo la sbandata bideniana della Ducetta che, tra un bacetto e una lisciata di pelo, si è offerta come amazzone del presidente americano nel Mediterraneo.
§Cambiare casacca e giocare su più tavoli può sembrare cinico, ma è fisiologico per chi fa politica. Il punto non è il “cosa” si fa ma il “come”: anche il voltafaccia più feroce va messo in scena nel modo giusto, altrimenti si finisce per essere marchiati a livello internazionale come un “camaleonte” (esattamente come Politico.eu definì la premier italiana). E “camaleonte” nasconde un preciso significato: inaffidabile.
(da Dagoreport)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
SONO 150 I FINANZIERI AL LAVORO IN VARIE REGIONI D’ITALIA… CUSTODIA CAUTELARE PER 24 PERSONE,,, NON C’ENTRA LA MAFIA
Ventiquattro misure cautelari e sequestri preventivi per oltre 600 milioni di euro. Sono queste le prime misure assunte dalla Procura europea, per la maxi frode ai anni dell’Unione europea su fondi del Pnrr, scoperta dalla Guardia di finanza di Venezia. «Abbiamo individuato una rete di società, costruita con il fine di ottenere fondi europei, sottraendoli alle finalità alle quali questi erano in realtà destinati» spiega il procuratore europeo Andrea Venegoni.
Tratteggia i contorni di una rete internazionale di prestanome e aziende, che in realtà erano delle scatole vuote, nate con il fine esclusivo di beneficiare dei fondi europei.
Tutto è nato dal monitoraggio della Guardia di finanza di Venezia, sull’intera platea dei soggetti beneficiari dei fondi del Pnrr, per l’internalizzazione delle imprese. Due, in particolare, le società che hanno attirato l’attenzione delle Fiamme gialle lagunari. «A partire dai soggetti che utilizzavano strumentalmente queste due imprese, per ottenere determinati benefici, ci siamo resi conto di essere di fronte a un’organizzazione pronta a beneficiare e approfittare di tutte le provvidenze pubbliche, previste a livello normativo – spiega il comandante provinciale Giovanni Salerno – parliamo di persone strutturate per ottenere sistematicamente finanziamenti pubblici».
Dall’input della Guardia di finanza, ha preso avvio l’indagine della Procura europea, con attività svolte anche all’estero. Le operazioni sono state eseguite con il supporto del Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (Scico) e del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche, a seguito di un’ordinanza emessa dalla gip del tribunale di Roma, Mara Mattioli.
Ma obiettivo delle società non era il semplice ottenimento dei fondi del Pnrr. Ricevuti ingiustificatamente i finanziamenti europei, gli imprenditori fasulli avrebbero creato poi crediti fittizi nell’edilizia, per la capitalizzazione delle imprese: da qui gli oltre 600 milioni di euro, ora sequestrati. In realtà, sono carta straccia, riciclata però in maxi ville, auto di lusso, criptovalute, gioielli e orologi di valore: beni che ora sono tutti stati posti sotto sequestro.
Intanto, sono oltre 150 i finanzieri al lavoro in tutta Italia, impegnati in perquisizioni tra Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Campania e Puglia, anche con l’ausilio di unità cinofile “cash dog”. Ma nell’indagine sono coinvolti anche altri Paesi europei, nei quali stanno operando forze di polizia slovacche, rumene e austriache.
Per il momento, nel nostro Paese, le persone raggiunte da misura cautelare sono 24, di cui otto si trovano in carcere e 14 agli arresti domiciliari. Le due misure cautelari rimanenti sono invece provvedimenti interdittivi a svolgere attività professionale e commerciale, nei confronti di imprenditori ritenuti presunti «facilitatori».
Sul tema è intervenuta anche la portavoce della Commissione Ue, Lea Zuber, nel briefing quotidiano con la stampa: «Ricordiamo che lo Strumento Rrf contiene un quadro di controllo molto solido che si basa sui sistemi di controllo nazionali degli Stati membri, che devono garantire un’efficace prevenzione e individuazione di corruzione e frodi». «Gli Stati – spiega – nel momento in cui hanno presentato i piani hanno dovuto includere anche questo sistema di controllo e la Commissione ha valutato che forniscono effettivamente garanzie sufficienti».
(da agenzie)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
MENO PIL E UNA STRADA IN SALITA
Meno Pil e una strada in salita per il governo Meloni alle prese
con un debito da abbattere e nuove risorse da reperire. È quanto contenuto nel Def, il Documento di economia e finanza che molto probabilmente sarà approvato dal Consiglio dei ministri già entro il 10 aprile.
Quest’anno avrà «una conformazione leggermente diversa rispetto al passato, sicuramente più leggera» ha spiegato ieri il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti parlando alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. In ogni caso prenderanno forma i numeri aggiornati sulla crescita e sui conti pubblici del nostro Paese. Questo mentre, con l’enorme indebitamente raggiunto nel 2023, sull’Italia incombe una procedura d’infrazione Ue. Nel Documento in lavorazione l’economia italiana, secondo indiscrezioni, cresce meno di quanto atteso. Sia per quest’anno sia per il prossimo.
Nel 2024 il Pil è visto aumentare dell’1% e non più dell’1, 2% come indicato in settembre. Per il 2025, Roma prevede invece una crescita dell’1, 25%, in calo rispetto al precedente obiettivo dell’1, 4%. Si tratta di numeri che risultano tuttavia più ottimistici rispetto a quelli diffusi da Banca d’Italia, dalla Commissione europea e dall’Ocse che per l’Italia vedono una crescita inferiore all’1% nel 2024 e intorno all’1, 2% nel 2025.
Nel Def in arrivo la sorpresa sarà rappresentata dal rapporto deficit/Pil che il governo vede per quest’anno sotto al 4, 5%, «vicinissimo» al 4, 3% stimato in ottobre e inferiore a quota 4% nel 2025.
Servirà arrivare almeno al 2026, secondo Bloomberg, per scendere sotto l’obiettivo del 3%. Un fattore di incertezza riguarda di sicuro l’utilizzo del Superbonus e dei bonus per la ristrutturazione degli immobili che hanno creato un enorme buco nei conti dello Stato nel 2022 e nel 2023. Proprio oggi si chiude il capitolo degli sconti in fattura e della cessione del credito per il 2023.
Questi incentivi hanno portato il rapporto deficit/Pil dello scorso anno al 7, 2%, superando ampiamente l’obiettivo del governo del 5, 3%, e minacciano di portare l’enorme debito pubblico italiano su un sentiero in salita rispetto al 137, 3% del Pil registrato nel 2023. Proprio al rapporto deficit/Pil è legato l’avvio della procedura Ue che scatta, secondo le regole di Bruxelles, sopra il limite del 3%.
Questo passo nei confronti di Roma è ormai «scontato». Lo ha detto ieri il ministro Giorgetti che ha spiegato che «la Commissione europea aprirà una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia, della Francia e di altri dieci Paesi». Giorgetti, che ieri ha anche detto di non essere interessato al ruolo di commissario Ue, ha poi aggiunto che Roma è già in linea con i requisiti previsti dall’Ue sul piano di rientro per ridurre il deficit sotto il 3% del Pil nel tempo.
In ogni caso, la procedura d’infrazione rappresenterebbe un passaggio che, se avviato, imporrebbe all’Italia di ridurre il deficit strutturale di un minimo dello 0, 5% del Pil l’anno. Il risultato sarebbero nuove cure dimagranti e nuovi tagli alla spesa pubblica in un momento in cui il governo è impegnato a replicare misure come il taglio del cuneo e l’Irpef a tre aliquote.
Dal debito arriveranno gli ostacoli più insidiosi per il governo Meloni che nel frattempo è a caccia di 20 miliardi – almeno – che serviranno per la manovra d’autunno. Saranno indispensabili per rifinanziare le misure varate nei mesi scorsi e per evitare gli aumenti di tasse garantiti dal taglio del cuneo e dall’Irpef a tre aliquote. Per reperire le nuove risorse tornerà in ballo l’ipotesi di privatizzazioni.
(da la Stampa)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA RICHIESTA DELLA CONFERENZA DELLE REGIONI
Abrogazione del titolo 1 comma 13 del dl Pnrr che taglia 1,2 miliardi alle Regioni relativi prevalentemente a opere per la sicurezza sismica delle strutture ospedaliere, o un impegno formale per la reintegrazione dei fondi. Altrimenti si va dritti davanti alla Corte Costituzionale.
La richiesta al governo Meloni è uscita dalla Conferenza delle Regioni al lavoro sul dl Pnrr e in particolare sul capitolo che riguarda, appunto, i tagli alla Sanità.
A spiegare quel che si muove tra i governatori è il presidente della Conferenza delle Regioni che guida il Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga: “Ci siamo sempre mossi in modo costruttivo seppure in uno scenario critico, ovvero per quanto riguarda i fondi ex articolo 20 abbiamo chiesto che venga eliminato il definanziamento o che venga preso un impegno formale per rifinanziarli. Il nostro parere è condizionato a questa richiesta”, ha spiegato il leghista.
“Da una interlocuzione informale abbiamo visto una apertura da parte del Governo e una disponibilità in tal senso. Come sempre lavoriamo in un’ottica di leale collaborazione, anche in momento difficili”, ha aggiunto.
Per poi concludere: “Penso che sia un obiettivo di tutti, in primis del Governo, dare una risposta che possa migliorare l’offerta sanitaria del Paese. Noi utilizzeremo tutti i canali della collaborazione e anche quelli di non collaborazione, se necessario, per tutelare il più possibile il Servizio sanitario nazionale”.
Nel caso in cui il governo decida di tirare dritto, i presidenti di Regione sono pronti a rivolgersi alla Corte costituzionale.
(da agenzie)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA DELLA SANITA’ A PAGAMENTO
La sanità a pagamento è ormai diventata un fatto reale. Se un
tempo vi ricorreva chi voleva saltare la coda, non voleva aspettare qualche mese per fare un intervento, avere una visita specialistica, effettuare esami clinici, oggi vi è costretto chi non può aspettare non dico qualche mese, ma un anno e più per avere una diagnosi, effettuare visite di controllo necessarie, ottenere un intervento che impedisca il peggioramento della propria malattia.
Perché anche le “urgenze” rimangono tali solo sulla carta (per un caso che conosco personalmente un intervento urgente da effettuarsi entro tre mesi è stato effettuato solo dopo nove mesi). E non è inconsueto sentirsi consigliare dagli stessi operatori pubblici di rivolgersi al privato, perché nel pubblico l’attesa è troppo lunga.
Non tutti, però, possono permetterselo ed anche la via del ricorso alle finanziarie per un prestito non è sempre accessibile, perché aumenta ulteriormente i costi, pur diluendoli nel tempo.
Persino la medicina di base non sempre riesce a adempiere al proprio compito di monitoraggio della salute e di orientamento ai servizi, diventando invece una sorta di sportello cui richiedere ricette per le medicine e prescrizioni per esami richiesti dai medici specialisti in un sistema in cui è il paziente a fare, se ci riesce, il lavoro di coordinamento e comunicazione.
Se non riesce neppure a far fronte alle urgenze, figuriamoci se il SSN riesce ad espletare l’altro suo compito fondamentale, ovvero agire sul piano della prevenzione, dell’educazione a stili di vita sani. Aumentano così le diseguaglianze, che già sono preoccupanti a livello di salute. Come ricordava ieri Cartabellotta su questo giornale, il SSN è stato il principale fiore all’occhiello del welfare state italiano, perché ne rompeva le caratteristiche di categorialità che contraddistinguevano e tuttora in larga misura contraddistinguono altri aspetti del welfare, dalle pensioni alle misure di protezione dalla disoccupazione a quelle di contrasto alla povertà. Il sistema sanitario nazionale, infatti, superando la frammentazione e parzialità delle assicurazioni mutualistiche, offriva a tutti, senza distinzioni di reddito, collocazione geografica, persino cittadinanza, lo stesso servizio alle stesse condizioni, costituendo l’unica misura di welfare veramente universalistica. La regionalizzazione e aziendalizzazione, la scarsa attenzione per la medicina territoriale, gli investimenti decrescenti, anche il finanziamento indiretto (via de-tassazione) delle assicurazioni sanitarie aziendali, hanno progressivamente eroso quell’universalismo, persino con effetti di delegittimazione, con un danno grave per tutti, ma soprattutto per i più fragili e i più poveri, che non possono ricevere cure adeguate.
La sanità è diventata sempre più diseguale, a livello territoriale, ma anche tra persone che vivono nella stessa regione. Sembrava che l’esperienza della pandemia, mettendo a fuoco non solo i limiti del sistema così come era venuto sviluppandosi, ma l’importanza di avere un sistema sanitario pubblico solido e capace di presidiare il territorio, nei suoi bisogni e nelle sue fragilità, avesse messo in moto un processo di riflessione critica tra tutti i soggetti direttamente interessati: Governo, Ministero, medici e infermieri, enti locali. Le Case di Comunità previste dal PNRR, ambiti di collaborazione e coordinamento tra medici di base, medici specialistici, infermieri di comunità, servizi sociali, sono l’sito di questo ripensamento. Ma richiedono sia finanziamenti adeguati, sia personale preparato, in numero sufficiente e adeguatamente remunerato, sia un lavoro insieme organizzativo e culturale che non può essere improvvisato.
Ma di tutto questo c’è poca o nessuna traccia nei piani del governo, che invece pensa di risolvere il problema delle liste d’attesa aumentando la quantità di straordinari fattibili da un personale troppo scarso e già sovraccarico, oltre che beffato dai maggiori compensi offerti ai cosiddetti gettonisti. Non c’è da sorprendersi che molti fuggano dal pubblico e che i giovani preferiscano combinare il lavoro negli ambulatori privati con le prestazioni a gettone.
(da La Stampa)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
L’APPUNTATO ACQUISTO’ L’OROLOGIO DURANTE IL SERVIZIO, PER LUI SI PROFILA L’ACCUSA DI CONCUSSIONE
Durante un normale turno di servizio acquistò un orologio in un punto vendita della Swatch. Non solo: salta anche la lunga coda che si era formata fuori dal negozio dicendo che doveva aiutare una donna incinta che era stata aggredita. Ora per un appuntato dei carabinieri si profila un’accusa di concussione.
A deciderlo è stato il tribunale di Torino, che oggi, con una decisione a sorpresa, ha ordinato la trasmissione degli atti in procura, affinché si valuti l’applicazione di questo reato. I giudici hanno condannato a due mesi e 15 giorni di reclusione il vicebrigadiere che era con lui e che, nonostante avesse un grado superiore, non gli ha impedito di comportarsi in maniera illecita.
L’appuntato aveva chiesto di uscire dal processo con un periodo di messa alla prova, ma il tribunale si è pronunciato diversamente. Quanto al vicebrigadiere, che è stato difeso dagli avvocati Claudio Maria Polidori e Antonello Peroglio, è stato assolto dall’accusa di peculato e dichiarato responsabile di interruzione di pubblico servizio collegata alla violata consegna.
L’episodio è del 2022 ed ebbe come sfondo il punto vendita dello Swatch in via Roma, nel centro storico di Torino. I due militari erano in forza alla stazione Monviso ed erano usciti di pattuglia. Davanti al negozio sostarono per due volte. In aula l’accusa è stata sostenuta dal pubblico ministero Giovanni Caspani.
(da La Repubblica)
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Aprile 4th, 2024 Riccardo Fucile
TAIWAN, DOPO IL SISMA DEL 1999, VALUTATO IN 7,6 GRADI RICHTER, HA RAFFORZATO I SUOI SISTEMI DI PREVENZIONE, ALLERTA E SOCCORSO
Kang Nu aveva 33 anni, era un’insegnante e abitava nell’Uranus
Bulding, il palazzo di nove piani che si è piegato verso la strada e che è diventata l’immagine simbolo del terremoto di ieri mattina a Taiwan, il più intenso nell’isola dal 1999. Magnitudo 7.4. Kang Nu abitava al settimo piano dell’edificio che si trova nel capoluogo della contea di Hualien, a Est, la più colpit
L’insegnante è una delle nove vittime di un terremoto che secondo quanto ha spiegato Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è stato «trenta volte più energetico di quello registrato a L’Aquila nel 2009». Eppure, gran parte degli edifici, nonostante la violenza della scossa, ha resistito e il bilancio delle vittime è relativamente basso.
Inoltre, gran parte delle morti non sono state causate da crolli di palazzi, ma da altre cause: ad esempio in quattro (tre escursionisti e la moglie di un uomo impegnato in un cantiere stradale) sono stati uccisi dalla caduta dei massi nel Parco nazionale Taroko, un camionista ha perso la vita perché in autostrada l’automezzo è stato travolto da un’enorme pezzo di roccia che si è staccato a causa del sisma. Oltre a 900 feriti, ieri sera c’erano ancora 127 persone intrappolate nelle gallerie stradali e in due miniere.
Ci sono ponti, strade ed edifici danneggiati, ma sostanzialmente il bilancio di palazzi distrutti o danneggiati (in totale un centinaio) e delle vittime è molto basso (per fortuna). Come è possibile? Ricorda il presidente di Ingv: «C’è una tradizione di prevenzione dei danni dei terremoti a Taiwan, così come in Giappone e in tutta l’area. I regolamenti edili e il modo di costruire rendono i palazzi molto meno vulnerabili. Se vede le immagini, gli edifici sì oscillano, s’inclinano, ma non si spezzano. Pensi ad Haiti, al contrario, dove con un sisma con magnitudo più bassa ci sono state 230mila vittime». Anche i sistemi di allerta e di addestramento delle popolazione sono rodati, con i messaggi che arrivano tempestivamente sugli smartphone.
Nei prossimi quattro giorni si prevedono scosse di assestamento, anche violente, tenendo conto, ricorda ancora Duglioni, che l’isola è stretta in una morsa, che causa periodici terremoti «poiché è compressa tra la placca delle Filippine e quella Euroasiatica di oltre sette centimetri all’anno e questo attiva lo scorrimento delle faglie». A Taipei, nella capitale, tutto prosegue come sempre, anche se la scossa si è sentita.
Ma ciò che succede a Taiwan ha risvolti anche di tipo geopolitico: la Cina considera l’isola come parte del suo territorio, il leader cinese Xi Jinping ha messo in chiaro da tempo che punta a riprendere Taiwan. Ieri da Pechino hanno fatto sapere: «Monitoriamo la situazione, siamo pronti a fornire aiuti». Anche gli Stati Uniti però hanno avanzato la stessa proposta di inviare soccorsi. L’attenzione dell’economia mondiale è inoltre focalizzata sul colosso dei chip (da cui dipendono i nostri smartphone, tablet, computer, automobili, ma l’elenco è molto più lungo), Tsmc, la cui produzione è stata brevemente sospesa. Da Taiwan hanno assicurato che non ci saranno contraccolpi a lungo termine
Taiwan è abituata a fronteggiare i terremoti, ha un sistema di prevenzione dei danni e di soccorso tra i migliori al mondo, ma il sisma che l’ha colpita ieri è stato il più forte da un quarto di secolo: 7,4 gradi sulla scala Richter, livello «disastroso».
In serata la protezione civile taiwanese aveva contato 9 morti e 1.011 feriti, ma è probabile che le vittime siano di più, perché decine di valanghe si sono abbattute su strade e ponti tra le montagne della contea di Hualien; 50 turisti che viaggiavano su quattro pullmini verso il parco nazionale Taroko nella notte erano ancora dati per dispersi. I soccorritori hanno liberato con i bulldozer 77 persone intrappolate in due tunnel dell’autostrada bloccati dai massi; notizie incerte sulla sorte di 70 minatori che erano al lavoro in cave isolate.
Nel 1999 Taiwan fu colpita da un altro grande terremoto, valutato in 7,6 gradi Richter: i morti erano stati 2.400 e gli edifici devastati 50.000. Da allora il governo ha rafforzato la preparazione agli eventi sismici, ricorrenti nell’isola che si trova sull’Anello di Fuoco del Pacifico, dove la placca delle Filippine e quella Eurasiatica si avvicinano di oltre 7 centimetri all’anno: lo sfregamento «carica» il sisma.
(da agenzie)
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